• Non ci sono risultati.

Cronache Economiche. N.047, 5 Dicembre 1948

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Cronache Economiche. N.047, 5 Dicembre 1948"

Copied!
48
0
0

Testo completo

(1)

QUINDICINALE A CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO

ffi^VtfgKB L 125

L i t ì n o f j o

(2)
(3)

N. 47 5 Dicembre 1948 r

C O N S I G L I O D I R E D A Z I O N E dott. A U G U S T O B A R G O N I prof. dott. A R R I G O B O R D I N prof. avv. ANTONIO CALANDRA dott. G I A C O M O F R I S E T T I prof. dott. S I L V I O G O L Z I O p r o f . d o t t . F R A N C E S C O P A L A Z Z I - T R I V E L L I

*

prof. dott. L U C I A N O GIRETTI D i r e t t o r e

dott. A U G U S T O B A R G O N I C o n d i r e t t o r e r e s p o n s a b i l e

QUINDICINALE A CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO

LA SFERA DEL F A C I L E

M o l t o a proposito un nostro collaboratore ricorda •in questo n u m e r o di Cronache Economiche la defini-zione di « sfera del facile », data da Thomas Mann al settore di certa attività direttrice e riformatrice del m o n d o collettivo, par distinguerlo dalla « sfera dell'arduo », che comprende invece la vita individuale.

Nella sua definizione il letterato tedesco non faceva che ricalcare il concetto già espresso da un altro grande scrittore, lo svizzero Burckhardt, il quale fin dal secolo scorso a v e v a preveduto, con antiveggenza di profeta, l'avvento di un'èra decadente in cui « s e m -plificatori terrìbili » avrebbero imperato nel m o n d o . Sono, questi semplificatori, tutti coloro che ti risol-v o n o un problema con una generica f o r m u l a politica o, c o m e ora suol dirsi, ocun uno slogan; c o l o r o c h e con l'ausilio di un diagramma statistico credono di porre r i m e d i o a d una cri6i; coloro che, apprendisti maghi, si illudono di comandare ai prezzi con la bacchetta m a g i c a ; coloro che ti affondano nella carne viva del-l'individuo il bisturi di pericolosissime utopie e, n o n sapendo o n o n potendo adattare i l o r o piani agli uomini, operano nella sfera del facile col pretendere di adattare collettivamente gli uomini ai piani. P r o -prio c o m e Procuste, che col suo letto famoso e al-cuni rudimentali arnesi di chirurgia u n i f o r m a v a la statura dei disgraziati viandanti capitatigli p e r le mani. Ma il brigante Procuste, almeno, n o n si atteg-giava a benefattore dell'umanità, mè gli passava per la mente di dirigere la vita politica ed' e c o n o m i c a dell'Attica; mentre i suoi imitatori m o d e r n i v a n n o sciabolando o. stirando qua e là, facili ,e faciloni, e giudicano di operare per la nostra sicurezza o il progresso sociale e il più delle volte raggiungono fini del tutto opposti a quelli che, senza d u b b i o in buona fede, si propongono.

Che cos'è mai, infatti, codesta « s i c u r e z z a » ; e in che consiste codesto « p r o g r e s s o » , i quali, in n o m e della socialità e di r i f o r m e apparentemente audaci: — « disciplinano » e « proteggono » le industrie coll'inalare l'ossigeno — assorbito ai contribuenti e ai consumatori — a quelle antieconomiche e col n e gare ogni m i n i m o soffio vitale ad eventuali c o n c o r -renti;

— favoriscono gli importatori « abituali » e chi è in grado di c o n -eludere affari di ccimpensazione per « cifre elevate », a scapito di o p e -ratori nuovi e necessariamente, proprio perché nuovi, di modeste possibilità finanziarie;

— bloccano gli affitti, i l i c e n -ziamenti, i contratti di mezzadria, e p r o v o c a n o così la stasi delle ini-ziative fresche, la disoccupazione dei lavoratori c h e costruirebbero n u o v e case, la condanna a vita dei braccianti che altrimenti p o t r e b b e r o salire a condizione di m e z -zadro?

Se confusione di concetti è manifestazione di d e -cadenza e se u n o dei primi rimedi all'attuale crisi della civiltà consiste nel saper definire, è mestieri riconoscere che i cosiddetti « p r o g r e s s o s o c i a l e » e « sicurezza », nel c u i n o m e si trincia e si trancia, significano in verità soltanto cristallizzazione c o r p o -rativa e medioevale — in ogni caso ingiusta — di privilegi graziosamente concessi a minoranze ristrette, e fors'anche sicurezza, sì, mia soltanto quale m u m m i -ficazione su troni dorati dei felici appartenenti a un paio di categorie, con contemporaneo congelamento d'ogni fiume o anche soltanto rivolo di vita.

Chiarito l'autentico significato delle formulette di moda, non d o v r e b b e più essere impossibile — anche a chi pretende di modellare la vita collettiva nella sfera del facile — comprendere che, operando c o m e ormai, purtroppo, è consuetudine, si finisce per non poter vedere ciò che si sceglie o n o n poter scegliere ciò che si vuole. C o m e vien dimostrato, fra tanti altri, da un esempio addirittura clamoroso: il fatto che proprio mentre si va cercando di realizzare la unione doganale italo-francese, la quale tra i fini suoi principalissimi avrebbe quello di permettere l ' a c -cesso di capitali dalla Francia all'Italia, onde sanare l'ormai cronica carenza di essi in rapporto alle nostre sovrabbondanti forze di lavoro, le progettate r i f o r m e agrarie p r o v o c a n o in questi giorni la vendita affret-tata di terreni piemontesi o lombardi e l'emigrazione di capitali italiani verso... l'Algeria, ch'è territorio metropolitano francese!

L'esempio d o v r e b b e f a r riflettere i « terribili s e m plificatori » dei piani e delle r i f o r m e , e indurli a c o m -prendere .che i problemi economici e sociali n o n si risolvono affatto a m e z z o del facile ottimismo delle Costituzioni e delle leggi riformatrici; ma, al c o n trario, con l'ardua, vigilante opera d'ogni giorno, m i rante a diffondere la fiducia, ad aumentare la p r o d u zione, a facilitare gli scambi, a combattere il p r i v i -legio, a rendere fluida la circolazione degli individui e delle classi, a conservare in vita quella che Luigi Einaudi definiva « pianticella della concorrenza » e a permettere così la creazione, davvero rivoluzionaria, del progresso e della sicurezza consistenti nella s o -cialità del benessere comune.

SOMMARIO:

La sfera del facile pag.

L'indissolubilità dei contratti agrari

(G. Cansacchi) pag. La riforma agraria nella pianura

risicola (F. Saja) pag. Ricostruzione edilizia e mercato

degli affitti ( R . C r a v e r o ) . . , . pag. Piani di riforma della previdenza

sociale ( G . O . ) pag.

I trasporti negli Stati Uniti ( G .

Mi-cheletti) p a g. ||

Rosa dei venti p a g t 13

Mercati pag. 15 Rassegna Borsa-Valori p a g. 17

Notiziario estero p ag . 19 Borsa compensazioni p ag . 21 L'idrovia padana ( G . G i o v a n n i n i ) . pag . 22

(4)

L'INDISSOLUBILITÀ' DEI

Pino a poco tempo fa un solo contratto aveva nell'ordinamento italiano il carattere dell'indisso-lubilità, il matrimonio.

La guerra, con i così detti «blocchi», ha ferito un carattere di indissolubilità a molti con-tratti anteriormente a termine di natura squisita-mente temporanea; così il blocco dei licenziamenti tende a perpetuare i contratti di lavoro e di im-piego; il blocco dei fitti, i contratti di locazione degli immobili urbani; il blocco della mezzadria e dell'affitto terriero, i relativi contratti agrari. Gli inconvenienti generati dai blocchi sono a tutti troppo noti perchè se ne debba ancora discutere: l'unica loro giustificazione consiste in una necessità contingente della collettività nazionale'; si tratta, dunque, di disposizioni eccezionali e provvisorie.

Il progetto di legge sulla disciplina dei contratti agrari, testé approvato nelle sue linee di massima dal Consiglio dei Ministri ed ora presentato al Parlamento per la discussione, costituisce al ri-guardo una importante innovazione, giacché le sue norme non tendono più a prorogare in via ecce-zionale il regime vincolistico, ma addirittura a convalidarlo in modo permanente. I contratti agra-ri — ove il progetto venga approvato — tende-ranno a divenire perpetui, trasformando pratica-mente il possesso del mezzadro e dell'affittuario, già a titolo precario ed a tempo, in un diritto reale di comproprietà.

L'indissolubilità del contratto agrario — nell'am-bito del nuovo progetto — emerge essenzialmente

dall'art. 2, il quale limita la possibilità di disdetta, a favore del proprietario, a soli quattro casi, tas-sativamente determinati; all'infucri di questi casi eccezionali, il contratto di mezzadria o di affìtto non si potrà sciogliere, cioè si perpetuerà oltre i termini concordati dalle parti all'atto della stipu-lazione. Ed allora ecco una prima constatazione paradossale: mentre il progetto nel 1° articolo sta-tuisce il principio solenne che i contratti agrari sono a tempo determinato (sia pure con termine commisurato alla giusta esigenza dell'avvicenda-mento agrario delle colture), nel 2° articolo si contravviene a tale principio, negando la risolu-zione del contratto alla scadenza del termine!... Viene spontanea l'osservazione che il legislatore stesso sia rimasto scosso dalla sua innovazione ri-voluzionarla e quasi l'abbia voluta mascherare pre-disponendo un ossequio formale al principio che si è accinto a menomare nelle disposizioni susse-guenti.

Abbiamo fatto un parallelo fra l'indissolubilità del matrimonio e dei contratti agrari; giova notare che in questi ultimi l'indissolubilità sarà anche più rigida.

Infatti chi contrae matrimonio sa « a priori » che il suo vincolo diverrà indissolubile e se ciò non gli garba può rimanere celibe; non così, in-vece, nel contratto agrario, giacché subentrando la nuova legislazione ad un precedente regime già vincolistico, il proprietario si troverà associato al coltivatore che è attualmente al possesso dei suoi terreni senza possibilità di potersene scegliere un altro in vista dell'indissolubilità ora sancita. I n d -ire nel matrimonio l'indissolubilità fa carico ad entrambi i coniugi; non così nei contratti agrari, nei quali l'indissolubilità è soltanto disposta nei confronti del concedente e non in quelli del con-cessionario, il quale alla scadenza contrattuale può sempre risolvere il suo impegno. Questo privilegio di risoluzione a favore di un solo contraente !non si giustifica neppure con la considerazione di voler dare una maggiore garanzia di stabilità nell'im-piego al lavoratore, giacché l'affittuario di terreni o il mezzadro non sono dei semplici lavoratori ma-nuali, quali potrebbero essere gli operai e i brac-cianti, ma degli imprenditori, con capitali,

mac-chine e bestiame di loro proprietà, cioè sono su di un piede di parità economica col proprietario.

Continuando nel confronto fra l'Indissolubilità del matrimonio e l'indissolubilità del contratto agrario, osserviamo ancora che, mentre il matri-monio si scioglie con la morte di un coniuge, il contratto agrario si perpetua oltre la vita dei contraenti, trapassando immutato nei loro eredi. Tale principio è stato sancito nell'art. 28 del pro-getto per il contratto di affìtto a coltivatore diretto e pare debba pure applicarsi alla mezzadria.

La situazioone giuridica del concedente e del concessionario diventa, così, ereditaria ed il pro-prietario correrà l'alea di vedere nel suo terreno su-bentrare ad un padre onesto e laborioso un figlio od un nipote disonesto ed inetto. Né avrà i mezzi per tutelare la sua proprietà!...

L'indissolubilità dei contratti agrari genera delle conseguenze nocive, di cui accenneremo le prin-cipali.

Anzitutto il coltivatore, fatto audace dalla impos-sibilità per il proprietario di licenziarlo, non avrà più interesse a dimostrarsi zelante ed esperto; è umano che egli tenda a fare il meno possibile, quel minimo sufficiente a non dar motivo ad una riso-luzione per inadempienza contrattuale. Quindi, ;n definitiva, l'indissolubilità contrattuale sarà nociva al progresso agricolo.

Un secondo inconveniente scaturirà dalla scar-sa propensione del capitale ad investirsi nell'acqui-sto dei terreni e nel miglioramento dei fondi; è intuitivo che come non si costruiscono case in re-gime vincolistico, così non si investono capitali nei terreni, allorché è fortemente limitata la di-sponibilità di godimento da parte del proprietario. Ma l'inconveniente più grave è costituito dalla creazione di un privilegio a favore di una categoria di persone con danno di altre categorie. Non si creda che l'indissolubilità dei contratti agrari — auspicata per puro spirito demagogico — dan-neggi soltanto le categorie dei così detti «capita-listi » e favorisca, invece, la categoria dei così detti « proletari ». Indubbiamente i proprietari di terre saranno danneggiati, ma con l'andare del tempo verranno anche colpite le categorie che si vollero beneficiare con la riforma. Alcuni esempi potranno illustrare ampiamente questa evenienza: il mezza-zadro, a cui la famiglia si è accresciuta, dovrà per-manere su un terreno con estensione insufficiente, giacché i poderi più estesi in cui potrebbe trasfe-rirsi sono bloccati da altre famiglie mezzadrili; il mezzadro, invece, che ha una famiglia esigua ri-spetto all'estensione del terreno da coltivare non potrà trasferirsi in un terreno più piccolo e più adatto alle sue forze e magari assumerà come braccianti quei figli di mezzadri o di affittuari che, se vi fosse libera contrattazione, avrebbero assunto in proprio l'impresa di coltivazione. In sostanza la riforma dei contratti agrari, quale ora proposta, consolida unicamente la posizione degli attuali pos-sessori, i quali diventano i « beati possldentes » di fronte a masse di contadini successivamente cre-scenti impossibilitate ad elevarsi dal bracciantato o da conduzioni meno lucrose alla mezzadria e al-l'affitto su terreni di loro gradimento e di maggior lucro.

(5)

situa-• — - situa-• situa-• -

'

zione di immutabilità non sarà certo propizia al progresso agricolo del nostre Paese.

Si potrebbe obiettare che l'art. 2 del progetto, dando in quattro casi al concedente la possibilità di disdetta, acconsenta una sufficiente risoluzione contrattuale. L'esame di questi quattro casi di-strugge una così ottimistica ipotesi.

Anzitutto il fatto stesso che il progetto abbia voluto tassativamente elencare questi quattro \;asi di disdetta e inibire alla magistratura una valuta-zione discrezionale della « giusta causa » di licen-ziamento, dimostra la volontà del legislatore di voler limitare al massimo la possibilità di risolu-zione contrattuale.

Si direbbe che il legislatore tema il giudizio del magistrato, il quale certamente nel suo buon senso e nel suo spirito di equità vedrebbe ragioni di li-cenziamento in molte più numerose contingenze che non nelle quattro sole elencate nel progetto.

La prima causa di risoluzione elencata nell'arti-colo 2 riflette l'inadempienza contrattuale. Salvo i casi marginali e poco frequenti in cui il mezzadro sottrae al proprietario una larga parte dei pro-dotti o l'affittuario non paga il canone di affitto, la maggior parte dei casi di inadempienza è co-stituita da cattiva o insufficiente coltivazione. Si rientra così in un campo di difficile prova e di opi-nabile valutazione, suscettivo di dar luogo a conte-stazioni giudiziarie lunghe, dispendiose e di esito incerto. • .

La seconda causa di risoluzione è così espressa : « atti illeciti che non consentono la prosecuzione del rapporto » ; la dizione legislativa allude a veri e propri reati, quali potrebbero essere furti io ap-propriazioni in danno del proprietario o addirit-tura minacce, sequestri idi persona, ferimenti e forse uccisione. Il legislatore, nel dettare questo comma, ha forse avuto di mira i gravi avvenimenti succedutisi recentemente in Emilia e in Toscana; è però lecito augurarsi che fatti così gravi rara-mente si presentino in avvenire; d'altra parte se essi si generalizzassero sarebbe vano ritenere suf-ficiente il rimedio della risoluzione contrattuale a favore del concedente;, ormai i rapporti privati sarebbero soverchiati da una situazione rivoluzio-naria e di guerra civile.

La terza causa di risoluzione riflette l'evenienza che il proprietario voglia effettuai« nel fondo opere di trasformazione colturale. Quésta causa di riso-luzione potrà, per lo più, applicarsi ai fondi su-scettivi di bonifiche e di trasformazione agraria, mentre i fondi già perfettamente coltivati ed alta-mente produttivi ne saranno immuni; quindi pro-prio i terreni più redditizi saranno soggetti alla immutabilità della conduzione agraria attualmente esistente. Inoltre la dizione dell'articolo è eccessi-vamente restrittiva; essa accenna alle trasforma-zioni colturali nel fondo, ma non menziona le altre infinite previdenze tìnie potrebbero arrecare un potenziamento dell'agricoltura; non vi rientrano, ad es., le innovazioni che il proprietario volesse compiere per attuare una più adeguata trasforma-zione industriale dei prodotti, quali si possono avere nella produzione vinicola o nella lavorazione del latte o dei formaggi.

Neppure può rinvenirsi sufficiente garanzia nel-l'approvazione che l'Ispettorato provinciale dell'a-gricoltura è chiamato a dare ai progettati lavori di trasformazione agraria. Questa approvazione di-penderebbe da funzionari governativi, obbligati ad attuare le direttive ministeriali. La stessa discre-zionalità del provvedimento farà sì che in alcune zone e in relazione al credo politico o al timore di certi funzionari, l'approvazione non sia mai con-cessa.

E veniamo alla quarta e più importante causa di risoluzione contrattuale. Vi si dice che il pro-prietario può dare disdetta : « dichiarando di voler coltivare direttamente il fondo od affidarne la col-tivazione diretta a propri parenti sino al secondo grado». Il legislatore ha, cioè, contemplato il solo caso del contadino che, dopo aver acquistato un podere, ne licenzia il coltivatore, per poterlo

lavo-rare egli stesso. Si escludoryp, invece, dal beneficio della disdetta tutte le altre situazioni che pure avrebbero meritata considerazione. Così, per esem-pio, non si è concessa la possibilità di disdetta al proprietario di terreni in affitto che veglia trasfor-marli in mezzadria o al proprietario a mezzadria impropria che voglia trapassare a quella propria o al proprietario di terreni a mezzadria o ad affìtto che voglia coltivare i propri terreni in economia, servendosi di lavoro salariato o in comparteci-pazione.

Il quarto caso di risoluzicne contemplato nel-l'art. 2 del progetto distrugge — oserei dire in sordina — uno dei più fondamentali diritti del proprietario: quello di disporre dei propri beni. In base a questa disposizione, infatti, non soltanto resta fissata permanentemente nel fondo la fa-miglia del coltivatore, ma anche la forma di con-duzione quale esisteva al momento dell'entrata in vigóre della nuova legge.

L'indissolubilità dei contratti agrari trova com-pletamento in due altre disposizioni del progetto di legge, e cioè, negli art. 5 e 17, cui merita far cenno.

L'art. 17 contempla il caso che, in un determi-nato momento, la famiglia colonica, per la scarsità dei suoi membri, non sia sufficiente alla lavora-zione del fondo. Anche in questo caso la disdetta data dal concedente può essere frustrata dalla « pos-sibilità di tempestivi naturali adeguamenti della famiglia colonica», espressione di portata vaga ed indeterminata, suscettiva delle più inaspettate scap-patoie in danno del concedente.

L'art. 5 è anche più grave nella sua portata pra-tica. Questo articolo concede al coltivatore un di-ritto di preferenza nell'acquisto del podere. E' risa-puto che le clausole contenenti questi diritti di pre-ferenza sono assai invise nel campo degli affari; le trattative di compra-vendita sogliono avvenire ce-lermente e nel segreto, mentre le clausole di pre-ferenza determinano la necessità che la volontà di vendere e di comperare e il prezzo convenuto siano fatti preventivamente palesi. La clausola di pre-ferenza costituisce, da un lato, una remora alla vendita e, dall'altro, un motivo di diminuzione di prezzo. Ma vi è una più grave conseguenza: il proprietario-venditore è posto in una-difficile po-sizione fra il fisco e il coltivatore beneficiario della clausola. Se, infatti, il venditore porrà nel rogito di vendita il prezzo reale ottenuto (quello stesso che notificò al coltivatore per porlo in condizione di esercitare la prelazione), si troverà in difficoltà col fiscp che, considerando il prezzo segnato come inferiore alla realtà (in quanto ciò suole sempre avvenire) aumenterà tale prezzo notevolmente per applicarvi la tassa di registro, dovuta per il tra-passo; se, invece, il prezzo segnato in rogito sarà

inferiore alla realtà per eludere il fisco, il colti-vatore potrà esperire un'azione di danni contro il venditore, sostenendo che per il prezzo segnato in rogito egli avrebbe acquistato il fondo!...

* * *

Il progetto di legge sui contratti agrari forni-rebbe materia per altre molteplici osservazioni che per brevità omettiamo. Abbiamo voluto soffermarci unicamente sul carattere dell'indissolubilità, per-chè ci parve il più foriero di conseguenze nocive. Auspichiamo, quindi, che di progetto, prima di es-sere convertito in legge, sia seriamente discusso e tecnicamente vagliato ad evitare risultati aberranti, dai quali sarebbe poi difficile deflettere.

Il progetto, così com'è attualmente formulato, distrugge la mezzadria, istituto secolare che tanto beneficio nei secoli ha arrecato alla nostra agricol-tura; la libertà contrattuale, la fiducia nei con-tratti, la struttura economico-giuridica dei rap-porti agrari che ci erano tra i più familiari ven-gono travolte in omaggio ad una male intesa de-magogia e con danno dell'agricoltura.

Università di Torino, novembre 1948.

(6)

LA RIFORMA AGRARIA

N E L L A P I A N U R A R I S I C O L A

Avevamo creduto e sperato, noi tecnici, che se una riforma agraria doveva essere attuata nel nostro paese, essa avrebbe dovuto ispirarsi a sani princìpi tecnici ed economici e a precise finalità. In particolare pensavamo che la riforma avrebbe dovuto avere il fine di incrementare la produzione e di migliorare i rapporti sociali delle categorie contadine. Invece si annuncia un progetto di ri-forma del Ministero dell'Agricoltura, il cui fonda-mento è l'imposizione di un limite alla proprietà. Neghiamo che il principio informatore del pro-getto ministeriale, con tutte le eccezioni possibili, possa essere fecondo di risultati. Nella presente nota vogliamo esaminare quali sarebbero le con-seguenze, se il principio del 'limite della proprietà venisse applicato nella pianura risicola della valle padana, dove la grande proprietà è diffusa più che altrove.

La Dora Baltea, il Ticino ed il Po grosso modo segnano i confini della zona a cui ci riferiamo; si tratta del vasto piano irriguo a sinistra del Po, ove tanta importanza ha la coltivazione del riso. Volutamente omettiamo la descrizione dell'am-biente fisico e in parte anche economico, poiché si tratta di cognizioni sufficientemente note per insistervi. La parte della valle padana, racchiusa dai fiumi indicati comprende le province più in-teressate alla coltivazione del riso: quelle di Ver-celli, Pavia e Novara. I dati cui ci riferiremo ri-guardano le province considerate come una sola unità che si estende per una superficie di 796 mila ettari. Il regime fondiario, pur presentando sensi-bili variazioni da località a località, può definirsi di media e grande proprietà, volendosi significare con il primo termine un'estensione di superficie intorno ai 50 ettari e con il termine di « grande » quella che supera i 100 ettari. Per la verità i ter-mini non hanno un significato ben determinato e non lo potranno avere finché non si conosca con maggiore precisione le caratteristiche della pro-prietà. Mancano nel nostro paese indagini precise e sistematiche tendenti a rilevare la ripartizione della terra tra i singoli possessori. Vi sono solo rilievi delle aziende e degli articoli di ruolo o del numero delle partite. Un rilievo, quello delle aziende, ci dice come la terra sia divisa agli ef-fetti organizzativi; l'altro, quello degli articoli di ruolo, come la medesima sia suddivisa agli effetti fiscali; ma non ci precisano in che misura e a chi la terra appartiene. Tuttavia, in attesa dei risul-tati dell'indagine in corso sulla distribuzione della proprietà, il numero degli articoli di ruolo agli effetti delle imposte e del rispettivo reddito può fornirci utili indicazioni sulla ¡ripartizione della proprietà. Il rilievo statistico ci informa che gli articoli di ruolo o più semplicemente le partite sono 420.621 per le tre province risicole. Ciò non significa però che i proprietari siano in eguale nu-mero, potendo esso essere superiore-o inferiore al numero delle partite. Tende ad essere superiore poiché spesso una sola partita è intestata a più persone, ma avviene anche che la stessa partita si ripeta per più comuni e magari in più province, sicché il numero dei proprietari.tende a diminuire. L'uno e l'altro fenomeno non sono noti nella loro consistenza reale; pertanto è diffìcile dire se il numero dei proprietari sia superiore o no al nu-mero delle partite. E' probabile però che i proprie-tari siano in numero non molto diverso da quello degli articoli di ruolo. Giova chiarire che non tutte le partite si riferiscono alla proprietà privata; parte di esse invece rappresentano la proprietà degli enti, vale a dire ospedali, asili,

parroc-chie, ecc. Nella zona risicola la proprietà degli enti interessa circa l'I % delle partite, con un reddito complessivo di 6 milioni e un quarto di lire oro. Ciò sta ad indicare che il reddito si distribuisce variamente tra i diversi articoli, tanto che all'I % di essi compete un reddito di circa l'8 % del red-dito totale. Tra redred-dito e superficie vi è indubbia-mente una stretta relazione, 'tuttavia non si può ritenere che a eguali somme di reddito corri-spondano .eguali jsuperfici, potendo verificarsi il caso di terreni di diversa natura e perciò con reddito per unità di superficie sensibilmente di-verso. La proprietà privata è rappresentata dal 99 % circa delle partite con un reddito comples-sivo di 175 milioni di lire oro. La maggior parte delle partite, ossia il 99 %, con un reddito com-plessivo di 134 milioni di lire (intendesi sempre lire ora, vale a dire fi 42 % circa del reddito totale) non supera le 1750 lire di reddito per partita.

E' questa la proprietà che può definirsi di piccole dimensioni. Se si accetta per media la proprietà che ha un reddito compreso tra le 1750 e le 17.500, si ha che il numero delle partite con tale reddito raggiunge un totale di 3.926 unità, poco meno cioè dell'I % degli articoli di ruolo, cui spetta un reddito complessivo di 20 milioni di lire, pari a circa il 27 % del reddito totale; Le partite con oltre 17.500 lire di reddito (grandi proprietà) sono in numero di 566, meno quindi dell'I %, cui però compete un reddito di oltre 20 milioni di lire, pari a circa il 28 % del reddito totale. Se il rapporto tra reddito e superficie fosse costante, allora sa-rebbe possibile dare un'indicazione della superficie occupata da ciascuna delle tre categorie di pro-prietà. La superficie totale è di 796.171 ettari, a cui corrisponde un reddito imponibile di 74.941.998 lire, pari a 94 lire per ettaro. La piccola proprietà avrebbe perciò un'estensione di 362.925 ettari, pari a 0,86 ettari per ogni partita.

Va osservato che negli articoli di ruolo sono in-clusi i modestissimi possessi posti nelle adiacenze dei centri abitati, che non hanno alcuna caratte-ristica della proprietà rurale. Se fosse possibile escluderli dal nostro computo, la superficie media di ciascuna partita risulterebbe sensibilmente più elevata.

La media proprietà si estende su di una super-ficie agraria di 213.478 ettari con una supersuper-ficie media per ciascun possesso di ettari 33 circa. La grande proprietà è rappresentata da 566 partite con un reddito di 36.472 lire per ognuna di esse, a cui corrisponde una superficie, sempre che il rapporto reddito e superficie fosse costante, di 388 ettari per partita e in totale di 220.588 ettari.

Nel prospetto che segue sono riportati il numero degli articoli e il reddito imponibile per ciascun tipo di proprietà, espressi in per cento ed in cifre assolute.

Num. ari1. in % Redd. imp. in %

(7)

co-stante, è possibile allora indicare come la superficie si ripartisce tra le singole categorie di ampiezza. Nel prospetto che segue sono indicate le superfici espres-se in per cento e in cifre assolute spettanti a cia-scuna delle tre categorie di proprietà.

Piccola proprietà Media » Grande » Superficie Ha. in % 362.925 45,55 213.478 26,78 220.588 27,67

E' probabile che il reddito non sia uniforme per tutta la superficie, come noi abbiamo supposto ; tut-tavia grandi differenze non vi possono essere. Per-tanto la ripartizione della superficie da noi indi-cata, anche se non è esatta, rappresenta con suffi-ciente • approssimazione la verità. Possiamo quindi concludere che ci troviamo di fronte ad un regime fondiario caratterizzato dalla prevalenza della grande e media proprietà. Contrariamente a quanto comunemente viene creduto, nelle province risicole la grande e media proprietà raggiunge un accentra-mento maggiore forse che nelle province dell'Italia meridionale. Solo le province di Ferrara, Milano, Livorno, Lucca, Latina e Roma hanno un più spic-cato accentramento della grande proprietà. Tut-tavia il fenomeno nelle province settentrionali è meno avvertito dal pubblico, perchè alle grandi proprietà non si accomunano le caratteristiche tec-niche ed economiche che rendono intollerabile il latifondo dell'Italia centro-meridionale. A parte le differenze, sulla cui natura non è nostro compito indagare, rimane precisato che il regime fondia-rio è caratterizzato da una spiccata prevalenza della media e grande proprietà.

Conseguenze di una modificazione del r e g i m e f o n d i a r i o

Non tutti si rendono conto delle difficoltà, sta-remmo per dire dell'impossibilità, di modificare l'at-tuale regime fondiario. Esamineremo perciò quali sarebbero le conseguenze cui inevitabilmente si an-drebbe incontro, qualora si frantumasse la grande proprietà della pianura risicola. L'ordinamento fon-diario del territorio non è il risultato di un pro-cesso di carattere esclusivamente giuridico, ma il frutto di un travaglio secolare tra l'ambiente fisico e le esigenze tecniche ed economiche dell'agricoltu-ra, che hanno impresso alla proprietà la fisionomia e configurazione che più le convenivano dal punto di vista produttivo, poiché non sarebbe possibile un regime fondiario diverso dall'attuale senza modi-ficare profondamente l'ordinamento produttivo. Que-sto è frutto di una lunga e laboriosa esperienza, la quale è durata intere generazioni e ha insegnato agli uomini che per sfruttare il particolare ambiente e valorizzare al massimo l'acqua meglio non vi era da fare che volgere le proprie cure alla coltivazione del riso. Supposto che l'attuale regime fondiario possa essere modificato di modo che le attuali grandi aziende vengano ridotte di superficie moltiplicando-ne il numero, i danni che moltiplicando-ne deriverebbero sareb-bero di gran lunga superiori agli illusori vantaggi che i riformatori descrivono. La riduzione della superficie aziendale trarrebbe inevitabilmente seco una serie di inconvenienti di tale importanza da potersi affermare decisamente che essi si risol-verebbero in danno, non solo dei proprietari, ma di tutta la collettività. Degli inconvenienti cerche-remo di fare un dettagliato esame.

La struttura a Sorte dei fabbricati della regione risicola non ammette nessuna modificazione o am-pliamento. Pertanto, volendo smembrare l'azienda in più imprese, si renderebbe necessario la costruzione di nuovi fabbricati: uno cioè per ogni nuova pro-prietà, poiché sarebbe impossibile utilizzare il fab-bricato esistente per più imprese, essendo questo assolutamente inadeguato alle nuove necessità. In tal caso, volendosi dotare ogni nuova azienda di un fabbricato, si andrebbe incontro a una spesa valuta-bile intorno ai 20 miliardi di lire, se le nuove

pro-prietà fossero di 50 ettari caduna, di 30 miliardi invece, se le proprietà fossero di 25 ettari.

Il fatto dominante di tutta la pianura risicola è l'irrigazione. Le aziende in genere dispongono di un corpo d'acqua che è commisurato alle necessità e all'ampiezza dell'impresa. Qualora l'impresa do-vesse essere suddivisa in tre o quattro aziende, la stessa sorte toccherebbe ai corpi di acqua di cui l'impresa disponeva. Pertanto, se l'impresa dispone oggi di un corpo di acqua di 300 litri al secondo, le imprese che su di essa si formerebbero per ef-fetto della riforma agraria verrebbero a disporre di un corpo di acqua di circa 60 litri ognuna. Pri-ma, con 300 litri al secondo era possibile l'irriga-zione su 150 ettari- di terreno. E l'irrigal'irriga-zione era compiuta nel migliore dei modi, perchè l'esperienza aveva insegnato all'agricoltore quale fosse il corpo d'acqua più confacentc alla natura e all'ampiezza degli appezzamenti da irrigare. Ora, l'acqua sarebbe ancora nella stessa quantità; ma suddivisa in due 0 più corpi. In tal caso più non si riuscirebbe ad irrigare la stessa superficie e l'irrigazione molto probabilmente sarebbe compiuta con minore effi-cacia e certamente con maggior dispendio di acqua. La riforma provocherebbe inoltre una diminuzione nell'uso dell'acqua di irrigazione, perchè la piccola azienda, facendo più largo posto a colture asciutte quali il grano o parzialmente irrigue come il mais, 1 foraggi, ecc., causerebbe una restrizione della risi-coltura, che trarrebbe perciò seco una diminuzione nell'uso dell'acqua di irrigazione, rendendo parzial-mente inutili gli ingenti capitali investiti in opere di derivazione e di canalizzazione.

Il catasto agrario del 1930 riporta la superficie coltivata a riso in ciascuna provincia. Da tali dati risulta che la superficie destinata a riso in quel-l'epoca era di Circa 100 mila ettari, distribuita nelle singole province nella maniera che qui viene in-dicata :

Superficie H a . in %

Novarese 17.246 35,27 Pavese 32.718 25,82 Vercellese 53.409 52,45

Da allora sono avvenute sostanziali modificazioni nell'ordinamento produttivo, nel senso che la super-ficie investita a riso è notevolmente aumentata a scapito di quella destinata al grano; ma soprat-tutto per le possibilità offerte dalla nuova tecnica del trapianto. Attualmente è ritenuto che la super-ficie destinata al riso sia di circa 165 mila ettari, per cui la percentuale della superficie destinata a tale coltura dovrebbe aggirarsi intorno al 70 % per la provincia di Vercelli, al 64 % nel Pavese, e al 65 % circa per il Novarese. La coltura del riso non rag-giunge la medesima intensità in tutto il territorio e nemmeno nell'ambito di uno stesso comune essa è uniforme; presenta invece notevoli variazioni pas-sando dalla grande alla piccola impresa, perchè

quest'ultima destina al riso una superficie di molto inferiore a quella che di solito vi è desti-nata dalla grande azienda. Il fatto avvertito da tutti, e che trova una sua spiegazione logica, di-pende dalla necessità che sente il contadino di

produrre nel suo fondo quanto gli abbisogna e viene illustrato dai seguenti dati statistici :

ORDINAMENTO CULTURALE DI GRANDI E PICCOLE AZIENDE Dati in % della superficie aziendale. La cifra tra parentesi esprime la superficie ripetuta in % di quella aziendale.

GRANDI AZIENDE

Zoina sigr-aria Superficie a

riso gramo fcrs.ggi a l t r e c o l t u r e

Vercelli 61 (16) 18 16,2 4,8 (2) Novara 57 (6,3) 17 20 6 (9,5)

Pavia 57 (9,4) 18 21 4 (7,5) PICCOLE AZIENDE

Z o n a agraria Superficie a

r i s o gramo ioalaiggi a l t r e colture

(8)

L'indagine di cui si sono riportati i dati è stata condotta su un notevole numero di aziende, distinto in due gruppi: uno di grande impresa con super-ficie in media di 80 ettari, l'altro su imprese aventi una superficie intorno ai 15. L'indagine pone bene in rilievo quale sia la modificazione che avverrebbe nell'ordinamento produttivo qualora si passasse dall'attuale regime fondiario ad altro in cui la piccola o media azienda dovessero prevalere. Se il fatto dovesse verificarsi, le conseguenze sarebbero molto gravi. La superficie destinata al riso pas-serebbe automaticamente da 160 mila ettari a meno di 90 mila e la produzione del riso subirebbe una diminuzione della stessa importanza.

Naturalmente la restrizione della coltura del riso andrebbe compensata da una più larga coltiva-zione di colture i cui prodotti sono oggetto di con-sumo nell'interno dell'azienda: cioè grano, mais,

patate e soprattutto foraggi, perchè la piccola im-presa alleva una quantità di bestiame che propor-zionalmente è superiore a quella della grande azienda.

La diminuzione della superficie a riso e della produzione del medesimo avrebbe conseguenze in-calcolabili per il paese. In primo luogo si sacrifi-cherebbe in parte una coltura il cui prodotto siamo in condizioni di poter esportare, vincendo la con-correnza di altri paesi. Poi si renderebbe inutilizza-bile circa il 50% dell'attuale attrezzatura industria-le, che trova la sua ragione di lavoro nella tra-sformazione e manipolazione del risone. Attual-mente nel comprensorio considerato esistono 1500 opifici interessati che impiegano circa 8 mila ope-rai. La diminuzione della coltura del riso rende-rebbe inattivi 600 stabilimenti, la cui attrezzatura, valutata a miliardi di lire, diverrebbe inutile e perciò perduta.

Inoltre metà degli operai, cioè circa 4000 unità lavorative che forse rappresentano altrettante fa-miglie, sarebbero automaticamente senza lavoro.

La modificazione nell'ordinamento produttivo cui si è fatto cenno provocherebbe una grave diminu-zione di impiego di mano d'opera, poiché è noto che il riso è una delle colture più attive. E' noto altresì che la zona risicola, quantunque sia alta-mente popolata, è un centro di grande importanza per la immigrazione di lavoratori stagionali. Si tratta soprattutto di donne per il periodo della monda, di uomini per il raccolto del riso, i quali, scesi dal monte e da altre zone anche lontane, forniscono il lavoro necessario alla coltura del riso. Ogni anno nel periodo estivo oltre 170 mila per-sone trovano impiego per i lavori colturali del riso e in breve tempo riescono a realizzare somme ta-lora cospicue, che servono a colmare il magro bi-lancio di famiglie che vivono in montagna. Se la coltivazione del riso avesse a diminuire nelle pro-porzioni da noi indicate, ciò vorrebbe dire che 85 mila persone rimarrebbero nel periodo estivo senza lavoro e più non (affluirebbero verso le zone di montagna le somme in danaro tanto preziose per quelle famiglie la cui economia è così ristretta e più soffre per mancanza di contante.

I l p r o b l e m a d e l l a m e c c a n i z z a z i o n e d e l l ' a g r i c o l t u r a

E' noto che la pianura .risieda è/ia regione più meccanizzata di ogni altra regione italiana. Natu-ralmente la qualità e quantità di macchine in uso si adeguano alle necessità della coltivazione del riso. Pertanto, se si volesse indicare quali sono le mac-chine più diffuse, dovremmo citare innanzi tutto quelle per la lavorazione del suolo e poi quelle per la manipolazione del riso, ossia trebbiatrici ed essi-catoi. La dotazione di tali macchine esistenti oggi nella zona è sufficiente per una produzione che si aggira sugli 8 milioni di quintali o poco più; gran parte del macdiiinario diverrebbe inutile se la pro-duzione del riso diminuisse. Se è vero infatti che le macchine per la lavorazione del suolo potranno

servire sempre, è altrettanto vero che gli essicatoi e le trebbiatrici avranno da compiere un lavoro ridotto all'incirca il 50 % di quello che compiono attualmente. Molte aziende non potranno più adot-tare macchine, perchè la loro superficie non con-sente di sopportare il peso di un macchinario che per l'intera annata compia solo qualche giornata di lavoro.

Le macchine convengono di più e di molto alle grandi aziende dove possono, spiegare la loro eco-nomicità ed influenza per ragioni troppo note per-chè siano ripetute.

Inoltre esse sopprimono alcuni degli aspetti rite-nuti come manchevolezze della grande impresa: allevamento e cura degli animali da lavoro, sorve-glianza e rendimento della mano d'opera che viene ad essere dominata e determinata nella sua azione dal ritmo della macchina.

Ogni considerazione che si possa fare sull'impiego delle macchine in agricoltura, resiste alla critica almeno su un punto, e cioè che un'alta produtti-vità del lavoro umano non si otterrà mai senza im-piego di macchinari. Inoltre si dovrà pure ammet-tere che in talune condizioni economiche e natu-rali anche il progresso tecnico è legato all'introdu-zione delle macchine, in quanto senza di esse taluni lavori non sarebbero possibili, o non presentereb-bero alcuna convenienza, a menta di remunerare i lavori con salari insufficienti. L'impiego di macchi-nario su larga scala porta a nuove condizioni del-l'azienda e apre vaste-vedute di trasformazioni economiche essenziali. L'impiego di macchine nel-l'agricoltura non influisce sul processo della produ-zione agricola, pertanto esso ha scarsa influenza sui rendimenti e in ogni modo in misura assai inferiore a quella che possono esercitare ad esempio concimi e le varietà di sementi. Però esso ha una grande influenza sulla natura e sulla misura dei costi. La meccanizzazione aumenta sempre la produttività del lavoro e libera le forze animali dell'azienda.

La lavorazione meccanica del suolo, congiunta ai trasporti, può fare a meno degli animali da lavoro, i quali pertanto scompaiono o si riducono di molto. La meccanizzazione crea nuove condizioni econo-miche per l'impresa, spingendo la medesima ad acquistare all'esterno la forza motrice che prima tendeva a produrre all'interno. Poiché macchine di qualsiasi genere, il carburante per azionarle, pezzi di ricambio, ecc. si acquistano sul mercato, mentre gli animali erano prodotti nell'azienda e venivano alimentati con derrate ottenute dal fondo. La mec-canizzazione aumenta le vendite e gli acquisti sul mercato, avvicina i suoi processi produttivi a quelli dell'industria, trasforma parte dei suoi lavoratori in meccanici specialisti.

Tutto il progresso agricolo è legato strettamente all'impiego di nuovi mezzi di produzione, i quali non sempre possono essere impiegati là ove la su-perficie dell'impresa non consente ai medesimi di poter essere utilizzati per un numero di giornate sufficientemente grande. Noi ci troviamo a una svolta di un'importanza eccezionale per quanto riguarda l'applicazione di nuovi mezzi meccanici per la lavorazione del suolo, la raccolta e trasfor-mazione dei prodotti. Le notizie or.e ci giungono dall'America ci fanno credere che gran parte del nostro macchinario agricolo sia superato e dovrà pertanto essere sostituito da quei nuovi mezzi che la tecnica e l'industria vanno preparando.

La riforma agraria del territorio in esame, oltre che rendere inutile parte dell'attrezzatura aziendale, renderebbe impossibile l'impiego di nuove macchine, poiché la ridotta ampiezza delle'aziende non con-sentirebbe più il loro economico impiego.

L'aspetto deleterio della riforma del regime fon-diario starebbe nel fatto che essa, qualora fosse compiuta, abbasserebbe notevolmente il rendimento del lavoro dell'uomo il quale dipende da molteplici fattori; soprattutto vi ha influenza l'impiego di ca-pitali, vuoi sotto forma di concimi, di acqua di

(9)

RICOSTRUZIONE EDILIZIA E MERCATO DEGLI AFFITTI

Il primo disegno di legge recentemente presen-tato dal Ministro Guardasigilli Grassi e quello dei senatori liberali, avevano, in sostanza, accolto il principio sostenuto dalla Confederazione Ita-liana della Proprietà Edilizia : fissare una data per la cessazione del blocco delle locazioni di immo-bili urbani, perchè questo è il mezzo indispensa-bile per rimettere in moto l'attività edilizia, col doppio vantaggio di riparare alla gravissima defi-cienza di alloggi e di alleviare la disoccupazione.

L'esperienza del periodo successivo alla prima guerra mondiale dimostra la benefica influenza che la determinazione della cessazione del blocco per la data del 30 giugno 1930 esercitò sull'attività edilizia, come si rileva dai seguenti dati statistici:

VANII DEI QUALI FU AUTORIZZATA LA COSTRUZIONE

Anni Granldi città Altri capotagli! Totale % .

1927 78.101 27.151 105.252 100 1928 126.008 31.377 157.385 150 1929 195.202 44.764 239.966 228 1930 155.630 49.938 205.568 195 1931 92.916 31.236 124.152 118 1932 83.627 25.992 109.619 104 1933 101.237 31.686 132.923 126 Totale 832.721 242.144 1.074.865

E' superfluo aggiungere che il più largo con-tributo a tale incremento dell'attività edilizia venne dato dall'iniziativa privata, ma non è superfluo ricordare che, andine in questo dopo guerra, dalla stessa iniziativa privata può e deve venire il più largo contributo perchè illimitato non può essere l'apporto degli istituti delle Case Popolari, del-l'Istituito per le Case degli Impiegati dello Stato, e delle Cooperative sussidiate, perchè illimitati non sono gli aiuti finanziari che in una forma o in un'altra dovrebbero essere forniti dallo Stato.

Ma affinchè il risultato che si vuole conseguire sia effettivamente conseguito, occorrono due con-dizioni :

a) chi vuole investire capitali nelle .nuove costruzioni deve essere sicuro che non sopravver-ranno altre disposizioni vincolistiche o anchs solo

limitative della libertà di mercato;

b) il mercato edilizio, alla data della cessa-zione del blocco, può essere in grado di presentare una sufficiente offerta di nuovi locali solo se sia già pr ossimo queir equilibrio tra le pigioni delle vecchie costruzioni e quelle delle nuove che è necessario per un tranquillo passaggio dal regime vincolistico al regime di libero mercato.

La prima condizione sussiste già perchè l'art. 12 del D. L. 27 febbraio 1947, n. 39 dispone che agli immobili costruiti dopo l'entrata in vigore del D. L. 24 aprile 1946, n. 350 non sono applicabili nè le disposizioni relative alla proroga delle loca-zioni nè quelle sulla revi&ione dei canoni. Questa disposizione è stata confermata dall'art 13 del D. L. 24 dicembre 1947, n. 1461.

Si tratta di un impegno assunto dallo Stato in forma legislativa, e nulla deve essere fatto che possa lontanamente lasciare dubitare che lo Stato pensi di revocare o modificare tale impegno, per-chè i'1 semplice prespettarsi di un simile dubbio può arrestare ogni iniziativa.

La seconda condizione ha un contenuto eco-nomico che nessuno può disconoscere.

Escludiamo dall'esame l'attività costruttiva con carattere commerciale (vendita degli immobili ap-pena costruiti) perchè essa ha un suo meccanismo proprio che naturalmente è influenzato dalla sen-sazione che il costruttore possiede circa il collo-camento nel tempo più breve che sia possibile, e perchè, in ogni caso, gli acquirenti non possono costituire che una sparuta minoranza della popo-lazione.

L'esame va, quindi, limitato all'attività co-struttiva di immobili di reddito.

Chi costruisce questi immobili deve essere certo del loro più rapido affitto perchè non può lasciare senza reddito i capitali impiegati, e perchè ciò avvenga è necessario che egli sia sicuro cine è pronta una domanda di collocamento ad un prezzo che corrisponda ad un equo reddito dei capitali impiegati.

Perchè questa seconda circostanza si avveri è necessario che i prezzi delle costruzioni già esi-stenti si siano adeguati ai nuovi prezzi, in modo che tra gli uni e gli altri si realizzi quell'equi-librio di mercato che, oltre ad essere influen-zato dall'equilibrio della domanda e dell'offerta, è anche influenzato dalla diversità dei prezzi che deriva anche dalla diversa ubicazione, dal di-verso criterio costruttivo, dalla diversità delle co-modità interne, che, inevitabilmente, si avverano tra case vecchie e case nuove.

Il nuovo' disegno di legge, invece, Se, ncim sarà modificato, non può contribuire a creare questa situazione di mercato libero, perchè quando le pigioni, considerate nella loro grande massa, ven-gono per le abitazioni portate, alla fine del set-tennio, ad un valore di circa dieci volte il prezzo di anteguerra, mentre il prezzo di locazione delle nuove costruzioni sarà molto superiore, si viene a creare, tra l'ultima pigione bloccata risultante dagli aumenti settennali e la pigione di un immo-bile di nuova costruzione, un dislivello tale che non può essere affrontato senza difficoltà dalla generalità dell'inquilinato tuttora favorito dal prezzo politico.

E mancando il necessario adeguamento tra i prezzi vecchi e prezzi nuovi, l'attività costruttiva non viene incoraggiata perchè l'iniziativa privata ha ragione di non confidare in quel rapido col-locamento di cui si è detto sopra e perchè teme che, di fronte alla realtà, lo Stato prorogherà an-cora il blocco, ed essa, di conseguenza, resterà ancora inerte, in attesa, cioè, dell'adeguamento delle pigioni bloccate per svolgere una ampia at-tività costruttiva.

Tutto ciò non è contraddetto dal fatto che an-che ora l'iniziativa privata costruisce nuovi im-mobili di reddito.

Si tratta di un numero limitatissimo di co-struzioni del genere perchè è ovvio che, in seno ad una popolazione così numerosa come la no-stra, vi è sempre un numero di persone, anche se limitato, che può affrontare una pigione cor-rispondente ai prezzi attuali delle costruzioni. Si tratta, cioè, della eccezione che, appunto perchè eccezione, conferma la regola.

In. sostanza, quindi, il piano settennale per lo smobilizzo del regime vincolistico, nelle condi-zioni in cui esso è proposto non assicura le con-dizioni necessarie per.la ripresa dell'attività edi-lizia che si svolgerebbe, invece, con ritmo sempre più intenso mano mano che si avvicinasse il ter-mine del settennio se le pigioni già bloccate fos-sero prossime al livello economico.

Si era proposto un piano quadriennale che commisurando gradualmente gli aumenti al costo della vita, e quindi di riflesso alla svalutazione monetaria, avrebbe creato la situazione di mer-cato indispensabile per la ripresa dell' attività edilizia.

(10)

rima-sti in coda, e notevolmente distanziati, nella fase di ¡adeguamento d'i prezzi, salari e stipendi; e perchè — >e questa è la cosa più grave — redditi così compressi sono chiamati nello stesso tempo a nuovi oneri contributivi, (imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio, cioè dieci annualità anticipate di quella (Ordinaria applicata su impo-nibili maggiorati cinque volte, e imposta straor-dinaria progressiva sul patrimonio) a maggiora-zioni di altri oneri contributivi (tributi locali) ed

a maggiori spese di gestione.

Se la categoria dei proprietari edili chiedesse 10 sblocco immediato ed indiscriminato, si -po-trebbe muovere ad essa l'appunto di considerare i propri interessi astraendosi dalla situazione eco-nomica, e di ridurre ad un problema di categoria un problema che è anc'he sociale. Ma quando essa, consapevole della situazione, avanza una proposta che concilia gli interessi di categoria con quelli generali, e questa proposta è ineccepibile se con-siderata obiettivamente con quei criteri /econo-mici che sono insopprimibili dal punto di vista della attività costruttiva, l'appunto — se venisse fatto — sarebbe .ingiustificato.

' Il problema è sociale perchè riguarda la tran-quillità del tetto familiare, ma è anche econo-mico perchè occorrono miolte, moltissime nuove costruzioni, e queste non si possono eseguire se non si crea quella situazione psicologica, nell'in-quilinato, ed economica ned mercato edilizio, che dà luogo alla mobilità degli inquilini in funzione delle esigenze familiari, da una parte, e dei prezzi di mercato, dall'altra.

L'attività edilizia, necessaria per attivare la detta mobilità, va incoraggiata in due modi: con la determinazione della cessazione del blocco ed 11 contemporaneo e graduale adeguamento delle pigioni al livello economico, da una parte, e, dal-l'altra, con tutte quelle agevolazioni (tributarie, creditizie, ecc.) che possono contribuire a ridurre i costi e creare, quindi, nel mercato edilizio un punto di equilibrio più favorevole per l'inqui-linato.

H Governo sembra disposto ad intervenire an-che sotto .questo secondo aspetto, ma questi prov-vedimenti non possono essere disgiunti da un razionale adeguamento delle pigioni delle case vecchie, anche per incrementare le entrate dello Stato.

I dati statistici della attività edilizia del pe-riodo 1927-1933, più sopra riprodotti, da soli non avrebbero il valore dimostrativo che essi hanno se non si tenesse presente -che .al 30 giugno 1930 le pigioni bloccate avevano già, attraverso i vari aumenti concessi, raggiunto quel livello economico che incoraggiava tanto l'iniziativa privata da po-tersi avere l'imponente numero di nuove costru-zioni dne i dati stessi mettono in evidenza.

Se si volesse obiettare che l'adeguamento delle pigioni era stato reso possibile dal minore tasso di svalutazione della moneta e di rialzo del costo delia vita rispetto a quello attuale, si potrebbe ri-spondere che all'attuale maggiore .costo della vita devono considerarsi già adeguati i salari se, se-condo i più recenti dati dell'Istituto Centrale di Statistica, al costo della vita 4601 (base 100 del 1938) del mese di luglio u. s. corrisponde l'indice 5142 per i salari dell'industria, cioè d'i quel set-tore dell'inquilinato che, vivendi nelle città, co-stituisce l'elemento preponderante nei rapporti di locazione.

II progetto di legge approvato dalla Commis-sione dei sette Ministri, capovolge l'impostazione del problema ed istituisce un sistema di discri-minazioni che non trova giustificazioni.

Tutte le considerazioni sopra esposte consi-gliano di mutare radicalmente i criteri informa-tori del nuovo disegno di legge, ili quale non giova alla ripresa delPattivìtà edilizia e mantiene o crea una situazione di sperequazione economica a danno sempre della proprietà edilizia.

ROBERTO CRAVERO

LA RIFORMA AGRARIA

NELLA PIANURA RISICOLA

e o il 1 i ti il a z i «> il e «la p a g i n a 6 gazione, di macchine per la lavorazione del suolo, per la raccolta, la manipolazione e trasformazione dei prodotti agrari. Nel nostro caso, lo abbiamo notato, la riforma agraria limiterebbe grandemente l'impiego di macchine nell'agricoltura, le cui con-seguenze si ripercuoterebbero danne samen te sul rendimento del lavoro. Per illustrare bene la que-stione è stata compiuta una sistematica ricerca di dati statistici per mettere a confronto il rendimento del lavoro compiuto dall'uomo nella grande azienda che fa uso di macchine e nella piccola ove invece le macchine non sono impiegate o lo sono in misura trascurabile. Indichiamo i risultati di tale indagine per le singole Provincie:

G R A N D I A Z I E N D E P I C C O L E A Z I E N D E ore di lavoro riso prodotto riso prodotto Novarese 1.000 ql. 40,1 ql. 22,7 Vercellese 1.000 » 46,2 » 21,3 Pavese 1.000 » 39,3 » 19 I dati riportati pongono in rilievo che il rendi-mento del lavoro nell'impresa che fa uso di mac-chine è circa doppio di quello compiuto in imprese ove invece l'uso delle macchine non è consentito dall'ampiezza dell'azienda. Le imprese studiate allo scopo sono numerose; quelle appartenenti al primo gruppo hanno una superfìcie non mai inferiore agli 80 ettari, quelle del secondo o delle piccole imprese hanno una superfìcie non mai superiore a quella di 15 ettari. Si potrà osservare che l'indagine è stata condotta per aziende troppo lontane, per l'ampiezza, le une dalle altre, ossia per termini estremi, trascu-rando le aziende di media importanza. L'osserva-zione ha il suo fondamento, tuttavia noi crediamo che i dati riportati possono dare un'indicazione assai utile di quale sarebbe il risultato di una riforma della proprietà che non tenesse nel dovuto conto le osservazioni che siamo andati sin qui facendo.

Riteniamo che il riformatore che si accinge a portare una profonda modificazione nel regime della proprietà debba domandarsi perchè intenda farlo. Evidentemente non vi può essere che una sola risposta: trovare migliori possibilità di v'ta per il lavoratore. Orbene, nel nostro caso la riforma della proprietà nel senso esaminato porterebbe ad Un risultato proprio inverso a quello che si voleva otte-nere, poiché diminuire il rendimento del lavoro umano significa abbassarne il suo tenore di vita.

L'indagine da noi condotta pone in rilievo che se la grande azienda può pagare l'operaio 40 lire l'ora, nella piccola, dove non si fa uso di macchine, tale remunerazione deve scendere a 20 lire, se non si vuole aumentare i costi di produzione. Negativo dunque sarebbe il risultato di una modificazione dell'attuale regime fondiario.

Bisogna tuttavia riconoscere che in talune circo-stanze la riforma si impone e potrebbe dare fecondi risultati. Vogliamo riferirci a quei casi, non molto numerosi per la verità, in cui la proprietà raggiunge un accentramento spiccatissimo, tanto da compren-dere il 70 % del territorio di un intero comune. Forse in questi casi l'intervento diretto a frantumare la posizione di assoluto monopolio può. riuscire utile, perchè non si tratta di smembrare delle aziende; ma della proprietà, lasciando all'unità colturale la piena integrità.

(11)

PIANI DI RIFORMA DELLA PREVIDENZA SOCIALE

Prima ancora della fine della guerra in vari paesi, dal Belgio alla Gran Bretagna, dalla Fran-cia agli Stati Uniti, furono redatti progetti e piani per la riforma della previdenza sociale.

L'incalzare di nuove esigenze poneva ormai l'ac-cento anziché sulla legislazione previdenziale af-fermatasi come sviluppo del principio contrattua-listico, sulla previdenza sociale Concepita come esigenza di « sicurezza sociale ».

L'applicazione pratica dei nuovi piani e l'esame approfondito di essi hanno rilevato peraltro l'esi-stenza di elementi negativi non indifferenti.

Tra questi, in primo luogo, il facile ottirn sono. Questo potrebbe definirsi come 1'« ottimismo della

sicurezza». Il leit mativ generale è ormai «sicu-rezza ¡sociale », e di ciò ci siamo largamer.'t; con-vinti esaminando la relazione della Commissione Ministeriale per la riforma della previdenza sociale presentata il 2 aprile c. a. al Presidiente del nostro

Consiglio dei Ministri.

La Commissione Italiana ha del tutto abbando-nato ogni principio assicurativo, richiamandosi fra l'altro alla nota «dichiarazione di Filadelfia», e ponendo come fine ultimo della previdenza so-ciale la «liberazione dal bisogno».

Noi riteniamo che l'uso indiscriminato di questa formula finisca col condurre fuori strada i pro-blemi della previdenza associata.

Che l'istanza del secolo sia la tendenza alla si-curezza della vita associata nel senso più lato del termine è indubbio, ma infide sono tuttora le vie che vengono battute per raggiungere questo fine.

Si riscontra anche qui vivo ed attuale il pro-blema dell'antinomia fra la sfera collettiva e la sfera individuale, fra la «sfera del facile», se-condo la felice espressione di Thomas Mann e la sfera dell'arduo.

Le tendenze in materia di programmazione della previdenza sociale vanno oggi purtroppo a sfociare nella sfera del facile. Occorre guardarsi dal peri-colo.

Una previdenza sociale che ignori completa-mente il fatto assicurativo e si esaurisca senza re-siduo nella pura e semplice liberazione dal bisogno con l'intervento totale dello IStato, finisce di es-sere una norma sociale di mutualità sia nel senso giuridico che economico, per divenire un massiccio provvedimento di assistenza, una specie di « legge dei poveri » della vecchia Inghilterra, già supe-rata dai tempi.

Da questo tipo di previdenza-assistenza che pare voglia prendere piede fra noi, proprio dopo che ha finito di essere attuale in paesi più « veccihl » del nostro, esula ormai ogni riferimento alla singola, unità produttiva al singolo lavoratore dalla sui coscienza e dalla cui economia, invece, dovrebbe trarre luce ideale e vigere economico ogni provve-dimento di previdenza associata. Questo estromet-tere il lavoratore da ogni contributo diretto, da ogni partecipazione palese al fatto previdenziale, questo portare il problema all'esasperazione col-lettiva con l'istituzione automatica di prestazioni senza un riferimento o con uno scarsissimo riferi-mento alla storia lavorativa del singolo soggetto, oggetto della protezione legislativa, questo « cono-scere » il soggetto previdenziale soltanto all'atto della prestazione e non prima, è un mitico anne-gare del singolo lavoratore nel mare indifferen-ziato dell'assistenza, un diminutio capitis, che lede gravemente la sua persona morale senza che, alla lunga, porti notevole giovamento alla sua persona fisica.

E' un trasferire infatti nella sfera del facile e del primitivo, come la protezione assistenziale della tribù, quel processo di redistribuzione e dif-ferenziazione del rischio che trae origine

dall'ini-ziativa individuale del singolo e che è un segno di alta evoluzione sociale.

E' il solito errore di considerare a se stante la ricchezza da distribuire senza preoccuparsi del come questa si produca.

Occorre riconoscere con chiarezza i termini del problema. Il salario e soltanto esso è la fonte prima del reddito del lavoratore. Il salario co-munque determinato, a tempo, a cottimo, con partecipazione al prodotto ecc., è lo strumento fondamentale di redistribuzione del prodotto so-ciale. Un salario veramente « equo » dovrebbe perciò, scontare in precedenza tutti i bisogni del lavoratore, presenti e futuri, nessuno escluso.

Tutte le volte che si è ritenuto di «sovvenzio-nare » il salario con prestazioni prelevate in altro modo si è a priori riconosciuto che il salario era insufficiente, si è quindi accettato come legittimo che nella redistribuzione della ricchezza prodotta abbia imperato ex lege l'ingiustizia. Cosi si è sci-volati a poco a pcco dall'assicurazione fondata, almeno in parte sul prelievo di quote di salario, all'assicurazione (pseudo assicuraziohe) fondata su quote così dette di >« salario differito », e poi alla vera e propria assistenza generale da parte dello Stato, con lo sganciare completamente le presta-zioni 'di assicurazione sociale dalla loro fonte natu-rale, individualistica e responsabile.

Il lavoratore deve battersi per ottenere la parte che gli spetta nella redistribuzione del prodotto dell'impresa. E' un suo diritto ed un suo dovere. Ma deve anche battersi per rivendicare a sé l'assi-curazione sociale, sia pure con i temperamenti pratici che la congiuntura può consigliare.

La « sicurezza sociale » è ben altra cosa e se deve stare ad latere dell'assicurazione sociale, non deve però svuotarla di contenuto.

E' indispensabile che il singolo lavoratore senta di essere direttamente e personalmente interessato al fatto previdenziale, educandosi così gradual-mente alla sua difesa economica. E' infatti estre-mamente diseducativo il diffondersi abnorme della

« coscienza della sicurezza generale » : 'essa at-tenua ed ottunde, alla lunga, lo stimolo al lavoro come strumento di elevazione e di miglioramento della propria condizione personale, e livella le capacità di rendimento al grado dell'unità meno efficiente.

La previdenza sociale così come tende a svilup-parsi da noi e ncn solamente da noi, è forse un portato dello « choc di guerra » : è una legislazione da impauriti, alla quale dobbiamo reagire. E' una indubbia tendenza dei paesi depauperati dalla guerra quella di identificare la previdenza sociale •con l'assistenza, o sicurezza sociale che dir si voglia. Nei paesi a produzione elevata e ad alti sa-lari ì problemi previdenziali assumono infatti o tendono ad assumere un diverso aspetto. L'ele-mento differenziatore che è il salario individuale, deve ridurre ai limiti minimi il salario sociale, affinchè questo possa essere individuato come un reale segno di progresso. Ogni concezione giuri-dica di salario sociale spinto alle estreme conse-guenze. è generatrice di una « legge dei poveri » e come tale va combàttuta perchè la legge del sicuro ed effettivo progresso collettivo non può es-sere se non quella della differenziazione delle capa-cità, premessa e garanzia del continuo elevamento generale del tenore di vita di un popolo e dei po-poli associati.

Ogni legislazione previdenziale che non tenesse conto di questo si troverebbe di fronte ad un brutto rovescio di medaglia: la declassazione dei lavoratori come entità produttiva, l'abbassamento del reddito nazionale, il fatale ed inesorabile as-sottigliamento, infine, delle stesse prestazioni pre-videnziali.

(12)

m

D E N T A T I ^

^ H A E B I A ^

/ / DENTIFRICIO

A E B A RUMI ANCA

(13)

I TRASPORTI NEGLI STATI UNITI

Nell'attuale mia permanenza negli IStati Uniti

d'America ho potuto raccogliere alcuni dati, che brevemente riassumo, sul sistema dei trasporti. Tale sistema è estremamente complesso ed è pos-sibile presentarne soltanto alcuni aspetti. Riporterò alcuni dati sui servizi di terra (ferroviari, auto-mobilistici, ecc.), sulle vie d'acqua (canali, fiumi, laghi, mare), sulle linee aeree e sugli oleodotti.

Ferrovie

E' abitudine considerare queste, come il noc-ciolo del sistema di trasporti di un paese ed in ef-fetti, esse (hanno e più ancora hanno avuto grande importanza nel trasporto di passeggeri e di merci. Prima che la concorrenza da parte dei nuovi mezzi di trasporto si manifestasse così efficace, i 9/10 delle merci erano trasportate per ferrovia, ma que-sto rapporto fu notevolmente modificato già prima dell'inizio della seconda guerra mondiale, allorché gli automezzi, i mezzi di navigazione interna, gli oleodotti ridussero il tonnellaggio delle merci tra-sportate per ferrovia al 60-62%: cioè rimase alle ferrovie il trasporto di quelle merci (carboni, mi-nerali, ecc.) che non possono essere trasportate con gli altri mezzi per l'assenza di essi o per il loro par-ziale funzionamento. Ad esempio, i canali più im-portanti nella rete degli Stati Uniti, nella zona Nord, sono i 2/5 dell'anno impraticabili per il gelo.

Se le linee di navigazione interna e gli oleodotti hanno alienato alle ferrovie una parte del traffico merci e la quasi totalità del trasporto petroli, oli, gas naturali, ecc., le linee automobilistiche hanno assorbito molta parte' del traffico passeggeri ed an-che una certa parte del traffico merci.

La rivincita delle ferrovie si verificò durante la guerra, allorché gli altri mezzi si dimostrarono talvolta insicuri o comunque insufficienti. Perciò la concorrenza è molto aperta tra ferrovia e strada e le armi di questa battaglia sono le tariffe ed i comforts. Le ferrovie affermano di avere dalla loro parte la seconda arma: comforts che continua-mente migliorano e lasciano intravvedere pure una possibilità di diminuzione di tariffe, mentre i loro antagonisti, non hanno la possibilità di fare al-trettanto, poiché le tariffe dei trasporti automo-bilistici (ad esempio) hanno già valori molto bassi (sino al 50-60% delle tariffe ferroviarie) tanto che probabilmente si dovrà pensare ad aumentarle.

Il sistema ferroviario americano è il frutto di un secolo di evoluzione, che si è particolarmente accelerata durante l'ultima guerra, quando il pro-blema da risolvere era aumentare la velocità, per avere, a parità di veicoli disponibili, un maggior numero di merci e passeggeri trasportati ed un minor costo unitario.

La tabella N. 1 mostra lo sviluppo delle ferrovie americane dalla loro origine. La diminuzione del numero delle miglia di linea dal 1930 al 1945 è dovuta in principio alla depressione del 1929 del sistema economico americano e dalla concorrenza degli altri mezzi cui si è accennato.

Tabella N. 1

Sviluppo delle linee ferroviarie (miglia) Anno 1827 1834 1850 1860 1870 1880 1890 1900 1910 1918 1930 1940 1945. Miglia -13 137 9.029 30.626 52.922 93.207 163.597 193.346 240.293 253.528 249.052 233.670 227.000

L'organizzazione e la gestione delle ferrovie ame-ricane, affidate a Società private dee agiscono cia-scuna nella propria zona, vengono coordinate dal-l'Associazione delle Ferrovie Americane, la quale cura i rapporti tra soscietà diverse, provvedendo al funzionamento omogeneo delle reti.

I problemi finanziari connessi con le strade fer-rate sono notevoli ed una delle considerazioni che occorre fare è che i capitali investiti in esse sono soggetti a tassa nei vari Stati, mentre le somme spese per le strade ordinarie (provenienti dalle tasse sugli automezzi e sulla benzina) sono esenti. In sostanza le ferrovie sono trattate come compa-gnie private, mentre le strade sono considerate servizio pubblico. L'intervento del Governo si ma-nifesta ancora quando essa regola la concorrenza tra ferrovie e servizi automobilistici, impedendo alle prime di acquistare linee automobilistiche, con lo scopo di eliminare concorrenti. L'acquisto da parte delle ferrovie di linee automobilistiche è au-torizzato dal Governo solo se di pubblica utilità, in casi particolari e provati.

Ed ora un cenno alle questioni tecniche

fer-roviarie. 4

Stazioni. — L'importanza delle stazioni nel far fronte alla concorrenza degli altri mezzi di tra-sporto è grande, sia per ciò che riguarda le como-dità per i passeggeri, che per le merci. E' infatti considerato manchevole un servizio ferroviario che presenti le migliori comodità nel viaggio ed una insufficiente accoglienza alle stazioni. Moltissime stazioni sono state provviste, oltre che delle nor-mali sale di aspetto (classe unica), di alberghi, sala di pronto soccorso, bagni, teatro, negozi, te-lefono, telegrafo, ecc.

Materiale mobile. — La locomotiva a vapore è tuttora considerata la migliore macchina per la tra-zione ferroviaria, specie dopo i perfezionamenti del surriscaldamente del vapore, del preriscaldamento dell'acqua e del caricamento automatico del car-bone.

La Diesel elettrica è anche largamente appli-cata per i pregi indiscutibili che presenta, mentre si discute ancora sull'applicazione della turbina a vapore con comando elettrico e si è scettici sulle possibilità economiche di impiego della turbina a gas.

Uno dei problemi che le ferrovie americane si sono poste qualche anno fa è quello dell'elettrifi-ficazione e molte compagnie ferroviarie hanno elet-trificato tratti anche importanti. Ora però si con-siderano ingiustificabili gli oneri finanziari per l'e-lettrificazione e ciò per gli elevati rendimenti delle locomotive a vapore e per la disponibilità di com-bustibile.

Vetture passeggeri. — Si sono studiati notevoli miglioramenti nei comforts, tra cui l'applicazione dell'aria condizionata e ventilazione nonché una riduzione nel peso non pagante trasportato con la applicazione di leghe leggere nella costruzione di vetture. La divisione in classi praticata nei paesi europei non trpva riscontro negli Stati Uniti. In-fatti vi seno servizi di Pullmann o « Parlor cars' » con maggiori comforts per i lunghi viaggi e per il resto, normali vetture a classe unica.

Riferimenti

Documenti correlati

Solo nel bacino della Dora Baltea un buon numero di parlate locali si orienta verso un unico centro (Aosta) si che si può parlare di un vero e proprio valdo- stano, tanto più vivo

I pastori che accompagnano il bestiame non necessitano di passaporto; è loro sufficiente la carta d'identi- tà ed uno speciale salvacondotto rilasciato dall'autorità prefetti-

Secondo gli oratori che hanno preso la parola in occasione del secondo Convegno nazionale dei Consigli di gestione, tenutosi a Milano verso la fine dello scorso novembre con

Attualmente pertanto la formazione degli operai qualificati avviene soltanto presso le scuole-officina delle grandi aziende o attraverso lo sforzo perso- nale dei garzoni

I diri- genti della politica russa non possono essere mai stati così sciocchi da non capire che le loro richie- ste in materia di riparazioni e sul modo di con- cepire l'unità e

L'industria dei mobili ha tratto molto profitto dalla -costruzione degli aero- plani; la plastica è stata adottata per usi domestici e decorativi; l'industria chimica si è largamente

di conto valutario 50 % (cambio di espor- tazione) quotato alla borsa di Roma il giorno precedente quello dell'emissione del mandato alle casse di pagamento. b-p del capo I

tori di fabbricazione francese, sviz- zera, inglese ed americana. I risul- tati da essi forniti nelle lavorazioni di pianura, e specialmente in quelle di collina, sono stati