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Cronache Economiche. N.042, 1 Settembre 1948

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(1)

CRONACHE

[lINDICINALE A CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO

ffihuTmm

L 250

CONGRESSO DELLE CAMERE DI COMMERCIO

ITALIANE E FRANCESI

* TORINO 2-3-4-5 SETTEMBRE 1948

(2)
(3)

I • 1 s f " s N. 42 mumm ü ü h ä S Û ® ^ I M S i €¡¡¡¡¡¡¡¡1 I M m i ^ISI H l l l l l l 111 Hi HI IHÌIll I B I W È È b m È m m m

QUINDICINALE A CURA

Il messaggio a

u

Cronache Economiche„

del Ministro degli AJfan Esteri, Conte CARLO SFORZA

L e C a m e r e di c o m m e r c i o f r a n c e s i e i t a l i a n e

p o s s o n o r e n d e r e u n g r a n s e r v i z i o a i l o r o d u e

p a e s i : p r e m e r e p e r c h è d a i d u e l a t i d e l l e A l p i

t u t t i c o m p r e n d a n o c h e u n a r a p i d a c o n c l u s i o n e

d e l l ' U n i o n e d o g a n a l e f r a n c o - i t a l i a n a a v r à , o l t r e

i r i s u l t a t i e c o n o m i c i , i s e g u e n t i v a n t a g g i

na-z i o n a l i e i n t e r n a na-z i o n a l i :

1° - d e c u p l i c a t o p r e s t i g i o n e l m o n d o t a n t o

p e r l ' I t a l i a c h e p e r l a F r a n c i a ; p e r c h è u n f a t t o ,

u n g r a n d e f a t t o , v a l e p i ù di m i l l e d e c l a m a z i o n i ;

2° - a u m e n t a t a s i c u r e z z a d e l l a p a c e c h e è

m i n a c c i a t a s o p r a t u t t o da u n ' E u r o p a in p i l l o l e ,

o v e t r o p p i S t a t i si g u a t a n o in c a g n e s c o ; ciò che

c e s s e r a n n o di f a r e se F r a n c i a e I t a l i a d a r a n n o

1 ' e s e m p i o .

Messaggio del Conte Sforza pag. I

Messaggio Ytll'On. Brusasca pag. 2

Saluto ai congressisti (C. Minola) . . pag. 3

Il programma di applicazione del-l'unione italo-francese (U. Grazzi) pag. 4

Quelques aspects financiers de l'u-nion économique franco-italienne

(H. Laufenburger) v pag. 6

Preferenza imperiale e libero-scam-bisti britannici (D.Abel) pag. 7

Problemi fondamentali dell'unione economica europea ( W . Röpke). . pag. 13

L'unione doganale scandinava (K. S. Larsen) pag. 18

La Svizzera e le unioni doganali

(G. Tonella) pag. 19

Importanza politica dell'unione ita-lo-francese (C. Sircana) pag. 20

1° Settembre 1948 A

-CONSIGLIO DI REDAZIONE dott. A U G U S T O B A R G O N I prof. dott. A R R I G O BORD1N prof. avv. ANTONIO CALANDRA dott. G I A C O M O F R I S E T T I prof. dott. SILVIO G O L Z I O prof. dott. F R A N C E S C O P A L A Z Z I - T R I V E L L I

prof. dott. L U C I A N O GIRETTI D i r e t t o r e

dott. A U G U S T O B A R G O N I C o n d i r e t t o r e r e s p o n s a b i l e

DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO

S O M M A R I O

Il problema della montagna e l'u-nione doganale italo-francese CD. Gribaudi) pag. 22

Le popolazioni di frontiera e l'unio-ne italo-francese (G. Cosmo) . . . . pag. 25

Marsiglia e la sua Camera di Com-mercio attraverso i secoli ( C . Barbagallo) pag. 27

Fallimento di una nazionalizzazione

(A. Crespi) pag. 30

La funzione futura del commercio

(A. Fossati) pag. 31

Situazione del risparmio e dei fi-nanziamenti (G. Alpino) pag. 33

Il domicilio fiscale delle società ed enti (C. Prat) • pag. 34

Il romanzo dell'automobile (L. Ac-ciani) pag. 36

Il congresso agrario nazionale del-l'Accademia di Agricoltura di To-rino (A. Carena) pag. 39

Rimboschimento montano (E. B.) pag. 41

Ricostruire le " baite,, distrutte dalla guerra (F. M. Pastorini) . . . . pag. 43

L'aeroporto Torino-Caselle (Remell) pag. 45

Rosa dei venti pag. 47

Mercati pag. 49

Rassegna Borsa-Valori pag. 51

Borsa-Compensazioni pag. 53

Notiziario estero pag. 55

Il mondo offre e chiede pag. L8

Disposizioni ufficiali per il com-mercio con l'estero pag. 62

Breve rassegna della « Gazzetta Ufficiale » . ; pag. 64

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e quello del Sottosegretario agli Affari Esteri,

On. GIUSEPPE BRUSASCA

(5)

Saluto ai Congressisti

di C E S A R E MI N O L A , Presidente della Camera di Commercio, Industria

e Agricoltura di Torino.

La Camera di Commercio, Industria e Agri-coltura di Torino, ricevuto dall'Unione Nazio-nale dèlie Camere.di Commercio di tutta Italia l'onorevole incarico di organizzare il congresso che vede riunite in Torino tante, autorevolis-sime personalità della politica, dell'industria, della finanza, del commercio di Francia e d'I-tallia, ha cercato di far fronte ali suo compito con la coscienza di soddisfare ad uno dei do-veri più necessari e urgenti del nostro presente.

L'unione doganale ed economica fra l'Italia e la Francia non è puro problema di interessi contingenti, di dazi, di accordi commerciali, di scambi, di politica economica protezionistica o liberistica. Aggiungerei che non si tratta nem-meno soltanto della via da seguire per procu-rare ai nostri due Paesi il benessere e per con-tribuire di riflesso anche alla prosperità del-l'Europa e del mondo. V e una questione che trascende interessi e passioni e, oserei dire, le nostre stesse persone fisiche. Si tratta oggi, in un mondo in pericolo, di difendere —- dimo-strandone la vitalità — una concezione dell'u-niverso e una civiltà, che soglion definirsi del-l'Occidente e per una catena ininterrotta di ge-nerazioni hanno rappresentato la mitica fiamma dello spirito, che è nostro dovere supremo ali-mentare e difendere per trasmetterla alle gene-razioni venienti. Se oggi, con la nostra fede e con le nostre opere, non riusciamo — e non riusciamo presto — a porre fine all'ormai più che trentennale assurdo di un sistema econo-mico bastardo che ha fatto dell'Europa un mo-saico di Stati e Staterei!!! gli uni agli altri im-permeabili per l'idolatria verso sistemi autar-chici, fatalmente risolventisi in lotte barbare e sanguinose per la susseguente, necessaria con-quista di «spazi vitali»; se non sappiamo far mostra di patriottismo europeo, superando i più bassi egoismi di un particolarismo ridicolmente provinciale; se non vogliamo additare con l'e-sempio attivo la strada che condurrà alla for-mazione della Città Europa, gravera sulle no-stre spalle la responsabilità immensa di non aver voluto e non aver saputo far nulla per quella civiltà occidentale di cui tanto si parla, mentre tutti, anche gli sparuti gruppi favoriti dall'ingiustizia antieconomica, antisociale e an-tiumana del sistema attuale, verranno travolti nel naufragio finale e immancabile.

A chi ci taccia di accademismo da europeiz-zanti la risposta è facile e noi italiani abbiamo l'orgoglio di poterla trovare nella storia del no-stro Risorgimento nazionale e precisamente nel-l'opera di quel grandissimo Mazzini che, tac-ciato a sua volta di accademismo sconsiderato e di idealismo da sognatore, potè contribuire, al pari del realista Cavour, alla formazione del-l'unità della nostra Patria, perchè i suoi tenta-tivi incessanti e generosi contribuirono come il

machiavellismo dei realisti a tener desta di fronte alle Cancellerie delle grandi potenze del tempo la questione vitale dell'unità italiana e a dimostrarne necessaria la soluzione.

E' con questo spirito e con questi intendi-menti che la Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Torino rivolge per mio tramite il suo saluto ed esprime il suo ringraziamento a tutti gli intervenuti al nostro congresso e in particolare ai graditissimi ospiti francesi. Mi sia concesso esprimere un grazie specialmente sen-tito alle LL. EE. il Ministro e il Sottosegretario agli Affari Esteri, che con tanta benevolenza hanno voluto accordare il loro appoggio alla nostra iniziativa, e poi all'Unione Nazionale delle Camere di Commercio, all'Unione Indu-striali e all'Associazione Commercianti di To-rino; al cav. di Gr. Cr. Carlo Ruffini, presidente del Comitato d'iniziativa torinese per l'unione economica franco-italiana, il quale si è dimo-strato infaticabile nel promuovere adesioni di enti, industrie e persone singole alla nostra azione, dimostrando cosi come la vecchia To-rino e il vecchio Piemonte sappiano ancora porsi all'avanguardia di ogni nobile e proficua attività mirante al bene dell'Italia e dell'Eu-ropa; al prof. Arrigo Bordin, insigne cultore di discipline economiche, che ha diretto con la sua scienza e la sua competenza i lavori del comi-tato scientifico di preparazione al congresso; a tutti coloro, infine — autorità, enti, società e privati cittadini — che hanno tangibilmente voluto dare il loro apporto affinchè ci fosse possibile realizzare il nostro assunto.

La strada su cui ci avviamo è quella buona e a tutti noi è di conforto il sapere che siamo nel vero e nel giusto. Il compito che ci attende è certamente difficile e vi saranno sacrifici e rinunce da affrontare con coraggio. Ma, se non mancheremo al nostro dovere, potremo tutti, un giorno che mi auguro assai vicino, ripeterci quanto ebbe a dire un grande apostolo delle relazioni pacifiche e dei liberi scambi fra i po-poli, Riccardo Cobden, dopo esser riuscito a concludere con i ministri francesi Valewsky e Rouher il famoso trattato di commercio del 1860 fra la Gran Bretagna e la Francia, che per de-cenni doveva favorire il benessere nei due Paesi: « E ' stato il compito più difficile della mia vita; ma è stata anche l'applicazione del metodo dello stesso Onnipotente per creare

un'enterite cordiale ».

E, a ideale realizzato, potremo anche atten-derci la ricompensa sublime che ha profetiz-zato, esortandoci, il grande scrittore francese Julien Benda, allorché, alla fine del suo mera-viglioso « Discours à la nation européenne », scriveva: « Fate l'Europa, e il Dio dell'Incor-poreo vi sorriderà ».

(6)

IL PROGRAMMA DI APPLICAZIONE

D E L L ' U N I O N E I T A L O - F R A N C E S E

del Ministro Plenipotenziario U M B E R T O G R A Z Z I ,

Direttore Generale degli Affari Economici presso il Ministero degli Affari Esteri

La fusione di due aree economiche nazionalmente distinte in un'area economica nuova, operazione questa che deve avvenire se si vuole giungere ad un'unione quale quella progettata fra l'Italia e la Francia, è atto che richiede insieme il più gran-de ardimento e la più cauta circospezione. Due economie si sono formate lentamente, cristalliz-zandosi intorno ad interessi operanti in funzione delle situazioni geografiche dei due paesi, e spesso aggiustandosi in posizione di concorrenza, per non dire di battaglia reciproca. Esse formano un in-sieme di situazioni precostituite, che vivono su lungthe abitudini, le quali hanno a loro volta ri-chiesto decenni di sacrifici per la loro formazione. Queste due economie si tratta oggi, se non proprio di distruggere completamente, per lo meno di an-nullare nella rispettiva forma attuale per trasfor-marle, forgiandole ad una situazione del tutto nuova, mai prevista né sospettata all'epoca del loro sorgere e del loro svilupparsi.

Talora il disfare, se operato con intelligenza e non sotto la spinta di un'inconsulta anarchia, può essere quasi altrettanto difficile e doloroso quanto il creare, n compito che hanno oggi dinanzi i nostri esperti è perciò quello anzitutto di creare i presupposti Per evitare distruzioni inutili, cioè dannose rotture di un equilibrio interno, e in se-condo luogo di dar vita alle posizioni che possono parere le maggiormente adatte per instaurare la formazione di nuovi legami e in special modo del-l'atmosfera e dei tessuti economici da cui tali legami possano prosperare ed irrobustirsi.

Sarebbe illogico ritenere che un'opera siffatta, per quanto condotta con scienza e buon volere, possa svolgersi per tappe rigidamente prevedute e predisposte, partendo da presupposti nettamen-te denettamen-terminati per giungere a conseguenze tutnettamen-te prevedibili e tutte previste ed assegnando ad ogni causa il preciso effetto che essa dovrà determinare. Sarebbe assai più difficile concepire nella sua to-talità e nei suoi dettagli un piano del genere, di quanto non lo sia stato lo stabilire quei piani di industrializzazione o di rinnovamento economico cui abbiamo assistito in vari paesi, e che, può dirsi, o non hanno mai corrisposto appieno alle deter-minazioni dei loro ideatori o hanno dato luogo ad aggiustamenti progressivi forse estranei o per lo meno lontani dalla volontà originaria.

E' perciò con criteri sostanzialmente empirici che gli esperti, nell'ultima sessione della commissione mista che sta per aprirsi a Roma onde redigere il programma di applicazione da sottoporre ai Parla-menti italiano e francese ai fini della decisione definitiva, dovranno abbordare e condurre in porto l'opera cui stanno per accingersi. Se taluni settori della loro attività potranno presentare un carat-tere più pratico, e sembrare di aver condotto a risultati più avanzati (e ciò accadrà per esempio nel settore doganale vero e proprio), ciò dipenderà non da una inadeguatezza di ritmo nello svolgi-mento dei lavori, bensì dalla natura stessa delle questioni trattate. E' chiaro ad esempio che nel settore, per quanto ampio esso sia, dei trasporti ferroviari, marittimi, automobilistici ed aerei, l'ade-guamento tanto delle attività rispettive quanto

delle rispettive legislazioni non dovrebbe dar luogo ad eccessive difficoltà: anzi un programma di ap-plicazione pratica deve poter venir redatto con larga approssimazione e con brevità di tempo. Per contro, sia pure restando nel campo delle disposizioni go-vernative, cioè della formulazione degli intendi-menti di ciascun governo e delle misure legislative amministrative e tecniche da prendersi ad opera di ognuno di essi, ben differentemente accadrà nel settore finanziario. Qui la fluidità della materia, fluidità connessa anche con il disordine monetario ed economico internazionale, renderà estremamente difficile lo stabilire i gradi e gli scalini che dovranno essere percorsi successivamente, lungo una via pro-babilmente non breve e fors'anche tutt'altro che facile.

Quanto al settore economico, trattasi di una materia estremamente viva e vivente, nella quale le operazioni chirurgiche sono da evitare in modo assoluto. Questo settore comprende l'insieme della vita industriale ed agricola delle due Nazioni, in-teso nel confluire dei molteplici interessi dei singoli, i quali, se hanno diritto ad aspirare ad un mondo economico migliore non hanno per questo meno diritto a veder tutelati e rispettati interessi legit-timi e precostituiti, la cui lesione, per qualche ma-lavveduta decisione generale, potrebbe aver conse-guenze ben gravi, ripercuotendosi al di fuori del puro ambito aziendale, fino sulle condizioni econo-miche e sociali di intere zone o gruppi di popola-zione.

Il settore invece del commercio estero, come pure quello del lavoro, dovranno per contro essere so-prattutto considerati alla luce di un diverso apprez-zamento; cioè piuttosto come valvola di sicurezza delle difficoltà che si incontreranno nell'adegua-mento degli interessi agricoli ed industriali, che non come i terreni destinati alla costruzione del nuovo edificio.

E' per tali motivi che il lavoro che attende la commissione mista è estremamente difficile : si tratta anzitutto di non cadere in quelli che possono chia-marsi i casi limite, cioè da un lato di non antici-pare misure o determinazioni che appartengono piuttosto al momento nel quale, dopo l'avvenuta dichiarazione, l'unione avrà inizio di applicazione pratica; e dall'altro di non rimanere sul terreno dello studio teorico, basato su comparazione di dati e di elementi dai quali non sorgano logiche e so-prattutto pratiche consegueiTie. In secondo luogo si tratterà di mantenere un giusto mezzo tra la rigidità di una pianificazione preconcetta e tra la irresolutezza di un troppo facile empirismo.

Tutto ciò premesso — e premesso appunto per dar dimostrazione di come e di quanto gli esperti si rendono conto delle difficoltà e dei pericoli cui dovranno cercar di ovviare o di non soggiacere — è lecito ritenere che il programma al quale dovrebbe dar vita la commissione sarà ispirato a taluni cri-teri di massima, che sembra possano venir raggrup-pati nei seguenti punti generali:

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determi-nare nei tre settori dell'agricoltura, dell'industria e della finanza, quali sono i gruppi delle attività o delle misure di governo da prendersi, le quali sop-portano un ritmo rapido, uno meno rapido, uno lento. In tal maniera potrà stabilirsi ' in quanto tempo debba aver luogo rispetto a ciascun settore l'allargamento progressivo delle restrizioni quan-titative e il progressivo adeguamento dei dazi do-ganali, partendo dalla situazione di zero per cento, qual è quella odierna, per giungere a quella del cento per cento.

2) Determinare, nei vari settori economici, quali sono quelli in cui le intese dirette fra gruppi interessati sono consigliabili e quali sono quelli in cui tali intese sono indispensabili; e deter-minare altresì quali campi tali intese debbano investire (se la produzione, o il commercio estero, o l'approvvigionamento interno delle materie prime, o le integrazioni di mano d'opera, ecc.), nonché infine, quali forme e quali limiti debba assumere l'intervento governativo per permettere a tali intese di perfezionarsi. E' infatti evidente che se — una volta approvata l'unione da parte dei due Parla-menti — gli interessati hanno la certezza che a questa si addiverrà senza fallo in un periodo di tempo determinato, essi saranno spinti agli accordi e alle intese reciproche dalla forza stessa delle cose e dalla consapevolezza di una ovvia difesa dei pro-pri interessi nel quadro dell'unione inevitabile. Ma taluni gruppi, per fortuna assai limitati, potranno ciò nondimeno sottostare ad una tale divergenza, che un arbitrato governativo, per così dire, sarà indispensabile, unito forse a determinate misure statali, temporanee o definitive, dirette a facilitare se non addirittura a rendere possibile il processo di trasformazione e di adattamento, che condurrà a •quella specializzazione e divisione concordata di lavoro che stanno alla base dell'unione, tanto come presupposto quanto come fine di essa.

3) Stabilire il ritmo dell'adeguamento delle le-gislazioni, oltreché i settori in cui esso debba avve-rarsi, ed in quale maniera e con quali scopi; e ciò valga, in particolar modo, per il settore finanziario e valutario; per il settore doganale e fiscale (impo-ste indirette; di fabbricazione; monopoli, ecc.); per il settore sociale (carichi sociali; questioni sala-riali; premi alla produzione; .sovvenzioni governa-tive, ecc.); pel settore dei trasporti. Può accadere anche che in taluni di tali settori convenga (una volta riconosciuta ed indicata la necessità dell'ade-guamento legislativo ed amministrativo indispensa-bile a raggiungere un parallelo e forse addirittura comune svolgimento in futuro) che tale opera possa venire stralciata dal programma generale dell'unio-ne e demandata ad accordi o a trattative speciali. Così, per fare un esempio, la materia dei trasporti aerei può essere rinviata a separati accordi diretti fra amministrazioni. Analogamente, per la spinosa questione della pesca, ecc.

4) Determinare se ed in quale maniera debbano venire adeguati i programmi, economici a Icng run

da presentare all'E.R.P.„ in modo da far convergere le due economie.

5) Determinare quali organi permanenti comuni dovranno essere creati per assicurare l'adegua-mento delle legislazioni dei due Stati e la fusione delle economie dei due paesi, come pure se e quale organo superiore debba essere stabilito per coordi-nare, entro il territorio di ciascuna Nazione, l'atti-vità degli organi suddetti, nonché per armonizzare e dirigere l'attività delle amministrazioni interessate all'unione e responsabili della sua pratica applica-zione. Ossia, ad esempio, dovrà stabilirsi se dovrà crearsi un comitato tariffario comune, uno del c o m -mercio estero, uno valutario, uno giuridico, ecc. e se un Sottosegretariato di Stato, o un Commissariato dovrà essere istituito per sovraintendere alle attività di detti comitati nella loro metà interna e per armo-nizzare i lavori delle amministrazioni, le quali, tutte interessate e coinvolte nell'esecuzione del program-ma, dovranno astenersi da iniziative singole e ade-guare « pari passu » la loro azione nel quadro ge-nerale e predisposto dal programma prestabilito.

Non va dimenticato, infatti, che un'unione d o -ganale ed ancor più una unione economica, signi-ficano in pratica una diminuzione di sovranità di ciascun Stato, il quale conferisce il supero a quella nuova sovranità comune che si tratta di creare: e questo conferimento di sovranità non può avvenire se non limitando proporzionalmente di altrettanto l'autonomia e l'indipendenza di ciascuna branca dell'attività statale interessata o coinvolta nella unione.

Queste in breve, mi sembrano le linee generali su cui dovrà basarsi il programma di applicazione e quindi l'atto internazionale sul quale i Parlamenti saranno chiamati a pronunciarsi.

Esso dovrà essere dominato da due considera-zioni, o meglio da due presupposti che anche la pubblica opinione dovrebbe avere costantemente presenti. Anzitutto che l'intervento statale è inevi-tabile nel periodo di formazione dell'unione, cioè in quello che intercede, come è detto sopra, dallo zero al cento per cento di applicazione. Dopo, a seconda della politica che assumeranno a quell'epo-ca i due governi, l'intervento governativo potrà anche essere totalmente eliminato, instaurandosi appieno il libero gioco dell'iniziativa privata, la quale troverà fatalmente i suoi limiti nelle leggi economiche della convenienza.

In secondo luogo, che i benefici dell'unione, salvo per taluni settori e in particolar modo per il c o m -mercio in genere, non saranno immediati, per quanto siano logicamente certi, e di gran lunga superiori in estensione ed in portata ai sacrifici di progressiva riattazione e adeguamento; e che per-ciò questi ultimi dovranno essere giudicati soltanto a tale stregua, cioè « avendo in mira una ricom-pensa più lontana ma più abbondante », come il conducente che trae in salvo Renzo e le sue donne, di manzoniana memoria.

::'ÌMÌiiiiiiiiiiiiiiiiMimiMimiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiHiiiM mintili.-;

il grande problema europeo

è il problema del commercio.

CAMILLO CAVOUR

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Q U E L Q U E S ASPECTS FINANCIERS

DE L'UNION ÉCONOMIQUE FRANCO - ITALIENNE

Je dis b i e n « union économi-que » et non pas union douanière. Si l'Italie et la Fran-ce veulent consti-tuer le premier échelon de la futu-re Europe, il fau-dra commencer par mettre en commun les ressources éco-nomiques a v a n t d'abattre progressi-vement les barriè-res douanièbarriè-res.

L'e-xemple de Bénélux met en évidence les illusions de la méthode inverse.

Il ne semble pas que 'la coordination des deux secteurs industriels présente des difficultés majeu-res. Il sera plus délicat de coordonner la production agricole de part et d'autre. Une fois réalisée l'assi-milation des prix, des salaires, des intérêts, les deux pays latins pourront procéder à l'échange fondamental entre la imain-d'oeuvre et le capital, échange qui délivrera l'Italie du chômage et qui fera réapprendre à la France sa vertu séculaire et essentielle, celle de l'épargne. C'est ici qu'appa-raît le véritable caractère complémentaire de l'Ita-lie et de la France et non pas dans un prétendu équilibre entre les importations et les exportations réciproques, c'est là aussi que se manifestent les conditions à remplir pour faire de l'union autre chose qu'une simple « liste » des produits à échanger.

La stabilité monétaire accompagnée d'un taux de change non pas fictif et artificiel, mais réel et naturel, constitue sans aucun doute le point de départ de l'organisation bilatérale. Pour y parve-nir, il faut commencer par équilibrer les budgets des Etats à la fois par une compression des dépen-ses et un ajustement des recettes qui peut être obtenu beaucoup plus par un élargissement de l'as-siette que par un relèvement des taux.

Du côté des dépenses, la suppression progressive des subventions économiques est indispensable pour rétablir la vérité du langage des prix et pour allé-ger le poids de certains impôts. S'il est quelque-fois inévitable de faire supporter à la collectivité une quote part des frais de transports, il est inad-missible de mettre à sa charge le coût de l'alimen-tation non seulement des déshérités mais encore des fortunés. Il ne peut être question de vaincre la disparité des prix aussi longtemps que subsi-stera un aménagement différentiel des impôts qui ont une influence déterminante sur leur formation. Tout le monde est d'accord pour niveler, de part et d'autre, les droits de consommation ou accises qui sont appliqués à certains produits tels que l'al-cool, les boissons hygiéniques, les denrées exoti-ques. Mais dans le domaine de la fiscalité indirecte, il convient aussi et surtout de « niveler » l'impôt sur le chiffre d'affaires qui, d'ailleurs en France, a ré-sorbé plusieurs droits de consommation (bière, eaux-minérales, etc.). La formation des prix par voie d'incorporation légale de l'impôt est toute autre en Italie où l'impôt sur les recettes (3 pour cent) est cumulatif et se répercute jusqu'au con-sommateur à travers les différents stades du cycle économique qu'en France, qui applique une taxe unique à la production accompagnée d'un impôt modéré (1 pour cent) sur chaque transaction. Cette dualité de régime est incompatible avec une union économique, il faudra donc, ou bien que la France abandonnant le dualisme de la fiscalité revienne à l'ancienne taxe cumulative sur le chiffre d'affaires, ou que l'Italie adopte le régime français de la taxe unique à la production.

par H E N R Y L A U F E N B U R G E R

II Prof. H E N R Y LAUFENBURGER, insigne cultore di discipline finanziarie e docente di scienza delle finanze alla Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Parigi, illustra in quesito suo articolo alcuni importanti aspetti finanziari dell'unione economica italo-francese. Partico-larmente interessante appare quanto egli osserva sulla necessità, ai fini della realizzazione dell'unione, di ren-dere all'imposizione sul reddito il suo antico carattere prettamente finanziario, cessando di servirsene come

di uno strumento di « dirigismo » economico.

Le r a p p r o c h e -ment est beaucoup plus facile à réali-ser en matière d'impôt sur le re-venu. On a préten-du que: «les im-pôts directs peu-vent être inégale-ment lourds sans

qu'il soit nécessaire de chercher à réa-liser un alignement général». Si l'im-pôt sur le revenu était neutre, en d'autres termes s'il n'avait d'autre prétention que de répartir équitablement les charges publiques, il n'y aurait aucun inconvénient à ce qu'il fût dif-férent d'un pays à l'autre. En fait il est utilisé aujourd'hui comme un instrument de dirigisme éco-nomique : encouragement de certaines formes d'en-treprise au détriment d'autres, encouragement à l'investissement, politique de natalité, nivellement de la richesse des particuliers etc... Or s'il est avéré qu'un dirigisme différentiel est incompatible avec ime politique économique commune, il faut rendre à l'impôt sur le revenu son caractère purement fi-nancier et rapprocher sa technique dans les deux pays. Ce ne sera pas bien difficile étant donné que 1 Italie comme la France pratiquent la superposition a des impots cédulaires d'un impôt général sur le revenu. Sur un point, cependant, une réforme s'impose.

En Italie, l'impôt sur les revenus de la richesse mobilière et les surtaxes aboutissent pratiquement à la confiscation des dividendes. H faudrait singu-lièrement modérer la sévérité de cet impôt pour attirer en Italie des capitaux français aussitôt qu'à la faveur de la stabilisation monétaire et après l'achèveniente de la reconstruction, la France pourra canaliser vers l'extérieur un surplus de son épar-gne renaissante.

Mais pour normaliser les mouvements des capi-taux qui accompagnent normalement ceux des mar-chandises et services, il faudra renoncer progres-sivement à ce que j'appellerai l'abus de l'impôt sul-le capital. Dans des conditions tout à fait diffé-rentes l'Italie et la France procèdent périodique-ment ou régulièrepériodique-ment à certains prélèvepériodique-ments sur le capital qui découragent l'initiative et dé-traquent le mécanisme économique, notamment par des réalisations inopportunes d'éléments de la fortune.

Une fois terminées les fonctions motivées pal-les besoins financiers exceptionnels de l'après-guerre, il convient de remettre dans les deux pays l'accent sur l'impôt qui a le revenu pour objet, soit en laissant subsister la dualité (impôts cédu-laires et impôts complémentaires), soit en reve-nant à l'unité de l'impôt sur le revenu flanqué d'un léger impôt sur la fortune qui se contenterait de frapper, dans un but de discrimination, les pro-duits de celle-ci.

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THE BRITISH IE TRADE VIEW OF EMPIRE PREFERENCE

PREFERENZA IMPERIALE E LIBERO SCAMBISTI BRITANNICI

d i D E R Y

« THERE 7lS NO CONFLICT between an American policy and, a Commonwealth and. Empire policy », declares Mr. Roy Har-rod in an admirable article on « European Union » in the July number af Lloyds Bank Review, « on

the contrary, the maintenance of such a great world grou-ping with harmonious mutual arrangements is the best hope both for Britain and for free countries outsi-de the group ». It is in this setting—the setting of Western

Unicm, the project of an expanded Benelux Conven-tion linked with a Transatlantic Free Trade Entente between Britain, Canada and the United States, with, ithe Franco-Italian Customs Union, and w.th vast territories in Africa—that the British Free Trade view of Empire Preference needs presenta-tion and amplificapresenta-tion in the circumstances of 1948. And no such exposition can be undertaken without some brief indication of the historical background of preferentialist doctrine and practice. The Au-sten Chamberlain Budget in 1919, the, Safeguarding of Industries Act of 1921, and the legislation for « Safeguarding » duties introduced during Mr. Churchill's tenure of the Chancellorship of the Exchequer in the second Baldwin Ministry (1924-9), all accorded imperial preferences when imposing protective tariffs. Serious though such inroads undoubtedly were, the Free Trade fortress remained for the most part intact until the fiscal revolution of 1932. With the passage of the Import Duties Act in February 1932, introducing general 10 p. c.

ad valorem duties, the Free Trade régime of

eighty-six years was overthrown. T\he revolution was, as it were, consolidated in September of the same year by the Ottawa Agreements, which established an all-in preferentialist régime for Britain, the

Dominions and the Empire. \

The Ottawa Agreements Act broke up Mr. Mac Donald's National Government. It lost its Liberal wing as well as Viscount Snowden. Sir Herbert (now Viscount) Samuel, Sir Archibald Sinclair, Mr. Isaac Foot, the late Marquis of Lothian, the late Lord Rea, and Mr. H. Graham White were among the Liberal Free Trade Ministers who resigned their offices in protest against the Ottawa policy. In their resignation letter, itself a formidable indict-ment, \they said: « The agreements siffned by our delegates include an undertaking that the Parlia-ment of the United Kingdom will not reduce cer-tain duties on articles imported from foreign coun-tries during a term of years without the consent of the Governments of the Dominions. Apart from the question whether any Government is entitled to igive \such an undertaking, Parliament itself cannot properly enact a statute of that nature. It would purpo-i t to bar a subsequent Parliament from reducing taxes levied at our ports, unless the

Go-II signor D E R Y C K ABEL, autore di questo articolo cortesemente inviato a « Cronache Economiche », è

Se-gretario della « Free Trade Union », la principale Associazione britannica mirante a promuovere il libero scambio. Egli ha scritto l'opera fondamentale « A Hi-story of British Tariffs, 1923-1942 » ed è un pubblicista di. grido e futuro candidato liberale al Parlamento per il collegio di St. A'ibans. Rifacendo per i nostri lettori la storia recente delle tristi conseguenze della rivolu-zione avvenuta nella politica commerciale inglese con gli accordi protezionistici e preferenziali di Ottawa (1932) ed esaminando il sistema preferenziale imperiale in rapporto ai progetti più attuali — fra cui l'Unione Doganale italo-francese — di riorganizzazione dell'Oc-cidente su sane basi economiche, il signor Abel giunge alla conclusione che « il sistema preferenziale deve venir gettato nel mucchio polveroso degli errori e dei

sofismi economici ormai logori e decrepiti ».

C K A B E L

In un articolo mi-rabile sull'unione eu-ropea nel numero di luglio della Lloyds

Bank Review il si-gnor Ray Harrod af-ferma : « Tra una po-litica americana e una politica della

Commonwealth e del-l'impero non vi è con.

trasto alcuno; e il mantenimento di una così grande unione mondiale con armo-nici accordi reciproci costituisce anzi la speranza migliore, sia per la Gran Breta-gna, sia per paesi li-beri non appartenen-ti all'unione ». E' in questa cornice — la cornice dell'unione occidentale, del progetto di una convenzione Benelux estesa e congiunta ad un'intesa libero-scambista transatlan-tica tra la Gran Bretagna, il Canada e gli Stati

Uniti, all'unione doganale franco-italiana e ad ampi territori africani — che dev'essere presen-tato ed esposto in dettaglio, nella situazione del 1948, il punto di vista dei libero-scambisti britan-nici sul sistema preferenziale dell'impero. Ma non si può intraprendere tale esposizione senza accen-nare brevemente allo sfondo Storico della dottri-na e della pratica preferenziale. Sia la politica di bilàncio del 1919 di Austen Chamberlain, sia la legge del 1921 per la tutela delle industrie, sia infine la legislazione istituente dazi « difensivi » introdotta durante il cancellierato dello Scacchiere del signor Churchill nel secondo Ministero Bald-win (1924-29) concedevano preferenze imperiali nell'imporre tariffe protettive; ma la fortezza del libero scambio — sebbene queste incursioni nemi-che fossero senza dubbio serie — rimase quasi del tutto intatta sino alla rivoluzione della politica economica del 1932. Nel febbraio del 1932, con la approvazione della legge sui dazi all'importazione, istituente dazi generali del 10 % ad valorem, fu rovesciato il regime di libero scambio durato ben ottantasei anni. Nel settembre dello stesso anno questa rivoluzione venne consolidata dagli accordi di Ottawa, che stabilirono un regime preferenziale generale per la Gran Bretagna, i Dominions e l'im-pero.

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Vernments of other parts of the Empire have given their consent, even though there might have been a clear mandate from the electorate that it should do so. Such a proposal is, in our view, wholly un-constitutional ». Yet this very argument has been used in certain quarters against British fulfilment of the terms of Article 7 of the Mutual Aid Agree-ment (February 23, 1942) and Article 24 of the Hot Springs Resolutions (June 3, 1943), which, in the most solemn terms, formally commit the United Kingdom, the United States and the four Domi-nions of Canada, New Zealand, Australia and South Africa, as well as 39 other states, to the reduction of tariffs and the elimination of all forms of discriminatory treatment in trade. Nor is it extra-vagant to contend that the opponents of multi-lateralism, as represented by the natural alliance of extreme Right-wing Tory Protectionists and extreme Left-wing Marxian Socialists, who, between them, ra sed twelve votes in the House of Commons against Marshall Aid, contest the Marshall pro-gramme on purely doctrinaire autarkic grounds.

According to the current pronouncements of the British delegates at the. Ottawa Conference, the

avowed objective of their stormy sessions between July 21st—August 20th, 1932, was the lowering of inter-imperial trade barriers. This aspiration quickly faded into the background. The sorry story of « hard bargaining » and concession—wren-ching (in which Mr. R. B. [later Lord] Bennet, then Prime Minister of Canada, become the domi-nant personality) is well told by Professor Keith Feiling, largely by diary quotations, in his Life of Neville Chamberlain (1946). Two Dominion

Go-vernments raised their protective duties in order to lower them later against British goods in ful-filment of their Ottawa commitments. The imme-diately manifest result of Ottawa was the raising of inter-imperial trade barriers against the outside world.

A commendably succinct statement of how pre-ference works in practice was quoted from The Australian Manufacturer by Mr. Hopkin Morris,

K. C., M. P. in a debate in the House of Commons on March 24, 1947 :i

«It should be borne in mind that the preference we gave Great Britain was quite a different thing from the preference we asked Great Britain to give us. All we lose when we give Great Britain a preference is a small amount of revenue, but if Great Britain gave us a preference many of their industries, already sorely tried, would be crushed out of existence. It should also be remembered that the preferences we give to Great Britain are largely nominal. We first of all put on a duty high enough to protect local industry from British competition and from every other competition. We then make a duty a percentage higher for foreign governments. We therefore do not give Great Britain a real preference ».

What were the consequences of the Import Du-ties Act and the Ottawa Agreements Act upon British overseas trade before the outbreak of the Second World War? This was the subject of an illuminating correspondence in The Times in

Sep-tember-October 1945. Mr. Comyns Carr, K.C., in The Times of September 24th, 1945, compared

and contrasted the figures for 1913, « a very good year of complete Free Trade», with those for 1929, one of the best inter-war years when Britain was still in the main a Free Trade country, but when Protectionist measures were in force, and with those for 1937, the best year under Protection and Imperial Preference. He corrected the figures as follows to 1913 uiholesale prices « to give a rough

di ridurre imposte esatte nei nostri porti, anche se impegnato a farlo da un preciso mandato degli elettori, a meno di aver ottenuto il consenso dei governi di altre parti dell'impero. Secondo noi un impegno simile è del tutto incostituzionale ». Eppure proprio questo stesso argomento è stato usato in certi circoli contro l'adempimento da parte britan-nica alle condizioni dell'articolo 7 dell'accordo di aiuto reciproco del 23 febbraio 1942 e dell'articolo 24 delle deliberazioni di Hot Springs del 3 giugno 1943, Ohe, nei termini più solenni, impegnano il Regno Unito, gli Stati Uniti e i quattro Dominions del Canada, della Nuova Zelanda, dell'Australia e dell'Africa del Sud, nonché 39 altri Stati, a ridurre le tariffe doganali e ad eliminare ogni forma di trattamento discriminatorio nel commercio inter-nazionale. Ma non è fuor di luogo osservare che gli oppositori del multilateralismo, rappresentati dal-l'alleanza naturale tra i protezionisti conservatori dell'estrema destra e i socialisti marxisti dell'estre-ma sinistra, che racimolarono insieme ai Comuni dodici voti contro il Piano Marshall, si oppongono a quest'ultimo in base a motivi dottrinali pretta-mente autarchici.

Secondo le affermazioni correnti dei delegati bri-tannici alla conferenza di Ottawa, scopo confessato delle loro tempestose sedute tra il 21 luglio e il 20 agosto 1932 era la diminuzione delle barriere commerciali fra i paesi dell'impero; ma questa aspi-razione passò rapidamente in secondo linea. La triste storia di mercanteggiamenti ostinati e di estorsione reciproca di concessioni — in cui si di-stinse particolarmente il signor R. B. Bennett, al-lora primo ministro del Canada e più tardi elevato alla dignità di lord — viene bene raccontata, in gran parte a mezzo di citazioni da un diario, dal prof. Keith Feiling, nel suo libro Vita di Neville

Chamberlain. I governi di due Dominims innal-zarono i loro dazi protettivi al fine di poterli più tardi ridurre nei confronti di merci britanniche, in adempimento dei loro impegni di Ottawa e il risul-tato immediatamente manifesto di quella confe-renza fu l'elevazione delle barriere commerciali del-l'impero verso il mondo esterno.

H deputato signor Hopkin Morris, in una seduta ai Comuni del 24 marzo 1947, citò da The Australian

Manufacturer un'esposizione succinta del modo in cui praticamente opera il sistema preferenziale:

«Dovremmo avere ben chiaro in testa che il trattamento preferenziale da noi concesso alla Gran Bretagna fu una cosa del tutto diversa dal trat-tamento preferenziale che chiedemmo alla Gran Bretagna di concederci. Concedendolo alla Gran Bretagna non perdiamo che un piccolo ammontare di reddito, mentre se la Gran Bretagna lo conce-desse a noi molte delle sue industrie, già duramente provate, verrebbero condannate a morte. Dovrem-mo inoltre ricordare che i trattamenti preferenziali da noi concessi alla Gran Bretagna sono in gran parte nominali. Noi cominciamo infatti col fissare un dazio abbastanza alto per proteggere le nostre industrie dalla concorrenza britannica e da ogni altra concorrenza, e poi innalziamo di un tanto per cento lo stesso dazio nei riguardi dei governi stranieri, finendo così per non concedere alla Gran Bretagna un vero e proprio trattamente preferen-ziale ».

Quali furono, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, le conseguenze sul commercio in-ternazionale britannico della legge sui dazi all'im-portazione e degli accordi di Ottawa? Di esse trattò un'istruttiva serie di lettere a The Times, nel set-tembre-ottobre 1945. Il signor Comyns Carr, su

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indication of volume and make them reasonably comparable » : (1. stg. millions) 1913 1929 1937 EMPIRE TRADE Retained imports 163 219 281 U. K. exports 194 237 194 FOREIGN TRADE Retained imports 498 595 452 U. K. exports 331 296 207 TOTAL TRADE Retained imports U. K. exports 661 525 533 814 733 401 Mr. Comyns Carr then drew the following four conclusions:

(a) In 1913 and 1929 Britain hud a favourable balance on her Empire trade which substantially increased in 1929 in volume both of exports and imports—without the Ottawa Agreements Act.

(b) The effect of the Ottawa policy was a large increase of imports from, but decrease of exports to, the Commonwealth and Empire, with a re-sulting unfavourable balance in 1937.

(c) By 1929 total exports in volume had over-taken those of 1913. Protection and Preference afterwards reduced them by one quarter, but only reduced total imports by one-tenth.

((d) The balance of our overseas payments was favourable to the extent of I. stg. 194 millions in 1913 and l. stg. 103 millions in 1929, then unfavourable to the extent of I. stg. 56 millions in 1937. With the inclusion of gold, this adverse effect of Protection and Preference in 1937 became I. stg. 254 millions instead of I. stg. 159 millions.

In his letter Mr. Comyns Carr pointed out that the years 1913, 1929 and 1937 provided « the most (and excessively) favourable comparison for the Protectionist case which can be made with any fairness ».

On the other hand, supporters of the Import Duties Act and the Ottawa Agreements Act have always claimed, quite accurately, that the Ottawa policy succeeded in diverting a larger percentage of British and Dominion trade from other coun-tries to the Commonwealth and Empire. In Great Britain Under Protection (1941), Professor Fre-deric Benham calculated that the approximate percentages of British imports from Canada, Au-stralia, New Zealand and India were 8, 7, 4 and 7 in the year 1938. The corresponding figures had been 4, 5, 4 and 5 in 1930. United Kingdom ex-ports to South Africa were more than 8 per cent, of her total exports in 1938, but on the other hand British imports from South Africa fell from 2 per cent, in 1929 to 1 J per cent, in 1938. The pro-portion of British imports from the Commonwealth rose from 29 per cent, in 1930 to 40 per cent, in 1938, while the proportion of British exports to the Commonwealth rose from 43 \ per cent, in 1930 to 50 per cent, in 1938.

A greater percentage of a dwindling world trade was directed by Ottawa to inter-imperial chan-nels. But the operative word is « dwindling ». Ot-tawa, like the high American Hawley-Smoot ta-riffs of 1930, was among the major factors which accentuated the relapse from multilateral interna-tional trade to « bilateralism » and the consequent destruction of effective international specialisation, based on price comparisons in the world market. Under the aegis of «bilateralism» trade was di-verted during the 1930's from economically into politically advantageous channels. The balancing of imports and exports as between one country

un'indicazione approssimativa del volume del com-mercio e renderle ragionevolmente paragonabili » :

(Milioni di sterline) 1 0 1 3 1 0 2 0 1 0 3 7 COMMERCIO IMPERIALE Importazioni Esportazioni del R. U. COMMERCIO ESTERO Importazioni Esportazioni del R. U. COMMERCIO TOTALE Importazioni Esportazioni del R. U. 163 194 498 331 661 525 219 237 595 296 814 533 281 194 452 207 733 401 Il signor Comyns Carr trasse poi le quattro con-clusioni seguenti:

a) Nel 1913 e nel 1929 la Gran Bretagna aveva una bilancia attiva nel suo commercio imperiale, il cui volume, sia di esportazioni che di importa-zioni, aumentò notevolmente nel 1929, senza la legge sugli accordi di Ottawa.

b) L'effetto della politica di Ottawa fu un grande aumento nelle importazioni dalla Common-wealth e dall'impero, ma una diminuzione nelle esportazioni verso di essi, col risultato di una bi-lancia passiva per il 1937.

c) Nel 1929 il volume delle esportazioni totali aveva superato quello del 1913. Il protezionismo e il sistema preferenziale lo ridussero in seguito di un quarto, e ridussero invece soltanto di un decimo il volume delle importazioni totali.

d) La nostra bilancia internazionale dei paga-menti fu attiva per 194 milioni di sterline nel 1913 e per 103 milioni nel 1929, e divenne poi passiva per 56 milioni nel 1937. Se si tiene conto dell'oro, questa conseguenza negativa del sistema protezionista e preferenziale sale nel 1937 — in confronto al 1929 —

a 254 milioni di sterline anziché a 159 soltanto. Nella sua lettera il signor Comyns Carr sotto-lineava che gli anni 1913, 1929 e 1937 fornivano « i termini di paragone più (e fin troppo) favore-voli che possan farsi in tutta lealtà per la causa del protezionismo ».

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and another eliminated the «triangular» trade essential to carry payments for past indebtedness. Moreover, as Professor Condliffe has emphasised in his Reconstruction of World Trade (1942), the

diversion of commodity trade into new channels, whereby imports could be paid for by commodity exports, accelerated the division of group interests inside each State. Simultaneously the emergence under «bilateralism» and the new mercantilism of rigidly planned independent markets for the older interrelated and interdependent markets further intensified fluctuations both in prices and

in production itself. ^

There is no doubt that imperial preference is discrimination in the same way that the recent American-Philippine compadt is discrimination, and because it is, it must go. Both as a fiscal policy and as a proposition in economics, imperial pre-ference is an anachronism. It is a survival from the old colonial system under eighteenth-century mercantilism. The sole difference is that whereas the aim in the eighteenth century was to secure a monopoly of the Colony trade for the Mother Country, in the twentieth century the aim is to secure special benefits for particular interests in the Dominions at the expense of the consumer in the Mother Country, and frequently, too, at the expense of dependent peoples in the

non-self-governing Empire. The preferential system is thus, in a sense, the old mercantilism in reverse.

It will readily be agreed that any project to strengthen the influence of the ideals of the Bri-tish Commonwealth in the outside world is inspired by a noble and worthy aim, but the preferentialist contention that love of the Empire automatically involves love of Empire preference is rank hypo-crisy. The way in which the doctrine and practice of Empire preference have developed in late years has led to more than one violation of the British concept of trusteeship for the native peoples of the dependent Empire. In Ceylon the Ottawa Agreements were passed only because the Gover-nor's reserved powers were invoked against the declared wishes of the Colonial Assembly. «It is now clear,» said The Times of Ceylon, «that

many bargains were made between the different Dominions and the United Kingdom, but if the existence of Ceylon and the Colonies was reco-gnised in theory, it was ignored so far as practical results were concerned. Ceylon and the Colonies had no official status at Ottawa ». In Malaya Sir Cecil Clementi, Governor of the Straits Settle-ments, reported to the Colonial Secretary, Sir Phi-lip Cunliffe-Lister (later Viscount Swinton), the anxiety of the business community at the under-mining of the pj-inciple of free ports. He received the following communication: « While I note that some of your unofficial members are likely to take the view that for the present there should be no further infractions of Free Trade in the Colony, you will, I know, appreciate that the abandon-ment by the United Kingdom of the traditional Free Trade policy, to the considerable advantage of itself and of the whole Empire, is an event which necessarily calls for the careful reconside-ration of Free Trade dogmas* elsewhere». 4s Mr. E. G. Brunker commented: «Sir Philip has already learned the patter of the Dictator under the Colonial system. He does not even argue with the Council of the Straits Settlements; he just tells them to swallow the dope and toe the line to Whitehall without a moment's pause to reconsider ' dogmas' of any sort, whether Protectionist or Free Trade». (The Free Trader, Vol. XII, 283-4).

In Suva, Fiji, The South Seas Weekly, examining

the Customs Amendments, said: « Customs duties have been raised, and this is tantamount to

in-11 commercio « triangolare », indispensabile a per-mettere pagamenti per indebitamenti contratti in precedenza; e inoltre, come il prof. Condliffe mise in rilievo nel suo libro Ricostruzione del

commer-cio mondiale (1942), l'aver spinto gli scambi mer-cantili verso nuove vie, ove le importazioni po-tevano venir compensate con esportazioni di merci, accelerò la divisione di interessi di gruppo all'in-terno di ogni Stato. In pari tempo la situazione creatasi col « bilateralismo » e il neo-mercantilismo di mercati indipendenti e rigidamente pianificati, al posto degli antichi, comunicanti e -dipendenti l'un dall'altro, intensificò maggiormente fluttuazioni sia dei prezzi che della stessa produzione.

Non vi è dubbio che il sistema preferenziale im-periale rappresenta una discriminazione, al pari del recente patto fra gli Stati Uniti e le Filippine, e proprio per ciò deve scomparire. Esso è un ana-cronismo, sia come politica, sia come affermazione della dottrina economica, e ci appare essere una sopravvivenza dell'antico sistema coloniale e mer-cantilistico del XVIII secolo, con l'unica differenza che mentre nel XVIII secolo si mirava ad assicu-rare alla madre patria il monopolio del commercio coloniale, nel XX secolo si mira ad assicurare be-nefici particolari a particolari interessi nei

Domi-7iions, a spese del consumatore della madre patria e spesso anche a spese dei popoli dipendenti del-l'impero, che non godono di autonomia di governo. Cosi, in un certo senso, il sistema preferenziale ci appare come il vecchio mercantilismo al rovescio. Se si ammetterà volentieri che Qualsiasi progetto mirante a rafforzare nel mondo esterno l'influenza degli ideali della Commonwealth britannica venga ispirato da scopi nobili e degni, apparirà invece crassa ipocrisia la pretesa preferenzialista che l'amore per l'impero comprenda automaticamente in sè l'amore per la preferenza imperiale. Il modo in cui negli anni scorsi si sono sviluppate dottrina e pratica della preferenza imperiale ha condotto a più di una violazione della concezione britannica del mandato a favore dei popoli nativi del dipen-dente impero. Gli accordi di Ottawa furono appro-vati a Ceylon soltanto perchè venne fatto appello ai poteri eccezionali del governatore, contro i de-sideri espressi dall'Assemblea coloniale. « E' ora 'Chiaro — scrisse The Times of Ceylon — cihe molte trattative vennero condotte tra i vari Dominions e il Regno Unito; ma, se l'esistenza di Ceylon e delle colonie fu riconosciuta in teoria, essa fu in-vece ignorata quando si trattò di risultati pratici. Ceylon e le colonie non ebbero ad Ottawa alcun riconoscimento ufficiale ». In Malesia sir Cecil Cle-menti, governatore degli Straits Settlements, riferì al ministro delle Colonie, sir Philip Cunliffe-Lister

(poi visconte Swinton), circa le preoccupazioni di quella gente d'affari per il sabotaggio del principio della, libertà commerciale, e si ebbe questa risposta : « Mentre prendo atto che alcuni dei vostri membri a carattere non ufficiale propendono verso il punto di vista che per ora non bisognerebbe più conti-nuare ad infrangere, nella colonia, il principio del libero-scambio, voi apprezzerete certamente che l'ab-bandono da parte del Regno Unito della politica libero-scambista tradizionale, a considerevole van-taggio suo e dell'intero impero, è un avvenimento tale da invitare di necessità altrove ad un'attenta ripresa in esame dei dogmi libero-scambisti». Il signor E. G. Brunker commentò ai riguardo: «Sir Philip ha già imparato la strada del dittatore nel sistema coloniale. Egli non sta nemmeno a discu-tere con il Consiglio degli Straits Settlements, e si limita a fargli sapere di inghiottire il rospo e di allinearsi alle direttive di Londra, senza nemmeno poter disporre di un istante per riprendere in esa-me « dogmi » di qualsiasi genere, sia protezionistici che libero-scambisti » (The Free Trader, voi. XII, pagg. 283-4).

IA Suva nelle isole Fiji, nell'esaminare le nuove tariff e, The South Seas Weekly scrisse : « Sono stati elevati i dazi doganali, e ciò significa avere in pra-tica aumentato l'imposizione fiscale ». The Cleaner di Kingston, nella Giamaica, scrisse a sua volta:

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creased taxation ». « On foreign footwear such as that which comes from Japan the duty will be Is. 3d. per pair—more than the invoiced value of the article », declared The Gleaner, Kingston, Jamaica.

Free Traders believe that the most painful example of the violation of the spirit of trust-eeship is to be found among the native peoples of East Africawho, in view of their limited pur-chasing power, were deprived of their cheap Ja-panese rubber shoes by the Ottawa policy, and once more went barefoot. And this at a time when, according to the Nairobi correspondent of The Times (May 11th, 1934), medical officers in Tanganyika had stated that « the purchase of cheap Japanese rubber shoes has done more to prevent hookworm disease than all the efforts of the health department». The ravages of hook-worm continued. Free Traders therefore ask: Can it honestly be argued that the spirit of Ot-tawa was (or is) compatible with the spirit of trusteeship?

Nor let us forget that the perpetuation and extension of Empire Preference is being preached at a time when the Dominions themselves are turning away from the doctrine of a closed Empire bloc towards the doctrine of the world market.

a. There is now», says Professor Allen G.B. Fi-sher, of the Royal Institute of International Affairs, himself a New Zealander, «a widespread appreciation in the Dominions of the principle, which was rather roughly brushed aside at Ot-tawa, that thriving trade relations outside the Commonwealth are essential for the welfare of every part of it; and that the preferential advan-tages which appeared so attractive in 1932 should now be given a much cooler and calmer exami-nation. Probably the best that can be said for Ottawa is that it represented a hopeful, but short-sighted, attempt to salvage some fragments from the threatened wreck of the old world trading system. It was optimistically supposed at the time that Ottawa would not only facilitate ' the flow of trade between the various countries of the Empire', but further ' that by the consequent increase of purchasing power of the people the trade of the world would be stimulated and in-creased ', though it was never explained how devices for diverting to some part of the Empire trade which had formerly gone to a foreign coun-try could result in any net increase in either purchasing power or in world trade... The Do-minions as a whole are no longer prepared, as some of them probably were ten or twelve years ago, to regard the Ottawa system as the ark of the Covenant... The long-run interests of every part of the Commonwealth and Empire are quite con-sistent with the reorientation in British commer-cial policy which is necessary if this country is to play a worthy part in building a new interna-tional economic order ».

If our faltering steps at Geneva and Havana towards a world trading code are to be successfully sustained, and if a new international economic order is to be founded upon the rule of law, pre-ference, imperial or otherwise, must be thrown upon the economic dust-heap of outworn and ob-solescent fallacies and sophisms.

« Il dazio sulle calzature straniere, come quelle che ci vengono dal Giappone, sarà di 1 scellino e 3 pence al paio e cioè maggiore del loro valore di fattura ».

I libero-scambisti vedono però l'esempio peggiore di una violazione dello spirito del mandato colo-niale nel caso degli indigeni dell'Africa Orientale, i quali, disponendo di capacità d'acquisto limitata, furono privati dalla politica di Ottawa delle loro scarpe di gomma giapponese a buon mercato e dovettero ricominciare a camminare scalzi. E ciò proprio quando, secondo il corrispondente da Nai-robi di The Times (11 maggio 1934), i medici del Tanganica avevano constatato che «l'acquisto di scarpe di gomma giapponesi a buon mercato ave-va più fatto nel prevenire la piaga del verme unci-nato di tutti gli sforzi del ministero dell'igiene ». La piaga del verme uncinato continuò, e quindi i libero-scambisti domandano: «Si può onestamente sostenere che lo spirito di Ottawa fosse (o sia) compatibile con quello del mandato fiduciario colo-niale? ».

Nè dobbiamo dimenticare che la continuazione e l'estensione del sistema di preferenza imperiale viene oggi predicata in un momento in cui gli stessi Dominions stanno abbandonando la dottrina di un blocco chiuso imperiale per adottare quella del mercato mondiale.

« Oggi nei Dominions — afferma il neo-zelandese prof. Alien G. B. Fisher, dell'Istituto Reale degli Affari Internazionali •— si apprezza più diffusamente

il principio, rigettato alquanto energicamente ad Ottawa, che prospere relazioni commerciali all'in-fuori della Commonwealth sono essenziali per il benessere di ogni sua parte e che i vantaggi pre-ferenziali, i quali nel 1932 sembravano tanto allet-tanti, dovrebbero oggi venir sottoposti ad esame molto più tepido e misurato. Il meglio che proba-bilmente si possa dire degli accordi di Ottawa è che essi rappresentavano un tentativo speranzoso, ma miope, di ricuperare alcuni frammenti del pe-ricolante rottame dell'antico sistema commerciale mondiale. Si ritenne allora con ottimismo che gli accordi di Ottawa non soltanto agevolassero « le relazioni di scambio tra i vari paesi dell'Impero » ; ma anche « stimolassero ed incrementassero il c o m -mercio mondiale in seguito al conseguente aumento della comune capacità d'acquisto », benché nessuno mai spiegasse come mai provvedimenti miranti a trasferire verso una qualsivoglia parte dell'impero scambi commerciali prima diretti verso l'estero po-tessero risolversi in un aumento netto, sia della capacità d'acquisto che del commercio mondiale:.. In complesso i Dominions non sono più disposti, come alcuni di essi lo erano probabilmente dieci o dodici anni fa, a considerare il sistema di Ottawa come l'ABC del patto imperiale... Gli interessi a lunga scadenza di ogni parte della Commonwealth e dell'impero collimano ormai del tutto con il mu-tamento di rotta della politica commerciale britan-nica, che è necessario, se lTnglnilterra vuole ancora recitare una parte di rilievo nella costruzione di un nuovo ordine economico internazionale».

Se si vuole per davvero sorreggere con efficacia i nostri tentennanti passi di Ginevra e dell'Avana verso un insieme di norme atte a permettere un commercio mondiale, e se per davvero si vuole fon-dare un nuovo ordine economico internazionale sotto l'imperio della legge, il sistema preferenziale, imperiale oppure no, deve venir gettato nel muc-chio polveroso degli errori e dei sofismi economici ormai logori e decrepiti.

i(Traduzione di Agostino Coggiola)

ALBERGO PALAZZO TORINO

I D I P R I M ' O K D I H E

(14)

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M A N T I E N E S A N O C O M E UN PESCE

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GRUNDFRAGEN DER EUROPAISCHEN WIRTSCHAFTSUNION

PROBLEMI FONDAMENTALI DELL'UNIONE ECONOMICA EUROPEA

d i W I L H E L M R Ö P K E

Es ist eine der schlimmsten Krank-heitsersc h einung en unserer Epoche, dass man sieht nicht mehr die Zeit nimmt, ein Problem in aller Ruhe im stillen Kämmerlein durchzudenken und

nach dem Grund- /

sätzlichen zu fragen, um das es sich handelt. Mit immer gleicher Begeisterung wirft man sich heute auf dieses und morgen auf jenes Schlagwort, in <dem Wahn, dass man irgendein Ziel nur zu formulieren braucht, um weiteren unbequemen Nachdenkens ent-hoben zu sein. Sehr oft ist dieses Ziel aufs höchste zu billigen. TJm so schlimner aber ist es, wenn man sich Hals über Kopf in den Strom der Vereine, Kon-ferenzen und Resolutionen stürzt, <ohne sich über die Natur des Zieles und die rechten Mittel, die zu

ihm führm, innerlich klargeworden zu sein. Man nimmt <ga<r zu leicht den Schein für die Wirklich-keit, man betrügt sich und andere mit Phrasen und Attrappen, man lebt vo\n der Hand in den Mund, im Denken wie im Handeln, man verlernt es, prin-zipiell zu denken, man weiss nicht mehr, was man eigentlich will oder wollen sollte, oder man will gleichzeitig Dinge, die miteinander unvereinbar sind wis Planwirtschaft und Freiheitsrechte oder inter-nationale Gemeinschaft und Potenzierung der na-tionalen Souveränität durch staatlich zentralisierte

Wirtschaftsverwaltung. Man stellt grossartige Wirt-schaftszone ,a\uf, für denn Durchführung die wich-tigsten Voraussetzungen fehlen. Man stürzt sich auf die neuen amerikanischen Milliarden des Mar-shallplans, ohne dass mehr als einigé unhappy few

sich zu fragen scheinen, warum denn wohl die frü-heren versickert sind, und ohne dass sich inmitten der neuen grossen Geschäftigkeit im Planen und Organisieren viele noch um die Prinzipien der wirt-schaftlichen Ordnung kümmern würden, um die es geht und von denen der Erfolg der amerikanischen Hilfe abhängt.

In der Hilflosigkeit, die man sich natürlich nicht eingesteht, wählt .man Kommissionen und Sub-kommissionen und eilt von einer Konferenz zur an-deren, und dann gibt man vor, mit den nichtssa-genden oder gar durch und durch widerspruchsvol-len Resolutionen zufrieden zu sein. Früher oder später ,aber muss einer solchen gedankenlosen Begei-sterung für irgendeine « idée généreuse » die

läh-mende Enttäuschung folgen, und das Ende ist, dass nicht nur Kraft, Zeit und Geld verschwendet worden sind, sondern sogar das Ziel selber als kompromit-tiert erscheint.

Vielleicht lässt sich diese gefährliche Tendenz unserer Zeit kaum irgendwo so deutlich verfolgen wie am Beispiele des Projektes einer europäischen Föderation. Kaum ein Gedanke ist heute populärer, und glücklicherweise gilt diese Begeisterung einem guten und hohen Ziele. Nur wenige bestreiten noch, dass die Einigung unseres Kontinents und die Zu-sammenfassung seiner Kräfte zur Büiingung dafür geworden ist, dass Europa sich fernerhin politisch, wirtschaftlich und geistig wird behaupten können. Allzuvielen aber scheint das zu genügen, und der Rest ist für sie Propaganda, Organisation und Pa-ragraphenkunst. Sie hantieren mit dem Begriff «Föderation», als ob es sich um die einfachste Sache von der Welt handle. Sie scheinen unberührt voti der Einsicht, dass eine so edle Frucht nicht

Uno dei peggiori sintomi del morbo che affligge la no-stra epoca è che non ci concediamo più il tempo di stu-diare compiutamen-te e con calma un problema nel silen-zio di uno studiolo e di indagare a fondo sul problema stesso. Abbracciamo oggi que-sta e domani quella parola d'ordine, con sempre uguale entusiasmo, nella credenza pazzesca che basti formulare uno scopo qualsiasi per liberarsi dalla noia di ogni ulteriore riflessione. Lo scopo è assai spesso da sottoscrivere al cento per cento; ma proprio per ciò è più riprovevole che ci si pre-cipiti all'impazzata nel vortice delle associazioni, dei congressi e delle mozioni; senza aver prima ben chiarito in noi la sua natura e quella dei mezzi atti a raggiungerlo. Scambiamo troppo leggermente •l'apparenza per la sostanza, inganniamo noi stessi e gli altri con frasi e finzioni, viviamo di espe-dienti — giorno per giorno — sia nel pensare che nel fare, disimpariamo a pensare secondo logica, non sappiamo più che Cosa in fondo vogliamo o dovremmo volere, oppure vogliamo contemporanea-mente cose incompatibili, come economia pianifi-cata e libertà individuale o comunità internazio-nale e potenziamento della sovranità naziointernazio-nale a mezzo di amministrazione economica statizzata e centralizzata. Formuliamo piani economici gran-diosi, per la cui realizzazione mancano le premesse indispensabili. Ci precipitiamo sui nuovi miliardi americani del Piano Marshall senza domandarci — eccezione di alcuni unhappy few — a qual fine i precedenti ci siano stati concessi e senza più preoc-cuparci — frammezzo alla nuova, grande attività nel progettare e nell 'organizzare — dei princìpi dell'ordine economico, che sono in ballo e da cui dipende il successo dell'aiuto americano. Nella no-stra impotenza, che naturalmente non confessiamo, nominiamo commissioni e sottocommissioni e cor-riamo da un congresso all'altro, e fìngiamo poi di accontentarci di mozioni finali che non dicono nulla o addirittura sono fondamentalmente con-tradi ttorie.

Prima o poi, tuttavia, a un simile entusiasmo sconsiderato per una qualsiasi idée généreuse deve seguire una delusione paralizzante e alla fine non si è sprecato soltanto forze, tempo e denaro, ma si fa persino apparir compromesso lo stesso scopo. Più che altrove, è forse nell'esempio del progetto di una federazione europea che più distintamente possiamo seguire questa tendenza pericolosa del nostro tempo. Non v'è oggi un'idea più popolare e simile entusiasmo si volge per fortuna ad uno scopo buono e alto. Pochi soltanto contestano an-cora che l'unione del nostro continente e la riu-nione delle sue forze sia diventata condizione ne-cessaria per l'ulteriore esistenza indipendente — politica, economica e spirituale — dell'Europa. A troppi però ciò sembra bastare e il resto è per loro soltanto questione di propaganda, organizzazione e abilità di legulei. Vanno" maneggiando il concetto di federazione come se si trattasse della cosa più semplice del mondo e non sembrano preoccuparsi affatto a,l pensiero che un frutto così pregiato non può venir colto senza fatica ed è invece legato a molte condizioni difficili, le quali potrebbero venir

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