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Dipartimento di Giurisprudenza. Cattedra di Diritto Civile 2 LA VENDITA DI COSA FUTURA. Sofia Farina CANDIDATA. Matr ANNO ACCADEMICO 2020/2021

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(1)

Dipartimento di Giurisprudenza

Cattedra di Diritto Civile 2

LA VENDITA DI COSA FUTURA

Prof. Giovanni Iudica Prof. Francesco Ricci

RELATORE CORRELATORE

Sofia Farina CANDIDATA

Matr. 143513

ANNO ACCADEMICO 2020/2021

(2)

1 INDICE

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO I ... 7

NOZIONE E CARATTERI DELLA VENDITA DI COSA FUTURA ... 7

1 Premessa. ... 7

1.1 (segue) il concetto e il significato di cosa futura in riferimento all’ art 1472 cod. civ. La vendita di cosa futura come vendita di diritti futuri. ... 8

1.2 diritti futuri, diritti condizionati, aspettative di diritti. ... 9

2 La distinzione strutturale tra emptio rei sperate ed emptio spei. L’articolo 1472 secondo comma cod. civ. ... 10

3 Un contratto eccezionalmente senza oggetto? ... 13

3.1 (segue) La nozione di oggetto del contratto: artt. 1325 e 1470 cod. civ. ... 14

4 teorie a confronto sulla natura giuridica della vendita di cosa futura. ... 16

4.1 La teoria del negozio a formazione successiva o a consenso anticipato... 16

4.2 La teoria del negozio ad efficacia sospesa. ... 19

5 Forma e pubblicità della vendita di cosa futura. ... 22

CAPITOLO II ... 26

IL CONTRATTO TRA LE PARTI ... 26

1 La fase precedente alla venuta ad esistenza della cosa. La posizione giuridica dell’alienante e dell’acquirente. ... 26

1.1 (Segue) La problematica del rischio e la sua incidenza. ... 29

2 L’acquisto del diritto. L’automaticità e l’irretroattività. ... 31

3 La patologia del rapporto: la mancata venuta ad esistenza della cosa e l’esatta qualificazione della nullità di cui all’art. 1472 cod. civ. ... 33

3.1 Vizi e mancanza di qualità. ... 36

3.1.1 Vendita a prezzo forfettario e vendita a sorte. ... 37

4 Le impugnative negoziali. L’esperibilità dell’azione di risoluzione per eccesiva onerosità. ... 38

4.1 L’esperibilità dell’azione di rescissione per lesione prima della venuta ad esistenza della cosa. ... 40

5 I conflitti con i terzi. ... 41

5.1 (segue) I beni mobili e applicabilità dell’art. 1153 cod. civ. ... 43

5.2 I beni immobili e la trascrizione. ... 46

CAPITOLO III ... 48

L’APPLICAZIONE PRATICA DELLA VENDITA DI COSA FUTURA: L’ACQUISTO DI IMMOBILI DA COSTRUIRE E LA TUTELA DELL’ACQUIRENTE. ... 48

1 I rischi dell’acquirente nella contrattazione di immobili da costruire. Dalla novella 1997/n. 30 al d.lgs. 2005/n. 122. ... 48

1.1 La nuova forma di tutela introdotta dal decreto legislativo 2005 n. 22 ... 51

1.1.1 L’entrata in vigore del decreto legislativo 2005 n. 122. ... 53

(3)

2

2 La necessità di un nuovo intervento legislativo: il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14. ... 54

3 Il perimetro di applicazione della nuova normativa. ... 56

3.1 Il primo presupposto soggettivo: la nozione di acquirente. ... 57

3.2 La sostituzione dei contraenti originari: il contratto per persona da nominare... 60

3.3 L’acquisto dei parenti in primo grado. ... 63

3.4 L’acquirente socio di cooperativa edilizia. ... 64

4 Il secondo presupposto soggettivo: la nozione di costruttore. ... 65

4.1 La cooperativa edilizia come costruttore. ... 67

4.2 Vendita di immobili costruiti da terzi. ... 68

5 Il presupposto oggettivo: l’immobile da costruire. Lo stato della dottrina e della giurisprudenza. ... 69

5.1 La venuta ad esistenza del fabbricato da costruire. ... 74

5.2 L'apparente contrasto tra l'art. 2645 bis e l'art. 1, lett. d) d.lgs. 122/2005 ... 75

6 Le fattispecie negoziali soggette alla disciplina del decreto legislativo n.122. ... 77

6.1 Uno sguardo alle singole fattispecie negoziali che rientrano nel perimetro applicativo del decreto legislativo 2005 n. 122... 81

7 La situazione di crisi ... 83

8 Il fenomeno delle vendite di immobili “sulla carta”. Il contratto preliminare di vendita prima del decreto n. 122 e le prescrizioni urbanistico-edilizie. ... 84

8.1 (segue). La vendita di fabbricati “sulla carta”. ... 85

8.2 La tesi dell’incommerciabilità degli immobili da costruire prima della richiesta del permesso di costruire e la sua confutazione. ... 87

9 I principali strumenti di tutela: la garanzia fideiussoria, assicurazione indennitaria decennale, il contratto preliminare. Il decreto 122/2005 e la legislazione d’oltralpe. ... 90

9.1 La garanzia fideiussoria e la sua natura giuridica. ... 91

9.2 Il termine di adempimento dell’obbligazione del costruttore. ... 95

9.3 La sanzione prevista dal legislatore in caso di inadempimento dell’obbligazione del costruttore. ... 96

9.4 La sanatoria della nullità... 98

9.5 L’oggetto della garanzia fideiussoria... 100

9.6 L’escussione della fideiussione. ... 102

10 L’assicurazione indennitaria decennale. ... 104

10.1 La prestazione assicurativa e il premio. ... 108

10.2 L’inadempimento dell’obbligazione del costruttore. Lo stato della dottrina e della giurisprudenza prima il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14. ... 109

11 Il contratto preliminare. ... 111

11.1 La trascrizione del contratto preliminare e l’effetto prenotativo. ... 112

CAPITOLO IV ... 118

COMPRAVENDITA DI COSA FUTURA E APPALTO: CRITERI DISTINTIVI. ... 118

1 Le differenze a livello teorico. ... 118

(4)

3

1.1 I criteri distintivi elaborati dalla giurisprudenza. ... 122

2 La ricostruzione come contratto misto. ... 126

3 I criteri alternativi proposti dalla dottrina. ... 128

4 L’ambito operativo. Alcuni casi concreti. ... 128

5 Il principio consensualistico tra la vendita di cosa futura e l’appalto alla luce degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali. ... 130

CONCLUSIONI ... 133

INDICE BIBLIOGRAFICO ... 135

(5)

4 INTRODUZIONE

La compravendita di cosa futura è una fattispecie contrattuale che necessita di un’indagine nuova ed approfondita alla luce dell’inarrestabile evoluzione legislativa, dottrinale e giurisprudenziale che ha determinato nel contratto in oggetto un’impronta del tutto innovativa. Il presente lavoro, nelle quattro parti di cui si articola, presenta un quadro organico della fattispecie contrattuale nell’ambito dell’attuale contesto giuridico. In particolare, il primo capitolo affronta le questioni relative alla natura giuridica della compravendita di cosa futura e alla sua appartenenza al tipo contrattuale “la vendita”, al fine di risolverle in maniera coerente con la disciplina generale del contratto e della compravendita dettata dal codice civile. I dubbi interpretativi sorgevano dalla peculiarità della vendita di cosa futura di avere ad oggetto il trasferimento di un bene giuridico inesistente al momento della conclusione del contratto; dall’espressione legislativa vaga ed incerta di “cosa futura”; dalla struttura apparentemente non riconducibile allo schema contrattuale della compravendita ordinaria. L’indagine si rende necessaria per la portata pratica e non meramente teorica delle questioni sollevate, dal momento che ad ogni soluzione prospettata sulla natura giuridica della fattispecie contrattuale in esame corrisponde una diversa disciplina applicabile. In effetti, mentre da un punto di vista meramente teorico potrebbe sembrare che la compravendita sia uno schema contrattuale unitario; da un’analisi più attenta della realtà concreta, sembrerebbe che questa si scomponga in una serie di sottotipi che assecondino le istanze commerciali, nel cui novero rientra a pieno titolo la vendita di cosa futura in quanto species del genus vendita. Attesa la diversità tra la vendita ordinaria e la vendita di cosa futura in relazione all’oggetto del contratto, rispettivamente cosa presente e cosa futura, si è osservato che questa non basta a giustificare la non riconducibilità della seconda fattispecie alla prima, perché entrambe sono accumunate dalla medesima causa: la venditionis causa. Ciononostante la peculiarità dell’oggetto della vendita di cosa futura si riflette in tutto il negozio ed in tutte le fasi che lo compongono, quali conclusione ed esecuzione, determinando un tipo contrattuale del tutto singolare, che dottrina e giurisprudenza concordemente qualificano come vendita obbligatoria o meglio come vendita ad effetti reali differiti. Invero, nel secondo capitolo del presente lavoro, nel ricostruire la disciplina applicabile alla fattispecie contrattuale in oggetto sia prima che durante l’esecuzione del contratto, se ne evidenziano le differenze rispetto alla disciplina della vendita ordinaria, le quali si fondano proprio sull’inesistenza dell’oggetto al momento della conclusione del contratto: la posizione dell’acquirente e dell’alienante prima che la cosa venga ad esistenza; l’acquisto della proprietà in favore dell’acquirente al momento della venuta ad esistenza della cosa, la patologia del rapporto e le impugnative esperibili dalle parti. All’opponibilità dell’acquisto da parte dell’acquirente nei confronti dei terzi, aventi causa dal medesimo alienante, è dedicata un’apposita analisi atta a distinguere il caso in cui il bene oggetto del contratto sia un bene mobile dal caso in cui il bene oggetto del contratto sia

(6)

5 un bene immobile. Mentre nel primo caso il criterio risolutivo del conflitto risiede nella regola

“possesso vale titolo”, perché per i beni mobili il legislatore non ha previsto una diversa forma di pubblicità; nel secondo caso il conflitto tra acquirente e terzi aventi causa dall’ alienante è regolato dalle norme dettate dal codice civile in tema di trascrizione, la quale costituisce lo strumento di pubblicità più efficace essendo deputata al rendere note ai terzi le vicende giuridiche relative a beni immobili. Nonostante l’efficacia universale della trascrizione, nel caso della vendita di cosa futura assicura una tutela piuttosto limitata all’acquirente di un bene immobile “futuro” o meglio da costruire, perché è idonea a produrre i suoi effetti tipici solo al momento della venuta ad esistenza del bene immobile. Di conseguenza, in un eventuale conflitto tra acquirente ed terzi aventi causa dal medesimo alienante, a prevalere saranno i terzi che abbiano trascritto il loro acquisto successivamente ma anteriormente alla venuta ad esistenza della cosa. Preso atto delle istanze commerciali e della necessità di assicurare una tutela ad ampio raggio all’acquirente di immobile da costruire, il legislatore è intervenuto in materia, introducendo una nuova normativa di tutela con il decreto legislativo 2005 n. 122. Il terzo capitolo del presente lavoro, nel ricostruire la nuova disciplina di tutela, affronta le problematiche attinenti ai presupposti oggettivi e soggettivi: la nozione di acquirente; la nozione di costruttore; le fattispecie contrattuali sussumibili nel perimetro applicativo della disciplina; la nozione di situazione di crisi. Per tutelare l’acquirente dalle situazioni di dissesto del costruttore, che per la maggior parte dei casi si verificano prima che l’immobile venga ad esistenza, e per assicurargli il recupero delle somme corrisposte anticipatamente, il legislatore ha posto a carico del costruttore una serie di obbligazioni: l’obbligazione di rilasciare in favore dell’acquirente una garanzia fideiussoria ed una polizza assicurativa indennitaria decennale, a pena di nullità che può essere fatta valere solo dall’acquirente. Inoltre il legislatore, preso atto della prassi contrattuale di segmentare l’operazione negoziale nella sequenza preliminare-definitivo, ha disciplinato in maniera analitica il contenuto del contratto preliminare, il quale a seguito del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. La novità non è di poco conto se si considera che, trascrivendo il contratto preliminare, si “prenotano” gli effetti della trascrizione del contratto definitivo alla data della trascrizione del contratto preliminare stesso. In realtà il legislatore con la nuova normativa di tutela, introdotta dal decreto legislativo 2005 n. 122, si è inserito in quel filone giurisprudenziale e legislativo atto a tutelare le parti contraenti prive di un potere contrattuale forte o comunque più debole rispetto a quello della controparte. Recependo le istanze europee in materia di contratti con il consumatore e di controllo delle clausole vessatorie, l’intento del legislatore con la nuova disciplina di tutela è quello di assicurare un equilibrio contrattuale tra le parti e di tutelare il c.d. contraente debole, qual è l’acquirente di immobili da costruire. Dati i confini apparentemente evanescenti della vendita di cosa

(7)

6 futura, il quarto capitolo del presente lavoro, nella prospettiva di un miglior inquadramento della fattispecie in commento, individua i criteri distintivi tra la vendita di cosa futura ed il contratto d’appalto alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in materia.

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7 CAPITOLO I

NOZIONE E CARATTERI DELLA VENDITA DI COSA FUTURA 1 Premessa.

La vendita di cosa futura, altrimenti detta emptio rei speratae, è una figura negoziale che trova espressa previsione nell’art 1472 cod. civ. e che si pone in sintonia con la generale possibilità di dedurre nel contratto prestazioni di cose future, riconosciuta dall’art.1348 cod. civ.1 In questo modo il legislatore consente a beni attualmente inesistenti, come tali non suscettibili di divenire autonomo oggetto di diritti, di essere oggetto della compravendita: cose che non esistono in rerum natura, quali i prodotti naturali non separati, i prodotti d’opera ancora non formati e le cose unite materialmente ad altre o cose esistenti che non sono di proprietà alcuno.2

Occorre premettere che la vendita di cosa futura postula, sotto il profilo oggettivo, l’attuale inesistenza del diritto che ne costituisce l’oggetto; sotto il profilo soggettivo un atteggiamento inequivoco delle parti che si sostanzia nella consapevolezza che il diritto oggetto del contratto, al momento della conclusione dello stesso, non esiste ancora e che nascerà in seguito3.

Pur rientrando a pieno titolo nel novero dei contratti diretti a realizzare uno scambio di beni e nello specifico all’interno dell’unitario tipo contrattuale della vendita ex art. 1470 cod. civ., la figura negoziale in esame si contraddistingue per la peculiarità di avere ad oggetto il trasferimento di un bene giuridico inesistente al momento della conclusione del contratto. La vendita di cosa futura, per la sua unicità e specialità rispetto alla vendita ordinaria, sia per struttura che per natura, ha sollevato molti dibattiti in dottrina e giurisprudenza, che a loro volta si sono tradotti in soluzioni contrastanti e antitetiche fra di loro.

Nei paragrafi successivi esamineremo le questioni di maggior rilievo e le corrispondenti soluzioni offerte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, al fine di eliminare ogni ambiguità relativa alla figura negoziale in esame. Prima di individuare i confini e i limiti della vendita di cosa futura occorre preliminarmente chiarire quale sia il significato dell’espressione “cosa futura” in riferimento all’art 1472 cod. civ.

1 A. Luminoso, la compravendita, Torino, VI edizione, G. Giappichelli, 2009, pag.60

2 M. Bianca, la vendita e la permuta, Torino, II edizione, Utet, 1993, pag. 375

3 G. Gazzara, la vendita obbligatoria, Milano, A. Giuffrè, 1957, cit., pag. 158

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8 1.1 (segue) il concetto e il significato di cosa futura in riferimento all’ art 1472 cod. civ. La vendita di cosa futura come vendita di diritti futuri.

L’espressione cosa futura ha sempre suscitato per la sua genericità molti dubbi interpretativi, la cui risoluzione si impone ai fini di un’esatta definizione della figura negoziale in esame.

L’interpretazione letterale dell’art 1472 cod . civ., condivisa anche dalla dottrina dominante, consente di abbracciare una nozione piuttosto ampia di res futura, comprensiva sia della cosa inesistente materialmente che giuridicamente.

Invero la lettera dell’art. 1472 cod. civ., nell’ammettere come possibile oggetto della vendita anche gli alberi e i frutti, lascia pensare che per cosa futura debba intendersi anche una cosa che, al momento della conclusione del contratto, non esiste in rerum natura4.

La dottrina, a tal proposito, distingue tradizionalmente due categorie: cose future soggettivamente e cose future oggettivamente. Della prima categoria fanno parte senz’altro le cose che esistono in rerum natura ma che non sono nel patrimonio del disponente e si prevede che in seguito possano farne parte.

Della seconda categoria fanno parte le cose che non esistono in rerum natura come entità giuridiche o materiali5 ma si dispone di esse in quanto si prevede la loro futura esistenza. Sono oggettivamente futuri anche i frutti naturali non prodotti e i frutti civili non ancora maturati. Invero, che il legislatore abbia voluto intendere per “res futura” ogni bene futuro di qualsiasi specie e natura, risulta da un’interpretazione sistematica di altre norme sparse nel codice civile, nelle quali ricorre spesso il termine “cosa futura”: basti pensare alla disposizione contenuta nell’art. 2383 cod. civ. la quale statuisce che la ipoteca su cosa futura può essere validamente iscritta solo quando la cosa è venuta ad esistenza. Trattandosi d’ipoteca, per cosa futura non può intendersi altro che un diritto di natura immobiliare6.

Questa tesi trova conforto anche nella stessa definizione legislativa della vendita di cosa futura di cui all’art. 1472 cod. civ., nella quale il diretto riferimento alla cosa deve intendersi nel senso che il venditore aliena il diritto di proprietà avente ad oggetto la cosa futura e dal momento che la proprietà, al pari di ogni altro diritto di godimento, non esiste se non esiste il loro oggetto, la vendita di cosa futura si configura, in definitiva, come vendita di diritti futuri7.

In conclusione, alla luce delle premesse svolte, merita di essere condivisa l’opinione di quanti sostengono che per cosa futura il legislatore abbia inteso riferirsi non solo agli oggetti materiali ma anche ai diritti futuri. La conseguenza che discende da questa ricostruzione dell’espressione “cosa futura” è la configurazione della vendita di cosa futura come vendita di diritti futuri. La nozione della

4 P. Perlingieri, negozi su beni futuri, Napoli, Jovene, 1962, pag. 12

5 F. Caringella, L. Buffoni, manuale di diritto civile, IX edizione, Dike Giuridica Editrice, 2018, pag. 808

6 P. Perlingieri, negozi su beni futuri, Napoli, Jovene, 1962, pag. 13 ss.

7 M. Bianca, la vendita e la permuta, Torino, II edizione, Utet, 1993, pag. 375

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9 vendita di diritti futuri ha una portata più ampia rispetto alla formula normativa vendita di cose future, invero i diritti futuri non si identificano soltanto con i diritti reali su cose future ma in generale con i diritti non ancora esistenti per mancanza dell’oggetto o della fattispecie costitutiva8.

La vendita di un diritto futuro, ossia di un diritto derivante da fattispecie incompleta, è un contratto che attende di realizzarsi attraverso il completamento della fattispecie costitutiva del diritto e perché si possa configurare la figura negoziale in esame, è necessario che il contratto abbia ad oggetto un diritto non ancora sorto per mancato perfezionamento della relativa fattispecie costitutiva; si pensi ad esempio all’alienazione di un credito di cui il venditore diverrà titolare in forza di un contratto che conta di concludere con un terzo 9. Alla luce della configurazione della vendita di cosa futura come vendita di diritti futuri, risulta ormai ampiamente superata l’opinione manifestatasi sotto il vecchio codice, che riteneva valida esclusivamente la compravendita di cose esistenti almeno in germe.

L’art 1348 cod. civ. e l’art 1472 cod. civ. hanno eliminato ogni dubbio relativo, rispettivamente, alla possibilità di dedurre nel contratto prestazioni di cose future e di compravendere qualsiasi cosa inesistente, al momento della conclusione del contratto, sia giuridicamente che materialmente;

conseguentemente sarebbe arbitrario negare che la cosa futura non esistente in germe possa essere oggetto della compravendita e circoscrivere la nozione di cosa futura ai frutti pendenti o in germe10. 1.2 diritti futuri, diritti condizionati, aspettative di diritti.

Per delineare i confini della vendita di cosa futura in maniera più rigorosa, non è sufficiente né chiarire quale sia il significato dell’espressione “cosa futura” né tantomeno qualificare la vendita di cosa futura come vendita di diritti futuri, piuttosto è necessario soffermarsi sulla nozione di diritto futuro.

Le questioni sollevate dalla dottrina riguardano in primis un’esatta definizione di diritto futuro ed in secundis la possibilità di annoverare nell’ ambito dei diritti futuri anche i diritti condizionati.

Mentre per la prima questione la risposta è semplice, dal momento che per diritto futuro si intende un diritto che non è nella titolarità di alcun soggetto, maggior riflessione richiede la seconda questione perché essa comporta l’esatta qualificazione delle situazioni condizionali. Il soggetto che attende il verificarsi di una condizione, per acquistare il diritto de quo, versa in una situazione, sospensivamente condizionata, che non può dirsi inesistente o giuridicamente irrilevante, dal momento che medio tempore il soggetto è titolare di poteri di conservazione e di disposizione ex art. 1356 cod. civ. e 1357 cod. civ.

I poteri in esame trovano giustificazione solo nella misura in cui si ammette che il soggetto titolare di un diritto condizionato è tutelato non in quanto titolare di un diritto futuro ma solo in quanto titolare

8 M. Bianca, la vendita e la permuta, Torino, II edizione, Utet, 1993, pag.374

9 A. Luminoso, la compravendita, Torino, VI edizione, G. Giappichelli, 2009, pag. 61

10P. Perlingieri, negozi su beni futuri, Napoli, Jovene, 1962, pag. 13

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10 di un diritto attuale e già esistente, al quale corrisponde l’obbligo degli altri contraenti e dei terzi interessati di non impedire il verificarsi della condizione e di comportarsi secondo buona fede correttezza e diligenza11.

Diritti e obblighi attuali di un rapporto giuridico, quale il rapporto giuridico condizionato; si pensi, ad esempio, al caso in cui due soggetti stipulano un contratto di compravendita avente ad oggetto un bene immobile sospensivamente condizionato e la parte acquirente alieni lo stesso bene ad un terzo in pendenza della condizione. In tal caso la vendita ha ad oggetto un diritto attuale appartenente ad altri (art. 1478 cod. civ.) e la sua efficacia traslativa resta sospensivamente condizionata al medesimo evento (art. 1357 cod. civ.).

Ancora diversa è l’ipotesi di aspettativa che si configura come una sorta di diritto al diritto che scaturisce da fattispecie complesse in corso di formazione. Si pensi all’esempio precedente: si avrebbe vendita di aspettativa se l’acquirente alienasse al terzo la situazione di attesa di acquisto con tutti i rischi derivanti dal contratto concluso con il venditore, conseguentemente il terzo sarebbe obbligato a pagare il prezzo al venditore se la situazione si verificasse)12. In tutti questi casi il diritto che viene in rilievo, quale oggetto del contratto, è già sorto e le parti sono consapevoli della sua esistenza. Per queste ragioni non risultano integrati gli estremi della vendita di cosa futura ma della vendita ordinaria avente ad oggetto un diritto presente ed in quanto tale non qualificabile come diritto futuro, inteso nell’accezione qui chiarita.

2 La distinzione strutturale tra emptio rei sperate ed emptio spei. L’articolo 1472 secondo comma cod. civ.

I dubbi interpretativi relativi all’espressione “cosa futura” hanno determinato a loro volta altrettante incertezze riguardanti la fattispecie disciplinata all’art. 1472 secondo comma cod. civ., ai sensi del quale la vendita di cosa futura è valida anche se la cosa non viene ad esistenza, purché le parti abbiano voluto concludere un contratto aleatorio, tradizionalmente chiamato emptio spei.

La figura negoziale in esame, pur essendo espressamente prevista, suscita in dottrina notevoli difficoltà di inquadramento. Nel tentativo di delineare le principali differenze che intercorrono tra l’emptio rei speratae, ex art. 1472 primo comma cod. civ., e l’emptio spei, ex art. 1472 cod. civ.

secondo comma, alcuni autori muovevano dalla possibilità di distinguere la vendita di cosa futura dalla vendita di cosa sperata.

A tal proposito, alcuni hanno affermato che nella seconda, contrariamente a quanto avviene nella prima, il rischio della qualità della cosa graverebbe sul compratore; altri hanno affermato che la

11 P. Perlingieri, negozi su beni futuri, Napoli, Jovene, 1962, pag. 24

12 A. Luminoso, la compravendita, Torino, VI edizione, G. Giappichelli, 2009, pag. 61

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11 prima sarebbe caratterizzata dalla certezza che la cosa dedotta nel contratto venga senz’altro ad esistenza; altri ancora hanno affermato che la diversità tra le due fattispecie risiederebbe nella natura dell’ oggetto, escludendo dunque che la cosa sperata sia una cosa futura nell’ accezione chiarita nei paragrafi precedenti13. Nessuno dei criteri suddetti può dirsi esauriente: per quanto concerne il primo, bisogna rammentare che nella vendita ordinaria le parti sono libere di disciplinare liberamente i rischi ad essa connessi senza alterare la fisionomia strutturale del negozio; per quanto concerne il secondo, sarebbe contraddittorio e forviante affermare che la vendita di cosa futura sia caratterizzata dalla certezza che la cosa venga ad esistenza, perché di una cosa inesistente in rerum natura al momento della conclusione del contratto non si può mai prevedere con certezza la sua futura esistenza; per quanto concerne il terzo criterio, bisogna osservare che, se il contratto posto in essere dalle parti ha ad oggetto un bene esistente ma di cui le parti ignorino l’ esistenza o siano semplicemente in dubbio sulla sua trasferibilità all’ acquirente, allora risultano integrati gli estremi di una vendita ordinaria di cui all’ art. 1470 cod. civ. e non di una vendita di cosa futura14. D’altronde sarebbe inconcepibile e contradditoria un emptio rei speratae avente ad oggetto un bene esistente perché il termine speranza rimanda piuttosto all’attesa fiduciosa di un evento favorevole, la venuta ad esistenza della cosa, e conseguentemente la res sperata non può essere una cosa esistente nel momento in cui le parti stipulano il contratto. Dopo aver abbondonato il tentativo di distinguere la vendita di cosa futura dalla vendita di cosa sperata, dato l’ampio significato in cui deve essere intesa l’espressione “cosa futura”, non resta altro che rispondere all’interrogativo relativo alla natura della fattispecie disciplinata dall’

art. 1472 secondo comma. A tal proposito talora si è affermato che l’emptio spei integrerebbe una vendita di cosa presente per aver ad oggetto un bene attuale ed esistente, quale l’alea del contratto, talvolta che si contraddistinguerebbe dall’emptio rei speratae per imporre a carico dell’acquirente il rischio della venuta ad esistenza della cosa, pur ritenendo che la stessa sia un sottotipo del genus vendita di cosa futura15. Tali concezioni, oltre ad essere forvianti, si rivelano erronee fin dal principio per il presupposto in cui affondano le loro radici: in primis, l’alea non è suscettibile di divenire oggetto di un obbligazione o di un contratto, per di più anche se si volesse considerare quest’ultima come oggetto del negozio, sarebbe poi impossibile inquadrare la res futura tra gli elementi essenziali del contratto una volta venuta ad esistenza; in secundis, affermare che l’emptio spei si distingue dall’

emptio rei speratae per porre a carico del compratore il rischio della venuta ad esistenza della cosa significherebbe considerare ogni contratto di compravendita di cosa sperata come emptio spei, quando ad esso le parti abbiano apposto la clausola con la quale il compratore si obbliga a pagare il prezzo

13 G. Gazzara, la vendita obbligatoria, Milano, A. Giuffrè, 1957, pag. 159

14G. Gazzara, la vendita obbligatoria, Milano, A. Giuffrè, 1957, pag. 159 ss.

15 G. Gazzara, la vendita obbligatoria, Milano, A. Giuffrè, 1957, pag. 161

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12 anche se la cosa non viene ad esistenza. Per di più chi giunge a questa conclusione è come se vedesse nell’emptio spei un contratto innominato, atipico ed aleatorio; affermazione quest’ ultima non condivisibile perché trattasi di fattispecie tipizzata dal legislatore all’ art. 1472 cod. civ. A prescindere anche dall’ espressa previsione normativa, se si volesse aderire alla tesi in esame finiremo per negare qualsivoglia autonomia all’emptio spei e questo perché, nel caso in cui la cosa venisse ad esistenza, non si potrebbe più parlare di emptio spei quanto piuttosto di una normale compravendita; mentre nel caso in cui la cosa non venisse ad esistenza si potrebbe parlare di emptio spei ma mancherebbe un contratto di compravendita16. Ha avuto senz’altro maggior seguito l’opinione di quanti ritengono che l’ emptio spei non sia altro che un sottotipo del genus vendita di cosa futura e che rientri a pieno titolo nello schema della vendita. Invero non sarebbe di ostacolo a questa ricostruzione nemmeno la sua natura prettamente aleatoria, dal momento che l’art. 1488 cod. civ., in tema di garanzia per evizione, ammette che il contratto di vendita assuma carattere aleatorio. “Eliminato ogni dubbio sull’

incompatibilità tra contratto a prestazioni corrispettive, quale la vendita, e l’aleatorietà, resta da chiarire quale sia la differenza sostanziale tra l’emptio rei speratae e l’emptio spei, quali sottotipi della vendita di cosa futura. Entrambe le fattispecie hanno ad oggetto diritti futuri, nell’accezione chiarita nei paragrafi precedenti ed entrambe sono caratterizzate da futurità ed incertezza, dal momento che la venuta ad esistenza della cosa è incerta sia nell’ emptio rei speratae che nell’ emptio spei. Il tratto distintivo risiede piuttosto nel modo in cui tali caratteristiche si riversano sui negozi in esame: mentre nella vendita di cosa futura c.d. commutativa, di cui all’art. 1472 cod. civ. primo comma, investono tutto il negozio sia nella fase genetica che funzionale; nella vendita di cosa futura c.d. aleatoria esse investono soltanto una parte di negozio in maniera indipendente dall’ altra”17. Nello specifico nell’ emptio spei i contraenti decidono di disporre di una res di cui l’esistenza non è certa ma solo prevista come possibile, ma contrariamente a quanto avviene nell’ emptio rei speratae, concordemente non vogliono attribuire rilevanza alla mancata realizzazione della situazione prevista.

La conseguenza di questa clausola apposta concordemente dalle parti al contratto, è che se la cosa dovesse venire ad esistenza successivamente, allora l’ emptio spei di certo non muterebbe la sua natura, trasformandosi in una compravendita ordinaria, soltanto perché il compratore abbia conseguito la proprietà della cosa futura; se invece la cosa non dovesse realizzarsi successivamente, il negozio non produrrebbe parte dei suoi effetti obbligatori e reali, ma resterebbe comunque il titolo legittimo relativamente al rapporto obbligatorio avente ad oggetto il pagamento del prezzo18. In conclusione l’emptio spei non è nient’altro che un sottotipo della vendita di cosa futura in cui il

16G. Gazzara, la vendita obbligatoria, Milano, A. Giuffrè, 1957, pag. 163 ss.

17 P. Perlingieri, negozi su beni futuri, Napoli, Jovene, 1962, par. 29

18 G. Gazzara, la vendita obbligatoria, Milano, A. Giuffrè, 1957, pag. 168

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13 compratore si assume ex contractu il rischio della mancata venuta ad esistenza del bene e che si contraddistingue dalla vendita di cosa sperata (c.d. commutativa), ex art 1472 cod. civ. primo comma, per la sua natura essenzialmente aleatoria. Proprio a causa della sua “eccezionalità” rispetto alla compravendita tradizionalmente commutativa, la volontà di tener fermo l’obbligo di pagare il prezzo, anche nel caso in cui la res futura non venga ad esistenza, deve risultare da clausola espressa o comunque da elementi obiettivamente certi.

3 Un contratto eccezionalmente senza oggetto?

Sebbene il legislatore con l’articolo 1472 cod. civ. abbia eliminato ogni dubbio sull’ ammissibilità della vendita di cosa futura (o meglio di diritti futuri), ha lasciato irrisolte le questioni relative alla struttura e alla natura giuridica della figura negoziale in esame. Si tratta di questioni a lungo dibattute in dottrina, che sorgono dalla stretta connessione tra la natura dell’istituto e gli istituti di teoria generale del diritto, quale l’oggetto del negozio. Ai sensi dell’art 1325 cod. civ., affinché la manifestazione di volontà di due o più soggetti possa essere definita come un contratto, è necessario che sussistano i seguenti elementi essenziali: l’accordo, ossia l’incontro di volontà di distinti centri di interesse; la causa, ossia secondo la tesi più seguita in dottrina ed in giurisprudenza la sintesi degli interessi reali sottesi al concreto utilizzo che le parti fanno del contratto; la forma, ossia la modalità di espressione della volontà, che costituisce un requisito essenziale del contratto solo quando è prevista dalla legge a pena di nullità. Relativamente alla vendita di cosa futura, affinché questa sia integrata, è necessario che concorrano, al pari di ogni altra figura contrattuale, tutti i requisiti essenziali elencati tassativamente dall’ art. 1325 cod. civ.. A tal proposito è bene ricordare che la vendita di cosa futura altro non è che una species del genus “vendita”, i cui requisiti essenziali fa propri entro i limiti di compatibilità. Nulla quaestio dunque sulla causa, l’accordo e la forma che, pur essendo proprie della vendita ordinaria sono perfettamente compatibili con la vendita di cosa futura, mentre lo stesso non può dirsi per l’oggetto. Sotto il profilo dell’oggetto, per quanto concerne la vendita ordinaria, di cui all’art. 1470 cod. civ., è fuori dubbio che il contratto sia integrato e valido avendo ad oggetto un bene attuale, ossia un bene esistente al momento della conclusione del contratto, di cui l’acquirente diventerà titolare con la legittima manifestazione del consenso dei contraenti.

Un’analisi più approfondita richiede la vendita di cosa futura: in assenza di un espressa previsione, quale l’art. 1472 cod. civ., si sarebbe potuto dubitare del mancato perfezionamento del contratto per assenza dell’oggetto, perché trattasi di una figura negoziale che ha ad oggetto un bene inesistente giuridicamente o materialmente ab initio. Alla luce dell’art 1472 cod. civ., che prevede espressamente la figura negoziale in esame, ci si chiede se questa previsione legislativa non sia altro che un’eccezione alla regola fondamentale sancita dall’ art 1325 cod. civ., la quale indica, tra i requisiti

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14 essenziali del contratto, l’oggetto. Prima di rispondere all’interrogativo qui sollevato, occorre preliminarmente approfondire la nozione di oggetto del contratto.

3.1 (segue) La nozione di oggetto del contratto: artt. 1325 e 1470 cod. civ.

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’individuazione della nozione di oggetto del contratto rappresenta la chiave di svolta per rispondere al quesito relativo alla struttura del contratto di vendita di cosa futura. La questione si pone in virtù del fatto che il nostro codice non fornisce una definizione normativa di oggetto del contratto, piuttosto si limita ad individuarne i requisiti essenziali di cui all’art. 1346 cod. civ.: possibilità, liceità, determinatezza e determinabilità. La mancanza di questi ultimi determina la nullità del contratto, ex art. 1418, co. 2, cod. civ., al pari della mancanza dell’oggetto nella sua interezza. Spetta dunque all’interprete individuare la nozione di oggetto del contratto, che il nostro legislatore ha ommesso di fornire, attraverso un’interpretazione sistematica delle altre norme sparse nel codice civile, nelle quali il termine “oggetto” ricorre ma con significati non del tutto coincidenti.

“Nello specifico le norme in tema di compravendita, ad esempio gli artt. 1348 e 1472 cod. civ., identificano l’oggetto del contratto con il bene c.d. materiale; l’art.1346 cod. civ. opera una sovrapposizione tra la nozione di oggetto e quella di contenuto, indicando la liceità tra i requisiti dell’oggetto; infine l’ art.1429 cod. civ. il quale sanziona con l’annullabilità il contratto viziato per errore sull’oggetto intendendo per tale la prestazione dedotta nel contratto stesso.

La difficoltà di ricercare un significato univoco per l’oggetto del contratto risiede proprio nella scelta del legislatore di utilizzare il termine oggetto in modo forviante; difficoltà che si traduce in dottrina ed in giurisprudenza in giudicati contrastanti e che spiega la varietà delle soluzioni proposte. La teoria dominante è quella che identifica l’oggetto del contratto con il suo contenuto, e quindi con il complesso delle obbligazioni, dei diritti e degli obblighi che delineano il contratto.

Gli autori parlano, a tal proposito, di oggetto come contenuto sostanziale per contrapporlo al contenuto “formale”, che si identifica invece con il testo del contratto e quindi con l’insieme delle sue dichiarazioni”19. Altri autori continuano invece a ravvisare erroneamente l’oggetto del contratto nella res considerata nella sua entità materiale, rigettando l’opinione di quanti sostengono che invece l’oggetto del contratto si identifichi con tutto ciò che le parti hanno programmato e stabilito20. A seconda della tesi condivisa alcuni autori giungono alla conclusione che l’oggetto della vendita sia costituito dalla cosa e dal prezzo; altri scrittori ritengono che la cosa sia oggetto solo mediato e il

19F. Caringella, L. Buffoni, manuale di diritto civile, IX edizione, Dike Giuridica Editrice, 2018, cit. pag. 795

20F. Caringella, L. Buffoni, manuale di diritto civile, IX edizione, Dike Giuridica Editrice, 2018, pag. 796

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15 diritto sia oggetto immediato; altri ancora individuano l’oggetto immediato nel trasferimento della proprietà e quello mediato nel bene oggetto del trasferimento21.

La tesi che, individua l’oggetto del contratto nella res, muove da un interpretazione letterale dell’art.

1472 cod. civ, il quale parla di vendita “che ha per oggetto una cosa futura”.

A quest’ultima si obietta affermando che, se fosse il bene interessato dall’atto di autonomia privata l’oggetto del contratto, non avrebbe senso parlare rispetto a quest’ultimo di possibilità o liceità.

Invero, l’art. 1346 cod. civ., nel disciplinare i requisiti essenziali dell’oggetto, non allude al bene c.d.

materiale, trattandosi di un elemento esterno del contratto che non può essere di per sé lecito o possibile22.

La tesi, che invece, merita di essere condivisa, ricerca la nozione di oggetto del contratto dalla stessa normativa relativa ai contratti in generale, dalla quale risulta la distinzione tra oggetto del contratto e oggetto del della prestazione. In particolare mentre gli artt. 1347 e 1349 cod. civ. si riferiscono all’oggetto della prestazione, gli artt. 1348 e 1376 si riferiscono alla prestazione come oggetto del contratto.

23La stessa definizione normativa di vendita ex art. 1470 cod. civ. individua espressamente l’oggetto del contratto nel “trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo” e se a ciò poi si aggiunge che solo rispetto alla prestazione ha senso parlare di possibilità e liceità, quali requisiti essenziali dell’oggetto del contratto di cui all’art 1346 cod. civ , senz’altro dovremmo concludere affermando che l’oggetto del contratto deve identificarsi con la prestazione o le attribuzioni patrimoniali dedotte nel contratto stesso, aventi a loro volta ad oggetto un bene considerato non in se stesso ma nella sua giuridica rappresentazione.

Dopo aver analizzato le teorie relative alla nozione di oggetto del contratto, possiamo rispondere al quesito sollevato all’inizio del paragrafo, relativo alla struttura della vendita di cosa futura: chi afferma che essa integra un contratto eccezionalmente senza oggetto, erroneamente aderisce alla tesi che individua l’oggetto del contratto nel bene c.d. materiale o reale, mentre in realtà meriterebbe di essere condivisa l’opinione secondo la quale l’oggetto del contratto risiede nel bene c.d. promesso.

All’opinione di quanti ritengono che la vendita di cosa futura deroghi eccezionalmente all’art. 1325 cod. civ., il quale annovera tra i requisiti del contratto l’oggetto, si obietta affermando che l’oggetto del contratto in esame esiste e risiede per l’appunto nel trasferimento programmato dalle parti e come tale esso integra l’accordo senza che occorra la presenza attuale del bene, sul quale devono cadere gli effetti previsti24.

21A. Luminoso, la compravendita, Torino, VI edizione, G. Giappichelli, 2009, pag. 44

22F. Caringella, L. Buffoni, manuale di diritto civile, IX edizione, Dike Giuridica Editrice, 2018, pag. 796 ss.

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24M. Bianca, la vendita e la permuta, Torino, II edizione, Utet, 1993, pag. 379

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16 4 teorie a confronto sulla natura giuridica della vendita di cosa futura.

Dopo aver approfondito le questioni e le corrispettive soluzioni relative alla nozione e alla struttura della vendita di cosa futura, è necessario procedere ad una disanima delle teorie dottrinali e giurisprudenziali attinenti alla natura giuridica della figura contrattuale in esame:

1- La teoria del negozio a formazione successiva o a consenso anticipato;

2- La teoria del negozio ad efficacia sospesa;

3- La teoria del negozio perfetto ad efficacia obbligatoria.

La questione qui sollevata ha un importanza fondamentale per la sua portata pratica e non dogmatica, dal momento che, come vedremo nei paragrafi successivi, ad ogni interpretazione dottrinale corrisponde una determinata qualificazione giuridica della fattispecie in esame e conseguentemente una distinta disciplina applicabile.

4.1 La teoria del negozio a formazione successiva o a consenso anticipato

Questa teoria arriva a qualificare la vendita di cosa futura come un contratto a formazione successiva, partendo dal presupposto che l’oggetto del contratto si identifichi con il bene c.d. materiale. Secondo questa corrente dottrinale, il contratto sarebbe incompleto al momento della sua nascita, in quanto privo di uno dei suoi elementi essenziali, l’oggetto, e si completerebbe successivamente con la venuta ad esistenza del bene25. A tal proposito occorre fare una precisazione: la teoria in esame non parla di contratto nullo per assenza dell’oggetto ex art. 1418 cod. civ., ma di contratto a formazione successiva per inversione dell’ ordine cronologico dei suoi elementi essenziali. Invero, sempre secondo questa corrente dottrinale, che il contratto non sia completo per avere ad oggetto un bene inesistente al momento della sua conclusione è evidente, ma è altrettanto evidente che non si possa parlare di contratto nullo, quanto piuttosto di contratto a formazione progressiva, per l’avvenuto perfezionamento dello stesso in forza dell’accordo o meglio per la manifestazione del consenso, che in questo caso è eccezionalmente precedente all’oggetto. La teoria sostiene che la ragione della validità del contratto risieda nella facoltà delle parti di un negozio giuridico di dedurre all’interno del contratto soltanto alcuni degli elementi essenziali dello stesso e nella possibilità di lasciare sospesi gli altri elementi necessari al perfezionamento dell’intera fattispecie negoziale26. Il contratto, dunque, pur essendo validamente concluso, risulta incompleto ed in quanto tale inefficace, ossia non suscettibile di produrre gli effetti giuridici tipici della compravendita: in specie non si verifica il trasferimento del diritto e le parti stesse per prime non vogliono che ciò avvenga immediatamente,

25 F. Caringella, L. Buffoni, manuale di diritto civile, IX edizione, Dike Giuridica Editrice, 2018, pag. 809

26 D. Rubino, la compravendita, Milano, III edizione, A. Giuffrè, 1971, pag. 148

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17 perché sono consapevoli che questo non può avvenire; non si verificano nemmeno gli effetti obbligatori definitivi della compravendita, quali il pagamento del prezzo, a meno che le parti non abbiano disposto diversamente nel contratto tramite apposita previsione e la consegna della cosa. Ciò non significa che medio tempore, ossia dalla formazione del consenso fino al completamento definitivo del contratto con la nascita del diritto, la fattispecie negoziale in esame non produca alcun effetto o che non sussista alcun obbligo a carico delle parti.

Si tratta tuttavia di effetti e obblighi preliminari della fattispecie in fieri che hanno una funzione meramente transitoria e cioè la funzione di assicurare il completamento del contratto.

Rientra nel novero degli effetti preliminari in primo luogo il vincolo di irrevocabilità di cui all’

art.1372 cod. civ.: le parti, fin quando non abbiano la certezza che la res futura non possa venire definitivamente ad esistenza, restano legate al consenso già formatosi e non possono più svincolarsi unilateralmente; in secondo luogo l’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede affinché il contratto giunga a completamento di cui all’art 1337 cod. civ.; in terzo luogo l’obbligo del venditore di far acquistare al compratore il diritto sulla cosa di cui all’art. 1476 n. 2 cod. civ., ossia di non impedire o di far sì che la cosa, dedotta nel contratto, venga ad esistenza, la cui violazione determina solo una responsabilità precontrattuale a carico del venditore.

A tal proposito occorre sottolineare che, secondo la corrente dottrinale in esame, l’obbligazione relativa alla futura nascita del diritto venduto avrebbe sempre un contenuto negativo e graverebbe su entrambe le parti contraenti, cioè anche sul compratore. La ragione di tale convincimento risiederebbe nella constatazione che la regola dettata all’art. 1478 primo comma cod. civ., la quale per la vendita di cosa altrui pone a carico del venditore un’obbligazione dal contenuto positivo, non possa essere applicata per analogia alla vendita di cosa futura, perché riguarda solo ed esclusivamente la vendita di cosa altrui e non è ripetuta nell’art. 1472.

Anzi nella vendita di cosa futura, ad avviso degli autori che aderiscono a questa teoria, sarebbe corretto ritenere che il contenuto positivo di questa obbligazione vada provato e non lo si possa presumere nel dubbio. Se il bene venisse ad esistenza il contratto si completerebbe e sarebbe suscettibile di produrre i suoi effetti tipici ex nunc e non ex tunc, in quanto perfetto ed efficace.

A tal proposito è necessario fare una precisazione: se il contratto fosse soggetto a trascrizione avendo ad oggetto un bene mobile registrato o un bene immobile, la trascrizione sarebbe possibile solo dopo che la cosa sia venuta ad esistenza e questo proprio perché prima di quel momento il contratto sarebbe incompleto Qualora invece la res futura non dovesse venire definitivamente ad esistenza, il contratto resterebbe incompleto e si aprirebbe la strada alla disciplina della ripetizione dell’indebito per eventuali acconti sul prezzo, da considerarsi sine causa, dal momento che scaturiscono da un contratto non perfezionatosi.

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18 Se la mancata venuta ad esistenza della res futura non fosse imputabile ad alcuna delle parti contraenti, allora non si avrebbe alcuna conseguenza ulteriore; in caso contrario la parte inadempiente sarebbe tenuta al risarcimento del danno, il quale non si estenderebbe all’interesse positivo ma sarebbe limitato all’interesse negativo, ossia alle spese sostenute per il compimento dell’atto, alle occasioni perdute dal compratore di stipulare un contratto analogo con altre persone e ai sacrifici eventualmente sostenuti dall’acquirente per mettersi nelle condizioni di pagare il prezzo del contratto stesso.

La responsabilità nella incorrerebbe la parte inadempiente sarebbe dunque di natura precontrattuale ex art. 1338 cod. civ. Questa ricostruzione della vendita di cosa futura non trova alcun fondamento né nella legge né nella logica: l’art. 1348 cod. civ., del quale l’art. 1472 cod. civ. è un’applicazione specifica, dice testualmente che “la prestazione di cose future può essere dedotta in contratto”.

Le due disposizioni, se interpretate correttamente, stanno a significare che l’oggetto del contratto di vendita può essere costituito da una cosa futura e non implicano che le parti sono autorizzate ad emettere le loro dichiarazioni di volontà in un momento precedente a quello del sopravvenire dell’oggetto del contratto; di modo che, anche se la cosa non esiste, deve invece considerarsi esistente l’oggetto, che è costituito per l’appunto da una cosa futura27. La tesi fin qui esaminata non ha avuto un largo seguito proprio per la mancanza di tutela dell’acquirente, nel caso di mancata venuta ad esistenza del bene dedotto nel contratto: non sarebbe possibile il rimedio della responsabilità contrattuale né tantomeno quello della trascrizione e tutto questo renderebbe la fattispecie in esame poco funzionale rispetto agli interessi da tutelare.

Le critiche, che le sono stata mossa da altre correnti dottrinali, riguardavano, in primo luogo, la sua contraddittorietà: se si sostiene che la vendita di cosa futura si configura come un contratto a formazione successiva, non si può allo stesso tempo sostenere che questa integra un contratto concluso in forza del consenso anticipato rispetto all’oggetto, dal quale sorgono soltanto effetti ed obblighi preliminari; delle due una28; in secondo luogo la sua premessa, ossia proprio il presupposto del suo convincimento: l’identificazione dell’oggetto del contratto con il bene c.d. materiale.

A tesi la dottrina dominante, come vedremo nei paragrafi successivi, replica che la vendita di cosa futura non sia un contratto privo di oggetto ab initio e per questo a formazione successiva, trattandosi piuttosto di contratto perfetto e completo in tutti i suoi elementi fin dal principio, indipendentemente dalla venuta ad esistenza del bene.

27 G. Gazzara, la vendita obbligatoria, Milano, A. Giuffrè, 1957, pag. 171

28 P. Perlingieri, negozi su beni futuri, Napoli, Jovene, 1962, par. 13

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19 4.2 La teoria del negozio ad efficacia sospesa.

Dopo aver proceduto alla disanima dei presupposti e delle conclusioni di quella corrente dottrinale che sostiene che la vendita di cosa futura sia un negozio a formazione successiva o a consenso anticipato, possiamo procedere alla disanima della teoria, che ha avuto maggior successo della prima sia in dottrina sia in giurisprudenza, secondo la quale la figura contrattuale in esame non è altro che un negozio ad efficacia sospesa. Questa seconda ricostruzione muove dalla possibilità di elevare al rango di elemento accidentale la venuta ad esistenza della cosa e rappresenta uno dei tentativi volti a spiegare la natura giuridica della vendita di cosa futura utilizzando il meccanismo condizionale.

La teoria in esame si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, che qualifica la vendita di cosa futura come una vicenda negoziale conclusa ab initio direttamente attributiva dello ius ad habendam rem nel momento in cui la cosa venga ad esistenza29.

Dunque non un contratto a formazione successiva o a consenso anticipato ma un contratto perfetto, ossia completo in tutti i suoi elementi costitutivi, fin dal momento della sua conclusione che si distingue dalla vendita ordinaria di cui all’ art. 1470 cod. civ. per il differimento dell’effetto traslativo alla venuta esistenza della cosa. Tale opinione dottrinale si distingue da quella che esamineremo nel paragrafo successivo, secondo la quale la vendita di cosa futura è un negozio perfetto ad efficacia obbligatoria, per l’identificazione della venuta esistenza della cosa con un evento futuro ed incerto al quale è subordinato sospensivamente il contratto. Nel ravvisare nella venuta esistenza della cosa una condizione rispetto alla quale è subordinata l’efficacia del contratto, si apre la questione relativa alla natura di tale condizione: condicio facti o condicio iuris? è ormai pacifico in dottrina che non si possa parlare con riguardo alla vendita di cosa futura di condizione volontaria dal momento che l’art. 1472 cod. civ., in quanto norma cogente ed inderogabile, non attribuisce alle parti il potere di subordinare l’effetto traslativo immediato, tipico della vendita ordinaria, ad un evento futuro e incerto diverso dalla venuta ad esistenza della cosa; piuttosto è lo stesso legislatore a prevedere espressamente l’evento condizionante. Sembra più corretto parlare di condicio iuris proprio perché dettata dalla volontà del legislatore e non da quella delle parti: la conseguenza è che essa si pone come un limite rispetto all’autonomia privata, in quanto requisito necessario di efficacia del contratto30.

Secondo questa ricostruzione dunque la vendita di cosa futura sarebbe un contratto strutturalmente perfetto, perché completo degli elementi essenziali di cui all’ art. 1325 cod. civ., ma ad efficacia sospesa perché insuscettibile di produrre l’effetto traslativo fino all’avveramento della condizione, quale la venuta ad esistenza della cosa. La qualificazione della vendita di cosa futura come contratto condizionato, in quando sospensivamente subordinato alla venuta esistenza della cosa, comporta

29 Cass. Civ., 22.10.2010, n. 21739

30 F. Caringella, L. Buffoni, manuale di diritto civile, IX edizione, Dike Giuridica Editrice, 2018, pag. 826

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20 l’applicazione della corrispondente disciplina entro i limiti di compatibilità. In particolare si ritengono perfettamente applicabili ed operativi gli obblighi “preliminari” la cui fonte risiede in un contratto perfetto, quale è la vendita di cosa futura: in pendenza della condizione, ossia fino quando la cosa non venga ad esistenza, l’alienante è tenuto ad un assumere un comportamento ispirato a buona fede e correttezza al fine di conservare integre le ragioni dell’acquirente ai sensi dell’art. 1358 cod. civ. e altresì obbligato a non impedire l’avveramento della condizione, la venuta ad esistenza della cosa, ai sensi dell’art. 1359 cod. civ..

Le critiche mosse a questa ricostruzione sono state innumerevoli: in primis, si osserva che se si accettasse che la vendita di cosa futura configuri un negozio condizionato, allora si dovrebbe ridimensionare l’obbligo dell’alienante di procurare l’acquisto del diritto sulla cosa al compratore, di cui all’ art 1476 n.2 cod. civ., ad un obbligo dal contenuto unicamente negativo: impedire che la cosa non venga ad esistenza.

Si tratta di una ricostruzione inaccettabile proprio perché contrasta con la lettera della disposizione, la quale invece lascia pensare ad un comportamento positivo e non negativo, che si sostanzia nel far in modo che la cosa venga ad esistenza. In secundis, se si condividesse questa interpretazione della fattispecie in esame, si opererebbe una trasposizione e una confusione tra piani giuridici diversi: si convertirebbe in una qualificazione di inefficacia quello che è un momento dell’esecuzione del contratto, facendo scomparire l’obbligazione immediata del venditore di far acquistare il diritto al compratore.

4.3 La teoria del negozio perfetto ad efficacia obbligatoria.

Quest’ultima ricostruzione ha avuto senz’altro maggior seguito e fonda il suo ragionamento nell’operatività immediata del vincolo contrattuale relativamente all’impegno traslativo dell’alienante31. Non bisogna dimenticare che la venuta ad esistenza del bene non è un semplice evento futuro ed incerto rispetto al quale le parti devono comportarsi in modo tale da evitare che non si verifichi, ma è l’obiettivo di cui si è assunto l’impegno la parte che l’ha promesso.

L’immediata produttività degli effetti della vendita di cosa futura induce a respingere sia la tesi di quanti ritengono che la fattispecie integri un contratto a formazione successiva o a consenso anticipato in forza dell’assenza e incompletezza dell’oggetto iniziale, sia la tesi di quanti ravvisano nella vendita di cosa futura un contratto ad efficacia sospesa fino all’ avveramento dell’evento futuro ed incerto, quale la venuta ad esistenza della cosa.

A tal proposito è opportuno precisare che sia nella vendita di cosa futura sia in un contratto sottoposto a condizione sospensiva l’effetto traslativo non si realizza immediatamente ma in un momento

31M. Bianca, la vendita e la permuta, Torino, II edizione, Utet, 1993, pag. 380

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21 successivo alla formazione del contratto, allorquando, rispettivamente, intervenga l’adempimento dell’obbligazione posta a carico delle parti o l’avveramento dell’evento futuro ed incerto, a cui è subordinato sospensivamente il contratto. Mentre tuttavia la condizione determina, quale effetto imprescindibile, la sospensione di tutti gli effetti ad eccezione di quelli preliminari, la vendita determina l’assunzione da parte del venditore dell’obbligo di trasferire la cosa e da parte del compratore di pagarne il prezzo, realizzando un contratto completo in tutti i suoi elementi ed idoneo a realizzare l’effetto reale in futuro.

Questa ricostruzione consente di qualificare la vendita di cosa futura come un contratto obbligatorio ed efficace, fin dal momento della sua conclusione e muove dal presupposto che l’oggetto del contratto risieda nell’obbligo delle parti di far sì che la cosa venga ad esistenza, ossia nel bene c.d.

promesso inteso nella sua giuridica rappresentazione e non come entità materiale.

Se si ripudia l’idea che la venuta esistenza del bene sia in realtà una condizione apposta al contratto, rispetto alla quale il venditore è tenuto ad assumere un mero comportamento negativo, si ammette conseguentemente l’esistenza in capo a quest’ ultimo di un obbligo a contenuto positivo, ossia dell’obbligo di porre in essere tutte le attività necessarie per procurare all’acquirente l’acquisto del diritto sulla cosa dedotta nel contratto. La conseguenza della qualificazione della vendita di cosa futura come vendita obbligatoria e della sussistenza in capo al venditore di un obbligo positivo e attivo è la responsabilità contrattuale, nel caso in cui si accerti che la cosa non sia venuta ad esistenza per causa a lui a imputabile. Dunque il contratto è perfetto fin dal momento della sua conclusione e suscettibile di produrre gli effetti giuridici ad esso collegati anche se l’effetto reale è differito al momento in cui la cosa viene ad esistenza. Dunque un negozio ad immediati effetti obbligatori e ad effetto reale differito.

Le ragioni per le quali la teoria in esame ha avuto maggior successo sono le seguenti:

1. La capacità di offrire una maggior tutela all’acquirente: il suo diritto al risarcimento è comprensivo non solo del danno per violazione dell’interesse negativo ma anche di quello per violazione dell’interesse positivo ossia del suo interesse all’ esecuzione del contratto;

2. La possibilità della trascrizione;

3. La previsione di una responsabilità contrattuale e conseguentemente l’esperibilità dell’azione di risoluzione per inadempimento, se la mancata venuta ad esistenza del bene è imputabile soggettivamente al venditore; in caso contrario l’esperibilità dell’azione di risoluzione per impossibilità sopravvenuta.

In conclusione, nella vendita obbligatoria si hanno, dunque, in ordine successivo due diversi effetti:

l’effetto obbligatorio e l’effetto reale.

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22 Il primo, nasce al momento della conclusione del contratto, quale conseguenza diretta della manifestazione del consenso delle parti e comprende: l’irrevocabilità ex art. 1372 cod. civ.; l’obbligo del venditore di procurare al compratore l’acquisto del diritto sulla cosa, ex art. 1476 n.2 cod. civ., ed il corrispettivo obbligo del compratore di pagare il prezzo, ex art 1498 cod. civ..

Il secondo, che consiste nel trasferimento del diritto, si realizza in un momento successivo, quando la cosa viene ad esistenza, per il quale non è necessario un ulteriore atto.

Entrambi gli effetti sopra descritti infatti hanno un’unica fonte: il contratto posto in essere dalle parti.

In altri termini anche la vendita di cosa futura, quale negozio perfetto ad efficacia obbligatoria o meglio ad efficacia traslativa differita, ha natura di un contratto consensuale e non reale, dal momento che la venuta ad esistenza della cosa appartiene non alla fase formativa del contratto ma a quella esecutiva32. Sembra necessario tuttavia sottolineare che il contratto, pur avendo raggiunto la perfezione sotto il profilo strutturale, è insuscettibile di produrre non solo l’effetto reale ma anche alcuni effetti obbligatori che concernono direttamente la cosa almeno fino a quando questa non venga ad esistenza: l’obbligo di consegna, che presuppone come antecedente logico il trasferimento, non può avere attuazione senza la cosa da consegnare; l’obbligo di garanzia per vizi o difetti non sorge se manca la cosa ai quali andrebbero in ipotesi riferiti; l’obbligo di garanzia per evizione non nasce perché presuppone l’esistenza della titolarità del diritto33.

5 Forma e pubblicità della vendita di cosa futura.

Una volta chiarito che la vendita di cosa futura non è nient’altro che una species del tipo contrattuale

“vendita” di cui all’art.1470 cod. civ., ne consegue l’applicabilità del medesimo regime di forma e pubblicità riferito al contratto di vendita in genere. Se dunque il contratto abbia ad oggetto un bene immobile, il relativo accordo dovrà essere stipulato per iscritto a pena di nullità, ai sensi dell’art.1350 cod. civ. Nulla quaestio se la res futura fosse un bene mobile, dal momento che in questo caso il contratto sarebbe valido anche se non stipulato per iscritto; se invece la res futura fosse un bene immobile, il contratto sarebbe nullo se le parti non rispettassero il requisito della forma scritta ad substantiam. Tale assunto è ormai pacifico sia in dottrina sia in giurisprudenza: “ la vendita immobiliare esige ad substantiam la forma scritta anche se abbia ad oggetto una cosa futura, in quanto l’effettivo acquisto della proprietà, che si verifica non appena la cosa viene ad esistenza non comporta un ulteriore atto di trasferimento, ma unicamente la mera esecuzione del precedente contratto”34. La necessità della forma scritta della vendita di beni immobili futuri è stata ribadita dalla Suprema Corte anche nell’ipotesi in cui le parti stipulino un accordo con cui risolvere il contratto di vendita

32 F. Caringella, L. Buffoni, manuale di diritto civile, IX edizione, Dike Giuridica Editrice, 2018, pag. 1185

33 G. Gazzara, la vendita obbligatoria, Milano, A. Giuffrè, 1957, pag. 174

34 Cass. Civ. 29.5.80, n. 3538

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23 precedentemente concluso: “ la vendita di cosa futura, pur non comportando il passaggio della proprietà della cosa al compratore simultaneamente e per effetto della semplice manifestazione del consenso non costituisce un negozio a formazione progressiva, suscettibile soltanto di effetti preliminari, ma configura una ipotesi di contratto definitivo di vendita obbligatoria, di per sé idoneo e sufficiente a produrre l’effetto traslativo della proprietà al momento in cui la cosa verrà ad esistenza, a norma dell’art. 1472 c.c.(…)La compravendita definitiva di un immobile futuro rientra quindi nella dizione di cui all’art. 1350 n.1 c.c., e, propriamente, tra i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili(…)Da ciò consegue che il contratto definitivo di vendita di immobile futuro deve, a norma dell’art.1350 c.c., rivestire ad substanciam, la forma scritta. Ciò premesso, il Collegio, ribadendo, peraltro, un principio già affermato da questa Corte Suprema, ritiene che l’accordo risolutorio di un contratto per il quale sia richiesta ad substantiam la forma scritta debba rivestire a pena di nullità la stessa forma, perché le esigenze che sono a fondamento della prescrizione della forma scritta con riguardo a detto contratto sussistono anche per l’accordo risolutorio di esso”35. Non può dirsi che sia altrettanto pacifica la questione relativa alla trascrivibilità della vendita di cosa futura avente ad oggetto un bene immobile. Come vedremo nel capitolo successivo, l’art.1376 cod.

civ., relativamente ai contratti ad effetti reali, sancisce il principio del consenso traslativo, in forza del quale il diritto oggetto del contratto si trasferisce per effetto del consenso legittimamente manifestato.

Tale principio presuppone che l’alienante sia il titolare del diritto che trasmette e che tale diritto possa essere alienato. Se invece l’alienante non è titolare del diritto oggetto del contratto, perché lo ha già alienato ad altri o perché non ne è mai stato titolare, il principio del consenso traslativo non opera e il compratore non acquista la titolarità del diritto venduto.

Ma se il diritto non viene acquistato dal compratore perché venduto precedentemente dall’alienante ad un terzo e questi non ha provveduto a trascrivere il relativo contratto, il secondo compratore può opporre il suo acquisto a non domino al primo acquirente trascrivendo per primo ai sensi dell’art.

2644 cod. civ. Alla luce della seguente premessa la questione relativa alla trascrivibilità della vendita di beni immobili futuri assume un’importanza fondamentale, dal momento che essa stessa assurge a criterio idoneo a risolvere i conflitti tra più potenziali acquirenti.

La risposta a questo interrogativo dipende da un punto di vista logico sia dalla qualificazione giuridica della vendita di cosa futura sia dalla controversa questione relativa all’oggetto della trascrizione: atti o effetti degli atti? Se si ammette che l’oggetto della trascrizione si indentifichi con l’atto, allora senz’altro si deve ammettere che la vendita di bene immobile futuro sia trascrivibile: trattasi di un

35 Cass. Civ. 6.11.91, n. 11840

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