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La trascrizione del contratto preliminare e gli effetti che da questa scaturiscono sono disciplinati dall’art. 2645 bis cod. civ.

La disposizione in esame risponde perfettamente all’esigenza di tutelare il diritto all’acquisto del promissario acquirente e le somme da questi corrisposte, prima che il bene immobile venga ad esistenza, contro taluni rischi che si sostanziano nell’aver posto in essere più atti di disposizione sul bene promesso da parte del promittente venditore, incompatibili con l’adempimento della promessa;

113 nel compimento di atti di esecuzione sul bene da parte dei creditori del promittente e, più in generale, nella mancata esecuzione del contratto preliminare.

L’ambito applicativo della disposizione è limitato ai contratti preliminari aventi ad oggetto diritti reali e non si estende in via interpretativa anche ai preliminari relativi a bene mobili registrati.

Il secondo comma della disposizione in esame, nel disciplinare l’effetto della trascrizione, stabilisce che “la trascrizione del contratto definitivo o di ogni altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1, ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare”.

Ma il comma successivo stabilisce che gli “effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all’art. 2652, primo comma numero due”.

Le disposizioni in esame sollevano molte questioni interpretative, tra le quali assume un’importanza fondamentale quella relativa all’idoneità della trascrizione del contratto preliminare di produrre un’efficacia prenotativa o dichiarativa; quella relativa all’impatto che i vizi del contratto preliminare o della sua trascrizione avrebbero sull’efficacia del contratto definitivo; quella che attiene alla corrispondenza dell’immobile oggetto del contratto preliminare all’immobile effettivamente venduto al fine della prevalenza della trascrizione del contratto definitivo in un eventuale conflitto; quella relativa all’individuazione del momento in cui la trascrizione del contratto preliminare inizia a produrre i suoi effetti237.

La prima questione, relativa dunque all’efficacia prenotativa o dichiarativa della trascrizione del contratto preliminare, sembra che sia stata risolta dalla relazione al d.l. n. 31.12.1996, n. 669, convertito nella l. 28.2.1997, n.30, che qualifica espressamente l’effetto della trascrizione del contratto preliminare come effetto prenotativo. Questa conclusione è giustificata se si considera il contratto preliminare non come un contratto autonomo ma piuttosto come una fase del procedimento che nasce dal preliminare stesso e che è destinato a trasformarsi, grazie al meccanismo previsto dall’art. 2932 cod. civ., in un negozio ad effetti reali. Per individuare dunque nel contratto preliminare un contratto prodromico di una vicenda negoziale finalizzata alla produzione di effetti reali, bisogna prendere in considerazione l’operazione negoziale nella sua interezza238.

237S. Cardarelli, l’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, Milano, A. Giuffrè, 2009, pag.

400

238S. Cardarelli, l’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, Milano, A. Giuffrè, 2009, pag.401

114 La tesi che sostiene che la trascrizione del contratto preliminare abbia un effetto prenotativo della successiva trascrizione del contratto definitivo incontra anche il favore della dottrina prevalente.

Invero dall’ interpretazione letterale del secondo comma dell’art. 2645 bis (che afferma la prevalenza del contratto definitivo sulle trascrizioni e iscrizioni successive alla trascrizione del contratto preliminare) sembra evidente che “l’efficacia dichiarativa della trascrizione del contratto definitivo retroagisca alla trascrizione del contratto preliminare”239. Sarebbe dunque la stessa disposizione in esame ad avvalorare la tesi dell’efficacia prenotativa della trascrizione del preliminare ai fini della opponibilità del successivo contratto definitivo.

Da questa ricostruzione discende logicamente che l’acquisto dell’acquirente, conseguenza del contratto definitivo, è opponibile dalla data della trascrizione del contratto preliminare, ex tunc, e non da quella della trascrizione del contratto definitivo, ex nunc.

La idoneità della trascrizione del contratto preliminare a produrre l’effetto prenotativo comunque non comporta anche la retroattività dell’effetto traslativo ma soltanto la retroattività degli effetti della trascrizione al fine di risolvere un eventuale conflitto tra più acquirenti dallo stesso dante causa.

In conclusione, “la trascrizione del contratto preliminare prenota l’effetto dichiarativo di quella del successivo contratto definitivo”240.

Non merita di essere condivisa l’opinione di quanti ritengono che la trascrizione abbia un effetto autonomo di opponibilità e che l’art. 2645 bis consideri il preliminare di vendita come una vendita obbligatoria. L’argomento da cui prende le mosse questa conclusione è che l’irretroattività dell’effetto traslativo prodotto dal contratto definitivo ostacola la retroattività della sua trascrizione al momento della trascrizione del contratto preliminare241.

Secondo questa corrente dottrinale l’inidoneità della trascrizione del preliminare di produrre l’effetto prenotativo sarebbe imposta da un esigenza di coerenza sistematica; cosa questa senz’altro condivisibile ma che di certo non può costituire l’argomento decisivo per rigettare la tesi dell’efficacia prenotativa.

Le disposizioni che devono essere considerate per risolvere questo dubbio interpretativo sono le seguenti:

239S. Cardarelli, l’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, Milano, A. Giuffrè, 2009, cit., pag. 401

240S. Cardarelli, l’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, Milano, A. Giuffrè, 2009, cit., pag. 402

241S. Cardarelli, l’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, Milano, A. Giuffrè, 2009, pag.405

115 a) L’art. 2645 bis, co. 2, che afferma la prevalenza del contratto definitivo sulle iscrizioni o trascrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare;

b) L’art. 2644, co. 1, che afferma la prevalenza dei terzi che hanno acquistato diritti sugli immobili in base ad un atto trascritto o iscritto prima della trascrizione degli atti di cui all’art.

2643 cod. civ.

c) L’art. 2645 bis, co. 2, nella misura in cui non richiama l’art. 2644 cod. civ. quando stabilisce il criterio per la risoluzione di conflitti tra potenziali acquirenti aventi causa dal promittente venditore242.

Dalle disposizioni di cui sopra sembra evidente che la tesi che rinnega l’efficacia prenotativa della trascrizione non poggi su alcun dato normativo.

Anzi sarebbero proprio questi dati normativi ad indurre l’interprete a risolvere diversamente la questione qui posta.

È vero che secondo la disciplina codicistica l’effetto traslativo di un contratto non può retroagire ad un momento antecedente alla sua conclusione, ma ciò non significa che anche la trascrizione del contratto non possa retroagire purchè questa non determini l’anticipazione dell’effetto traslativo ma unicamente la sua opponibilità ad atti trascritti prima della conclusione del contratto che realizzi il trasferimento della proprietà.

L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare è ammissibile solo nella misura in cui sussista un effettivo collegamento negoziale tra il contratto preliminare e il contratto definitivo, ossia quando le prestazione dedotte nel secondo costituiscano l’adempimento di quelle dedotte nel primo243.

È tuttavia raro che ci sia un esatta corrispondenza tra il contratto preliminare ed il contratto definitivo, dal momento che è possibile ed anzi accade spesso che il contratto preliminare sia stipulato per persona da nominare e che il contratto definitivo preveda come acquirente finale una persona diversa dall’originario promissario acquirente. È anche possibile che le parti non rispettino il termine concordato nel preliminare per la stipula del definitivo o che il bene promesso in vendita non rispecchi il bene effettivamente venduto. In queste ipotesi la dottrina si è chiesta se l’operatività dell’efficacia prenotativa non sia esclusa.

242S. Cardarelli, l’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, Milano, A. Giuffrè, 2009, pag.

406

243S. Cardarelli, l’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, Milano, A. Giuffrè, 2009, pag.413

116 In primo luogo, il mancato rispetto del termine convenuto dalle parti per la stipula del contratto definitivo non ostacola l’operatività dell’efficacia prenotativa se la trascrizione del contratto preliminare non ha ancora cessato di produrre i suoi effetti ex art. 2645 bis, co. 3.

In secondo luogo, le eventuali difformità tra il contratto preliminare ed il contratto definitivo relative alle parti sono irrilevanti e di conseguenza non rappresentano un ostacolo all’operatività dell’efficacia prenotativa della trascrizione se non si traducano in nuovo accordo contrattuale.

Di conseguenza l’acquisto dell’acquirente sarà opponibile agli acquisti incompatibili trascritti dopo la trascrizione del contratto preliminare anche nel caso di cessione del contratto o di stipula del preliminare per persona da nominare.

Maggior perplessità solleva invece l’ipotesi in cui il bene promesso in vendita non sia conforme al bene effettivamente venduto. Secondo una parte della dottrina la prevalenza del contratto definitivo sulle trascrizioni ed iscrizioni successive alla trascrizione del preliminare sarebbe salva sia nel caso in cui l’immobile oggetto del contratto definitivo comprendesse solo una porzione od una quota dell’immobile oggetto del contratto preliminare sia nel caso in cui il fabbricato venduto presentasse caratteristiche costruttive o una destinazione d’uso tali da renderlo difforme dall’immobile previsto nel contratto preliminare244. Nel caso in cui, invece, il bene fosse venduto in una quantità maggiore rispetto a quella prevista dal contratto preliminare, l’efficacia prenotativa della trascrizione sarebbe destinata ad operare solo per la quota immobiliare dedotta nel contratto preliminare stesso.

Invero l’ipotesi della difformità quantitativa del bene venduto da quello promesso in vendita è disciplinata dall’art. 2645 bis, co. 4 e co. 5 cod. civ.

Il quarto comma della disposizione in esame prescrive che per la trascrizione del contratto preliminare avente ad oggetto porzioni di edifici da costruire o in corso di costruzione è necessaria l’indicazione della superficie utile della porzione di edificio e la quota del diritto spettante al promissario acquirente relativa all’intero costruendo edificio espressa in millesimi. Il comma successivo stabilisce che l’eventuale difformità di superficie o di quota, di cui al comma 4, non produce effetti se contenuta nei limiti di un ventesimo rispetto a quelle indicate nel contratto preliminare.

Alla domanda se la difformità superiore ad un ventesimo ostacoli integralmente l’efficacia prenotativa della trascrizione del preliminare, la dottrina ha risposto in senso negativo, limitando però l’operatività di quest’ultima alla solo alla porzione di immobile corrispondente a quella promessa in vendita, individuata sulla base degli elaborati di progetto allegati al contratto preliminare245.

244S. Cardarelli, l’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, Milano, A. Giuffrè, 2009, pag.418

245S. Cardarelli, l’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, Milano, A. Giuffrè, 2009, pag.420

117 Secondo la dottrina, ai fini della corrispondenza tra il bene venduto e quello promesso in vendita, sarebbero irrilevanti sia la differenza quantitativa sia la diversità del diritto acquistato da quello oggetto del contratto preliminare purché in esso compreso. La conseguenza è anche in queste ipotesi l’acquirente sarebbe tutelato contro eventuali acquisti incompatibili aventi causa dal promittente alienante dall’efficacia prenotativa della trascrizione del preliminare.

Il dubbio interpretativo relativo alla conformità dell’oggetto del contratto definitivo all’oggetto del contratto preliminare è stata affrontato da ultimo anche dalla giurisprudenza, la quale ha individuato, come criterio risolutivo della questione controversa, quello della “precisa correlazione”.

Secondo la Corte di Cassazione se l’appartamento oggetto del contratto preliminare è stato realizzato con caratteristiche strutturali e funzionali del tutto diverse da quelle precisate in tale contratto e non per elementi secondari ma per radicali difformità246 verrebbe meno la precisa correlazione e conseguentemente l’acquirente non beneficerebbe dell’effetto prenotativo della trascrizione.

La conclusione della Corte di Cassazione è in evidente contrasto con l’interpretazione della dottrina, perché farebbe venir meno l’identità del bene anche quando l’immobile venduto costituisca una porzione di quello promesso in vendita con conseguente inoperatività degli effetti della trascrizione.

È importante sottolineare che se venisse condivisa questa interpretazione, il rischio al quale si andrebbe incontro è che il costruttore potrebbe facilmente frustrare gli effetti della trascrizione del contratto preliminare frazionando le unità immobiliare promesse in vendita.

Appare senza dubbio preferibile il criterio interpretativo proposto dalla dottrina che fa salvo l’effetto prenotativo della trascrizione del preliminare anche se l’immobile venduto costituisca una porzione dell’immobile promesso in vendita.

246 Cass. Civ., 18.05.2001, n. 6851

118 CAPITOLO IV

COMPRAVENDITA DI COSA FUTURA E APPALTO: CRITERI DISTINTIVI.

1 Le differenze a livello teorico.

Dati i confini apparentemente evanescenti della compravendita di cosa futura, si rende necessaria un’analisi approfondita sulla questione problematica relativa alla differenza giuridica e strutturale tra la vendita di res futura ed il contratto d’appalto. La linea è molto sottile ed occorre preliminarmente individuare una definizione delle fattispecie contrattuali suddette e successivamente i criteri deputati a distinguere l’uno dall’altro contratto.

La questione era già stata affrontata dai giuristi romani, in particolare, dalle scuole dei Sabiniani e dei Proculiani, i quali riconducevano la locatio operarum assieme alla locatio conductio e alla locatio operis nell’ampio genus della locatio247. In realtà le scuole giuridiche suddette fornivano una soluzione diversa della controversa problematica, muovendo tuttavia dal medesimo presupposto e ossia che il soggetto deputato alla realizzazione dell’opera fosse anche il fornitore dei materiali necessari al completamento dell’opera stessa. In questa ipotesi se da un lato i Proculeiani sostenevano che il negozio integrasse gli estremi della locazione d’opera; dall’ altro lato i Sabiniani sostenevano che si trattasse di vendita. Una soluzione diversa veniva prospettata da Cassio Longino, il quale invece riteneva che il negozio integrasse contestualmente sia gli estremi della vendita sia quelli della locazione d’opera, trattasi tuttavia di un’opinione isolata e non condivisa. Invero, le opinioni dominanti erano quelle dei Sabiniani e dei Proculeiani: secondo i primi il contratto con il quale l’appaltatore si obbliga nei confronti del committente a realizzare un’opera con propri materiali verso un determinato corrispettivo integra un contratto di vendita; secondo gli altri il contratto in commento si configura invece come locazione d’opera.

Tutto ciò per dire che trattasi di una questione di difficile risoluzione fin dal periodo classico della giurisprudenza romana e che tutt’ora si impone all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza.

Prima di entrare nel vivo della questione individuando i criteri pratici distintivi tra le due fattispecie contrattuali in esame, occorre innanzitutto fornire a livello teorico una definizione della vendita di cosa futura e dell’appalto perché essa stessa rappresenta il punto di partenza e la chiave di svolta per distinguere i contratti in esame. La vendita di cosa futura, come abbiamo già visto nel primo capitolo del presente lavoro, è un contratto con il quale l’alienante si obbliga nei confronti dell’acquirente a trasferirgli la proprietà di un bene, non appena questo venga ad esistenza, verso un determinato corrispettivo, ex art. 1472 cod. civ.; l’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con

247Agnese Andrea, Appalto o vendita di cosa futura? Un problema di redazione di contratti di impresa, 08.11.2011, disponibile su www.altalex.com

119 organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro ex art. 1655 cod. civ. Già dalle definizioni dettate dal codice civile risulta evidente che i due contratti si distinguono a livello teorico per le obbligazioni poste a carico dei contratti, per gli effetti che sono deputati a realizzare e per la causa ad essi sottostante.

1. la compravendita di cosa futura è un contratto ad effetti reali differiti, essendo finalizzato al trasferimento della proprietà della res futura non appena questa venga ad esistenza, al quale dunque è pienamente applicabile l’art. 1376 cod. civ.

2. l’appalto è un contratto bilaterale, commutativo, a titolo oneroso in forza del quale l’appaltatore si obbliga a realizzare un determinato risultato produttivo, ossia la realizzazione di un’opera o di un servizio, nei confronti del committente che a sua volta si obbliga a pagare un corrispettivo in denaro. I suoi tratti caratterizzanti risiedono nella “gestione a proprio rischio”, per tale intendendosi l’assunzione da parte dell’appaltatore del rischio che si verifichino eventi estranei alla sua sfera di controllo, i quali rendano la prestazione da lui dovuta più onerosa, e nell’organizzazione dei mezzi necessari. Trattasi, dunque, di un contratto dall’efficacia prettamente obbligatoria.

Dal punto di vista delle finalità perseguite dai contraenti, il conseguimento della titolarità della cosa costituisce la vera ed unica finalità della compravendita, mentre è l’attività che si concreta nel compimento dell’opera a colorare funzionalmente l’appalto248.

Sotto il profilo delle obbligazioni poste a carico dei contraenti, attesa l’identità della prestazione dovuta dall’acquirente e dal committente (il pagamento di un determinato corrispettivo), mentre dal contratto d’appalto scaturisce in capo all’appaltatore un’obbligazione di facere, la realizzazione dell’opera; dalla compravendita di cosa futura scaturisce in capo all’alienante un’obbligazione di dare, il trasferimento della proprietà in favore dell’acquirente.

Alla luce del quadro normativo così delineato, la questione controversa relativa alla differenza tra contratto d’appalto e vendita di cosa futura sembra priva di ogni fondamento; in realtà semplicemente il dato normativo non considera quello che nella prassi solitamente accade.

È difatti possibile, anzi succede spesso, che le parti stipulano un contratto in forza del quale un soggetto si obbliga contestualmente con mezzi propri a realizzare la cosa non ancora venuta ad esistenza e a trasferirne in un secondo momento la proprietà. In questa ipotesi il discrimen tra le fattispecie contrattuali in esame fondato sul tipo di obbligazione, di facere o di dare, viene a sfumare e risulta più difficile stabilire se si è in presenza di un contratto d’appalto o di compravendita.

248Mazzariol Riccardo, obbligazioni e contratti. Appalto e compravendita di cosa futura, 23.03.2015, disponibile su https://giustiziacivile.com/

120 In realtà abbiamo già avuto modo di vedere nei capitoli precedenti del presente lavoro che la peculiarità della vendita di cosa futura rispetto alla vendita ordinaria risiede proprio nella “futurità”

della cosa, da cui consegue una peculiare prestazione a carico del venditore.

Come già ampiamente argomentato, l’art. 1476 c.c. stabilisce quali sono le obbligazioni principali del venditore e prevede che quest’ultimo, oltre a dover consegnare al compratore la cosa venduta, deve anche fargliene acquistare la proprietà se l’acquisto non è effetto immediato del contratto.

Nel caso specifico della vendita di cosa futura, poiché il bene ancora non esiste in rerum natura, sorge per il venditore l’obbligo di fare tutto ciò che è necessario affinché la cosa venduta venga ad esistenza.

Ecco perché nella vendita di cosa futura non si può parlare, come nel caso della compravendita ordinaria, unicamente di obbligazione di dare.

Le difficoltà interpretative emergono, dunque, in tutte quelle ipotesi in cui il contenuto di un una prestazione si sostanzi contestualmente in un facere, la realizzazione dell’opera prima inesistente, ed in un dare, la fornitura dei materiali necessari per il compimento dell’opera stessa.

Non emergono, invece, particolari dubbi o perplessità nell’ipotesi in cui sia il committente a fornire all’appaltatore il materiale necessario alla realizzazione dell’opus, posto che in questo caso il contratto posto in essere dalle parti integra fuor di dubbio gli estremi dell’appalto.

“In realtà il problema della qualificazione del contratto non sorge neanche nel caso in cui sia l’appaltatore a fornire la materia al committente se però la cosa è venuta ad esistenza prima della conclusione del negozio e se dunque il bene era stato già prodotto. In tal caso si è in presenza senz’altro di una compravendita perché il processo produttivo sembra del tutto irrelato rispetto al successivo vincolo giuridico nascente dal contratto con il quale i contraenti si limitano a volere il trasferimento della cosa”249.

Sembrerebbe dunque che la difficoltà di stabilire se si tratta di vendita di cosa futura o di appalto residui nel caso in cui uno dei due contrenti si assuma l’obbligazione di compiere con materiali propri

Sembrerebbe dunque che la difficoltà di stabilire se si tratta di vendita di cosa futura o di appalto residui nel caso in cui uno dei due contrenti si assuma l’obbligazione di compiere con materiali propri