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Questa teoria arriva a qualificare la vendita di cosa futura come un contratto a formazione successiva, partendo dal presupposto che l’oggetto del contratto si identifichi con il bene c.d. materiale. Secondo questa corrente dottrinale, il contratto sarebbe incompleto al momento della sua nascita, in quanto privo di uno dei suoi elementi essenziali, l’oggetto, e si completerebbe successivamente con la venuta ad esistenza del bene25. A tal proposito occorre fare una precisazione: la teoria in esame non parla di contratto nullo per assenza dell’oggetto ex art. 1418 cod. civ., ma di contratto a formazione successiva per inversione dell’ ordine cronologico dei suoi elementi essenziali. Invero, sempre secondo questa corrente dottrinale, che il contratto non sia completo per avere ad oggetto un bene inesistente al momento della sua conclusione è evidente, ma è altrettanto evidente che non si possa parlare di contratto nullo, quanto piuttosto di contratto a formazione progressiva, per l’avvenuto perfezionamento dello stesso in forza dell’accordo o meglio per la manifestazione del consenso, che in questo caso è eccezionalmente precedente all’oggetto. La teoria sostiene che la ragione della validità del contratto risieda nella facoltà delle parti di un negozio giuridico di dedurre all’interno del contratto soltanto alcuni degli elementi essenziali dello stesso e nella possibilità di lasciare sospesi gli altri elementi necessari al perfezionamento dell’intera fattispecie negoziale26. Il contratto, dunque, pur essendo validamente concluso, risulta incompleto ed in quanto tale inefficace, ossia non suscettibile di produrre gli effetti giuridici tipici della compravendita: in specie non si verifica il trasferimento del diritto e le parti stesse per prime non vogliono che ciò avvenga immediatamente,

25 F. Caringella, L. Buffoni, manuale di diritto civile, IX edizione, Dike Giuridica Editrice, 2018, pag. 809

26 D. Rubino, la compravendita, Milano, III edizione, A. Giuffrè, 1971, pag. 148

17 perché sono consapevoli che questo non può avvenire; non si verificano nemmeno gli effetti obbligatori definitivi della compravendita, quali il pagamento del prezzo, a meno che le parti non abbiano disposto diversamente nel contratto tramite apposita previsione e la consegna della cosa. Ciò non significa che medio tempore, ossia dalla formazione del consenso fino al completamento definitivo del contratto con la nascita del diritto, la fattispecie negoziale in esame non produca alcun effetto o che non sussista alcun obbligo a carico delle parti.

Si tratta tuttavia di effetti e obblighi preliminari della fattispecie in fieri che hanno una funzione meramente transitoria e cioè la funzione di assicurare il completamento del contratto.

Rientra nel novero degli effetti preliminari in primo luogo il vincolo di irrevocabilità di cui all’

art.1372 cod. civ.: le parti, fin quando non abbiano la certezza che la res futura non possa venire definitivamente ad esistenza, restano legate al consenso già formatosi e non possono più svincolarsi unilateralmente; in secondo luogo l’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede affinché il contratto giunga a completamento di cui all’art 1337 cod. civ.; in terzo luogo l’obbligo del venditore di far acquistare al compratore il diritto sulla cosa di cui all’art. 1476 n. 2 cod. civ., ossia di non impedire o di far sì che la cosa, dedotta nel contratto, venga ad esistenza, la cui violazione determina solo una responsabilità precontrattuale a carico del venditore.

A tal proposito occorre sottolineare che, secondo la corrente dottrinale in esame, l’obbligazione relativa alla futura nascita del diritto venduto avrebbe sempre un contenuto negativo e graverebbe su entrambe le parti contraenti, cioè anche sul compratore. La ragione di tale convincimento risiederebbe nella constatazione che la regola dettata all’art. 1478 primo comma cod. civ., la quale per la vendita di cosa altrui pone a carico del venditore un’obbligazione dal contenuto positivo, non possa essere applicata per analogia alla vendita di cosa futura, perché riguarda solo ed esclusivamente la vendita di cosa altrui e non è ripetuta nell’art. 1472.

Anzi nella vendita di cosa futura, ad avviso degli autori che aderiscono a questa teoria, sarebbe corretto ritenere che il contenuto positivo di questa obbligazione vada provato e non lo si possa presumere nel dubbio. Se il bene venisse ad esistenza il contratto si completerebbe e sarebbe suscettibile di produrre i suoi effetti tipici ex nunc e non ex tunc, in quanto perfetto ed efficace.

A tal proposito è necessario fare una precisazione: se il contratto fosse soggetto a trascrizione avendo ad oggetto un bene mobile registrato o un bene immobile, la trascrizione sarebbe possibile solo dopo che la cosa sia venuta ad esistenza e questo proprio perché prima di quel momento il contratto sarebbe incompleto Qualora invece la res futura non dovesse venire definitivamente ad esistenza, il contratto resterebbe incompleto e si aprirebbe la strada alla disciplina della ripetizione dell’indebito per eventuali acconti sul prezzo, da considerarsi sine causa, dal momento che scaturiscono da un contratto non perfezionatosi.

18 Se la mancata venuta ad esistenza della res futura non fosse imputabile ad alcuna delle parti contraenti, allora non si avrebbe alcuna conseguenza ulteriore; in caso contrario la parte inadempiente sarebbe tenuta al risarcimento del danno, il quale non si estenderebbe all’interesse positivo ma sarebbe limitato all’interesse negativo, ossia alle spese sostenute per il compimento dell’atto, alle occasioni perdute dal compratore di stipulare un contratto analogo con altre persone e ai sacrifici eventualmente sostenuti dall’acquirente per mettersi nelle condizioni di pagare il prezzo del contratto stesso.

La responsabilità nella incorrerebbe la parte inadempiente sarebbe dunque di natura precontrattuale ex art. 1338 cod. civ. Questa ricostruzione della vendita di cosa futura non trova alcun fondamento né nella legge né nella logica: l’art. 1348 cod. civ., del quale l’art. 1472 cod. civ. è un’applicazione specifica, dice testualmente che “la prestazione di cose future può essere dedotta in contratto”.

Le due disposizioni, se interpretate correttamente, stanno a significare che l’oggetto del contratto di vendita può essere costituito da una cosa futura e non implicano che le parti sono autorizzate ad emettere le loro dichiarazioni di volontà in un momento precedente a quello del sopravvenire dell’oggetto del contratto; di modo che, anche se la cosa non esiste, deve invece considerarsi esistente l’oggetto, che è costituito per l’appunto da una cosa futura27. La tesi fin qui esaminata non ha avuto un largo seguito proprio per la mancanza di tutela dell’acquirente, nel caso di mancata venuta ad esistenza del bene dedotto nel contratto: non sarebbe possibile il rimedio della responsabilità contrattuale né tantomeno quello della trascrizione e tutto questo renderebbe la fattispecie in esame poco funzionale rispetto agli interessi da tutelare.

Le critiche, che le sono stata mossa da altre correnti dottrinali, riguardavano, in primo luogo, la sua contraddittorietà: se si sostiene che la vendita di cosa futura si configura come un contratto a formazione successiva, non si può allo stesso tempo sostenere che questa integra un contratto concluso in forza del consenso anticipato rispetto all’oggetto, dal quale sorgono soltanto effetti ed obblighi preliminari; delle due una28; in secondo luogo la sua premessa, ossia proprio il presupposto del suo convincimento: l’identificazione dell’oggetto del contratto con il bene c.d. materiale.

A tesi la dottrina dominante, come vedremo nei paragrafi successivi, replica che la vendita di cosa futura non sia un contratto privo di oggetto ab initio e per questo a formazione successiva, trattandosi piuttosto di contratto perfetto e completo in tutti i suoi elementi fin dal principio, indipendentemente dalla venuta ad esistenza del bene.

27 G. Gazzara, la vendita obbligatoria, Milano, A. Giuffrè, 1957, pag. 171

28 P. Perlingieri, negozi su beni futuri, Napoli, Jovene, 1962, par. 13

19 4.2 La teoria del negozio ad efficacia sospesa.

Dopo aver proceduto alla disanima dei presupposti e delle conclusioni di quella corrente dottrinale che sostiene che la vendita di cosa futura sia un negozio a formazione successiva o a consenso anticipato, possiamo procedere alla disanima della teoria, che ha avuto maggior successo della prima sia in dottrina sia in giurisprudenza, secondo la quale la figura contrattuale in esame non è altro che un negozio ad efficacia sospesa. Questa seconda ricostruzione muove dalla possibilità di elevare al rango di elemento accidentale la venuta ad esistenza della cosa e rappresenta uno dei tentativi volti a spiegare la natura giuridica della vendita di cosa futura utilizzando il meccanismo condizionale.

La teoria in esame si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, che qualifica la vendita di cosa futura come una vicenda negoziale conclusa ab initio direttamente attributiva dello ius ad habendam rem nel momento in cui la cosa venga ad esistenza29.

Dunque non un contratto a formazione successiva o a consenso anticipato ma un contratto perfetto, ossia completo in tutti i suoi elementi costitutivi, fin dal momento della sua conclusione che si distingue dalla vendita ordinaria di cui all’ art. 1470 cod. civ. per il differimento dell’effetto traslativo alla venuta esistenza della cosa. Tale opinione dottrinale si distingue da quella che esamineremo nel paragrafo successivo, secondo la quale la vendita di cosa futura è un negozio perfetto ad efficacia obbligatoria, per l’identificazione della venuta esistenza della cosa con un evento futuro ed incerto al quale è subordinato sospensivamente il contratto. Nel ravvisare nella venuta esistenza della cosa una condizione rispetto alla quale è subordinata l’efficacia del contratto, si apre la questione relativa alla natura di tale condizione: condicio facti o condicio iuris? è ormai pacifico in dottrina che non si possa parlare con riguardo alla vendita di cosa futura di condizione volontaria dal momento che l’art. 1472 cod. civ., in quanto norma cogente ed inderogabile, non attribuisce alle parti il potere di subordinare l’effetto traslativo immediato, tipico della vendita ordinaria, ad un evento futuro e incerto diverso dalla venuta ad esistenza della cosa; piuttosto è lo stesso legislatore a prevedere espressamente l’evento condizionante. Sembra più corretto parlare di condicio iuris proprio perché dettata dalla volontà del legislatore e non da quella delle parti: la conseguenza è che essa si pone come un limite rispetto all’autonomia privata, in quanto requisito necessario di efficacia del contratto30.

Secondo questa ricostruzione dunque la vendita di cosa futura sarebbe un contratto strutturalmente perfetto, perché completo degli elementi essenziali di cui all’ art. 1325 cod. civ., ma ad efficacia sospesa perché insuscettibile di produrre l’effetto traslativo fino all’avveramento della condizione, quale la venuta ad esistenza della cosa. La qualificazione della vendita di cosa futura come contratto condizionato, in quando sospensivamente subordinato alla venuta esistenza della cosa, comporta

29 Cass. Civ., 22.10.2010, n. 21739

30 F. Caringella, L. Buffoni, manuale di diritto civile, IX edizione, Dike Giuridica Editrice, 2018, pag. 826

20 l’applicazione della corrispondente disciplina entro i limiti di compatibilità. In particolare si ritengono perfettamente applicabili ed operativi gli obblighi “preliminari” la cui fonte risiede in un contratto perfetto, quale è la vendita di cosa futura: in pendenza della condizione, ossia fino quando la cosa non venga ad esistenza, l’alienante è tenuto ad un assumere un comportamento ispirato a buona fede e correttezza al fine di conservare integre le ragioni dell’acquirente ai sensi dell’art. 1358 cod. civ. e altresì obbligato a non impedire l’avveramento della condizione, la venuta ad esistenza della cosa, ai sensi dell’art. 1359 cod. civ..

Le critiche mosse a questa ricostruzione sono state innumerevoli: in primis, si osserva che se si accettasse che la vendita di cosa futura configuri un negozio condizionato, allora si dovrebbe ridimensionare l’obbligo dell’alienante di procurare l’acquisto del diritto sulla cosa al compratore, di cui all’ art 1476 n.2 cod. civ., ad un obbligo dal contenuto unicamente negativo: impedire che la cosa non venga ad esistenza.

Si tratta di una ricostruzione inaccettabile proprio perché contrasta con la lettera della disposizione, la quale invece lascia pensare ad un comportamento positivo e non negativo, che si sostanzia nel far in modo che la cosa venga ad esistenza. In secundis, se si condividesse questa interpretazione della fattispecie in esame, si opererebbe una trasposizione e una confusione tra piani giuridici diversi: si convertirebbe in una qualificazione di inefficacia quello che è un momento dell’esecuzione del contratto, facendo scomparire l’obbligazione immediata del venditore di far acquistare il diritto al compratore.

4.3 La teoria del negozio perfetto ad efficacia obbligatoria.

Quest’ultima ricostruzione ha avuto senz’altro maggior seguito e fonda il suo ragionamento nell’operatività immediata del vincolo contrattuale relativamente all’impegno traslativo dell’alienante31. Non bisogna dimenticare che la venuta ad esistenza del bene non è un semplice evento futuro ed incerto rispetto al quale le parti devono comportarsi in modo tale da evitare che non si verifichi, ma è l’obiettivo di cui si è assunto l’impegno la parte che l’ha promesso.

L’immediata produttività degli effetti della vendita di cosa futura induce a respingere sia la tesi di quanti ritengono che la fattispecie integri un contratto a formazione successiva o a consenso anticipato in forza dell’assenza e incompletezza dell’oggetto iniziale, sia la tesi di quanti ravvisano nella vendita di cosa futura un contratto ad efficacia sospesa fino all’ avveramento dell’evento futuro ed incerto, quale la venuta ad esistenza della cosa.

A tal proposito è opportuno precisare che sia nella vendita di cosa futura sia in un contratto sottoposto a condizione sospensiva l’effetto traslativo non si realizza immediatamente ma in un momento

31M. Bianca, la vendita e la permuta, Torino, II edizione, Utet, 1993, pag. 380

21 successivo alla formazione del contratto, allorquando, rispettivamente, intervenga l’adempimento dell’obbligazione posta a carico delle parti o l’avveramento dell’evento futuro ed incerto, a cui è subordinato sospensivamente il contratto. Mentre tuttavia la condizione determina, quale effetto imprescindibile, la sospensione di tutti gli effetti ad eccezione di quelli preliminari, la vendita determina l’assunzione da parte del venditore dell’obbligo di trasferire la cosa e da parte del compratore di pagarne il prezzo, realizzando un contratto completo in tutti i suoi elementi ed idoneo a realizzare l’effetto reale in futuro.

Questa ricostruzione consente di qualificare la vendita di cosa futura come un contratto obbligatorio ed efficace, fin dal momento della sua conclusione e muove dal presupposto che l’oggetto del contratto risieda nell’obbligo delle parti di far sì che la cosa venga ad esistenza, ossia nel bene c.d.

promesso inteso nella sua giuridica rappresentazione e non come entità materiale.

Se si ripudia l’idea che la venuta esistenza del bene sia in realtà una condizione apposta al contratto, rispetto alla quale il venditore è tenuto ad assumere un mero comportamento negativo, si ammette conseguentemente l’esistenza in capo a quest’ ultimo di un obbligo a contenuto positivo, ossia dell’obbligo di porre in essere tutte le attività necessarie per procurare all’acquirente l’acquisto del diritto sulla cosa dedotta nel contratto. La conseguenza della qualificazione della vendita di cosa futura come vendita obbligatoria e della sussistenza in capo al venditore di un obbligo positivo e attivo è la responsabilità contrattuale, nel caso in cui si accerti che la cosa non sia venuta ad esistenza per causa a lui a imputabile. Dunque il contratto è perfetto fin dal momento della sua conclusione e suscettibile di produrre gli effetti giuridici ad esso collegati anche se l’effetto reale è differito al momento in cui la cosa viene ad esistenza. Dunque un negozio ad immediati effetti obbligatori e ad effetto reale differito.

Le ragioni per le quali la teoria in esame ha avuto maggior successo sono le seguenti:

1. La capacità di offrire una maggior tutela all’acquirente: il suo diritto al risarcimento è comprensivo non solo del danno per violazione dell’interesse negativo ma anche di quello per violazione dell’interesse positivo ossia del suo interesse all’ esecuzione del contratto;

2. La possibilità della trascrizione;

3. La previsione di una responsabilità contrattuale e conseguentemente l’esperibilità dell’azione di risoluzione per inadempimento, se la mancata venuta ad esistenza del bene è imputabile soggettivamente al venditore; in caso contrario l’esperibilità dell’azione di risoluzione per impossibilità sopravvenuta.

In conclusione, nella vendita obbligatoria si hanno, dunque, in ordine successivo due diversi effetti:

l’effetto obbligatorio e l’effetto reale.

22 Il primo, nasce al momento della conclusione del contratto, quale conseguenza diretta della manifestazione del consenso delle parti e comprende: l’irrevocabilità ex art. 1372 cod. civ.; l’obbligo del venditore di procurare al compratore l’acquisto del diritto sulla cosa, ex art. 1476 n.2 cod. civ., ed il corrispettivo obbligo del compratore di pagare il prezzo, ex art 1498 cod. civ..

Il secondo, che consiste nel trasferimento del diritto, si realizza in un momento successivo, quando la cosa viene ad esistenza, per il quale non è necessario un ulteriore atto.

Entrambi gli effetti sopra descritti infatti hanno un’unica fonte: il contratto posto in essere dalle parti.

In altri termini anche la vendita di cosa futura, quale negozio perfetto ad efficacia obbligatoria o meglio ad efficacia traslativa differita, ha natura di un contratto consensuale e non reale, dal momento che la venuta ad esistenza della cosa appartiene non alla fase formativa del contratto ma a quella esecutiva32. Sembra necessario tuttavia sottolineare che il contratto, pur avendo raggiunto la perfezione sotto il profilo strutturale, è insuscettibile di produrre non solo l’effetto reale ma anche alcuni effetti obbligatori che concernono direttamente la cosa almeno fino a quando questa non venga ad esistenza: l’obbligo di consegna, che presuppone come antecedente logico il trasferimento, non può avere attuazione senza la cosa da consegnare; l’obbligo di garanzia per vizi o difetti non sorge se manca la cosa ai quali andrebbero in ipotesi riferiti; l’obbligo di garanzia per evizione non nasce perché presuppone l’esistenza della titolarità del diritto33.

5 Forma e pubblicità della vendita di cosa futura.

Una volta chiarito che la vendita di cosa futura non è nient’altro che una species del tipo contrattuale

“vendita” di cui all’art.1470 cod. civ., ne consegue l’applicabilità del medesimo regime di forma e pubblicità riferito al contratto di vendita in genere. Se dunque il contratto abbia ad oggetto un bene immobile, il relativo accordo dovrà essere stipulato per iscritto a pena di nullità, ai sensi dell’art.1350 cod. civ. Nulla quaestio se la res futura fosse un bene mobile, dal momento che in questo caso il contratto sarebbe valido anche se non stipulato per iscritto; se invece la res futura fosse un bene immobile, il contratto sarebbe nullo se le parti non rispettassero il requisito della forma scritta ad substantiam. Tale assunto è ormai pacifico sia in dottrina sia in giurisprudenza: “ la vendita immobiliare esige ad substantiam la forma scritta anche se abbia ad oggetto una cosa futura, in quanto l’effettivo acquisto della proprietà, che si verifica non appena la cosa viene ad esistenza non comporta un ulteriore atto di trasferimento, ma unicamente la mera esecuzione del precedente contratto”34. La necessità della forma scritta della vendita di beni immobili futuri è stata ribadita dalla Suprema Corte anche nell’ipotesi in cui le parti stipulino un accordo con cui risolvere il contratto di vendita

32 F. Caringella, L. Buffoni, manuale di diritto civile, IX edizione, Dike Giuridica Editrice, 2018, pag. 1185

33 G. Gazzara, la vendita obbligatoria, Milano, A. Giuffrè, 1957, pag. 174

34 Cass. Civ. 29.5.80, n. 3538

23 precedentemente concluso: “ la vendita di cosa futura, pur non comportando il passaggio della proprietà della cosa al compratore simultaneamente e per effetto della semplice manifestazione del consenso non costituisce un negozio a formazione progressiva, suscettibile soltanto di effetti preliminari, ma configura una ipotesi di contratto definitivo di vendita obbligatoria, di per sé idoneo e sufficiente a produrre l’effetto traslativo della proprietà al momento in cui la cosa verrà ad esistenza, a norma dell’art. 1472 c.c.(…)La compravendita definitiva di un immobile futuro rientra quindi nella

23 precedentemente concluso: “ la vendita di cosa futura, pur non comportando il passaggio della proprietà della cosa al compratore simultaneamente e per effetto della semplice manifestazione del consenso non costituisce un negozio a formazione progressiva, suscettibile soltanto di effetti preliminari, ma configura una ipotesi di contratto definitivo di vendita obbligatoria, di per sé idoneo e sufficiente a produrre l’effetto traslativo della proprietà al momento in cui la cosa verrà ad esistenza, a norma dell’art. 1472 c.c.(…)La compravendita definitiva di un immobile futuro rientra quindi nella