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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.02 (1875) n.84, 12 dicembre

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A S E T T I M A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE. INTERESSI PRIVATI

Anno II - Yol. IV

Domenica 12 dicembre 1875

N. 84

I N O S T R I B I L A N C I

Stato eli prima previsione della spesa del ministero della guerra per V anno 1876

Questo bilancio non poteva presentare grandi va-riazioni da quello dell'anno precedente, dacché il Parlamenio, dopo lunghe discussioni, ebbe fissato i limiti entro i quali debbono essere racchiuse le spese militari e gli ebbe fissati tanto per la parte ordina-ria che per la straordinaordina-ria del bilancio: il ministro della guerra si trova, per cosi dire le mani legate e i suoi bilai ci, per un certo numero di anni, si ri-durranno a copie che presenteranno delle divergenze insignificanti.

Dopo la nota di variazioni che, a supplemento del bilancio di prima previsione, il Ministro presentava l'8 ottobre decorso, il bilancio della guerra per le com-petenze del 1876, presentò le cifre di 170,806,330 24 per la parte ordinaria e di 20,003,000 per la straor-dinaria, in tutto lire 190,809,330 2 4 ; ma togliendo però da questa somma le spese figurative, vale a dire quelle che sono compensate da una corrispondente iscrL ne nel bilancio dell'entrata in L. 3,342,730 24 la spesa effettiva si riduce a lire 185,266,600 con un aumento di lire 438,760 98 sulla spesa di com-petenza votata definitivamente sull'esercizio 1875.

Abbiamo detto che le varianti potevano essere poche e difatti sono pochissime. Le esporremo som-mariamente :

I due primi capitoli che concernono l'ammini-strazione centrale, personale cioè e materiale del Ministero importano la stessa spesa del bilancio pre-cedente. Il ministro ha veramente introdotta qualche modificazione nel reparto del personale, ma ha avuto cura di non alterare la spesa; la Camera dopo qual-che opposizione ne approvò le proposte.

II cap. 3° presenta una diminuzione di lire 58,800, ma dessa proviene soltanto da trasposizioni ad altri capitoli. Questo capitolo comprende le spese occor-renti pel Corpo di Stato Maggiore e pei Comitati. Nel cap. 4° - Corpi di truppa dell'esercito per-manente, dovrebbe apparentemente verificarsi un aumento a motivo dell'essere bisestile l'anno 4876, ma siccome dall'altra parte i volontari di un anno, per le nuove disposizioni, sono stati compresi nel

contingente di leva e non sono perciò adesso in aumento, il soldo loro non viene ad aggiungersi alla spesa, e così in complesso il capitolo presenta una diminuzione di lire 4,132,000.

A motivo pure di trascrizioni di cifre presentano diminuzione i capi 5° e 6°, l'uno per 452,200 lire, l'altro per 136,300.

Leggeri aumenti si riscontrano nel 7" e nell'8°; nel 7°, concernente il servizio sanitario non inscritto 20,000 lire di più, e nell'8° un aumento di 250,000 lire figurativo soltanto per essere stata trasportata a questo capo la somma occorrente per l'istituto topo-grafico militare dietro osservazione della Corte dei Conti.

Lo sviluppo degli Istituti Militari ha prodotto un accrescimento di lire 173,700 al Capo 9°.

Avendo il ministro sciolto per decreto reale due-delie compagnie di disciplina esistenti il cap. 10°, venne scemato di lire 78,600. La disposizione mi-nisteriale fu attaccata e nella Camera e nel Senato come incostituzionale e poco provvida, ma la mag-gioranza dei due rami del Parlamento dopo nuove discussioni approvò l'operato del ministro.

Nessuna osservazione può farsi al capo 11° Ve aliarlo che presenta una diminuzione di lire 59,500. Il capo 12° Pane subisce una diminuzione note-vole di lire 180,400. Essa è dovuta all'abbassamento del prezzo dei grani. E una diminuzione di lire 40,200 è anche prevista sul capo 13° Foraggi, tenendo conto di alcune riduzioni nel quadro degli ufficiali montati ; ma in quest'ultimo il ministro fa poco conto, anzi teme un aumento a motivo della tendenza all' au-mento che si riscontra nel prezzo dei foraggi.

Diminuzione per trasporto ad altri capitoli, tro-vasi nel cap. 14° ed ascende a 63,400 lire.

Aumento havvi nel 15° - Spese d' alloggio alle truppe in marcia, e quest'aumento chiesto in lire 300,000 si chiede per dare nell'anno prossimo uno sviluppo maggiore ai campi di manovra.

Nessuna variazione ai capitoli 16, 17 e 18, poche al 19° - Materiali e lavori del Genio.

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Nel cap. 21° che concerne gli assegni per gli uffiziali della milizia mobile e di complemento, tro-vasi una diminuzione di 7000 lire, dovuta all'avere il ministro ridotto l'indennità di entratura agli uffi-ciali di nuova nomina.

Aumento di lire 30,000 al cap. 22° - Paghe

de-gli uffiziali in aspettativa, e nessuna variazione al

23° - Ordine militare di Savoia.

Il cap. 24° col titolo: Spese di viaggi, missioni

ed altre relative è nuovo e importa la spesa di

190,000 lire. Nè la Commissione nè la Camera ne-garono la convenienza e l'utilità di questa nuova creazione.

Al cap. 25°, Spese di giustizia militare, vi ha aumento di 4000 lire proveniente dall'essersi rico-nosciuta insufficiente la somma antecedentemente prevista per i testimoni chiamati a deporre avanti ai tribunali militari.

Nessuna variante nei cap. 26° e 28° e un au-mento figurativo di lire 93,811 22 al 27° avente la sua corrispondenza nel bilancio dell'entrata.

E nessuna variazione vi è da notare sul cap. 29° che chiude la parte ordinaria del bilancio.

Rimarrebbe a parlare dei 16 capitoli della parte straordinaria le cui spese sono destinate a fabbrica-zione di armi portatile, artiglieria, ad approvvigio-namenti e ai lavori di difesa dello Stato. Ma sic-come per essi ogni cifra di spesa e la ripartizione della spesa stessa in un certo numero di anni sono determinate da leggi speciali, così ci sembra che sfuggano alla competenza di un riassunto del bilan-cio propriamente detto. Il Parlamento infatti nell'esa-minarli non fa che riscontrare scritte le cifre già votate in antecedenza.

Tali sono i dati riassuntivi del bilancio di prima previsione del ministero della guerra pel 1876.

SOCIETÀ SICILIANA DI ECONOMIA POLITICA

La Società siciliana di Economia Politica prosegue con molto zelo i suoi lavori, come apparisce dagli Atti stessi venuti alla luce in questi giorni.

Nella seduta del 13 giugno 1875 ebbe luogo una discussione sui punti-franchi e sui magazzini ge-nerali.

Il socio Abbate si propone di dimostrare come nella istituzione dei punti-franchi non si agiti alcuna questione economica, ma si tratti di una questione d'indole esclusivamente amministrativa. Quella è una parola nuova, ma l'istituzione è antica e vige ancora in Italia sotto la denominazione di depositi illimitati. In ogni dogana del regno si possono verificare im-missioni di merci estere senza pagamento di dazi fino al momento di doversi spedire al consumo, e son sempre consentiti la riesportazione all' estero o

il trasporto ad altro deposito, salvo il pagamento di un lieve diritto di ostellaggio. Però la merce che entra nel deposito tanto all' immissione che all'uscita deve sottostare a una dichiarazione preventiva e a una verifica e classificazione ai termi di tariffa, e alla scritturazione di carico e discarico. L'abolizione di questi obblighi costituisce il progetto dei punti-franchi, secondo le norme di custodia in uso pei depositi di Genova, che conservava impropriamente il nome di porto-franco, a differenza di Livorno ed Ancona che lo erano propriamente. Si chiese per-tanto che invece di estendere a Genova e a Vene-zia il sistema dei depositi attuali che prescrive du-plicità e complicazione di formalità daziarie, tanto nella entrata che nel movimento e nella uscita delle merci dal deposito, si estendesse alle principali piazze marittime del regno il sistema colà in uso di la-sciare liberi l'entrata e il movimento dentro il de-posito, restringendo le formalità fiscali alle sole ope-razioni di uscita. Ma il Governo nella legge che prò. mosse sui magazzini generali ritenne che le forma-lità di verifica e di scritturazione nella immissione fossero indispensabili nell' interesse della finanza. Molte rappresentanze combatterono queste paure go-vernative, sostenendo che la tutela fiscale può re-stare incolume indipendentemente dalle dette forma-lità. La questione è a questo punto ed è quindi esclusivamente amministrativa.

Il socio Maggiore Perni sostiene che è grande la differenza fra i punti-franchi e i magazzini generali. I primi sono una specie di porti-franchi e partico-larmente di quelli in cui la franchigia si limitava alla località dichiarata porto-franco e non si esten-deva alla città attigua, e sono quindi un avanzo del sistema protettore. I porti-franchi sono spariti, ma poiché sussistono le dogane, bisogna armonizzare la libertà commerciale colla tutela dei dazi che sono un' entrata per lo Stato. 11 mezzo a ciò sono i ma-gazzini generali. Essi sono istituzione eminentemente

O o

inglese. Posti ove finisce una via di mare o ai con-fini degli Stati, vi si deposita la merce arrivata in franchigia, e si paga il dazio all' uscita con facoltà di riesportare il genere invenduto. Si aggiunge una verifica preventiva del genere che entra nei magaz-zini, la quale si fa coli' intervento del governo da una deputazione di commercianti che stanno alla direzione dei magazzini.

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i magazzini generali rispondono allo scopo di armo-nizzare la libertà del commercio e l'interesse del fisco. Questo è sicuro delle sue entrate; mentre dall'altra parte il commercio risparmia tempo e spesa, e v'è poi l'altro gran vantaggio del rilascio della fede di deposito. Infine i punti-franchi non si possono stabilire che nelle città marittime, mentre i magazzini generali si possono impiantare in tutte le località, nei porti come ai confini degli Stati con-tinentali.

Abbate replica che le due istituzioni non sono in

antagonismo fra loro ; che non solo possono coesi-stere, ma formarne una sola, completandosi a vi-cenda. In fatto nel servizio dei magazzini generali si è veduto che si tratta di un emendamento par-ziale allo scopo di facilitare il servizio delle immis-sioni. Così a Torino si pongono in magazzini di temporanea custodia lo merci, che attesa la grande affluenza, non possono esser subito sottoposte alla verifica e alla scritturazione. Lo stesso avviene in altre dogane ove ferve il movimento commerciale. Non resta pertanto che a studiare il modo di ga-rantire nei punti-franchi i diritti del fisco, e questa non è materia di un postulato scientifico.

Maggiore Perni ripete essere impossibile

conci-liare le due istituzioni per la loro natura diversa. Se poi dappertutto fossero accanto, crescerebbe la spesa dello Stato e quella dei commercianti, che do-vrebbero far passare le mercanzie dai punti-franchi nei magazzini generali per subir quivi la verifica di cui si liberarono nel punto-franco.

Il Presidente Prof. Bruno osserva che la que-stione dei punti-franchi è finanziaria ed economica. Rapporto al commercio, il punto-franco si presenta come una bella idea, perchè il commerciante può fare alla sua merce tutte quelle modificazioni che crede convenienti a' suoi interessi, ma una volta che esistono le dogane, è necessaria la vigilanza per as-sicurare il provento delle tasse. A ciò è necessario che le dogane presentino degli ostacoli, e quindi il governo può fare pei punti-franchi una opposizione legittima, sostenendo che sono un privilegio e im-pediscono di seguire sempre il movimento della mercanzia e di conoscere quale sia effettivamente la quantità che si immette pel consumo locale e quella che si riesporta per l'estero. Il contrabbando diven-terebbe facile, non essendosi verificata la mercanzia al suo arrivo. Si dirà che possono usarsi buoni mezzi di custodia. Ma c'è l'altro lato della questione, se cioè i commercianti possono trovare nei punti-franchi tutti quei vantaggi che potrebbero ottenere da una istituzione congenere. Ora i magazzini generali hanno anch'essi questi due benefizi, la facoltà di riesportare la merce al di fuori e la facoltà di pagare il dazio quando la merce esce per consumo. Però il magaz-zino generale offre una garanzia pel dazio dovuto

per la mercanzia immessa, che viene preventiva-mente verificata. Si aggiunge il vantaggio di una maggiore mobilità colla fede di deposito, il che l'ora-tore dimostra con solidi argomenti. Conclude che il magazzino generale è preferibile al punto-franco e che può impiantarsi dovunque si possa costituire una società che garantisca all' erario il pagamento dei dazi doganali e al commercio l'identità della mer-canzia rappresentata dalla fede di deposito.

Il socio Cortegyiani soggiunge che l'amministra-zione dei magazzini generali insieme alla fede di de-posito rilascia una nota di pegno. Se la merce è venduta ambedue si trasferiscono al possessore; se si dà' in pegno, si stacca la nota di pegno, su cui il debitore scrive la cifra che si obbliga di pagare e il termine al pagamento; mentre il creditore sulla fede di deposito nota che la mercanzia è vincolata, per quanto il possessore abbia facoltà di vendere la merce, purché depositi presso 1' amministrazione la somma di cui è debitore. Se trascorre il termine senza pagamento, il creditore è nel diritto di ven-dere, prelevando la parte che gli compete da quel che ha ricavato. Così anche il principio del credito ha completo sviluppo.

Il socio Balsano crede anch'egli impossibile im-medesimare le due istituzioni dei punti-franchi e dei magazzini generali. In questi la merce si verifica prima e poi non può rimaneggiarsi, senza di che la fede di deposito non potrebbe circolare. Sulla pre-ferenza da darsi ai magazzini generali sui punti-franchi, è d'accordo col prof. Rruno, sembrandogli che i punti-franchi siano un grave e permanente pericolo per le finanze dello Stato.

' Il socio Galatioto trova che se l'istituzione dei punti-franchi può liberare il commercio dalle noie di una verifica quando il dazio non è dovuto, non si deve respingere per la possibilità del contrabbando, che esiste dappertutto dove è una legge fiscale. Il Governo prenda tutte le precauzioni che crede op-portune. Quanto poi a ciò che concerne le fedi di deposito, suggerisce questo rimedio: restando sempre la immissione franca e senza verificazione come re-gola, si verificheranno le merci di colui che vorrà rilasciato il warrant, di colui che vorrà mobilizzare i suoi valori. Finalmente non trova ragione perchè anche nelle città mediterranee non possano esservi dei punti-franchi; in ogni caso vi si potrebbero isti-tuire dei magazzini generali.

Abbate aggiunge che altro è la verifica doganale,

altro è quella d'interesse commerciale. Le merci, per godere dei vantaggi del credito colla circola-zione delle fedi di deposito, possono nei tempi e modi più opportuni venire classificate e scritturate nei libri dello stabilimento.

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punti-franchi. Quanto ai magazzini generali essi esi-stono di già, e la discussione deve restringersi a quelli.

Il Presidente osserva che la Società si riunisce soltanto ogni mese e che la discusione è stata ab-bastanza larga. Del resto non si tratta di votare un ordine del giorno, ma di esprimere delle opinioni; ed è perciò che era naturale far rilevare la differenza dei vantaggi fra i punti-franchi ed i magazzini ge-nerali.

Seduta del 4 luglio

In questa adunanza l'argomento all'ordine del giorno era la istituzione del credito fondiario.

Il socio Ciofalo tesse la storia della proprietà fon-diaria in Sicilia dai tempi della conquista normanna fino ai nostri giorni. Dice come la Sicilia fino al 1872 mancasse del credito fondiario e come la proprietà fosse oberata da un debito di circa 600 milioni, osta-colo gravissimo all'incremento dell'agricoltura. Il regio decreto del 4870 autorizzò il Banco di Sicilia a eser-citare anche il credito fondiario con gran vantaggio dell'isola. In tre anni il Banco fece intorno a cento prestiti per circa 3 milioni di lire.

Il socio Battaglia legge una memoria, nella quale sostiene che l'Italia prima di preoccuparsi del cre-dito fondiario, avrebbe dovuto pensare al crecre-dito agricolo, perchè ciò che preme alla società è che la produzione immobiliare aumenti, e questa cresce in ragione dei capitali che vi si impiegano. Nel modo col quale il credito fondiario è ordinato poco o niun giovamento può ricavarne l'agricoltura. Intende a dimostrare che il modo di divisione della somma capitale da ammortizzarsi è difettoso come quello che aggrava viepiù i difetti della legge e rende "quasi frustranea l'istituzione del credito.

Conclude che nelle nostre condizioni economiche non giova nè all'agricoltura, nè alla proprietà im-mobiliare, ma può solo servire agli speculatori, che mobilizzando la metà del valore dei loro immobili possono trovare dei capitali, effettuando poi nello esercizio delle industrie e dei commerci cospicui guadagni, che li mettano in grado di adempire ai loro obblighi verso l'Istituto, oltre un guadagno fatto mercè il capitale dell'Istituto medesimo garan-tito dall'immobile dello speculatore.

Ciofalo sostiene l'importanza del credito fondiario

e mette in dubbio alcuni calcoli dell'avv. Battaglia che replica.

I soci Brolo, Siciliano e Vanneschi impugnano che l'agricoltura non migliori affatto.

II presidente prof. Bruno colla consueta dottrina si volge a rettificare alcuni equivoci. Osserva come l'agricoltura in Sicilia come nel resto d'Italia ha bisogno di capitali, e ricorda gli ostacoli che impe-divano in passato la cooperazione, cioè i difetti del regime ipotecario e la difficoltà del capitalista di

disporre al bisogno del capitale mutuato. Al primo male rimediò la riforma ipotecaria, al secondo ri-media il credito fondiario. Mostra poi come esso funzioni fra noi, ribattendo l'asserzione che l'inte-resse che fa pagare l'Istituto, in coerenza alla legge, sia molto grave e quasi un disastro pel mutuatario. Dice che se il pubblico apprezzasse al suo giusto valore tutti i vantaggi della istituzione, si vedrebbe crescere il concorso dei capitalisti all' acquisto di cartelle fondiarie, tanto preferibili a molti valori cat-tivi e anche pessimi, per modo che rialzando il loro valore si renderebbe più agevole il sussidio dei ca-pitali sulla terra, impedito spesso da un interesse più elevato che debbono pagare i debitori. Il Go-verno poi dovrebbe sgravare questi valori da una imposta che ricade interamente a danno del proprie-tario della terra.

Seduta del 3 ottobre

Questa terza seduta offre un interesse singolare, come quella nella quale si trattò l'argomento della

tutela nel lavoro dei fanciulli e delle donne nelle miniere di zolfo in Sicilia.

Il presidente prof. Bvuno fa notare la gravità e l'urgenza dell'argomento di fronte al progetto che presto verrà in discussione alla Camera dei deputati, e che suscita gravi questioni di fronte alla libertà del lavoro, al principio dell'intervento dello Stato e al-l'avvenire dell'industria zolforifera in Sicilia. Il Go-verno ha creduto dovere intervenire nell' interesse dell'umanità e della moralità, e la Commissione par-lamentare ammise il progetto, modificandolo in parte e aggiungendo l'esclusione delle donne e dei fan-ciulli a 9 anni, anziché a 40, dalle lavorazioni a giorno. È riserbato poi un regolamento di vigilanza. Conveniva pertanto estendere le indagini della So-cietà fino agli elementi statistici e alle informazioni che hanno mosso il Ministero a proporre questa legge. La presidenza per abbreviare la via incaricò alcuni fra i soci più competenti di questo lavoro preliminare.

Il socio Galletti rettifica alcuni fatti. - Nella pro-vincia di Caltanissetta le donne non lavorano affatto; solo qualcuna fa qualche cosa all'esterno. Nella me-desima e in quella di Girgenti gli usi domestici non permettono loro nemmeno di uscire di casa. Quanto al lavoro dei fanciulli, non sono i proprietari di zol-fare che opprimono i fanciulli, ma sibbene al con-trario, perchè il picconiere si presenta con alcuni di loro, pretende un'anticipazione, e poi i più se ne vanno. I dazi sono pure oppressivi. Un gruppo di zolfare che anni sono pagava mille lire, ne paga ora 34,000.

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memoria, la quale offre una singolare importanza e di cui siamo dolenti di non potere che accennare il concetto. In presenza di una legge proposta, in cui compare un titolo nuovo la tutela del lavoro, oc-corre ricercare se i fatti su cui si basa siano provati, se il diritto l'appoggi, quale influenza possa eserci-tare sull'industria e sui lavoranti. Perchè il progetto in questione prende tanta cura di questi piccoli la-voratori ? Non pel loro numero, piccolissimo di fronte a quello dei fanciulli impiegati nelle altre industrie, non per la natura del lavoro, mentre molti altri ve ne hanno indubbiamente pregiudizievoli e pei quali tutto è abbandonato alla libertà e all'azione paterna. Eppure la legge che si propone è più rigida e se-vera di quelle simili d'Inghilterra e di Francia. Si parla della statistica comparata dei riformati alle leve e delle tavole della mortalità media e compa-rata ; di inumanità di genitori e di avidità di specu-latori ; di alti fini di moralità. Tuttociò rende ne-cessaria l'ingerenza governativa. Lo scrittore si attiene ai numeri, arbitri supremi, come egli dice. Riporta le statistiche dei riformati per deformità del casso toracico sul totale dei riformati nelle leve dei nati dal 1845 al 4853 e prova che i rapporti medii del primo quinquennio ci mostrano che sono i circon-dari poco più, poco meno minerarii che danno il minor contingente. Spinge più oltre le sue ricerche ed esamina, sempre colle cifre alla mano, il fenomeno delle infermità in complesso, e le cifre lo portano ancora alla conclusione che i circondari zolforiferi danno un rapporto percentuale pari o inferiore ai circondari che non hanno miniere. Stabilisce anche opportuni confronti fra l'isola e il continente, con-fronti che mostrano che non può dirsi di quella che abbia una cifra elevata di riformati alle leve per deformità e per infermità. Provato così che il lavoro delle miniere non inferma e deforma i fanciulli, ri-cerca se sia vero quello che senza appoggio di cifre assicura l'onorevole Luzzatti relatore della Commis-sione, che cioè quel lavoro uccida di preferenza gli infelici lavoranti, esclamando : sunt lacrymce rerum. Lo scrittore ha raccolto dal 4869 al 4875 le cifre della mortalità dei fanciulli maschi da 5 a 43 anni e degli adolescenti dai 45 ai 20 anni per le sette Provincie dell'Isola. Questa tavola prova che la mor-talità media comparata non grava nella fanciullezza e nell'adolescenza le provincie zolforifere. Passando dalla mortalità di questi primi periodi della vita alla mortalità media comparata di tutte le età in rapporto alla popolazione, i risultati sono gli stessi, e la sta-tistica della mortalità per circondari dal 4871 al 4875 ne fa splendida fede.

Fin qui i primi due capitoli della memoria del-l'avv. Maggiore Perni, letti alla società, e che for-marono oggetto di discussione., In fine al volume degli Atti si trova il rimanente. Lo spazio non ci

permette di allungarci di troppo e quindi ci limi-tiamo a dire come il 3° capitolo tratti del lavoro dei fanciulli delle "miniere, riducendo al loro giusto valore le fosche iperboli del Congresso di Milano, e mostrando che il lavoro dei fanciulli liberamente ordinato e liberamente esercitato non osta in nulla alla moralità e non nuoce a coloro che lo esegui-scono. I fatti rafforzano e spiegano i numeri e non resta quindi che ad esaminare le idee che governano e numeri e fatti. Il che lo scrittore fa nel 4° capi-tolo che tratta dell'intervento e delle conseguenze della legge di tutela del lavoro in ordine all' indu-stria e ai lavoranti. In questa parte è trattata con saldi argomenti la importante questione, non senza riferirsi ad esempi stranieri e a quelli inglesi parti-colarmente, e si sostiene che meglio di pessime leggi, provvedono al progresso l'interesse privato e la legge di solidarietà. L'egregio Autore della memoria conclude difendendo vittoriosamente la scuola liberale dall'accusa che le lanciano gli autoritarii di essere immorale ed inumana, perchè sostiene il principio della libertà e crede che l'ingerenza non giustificata sia un male e la violazione della libertà sempre pe-ricolosa. La necessità di un intervento potrebbe es-servi di fronte a una piaga sociale, ma oggi, spe-cialmente in Italia, non si è in questo caso. Tutte le riforme e tutti i trovati della scienza impiegati a migliorare la condizione del lavoro, anche degli adulti non protetti, non sono effetto delle leggi, ma della civiltà e della libertà; e il vincolo, come dice l'A., anziché svolgere questi grandi fattori, non può che ritardarne l'azione, che rendere funesto coi fallimenti, le crisi, la miseria, ed anche il bene che si vuole pro-durre.

Tornando ora alla discussione, che ebbe luogo, come abbiamo detto, dopo la lettura della prima parte, l'avv. Tirrito trova che per emettere un' opinione sicura conviene raccogliere ancora molti dati e fare molte investigazioni.

Il socio Cortegiani trova che per gente che nega l'immutabilità di taluni prinripii economici, non è logico appoggiarsi tanto agli esempi stranieri. Non nega che il lavoro compito in età giovanile possa produrre dei danni, ma crede che dobbiamo som-mare il bene ed il male, e dopo un importante di-scorso che ci duole di non poter riassumere, con-clude che la legge di tutela del lavoro applicata alla industria è illegittima, alle miniere è illogica, ad en-trambe torna sempre dannosa.

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l'ono-revole Luzzatti non ebbe tempo di fermarsi ad os-servare il lavoro di quelle miniere. Ciò è confermato dal sig. Sartorio e dal sig. Donner, i quali insieme all'avv. Finocchiaro Aprile esprimono idee conformi a quelle dei precedenti oratori.

Il Presidente riassume egregiamente la discussione, e dimostra che la Commissione d'inchiesta non si preoccupò troppo di conoscere la condizione dei la-voranti delle minieredi zolfo, ed esprime la speranza che il governo prenderà in buona parte lo studio fatto dalla società. Ragiona quindi maestrevolmente dell'argomento in discussione e conclude che le mac-chine solleveranno il piccolo lavorante, ma che è necessario lo sviluppo delle vie di comunicazione, dove l'intervento del governo potrà esser legittimo.

Infine la società vota il seguente ordine del giorno : « La Società siciliana di economia politica. « In seguito alle comunicazioni dei lavori statistici dell'avv. Maggiore-Perni, e alle dichiarazioni di pa-recchi socii, i quali hanno estesa pratica della in-dustria mineraria, in ispecie dei signori Carlo Don-ner, cav. Luigi Scalia, cav. Giulio Sartorio, cav. Bal-dassarre Galletti di S. Cataldo, presidente Giuseppe De Mensa, avvocato Giuseppe Emola Mancini pro-prietari o esercenti di vaste miniere in Sicilia, ha osservato e considerato:

« 1° Che il progetto di legge sul lavoro dei fanciulli nelle miniere difetta, riguardo alle zolfare siciliane, di ragione sufficiente, in quanto che i fan-ciulli adoperati nelle medesime esercitano liberamente un lavoro nè deformante, nè mortifero, retribuito a cottimo, e che trovansi in condizioni non solamente uguali, ma migliori di quelle dei fanciulli adoperati in moltissime altre industrie e mestieri.

« 2° Che i dati statistici dai quali il progetto di legge ha cavato la maggiore deformità dei rifor-mati'di leva nei circondari zolforiferi riguardano il solo anno 1873, e non rispondono alla vera condi-zione delle cose : mentre dalle medie di un decennio risuha che non sono i circondari zolforiferi che dànno il maggior contingente dei riformati.

« 3° Che la supposta mortalità media, non pre-vale comparativamente sui luoghi ove esistono mi-niere di zolfo, che anzi le statistiche dimostrano la parità o l'inferiorità ; ciò che prova che il lavoro dei fanciulli nelle miniere non è nè mortifero, nè peri-coloso.

« 4° Che la tendenza generale della industria siciliana delle miniere è quella di sostituire, massime nel lavoro dei fanciulli, l'opera delle macchine estrat-tive al lavoro manuale, e questa tendenza già rea-lizzata in Lercara nelle miniere dei signori Sartorio, va ad essere attivata dai socii Donner e Scalia nelle varie zolfare dai medesimi esercitate, e verrebbe ad essere sempre meglio agevolata col maggiore svi-luppo delle ferrovie e delle strade ordinarie.

« o° Che l'intervento del Governo, comunque determinato da un nobile scopo, verrebbe da un canto a turbare l'andamento naturale dell'industria, rinca-rando le spese di produzione e portando come ine-vitabile conseguenza la chiusura delle miniere

d'ira-fima resa ; e dall'altro canto come effetto immediato

renderebbe peggiore la condizione dei fanciulli che s'intendono proteggere, riducendoli alla miseria.

« Per tutte queste considerazioni la Società una-nime :

« Fa voti che il progetto di legge concernente la tutela dei fanciulli nelle miniere di zolfo non sia convertito in legge. »

Noi non possiamo che congratularci di nuovo colla Società Siciliana e col chiarissimo suo Presidente, ed esprimere il desiderio che essa continui col me-desimo zelo e colla stessa dottrina a trattare le gravi questioni che interessano l'avvenire del nostro paese. Essa aumenterà in tal guisa i titoli che ha già acqui-stati alla gratitudine degli amici delle libertà econo-miche.

La partecipazione dell' Inghilterra

nella Compagnia del Canale di Suez

L'impressione prodotta dalla notizia dell'acquisto delle 176,602 azioni del canale di Suez, possedute dal viceré d'Egitto fatto per parte dell' Inghilterra, notizia giunta inattesa alle orecchie del pubblico europeo non può dipingersi scompagnandola da un sentimento di vivissimo allarme contro la politica invadente di questa grande potenza occidentale che già vedevasi mettere il piede sull'Egitto e formarne il marciapiede ai suoi vasti possedimenti orientali. Ma dopo i primi momenti si è cominciato a con-siderare con maggior calma questo argomento, si è veduto il sig. di Lesseps rallegrarsi dell' avve-nimento e dichiarare ch'esso rispondeva al concetto dei fondatori dell'intrapresa i quali avevano fino da principio destinato di riservare una vasta parte al-l'Inghilterra nella costituzione della Compagnia; si è veduto gli organi principali dell' opinione pubblica nel Regno Unito scindersi in due campi e formarsi un concetto assai diverso dei vantaggi e dell'utilità di questa operazione, e si è a poco a poco ridotto al giusto valore le conseguenze di questo fatto che ha certo importanza economica assai maggiore che non politica.

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del suo debito fluttuante ; in altre circostanze quando i buoni del tesoro pesavano troppo fortemente sul mercato e si presentavano grandi difficoltà alla loro rinnuovazione, si trovava un rimedio in una emis-sione di consolidato. Ma in questo momento ciò non avrebbe potuto effettuarsi. I recenti esempli della Spagna e della Turchia, le conseguenze delle rive-lazioni fatte al pubblico dalla commissione inglese d'inchiesta sopra i prestiti stranieri avevano reso per adesso una tale operazione impossibile.

Si pensò adunque di trar partito dalle 176,692 azioni del Canale di Suez di cui il viceré non ha per altro adesso che la nuda proprietà avendo ce-duto gl'interessi ed i dividendi sulle medesime per 25 anni ai portatori di delegazioni ammortizzabili in tal periodo di tempo, di cui 19 anni, riman-gono ancora a decorrere. Il valore attuale di questa proprietà infruttifera per diciannove anni è adunque appena i due quinti del valore ch'essa avrebbe se portasse regolarmente fino da adesso il suo interesse, e del prezzo che consente a pagare l'Inghilterra la quale ha stipulato d'indennizzarsi riscuotendo per il decorso di questi 19 anni dal governo egiziano una annualità del 5 Ojo sopra il denaro sborsato. Più dei tre quinti di tal capitale rappresentano il valore di questa annualità ed è notevole che il governo egiziano che è costretto a pagare un interesse del 13 o del 11 0[o agli altri suoi creditori abbia fi-nalmente trovato nell' Inghilterra un sovventore che si contenti di un interesse cosi moderato. Ma questa combinazione rende il cancelliere dello Scacchiere necessariamente interessato ed incessantemente an-sioso intorno allo stato finanziario dell' Egitto e gli crea il bisogno d'inviare un suo rappresentante ad investigare ed a sorvegliare la gestione amministra-tiva di quel paese; osserva però VEconomist di Lon-dra, e forse non a torto, che si è già avuto col caso della Turchia un esempio della futilità di tali missioni. Lord Hobart inviato a Costantinopoli da Lord Russel non riusci a nessun resultato ; le finanze di un governo possono da esso soltanto esser con-trollate ed un'ingerenza esteriore è impossibile tranne col distruggere l'indipendenza dello Stato. Ma se l'Inghilterra potrà rimanere tranquilla intorno al pa-gamento dell'annualità che le è dovuta ha fatto un impiego di denaro che non le è certo svantaggioso; essa che può facilmente procurarselo al 3 1[2 0[0 gode sempre di un discreto margine imprestandolo al 5

0[0-In seno alla Compagnia del Canale di Suez l'0[0-In- l'In-ghilterra viene evidentemente ad avere una posizione che è alquanto in contrasto con quelh degli altri azionisti. Non dovendo per diciannove anni conse-guire alcuna partecipazione sopra le proprie azioni, è suo interesse che i proventi della Società vengano consacrati il più che sia possibile ai lavori di cui

essa dovrà un giorno profittare come quelli di mi-glioramento ed approfondimento del canale, e che siano distribuiti agli azionisti nella più piccola misura. Ma potrà essa facilmente acquistare un' assoluta on-nipotenza o anche una grande preponderanza nelle assemblee generali degli azionisti e nella direzione della società? Anche su questo punto gli animi si sono alquanto rassicurati avvertendo che non potrà usare direttamente un' influenza molto importante senza ricorrere all' intrigo. Gli statuti della Società infatti accordano un voto al possessore di 25 azioni, ma non permettono che niuno possa. aver più di 10 voti e per tal modo 250 azioni hanno nei consigli 10 stesso peso delle 176,000 dell' Inghilterra. Il far uso del sistema di dividere quelle azioni fra un numero di vari azionisti nominali che il nostro lin-guaggio designa col nome di uomini dì paglia, è una violazione dello statuto ed una frode facile a constatarsi. I direttori della società nominati per otto anni sono ventuno e si rinnuovano col mezzo di rotazione annuale ; non è facile concepire che sopra di essi possa l'Inghilterra esercitare diretta-mente una grande pressione, ed in ogni caso anche se potrà adoperare energiche manovre ad ogni nuova elezione, dovrà per vari anni contentarsi di essere rappresentata da una minoranza nel consiglio. È inoltre da notare che l'Inghilterra non subentra a tutto intiero l'interesse che il Kedive ha nella Com-pagnia del Canale, perchè egli resta il sovrano ter-ritoriale ed ha inoltre un diritto alla partecipazione dei benefizi al di là dell' interesse statutario distri-buito alle azioni fino al 15 per 100; nè ciò è tutto, ma può sempre inviare alla sede ufficiale della Com-pagnia un commissario speciale pagalo a carico della Compagnia stessa ed incaricato di rappresentare al Consiglio dei direttori i diritti e gli interessi del governo egiziano.

E facile il prevedere da questa conclusione finan-ziaria una importante conseguenza economica di cui niuno avrà a lamentarsi. L'influenza dell'Inghilterra sopra il Canale di Suez col fatto della sua parteci-pazione diretta nella formazione della Società si farà sentire al movimento di speculazione commerciale che si porterà di nuovo verso l'Egitto; i capitali pri-vati dell' Inghilterra seguiranno l'impulso dato dal governo e si porteranno con nuovo ardore a fecon-dare la ricca contrada del Nilo con la creazione di nuove ferrovie, di docks, di grandi emporii, d'im-portanti stabilimenti commerciali e di tutti quei mec-canismi su cui si fonda 1' attività commerciale e dei quali quel paese manca ancora quasi del tutto.

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sembra oggi affatto abbandonato. Tale progetto non poteva effettuarsi senza il concorso del governo in-glese il quale sembra veramente di rinunziarvi tro-vandosi sufficientemente guarentito sopra la via di mare che è d'altronde bastevole ai bisogni politici e commerciali.

LE CASSE Di RISPARMIO

Settembre 1875

Il bollettino delle situazioni mensili degli Istituti di credito, che pubblica il Ministero d'Agricoltura e Commercio contiene pure, com'è noto, le situazioni di alcune fra le principali Casse di Risparmio del Regno. In mancanza di una pubblicazione più com-pleta che riproduca le attuali condizioni generali del risparmio in Italia, non è inopportuno esaminare le notizie delle undici Casse inserite nel bollettino a tutto settembre 1875.

Le Casse di Risparmio che trasmettono le situa-zioni sono le seguenti : Milano, Firenze, Roma, Bo-logna, Genova, Piacenza, Parma, Cagliari, Siena, Pa-dova e Palermo. Indubitatamente sono queste le prin-cipali Casse, e dall'esame delle loro situazioni e dal loro movimento durante i primi nove mesi del cor-rente anno si può benissimo rilevare le condizioni attuali del risparmio in varie parti d'Italia.

Al 50 settembre 1875 il credito dei depositanti delle undici Casse di Risparmio sopra menzionate ascendeva in complesso, capitale ed interessi, a lire 362,022,870 ; il loro patrimonio ammontava, fra capitale e fondo di riserva, a lire 30,837,259 ; le rendite dell'esercizio in corso raggiungevano la cifra di lire 13,488,425.

Ora per farsi un'idea dell'importanza di ciascuna delle undici Casse che andiamo esaminando, occorre vedere come si ripartiscano fra esse le suddette cifre.

Credito Patrimonio Rendite CASSE Depositanti dei Casse delle dell'esercizio in corso Milano . . 2 3 7 , 2 7 3 , 0 2 0 1 9 , 1 0 3 , 4 4 9 8 , 4 8 6 , 6 6 2 Firenze.. 5 0 , 0 1 3 , 0 6 0 3 , 0 9 4 , 2 4 1 1 , 8 8 6 , 4 2 9 Roma . . . 2 7 , 3 6 1 , 6 4 0 3 , 1 7 5 , 7 3 7 1,099,111 Bologna. 1 3 , 5 7 3 , 1 8 0 3 , 5 5 8 , 0 3 7 6 2 9 , 0 1 0 Genova.. 1 1 , 4 4 9 , 2 1 7 2 0 4 , 2 5 5 2 5 8 , 4 7 0 Piacenza. 5 , 1 3 1 , 3 1 3 3 4 5 , 5 6 4 2 6 3 , 8 0 4 P a r m a . . . 4 , 5 4 7 , 5 8 7 5 0 2 , 9 1 9 3 0 8 , 4 4 7 Cagliari. 3 , 6 8 3 , 6 1 0 1 1 6 , 8 8 4 8 9 , 8 8 1 Siena . . . 3 , 2 4 7 , 5 7 4 3 3 1 , 8 4 0 1 2 9 , 6 6 7 Padova.. 2 , 9 0 8 , 2 6 0 1 5 5 , 2 3 4 9 7 , 5 8 7 Palermo. 2 , 8 3 4 , 4 1 0 2 4 9 , 0 9 9 2 3 9 , 3 5 8 TOTALE 3 6 2 , 0 2 2 , 8 7 1 3 0 , 8 3 7 , 2 5 9 1 3 , 4 8 8 , 4 2 6 La Cassa di Risparmio di Milano concorre per quasi due' terzi (257 milioni di lire) nell'ammontare • complessivo del credito dei depositanti presso le

un-dici Casse in esame. Segue quindi la Gassa di Fi-renze per oltre 50 milioni di depositi ; poi Roma con 27 milioni, Bologna con 13 milioni e mezzo, e Genova con 11 milioni e mezzo circa. Delle altre Casse, ad eccezione di qùella di Piacenza, nessuna arriva a 5 milioni di depositi.

11 modo d'impiego dei capitali raccolti dalle Casse di Risparmio è fra le ricerche più importanti sopra queste istituzioni. Ecco come erano impiegati prin-cipalmente i denari dei depositanti presso le undici Casse in discorso al 30 settembre -1875 :

Prestiti con ipoteca L. 93,087,005 Anticipazioni sopra valori pubblici o priv.» 67,155,455 Boni del Tesoro » 53,154,364 Prestiti a comuni, provincie e corpi mor. » 44,046,518 Fondi Pubblici (dello Stato, comunali

e provinciali) » 40,415,915 Conti correnti » 35,479,992 Valori commerciali e industriali . . . » 22,999,896 Sconti » 15,908,209 Beni stabili •> 5,467,593 Anticipazioni senza pegno » 2,278,130 Anticipazioni sopra sete o altre merci » 2,004,602 «

I capitali raccolti dalle Casse di Risparmio sono principalmente rinvestiti in prestiti con ipoteca (93 milioni di lire). Una parte, pure rilevante, viene im-piegata nelle anticipazioni sopra valori pubblici o privati (67 milioni). Anche in Boni del Tesoro si rinveste non poca parte dei depositi (53 milioni). In queste sole operazioni, abbastanza solide, s ' i m -piega per quasi due terzi del credito dei depositanti.

L'impiego in valori commerciali e industriali, in sconti, in anticipazioni sopra merci, ecc., è una prova come le Gasse di Risparmio non tralasciano di fun-zionare come istituti di credito, recando pure sotto questo aspetto dei benefizi alle industrie e al com-mercio.

Vediamo ora quale fu il movimento complessivo delle undici Gasse di Risparmio in esame per cia-scuno dei nove mesi trascorsi del corrente anno 4875.

LIBRETTI SOMME accesi estinti versate restituite Gennaio. 10^69 5,995 14,499,207 9,829,650 Febbraio. 6,086 5,001 10,768,118 7,778,932 Marzo... 7,240 5,487 10,297,671 8,923,520 Aprile... 8,123 5,182 10,812,576 9,236,385 Maggio.. 7,416 4,686 9,836,840 8,438,396 Giugno.. 6,738 4,638 9,503,444 8,343,204 Luglio... 8,104 4,540 13,222,796 8,476,187 Agosto . . 6,545 4,309 9,823,710 7,824,597 Settembre 5,093 3,736 8,271,004 8,870,219 TOTALE 65,614 43,574 97,035,366 77,721,090

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In tutti i mesi, ad eccezione del settembre, i de-positi furono maggiori dei rimborsi. Alla differenza in meno che si verifica nei depositi del mese di settembre a fronte dei rimborsi, ha contribuito prin-cipalmente la Cassa di Risparmio di Milano, nella quale i rimborsi furono maggiori dei depositi per oltre un milione e 100 mila lire. Anche nelle Casse di Risparmio di Firenze, di Palermo, di Bologna e di Padova i depositi del mese di settembre furono inferiori alle somme rimborsate. Nelle altre Casse in-vece le somme depositate superarono quelle ritirate.

Dal complesso resulta che nei primi nove mesi del corrente anno i risparmi presso le Casse prin-cipali furono maggiori di quelli che si verificarono nel periodo stesso del 1874.

SOCIETÀ ADAMO SMITH

La Società Adamo Smith terrà pubbliche confe-renze intorno alla rinnovazione dei trattati di

com-mercio, domenica 19 corr. e nei giorni seguenti a

mezzogiorno preciso, nel locale del Circolo Filolo-gico (via Tornabuoni, palazzo Ferroni).

I temi proposti dalla Società su cui sarà aperta la discussione sono i seguenti :

1. Se si debbano o no stipulare trattati di com-mercio ;

2. a) quali sieno i caratteri che deve avere una tariffa doganale per non degenerare in protettiva;

è) se si può stabilire a priori una misura de-terminata nei dazi senza aver riguardo al sistema tributario del paese;

3. Se il tener conto dei tributi che gravano la produzione interna non sia un modo indiretto di rica-dere nel protezionismo;

4. Se i dazi doganali debbano colpire ugualmente le merci che si importano e quelle che si esportano, oppure unicamente le prime;

5. Se nelle tariffe doganali siano da preferisi i dazi specifici o i dazi ad valorem.

Ciascuno è libero presentare nuovi temi e di prender parte alla discussione.

L'ECONOMIA POLITICA

confrontata colla politica sociale e colla sociologia

discorso letto nella. R. Università di Bologna, d a A . MARESCOTTI

Voi sapete che per lungo lasso di tempo si è ri-tenuto da tutti che i beni della vita fossero concessi e ripartiti alle nazioni dai principi sovrani e dai grandi e magnanimi proprietari, i quali erano ri-guardati per una emanazione di Dio provvidente. Fino a che gli economisti osarono addentrarsi nel

sinuoso opifizio delle ricchezze, e fatte indagini mi-nute e scrupolose scoprirono, che nessun bene può essere convertito in una dovizia godevole e permu-tabile fra gli uomini senza l'opera del lavoro trava-glioso.

La scoperta fu il principio di una rivoluzione, o se vogliamo dire di una evoluzione nuova sociale. Imperocché si resero tanto manifesti i diritti dell'ope-raio faticoso, che subito cominciò la sua emancipa-zione. Oltre a ciò gli economisti mostrarono a note chiarissime come tornasse a giovamento e utilità delle nazioni, che i cittadini di ogni classe fossero liberi di agire, muoversi e contraccambiare loro industri fatiche, dalle quali scaturiva il valore di tutte specie di dovizie.

Per avventura la scuola economica credette di potere acclamare la libertà industriale colla elocu-zione assai concisa e negativa, ornai notissima, del

lasciate fare e lasciate passare. La quale esprimendo

una negazione perentoria contro all'abituale suprema-zia delle autorità governanti, fu di leggieri presa in sospetto, e diede a stimare gli economisti quali uo-mini idealisti inesperti e pericolosi agli Stati.

Nulla ostante la luce si diffuse in un baleno, e i governi anche dispotici fatti oeulati si lasciarono condurre dalle teorie economiche: cosicché la libertà industriale prese radici negli Stati civili, e furono rotti o almeno rallentati i legami politici e ammini-strativi che inceppavano le persone, e tenevano av-viluppate le loro proprietà. Lo perchè si videro aperte le porte delle officine, sciolte le corporazioni obbli-gatorie delle arti e mestieri, sbandite le leggi ideate .contro ai consumi domestici, contro al frutto delle prestanze e contro al prezzo delle merci. Le riforme si moltiplicarono frettolosamente e con zelante solle-citudine; mentre si sanzionava negli Stati la libertà dei cittadini e dei loro possessi; dei domicili privati, dei matrimoni, del lavoro, del commercio, dell' uso delle ricchezze e dell'istruzione.

Rivoluzione maravigliosa, anzi la più grande fra tutte quelle che si conoscono nelle istorie dei po-poli : imperocché prima della scuola degli economisti che cosa furono essi per secoli e secoli i diritti, la potestà politica e la morale? Il diritto era una con-cessione fatta dallo Stato capricciosamente, e varia-mente alle singolari classi dei cittadini. La potestà politica una padronanza più o meno benigna e sem-pre mai arbitraria. La morale una benevolenza ipo-crita, pomposa e dissipatrice.

Gli economisti proclamarono i diritti, la libertà e la possanza insuperabile del lavoro; e ora pare cosa incredibile l'udire taluno che grida contro agli eco-nomisti liberali: voi siete genti insulse e sterili.

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sostengono loro ortodossie con una asseveranza as-soluta; credendo tuttavia che con la sola libertà si possa conseguire ogni specie di bene.. Mentre è pure mestieri osservare che la libertà è una mera disci-plina, la quale sgombra e apparecchia il terreno per istituzioni sociali nuove e bisognose alla loro volta dei provvedimenti positivi e governativi. Essendoché le evoluzioni sociali si effettuano transitando le na-zioni ad altri organismi civili, che le leggi pubbliche rassodano e rassicurano. Sulla qual cosa tutti con-cordano. Se non che l'uffìzio della sicurezza è tanto ampio e vario che fa poi nascere i dispareri nei pensamenti e nei giudizi individuali, e divide le scuole.

Noi medesimi veggiamo quali insane interpreta-zioni si possono dare ai diritti e alla libertà del la-voro; perocché le moltitudini scorgendo di tenere nelle mani loro proprie il primo fattore della produ-zione, pretesero di padroneggiare da sé sole le ma-teriali ricchezze delle nazioni : e lusingate dalle scuole socialistiche, immaginarono di fare del lavoro ma-nuale il perno della convivenza; e corsero precipi-tosamente alle coalizioni formidabili, ornai notissime, dei comunardi e degli internazionalisti; le quali quan-tunque represse, nen sono ancora disperse, e minac-ciano quotidianamente di trasformare la società in un inferno, secondo si esprimeva non ha guari un inglese oratore.

Gli economisti non hanno voltato le spalle a que-sto campo di battaglie; e siccome furono la cagione principale della lotta, sentono l'obbligo di stornare e vincere i pericoli. Ed essendo mestieri precisamente di provvedere alla pubblica ed alla privata sicurezza minacciata dalie pretensioni del ceto infimo e fati-coso, non può fare stupore se accanto alla prima scuola sono comparse altre scuole economiche. Im-perocché vi sono tuttavia gli economisti che confi-dano nell'intervento preventivo e disciplinare dell'au-torità; i quali spronati inoltre dalle dottrine del positivismo, inclinerebbero a sottoporre la economia laboriosa alla politica sociale, e involgerla nelle mac-chinali evoluzioni descritte dalla moderna sociologia, che è una enciclopedia tenebrosa come dimostrerò più avanti.

Di tali economisti, detti ancora realisti, tenni gjà parola l'anno passato prima di cominciare le nostre trattazioni sulle finanze dello Stato, e voi potrete leg-gere il mio discorso stampato col titolo Le due scuole

economiche. Nulladimeno reputo opportuno ripigliare

lo stesso argomento in questa prolusione, dovendo nel corso che siamo per fare dell'economia teorica, citare sovente le dottrine recenti del realismo poli-tico ed enciclopedico, e dette evoluzioni naturali.

E dividerò per maggiore lucidità del discorso la materia in tre parti.

Nella prima toccherò il principio fondamentale della

scuola liberale, non che le contingenze che modi-ficano quel principio.

Nella seconda enumererò le obbiezioni fatte dalla scuola della politica sociale contro ai principii e alle leggi economiche.

Nella terza studierò di delineare le conseguenze finali della naturale e materiale sociologia che lo studioso non deve ignorare.

P A R T E I

ECONOMIA POLITICA LIBERALE.

Voi sapete che la scuola liberale prende quale perno dell'ordine economico l'interesse e la respon-sabilità individuale. Tuttavolta ha distinto nell'ordine economico la produzione dalla distribuzione delle ricchezze. Imperocché in quella l'interesse personale non è libero, dovendo ogni produttore sottostare alla legge obbiettiva e inesorabile dei minimi mezzi, ov-vero sia dei perfezionamenti industriali. Invece nella distribuzione l'interesse personale è libero avvegna-ché ciascun possessore possa a suo talento scambiare, contrattare e anche regolare le ricchezze proprie. Anzi se voi compendiate le istorie delle nazioni scor-gerete di leggieri una tramutazione maravigliosa nell'indole dell'interesse personale : imperocché la cupidità delle ricchezze si fa più generosa e condi-scendente grado a grado che la civiltà moltiplica e raffina gli scopi del vivere socievole.

Nulladimeno anche la distribuzione è soggetta a due leggi perentorie ; quali sono la legge giuridica della proprietà, che sanziona e quasi chiude in sé tutti i diritti personali ; e la legge aritmetica del tornaconto, la quale non può essere trascurata mai dalla generosità pure moralissima, qualora prema di non distruggere i più pingui patrimoni, nè trasci-nare i consorzi e le famiglie in una povertà scon-fortevole e sterile.

Da tali riflessioni apparisce di tutta evidenza che la scuola deve avere per principale disciplina la li-bertà individuale ; atteso che i cittadini liberi e re-sponsabili delle loro opere si stimolano scambievol-mente, e si accostano con maggior lena ai mezzi minimi, cioè a dire agli strumenti più acconci a conseguire una produzione copiosa; e nel medesimo tempo sono più garantiti nei possessi e nelle pro-prietà, indi possono essere più generosi, scegliere il tornaconto più ragionevole, e avere fini più morali allorché hanno a compartire i prodotti. Anzi la li-bertà essendo il carattere speciale dei sentimenti etici venne dagli economisti stimata cosi necessaria alle pratiche istituzioni delle nazioni, eh' eglino ri-corsero al preciso e formale precetto indicato da me più sopra del lasciate fare e lasciate passare : col quale precetto si allude principalmente alla respon-sabilità morale e intelligente degli individui operosi.

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passare non escludono l'intervento dell'autorità go-vernativa. Chi sarebbe tanto stolto da ignorare che nell'uomo sono due elementi, l'individuale e il so-ciale; e mentre il primo lo conduce all'indipenden-za, il secondo lo trascina verso l'autorità ; così che tutti desideriamo che lo Stato si accomodi alla no-stra personalità. Infatti l'autorità pubblica oltre il garantire le persone e gli averi, può tante fiate pre-stare ai cittadini gli espedienti più agevoli della pro-duzione ; e moltiplicare eziandio colle pubbliche isti-tuzioni i fini morali educativi e civili della socie-volezza, ampliando il campo del tornaconto scam-bievole. Lo perchè dagli economisti liberali, come voi vedeste, si sono studiate senza posa, e si stu-diano tuttavia le riforme legislative e amministrative degli Stati.

Però non può sfuggire alla vostra perspicacia, che le riforme legislative e amministrative si riferiscano ad organismi peculiari cosi complessi da dare luogo ad apprezzamenti e giudizi vari, e condurre ezian-dio a partiti opposti. Imperocché come la politica governativa non è scevra di tracotanza e d'insidie, così i costumi dei cittadini non sono totalmente can-didi. Oltre a ciò voi riscontrate nei governi gl'in-dividui medesimi che portano con sè i difetti pro-prii delle persone private. Per la qual cosa adesso è preferita la libertà individuale negli ordinamenti costituzionali ormai universali in tutti gli Stati. Anzi si vorrebbe che l'autorità pubblica si astenesse dal-l' intervento preventivo e vincolativo, e seguisse piut-tosto il sistema repressivo. Poi nel medesimo tempo noi tutti vogliamo nelle città una polizia solerte e preventiva, la quale impedisca efficacemente le offese contro alla sicurezza e proprietà delle persone, alla morigeratezza e decenza dei costumi, e alla sanità pubblica.

Contraddizione non c' è ; e voi il capite per le ragioni esposte non ha guari. Tuttavolta il fissare nelle singolari contingenze le modificazioni dei prin-cipii liberali, voglio dire i limiti d'ella libertà inviduale, e i confini della polizia intromettente e di-sciplinare è bisogna difficile. Se voi a modo di esem-pio proibite che si tengano vasi di fiori sulla fine-stra per tema che cadano sul capo del viandante, dovrete pure proibire che un proprietario affitti una casa cadente ; e che un armatore metta in mare una nave sdrucita.

Se la vostra costumatezza esige di non vedere battuti e straziati gli animali ; esigerete maggior-mente di non vedere i fanciulli e le donne sopra-cariche di lavoro.

Se vi pare prudente di non permettere alle ban-che private una emissione scoperta e male garantita, potreste fare un passo più avanti, e non permet-tere che l'operaio portasse suoi risparmi alle società mutue inesatte e male ordinate.

Fin dove arriverete voi? Io non lo so; giacché il giudizio muove dagli apprezzamenti e dalla pru-denza personale.

Tuttavia mi sembra da notare per istruzione no-stra che i provvedimenti preventivi generano mai sempre una reazione dannosa e temibile. Io segui-terò a spiegarmi cogli esempi.

Quando proibite che si gettino sulla strada le spazzatura della casa, voi costringete la famiglia povera a tenere nella sua angusta stanza ogni sorte di immondizie; e aumenterete il luridume domestico, se per avventura non sia già stabilito un sistema di latrine decenti.

Quando limitate le ore del lavoro, o proibite il lavoro dei fanciulli, dove vanno i fanciulli ? 0 re-stano oziosi nelle loro insalubri dimore, tormentati dalla fame, dal freddo e dall' inazione ; ovvero si gettano sulla via pubblica a cercare l'elemosina e a rubare. Nè riescirete ad evitare questi effetti com-passionevoli e dolorosi fino a che non rendiate la famiglia agiata tanto da potere da sè sola allevare, nutrire e educare i propri geniti.

Con tali esempi voglio significare che noi siamo bensì costretti ad essere autoritari e vincolisti in parecchie contingenze; ma abbiamo medesimamente T obbligo di prevenire la reazione congiunta a cia-scun vincolo e a ciacia-scuna disciplina restrittiva.

Ma sebbene gli economisti liberali e gli autoritari si possono concordare intorno alle contingenze di-sciplinari, atteso che la libertà come l'autorità sono discipline mutevoli di governo, più difficilmente si concordano intorno ai principii scientifici della eco-nomia teorica, la quale è di supremo valore, atteso-ché tutti gli ordinamenti politici e governativi rice-vono da essa, a così dire, il registro giuridico e la sanzione morale. Nè voi crediate che vi abbia una scienza teorica pura, secondo suol dirsi, ossia pret-tamente ideale; avvegnaché le scienze eziandio astratte decadono ad osrni modo modellarsi sui fenomeni

ocu-OD o

lari; perchè in altra guisa diventano utopie, o al-meno ipotesi immaginarie.

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alla parte seconda nella quale intendo di rivelarvi i principii enciclopedici e le obbiezioni della scuola detta propriamente politica, economica e sociale.

P A R T E II

POLITICA ECONOMICA E SOCIALE

La scuola nuova che s'intitola della politica eco-nomica e sociale ha destata 1' attenzione anche del profano, segnatamente per le rampogne fatte alla scuola Smithiana. Questa scuola, dicono i realisti, è ingombra di egoismo individuale, e sostiene delle idealità ineffettuabili. Essa stima la società imper-nata sopra il solo interesse individuale: quando per opposto è un organismo complesso, il quale riceve il soffio vitale dalla forza collettiva, ossia dalla soli-darietà degli interessi rappresentata dall'autorità pub-blica e dallo Stato.

E proseguono: se vorrete fare dell'economia po-litica una scienza sperimentale e positiva (spoglio qui una buona parte delle idee del Lampertico) do-vrete prendere in contemplazione primieramente la umanità, ossia l'uomo in tutta la sua soggettività Poi il mondo oggettivo esterno che impressiona l'uomo assai variamente. Alla perfine i beni scatu-riti dall'azione umana esercitata sulla terra; beni esterni ed interni, materiali e immateriali, produt-tivi e improdutprodut-tivi, purché siano permutabili.

Alle rampogne sopradette risponde l'economista smithiano ortodosso. Vero è, che noi prendiamo quale perno delle nostre discipline l'interesse personale egoista. Ma niuno negherà che essendo i beni per-mutabili l'obbietto principale dell'economia politica, non si può ricorrere ad altro giudice atto a deter-minare il valore loro. Se voi escluderete questo in-teresse egoista, entrerete a golfo lanciato nel gran mare della morale e della religione, le quali prefe-riscono i sacrifizi, sarete anziché l'economista il mo-ralista, e il filantropo mistico o socialista.

Il realista replica, che l'uomo non può scompa-gnarsi dalla morale. Nè l'economista smithiano il nega. Però risponde : io intanto studio il fenomeno economico, onde rendere palesi i principii che lo informano ; e così avvertirò più fondatamente le at-tinenze che vi hanno cogli altri fenomeni sociali.

Ripiglia il realista. Se isolerete il fenomeno eco-nomico egoista, voi detterete una scienza inattuabile.

Imito gli altri scienziati, risponde l'economista smithiano. Infatti il moralista, il giurista, il fisico medesimo trattano singolari scienze inattuabili per sè sole, e fino a che non si congiungano fra loro ; e segnatamente non avvisino a reintegrare gli inte-ressi personali dell'ordine economico. Come defini-reste voi un atto morale, o un diritto, o una mi-sura igienica, o una disposizione governativa e legi-slativa che fosse scompagnata da qualche interesse personale, ovvero lo contrariasse? In verità, egli è

di tutta evidenza che l'elemento economico primeg-gia sempre, come quello che dà corpo all'attività umana iniziale, e a'suoi fini reali.

I realisti ripigliano : la legge fondamentale del-l'umanità si deve ravvisare più presto nella solida-rietà sociale desfli interessi, e nella convivenza

urna-O '

na, nella quale l'interesse personale figura quale semplice molecola.

E l'economista smithiano risponde: Riconosco la solidarietà degli interessi e la convivenza, ma di che si compone essa? Appunto di molecole; ossia d'interessi individuali, di doveri etici, di diritti giu-ridici, di relazioni politiche, di tradizioni storiche, di provvedimenti igienici, di materiali fisici, di in-dustrie e di mercature singolari. Per conoscere que-sta solidarietà di negozi sì composti fa d'uopo ana-lizzare le sue parti: e io intanto prendo la parte economica.

Riprendono i realisti. Se seguirete gli interessi individuali isolatamente trascurerete i momenti etici e le leggi limiti.

E l'economista smithiano risponde: io non posso trascurare nè i doveri etici, nè gli imperiosi limiti di esteriori contingenze, perchè esaminando a fondo i fenomeni economici incontro appunto l'interesse individuale accerchiato dagli ostacoli sopradetti.

II realista ripiglia: voi seguendo l'interesse indi-viduale delineate soltanto l'economia privata, e tra-sandate l'economia comune. Il Lampertico la chiama l'economia dei popoli.

L'economista smithiano replica: quale distinzione è cotesto di una economia comune e solidale, la quale non è altro che il conserto delle economie private? Noi stimiamo la economia comune o dei popoli una resultanza, alla quale non si può giun-gere fuorché esaminando uno ad uno gli interessi personali, i quali concorrono a formare un ordine economico universale e umanitario. Noi partiamo dal principio.

I realisti insistono e dicono : voi non potrete det-tare una scienza positiva e reale, perchè in luogo di cercare i fatti permanenti che si palesano nel corso delle storie, e nelle tavole della statistica, vi fermate all'interesse individuale, il quale nella sua solitudine è una vera idealità astratta.

L'economista smithiano respinge un'accusa sì gra-tuita e menzognera ; e aggiunge, deve potrei scor-gere io l'azione e gii effetti dell'interesse individuale se non sciorinassi le storie, nè raccogliessi le stati-stiche? E come potrei fare dei giudizi se non co-noscessi le evoluzioni compiute dall'interesse indivi-duale nel lasso del tempo e nella convivenza delle nazioni e delle classi civili?

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Lo smithiano ripete. La solidarietà dei negozi umani è una resultanza la quale non esisterebbe nè si scorgerebbe se non apparissero gl'individui. Nè la convivenza può avere leggi proprie, che non ap-partengono agli individui. Lo perchè io studio e afferro le evoluzioni della convivenza sociale se-guendo le trasformazioni degli individui umani e degli interessi personali.

Il realista ripiglia. Voi vi distaccate dall' arte di governo, la quale deve tenere conto non che degli interessi personali, eziandio degli interessi generali e solidali, e dei momenti etici, e delle tradizioni storiche, e della indipendenza nazionale, e di tante altre contingenze. Yoi confitti sull' interesse perso-nale rimanete immobili e assoluti ; mentre l'arte del governo è mutabile e relativa.

Lo smithiano risponde. Io so benissimo che l'arte di governo è enciclopedica, talché nessuna scienza peculiare potrebbe dettare le discipline dell'arte go-vernativa. Se prendiamo separatamente il moralista, il giurista, l'igienista, il fisico, comprenderemo che niuno di costoro potrebbe da sè solo governare una nazione. Per lo che chi governa deve ad un tempo consultare l'economia politica, la morale, il giure, l'igiene e la fisica naturale. Nulladimeno chi si ac-cinga a suggerire al governante le norme scienti-fiche e i principii direttivi, dovrà quando pure avesse la capacità dell'enciclopedista, tenere separate le trat-tazioni. Anzi vedrete a modo di esempio fra i na-turalisti non confondersi insieme i fisici, i chimici, gli astronomi, sebbene tutti attingono loro cognizioni dalla solidarietà e in difettibilità dalla stessa natura. Solamente quando taluno di costoro voglia trasci-nare il brano della scienza propria e speciale nel campo dell'arte pratica, egli si afferra all'albero in-tero. Laonde ciascun naturalista ha mestieri di co-noscere così la fisica corporea come la chimica ato-mistica e l'astronomia planetaria. Ma egli non po-trebbe approfondirsi nelle indagini scientifiche se non si chiudesse anzitutto nel recinto della sua specia-lità. L'economista adopra similmente. Ma egli è di tutta evidenza, che qualora 1' economista giunga al governo, si accorge di leggieri che l'arte governa-tiva non può reggere sopra un piede solo ; ed è costretto di consultare alla sua volta la morale, il diritto, l'igiene e le fisiche dottrine.

Il realista rimprovera altresì lo smithiano di non conoscere l'indole dello Stato. Voi lo riputate, gli dice, un organismo casuale, accessorio e fastidioso ai cittadini ; voi lo vorreste spogliare della sua podestà, e condannarlo all'azione passiva della difesa comune. No ! lo Stato vuole essere iniziatore e riparatore, soggiunge il realista : attesoché egli rappresenta quel-l'azione collettiva dalla quale gl'individui attingono loro gagliardia, non che i mezzi del lcro perfezio-namento.

Lo smithiano risponde. Io mi astenni dall' invol-gere lo Stato nelle vostre dispute della collettività iniziale : bensì apprestai con pratico avvedimento le funzioni eccessive del governo avendo veduto con evidenza eh' egli non può fare provvedimento niuno quando non carpisca suoi mezzi alla nazione. Laonde il bene fatto dal governo segnala mai sempre un sacrifizio dei privati cittadini. Giudicare questo bene e questo sacrifizio è cosa ardua, segnatamente per-chè le moltitudini vorrebbero in ogni luogo l'auto-rità largheggiante e prodiga. Temperatevi grida lo smithiano, e riflettete ponderatamente sopra qualsiasi funzione dello Stato ; avvegnaché rare volte egli esercita un atto riparatore; mentre per opposto ac-cade spesso che favorisca la collettività inclinata a divorare gl'individui. Breve : Ogniqualvolta lo Stato disimpegni un negozio pubblico, ed eserciti quindi un intervento e una ingerenza, egli impone un sa-crifizio ai cittadini, atteso che da essi medesimi ri-trae i suoi mezzi. Conviene dunque conoscere se il sacrifizio dei cittadini è compensato dall'utilità del negozio. La qual cosa non può stabilirsi colle re-gole generali della collettività, e fa d'uopo ventilare i singoli fatti, le singole contingenze, i singoli scopi. Signori, i miei paragoni vi sembreranno eloquenti. Tuttavolta i rivolgimenti del realismo sono diversi e lunghi; e ora deggio passare ad un altro ordine di idee e di obbiezioni.

Voi sapete che lo Smith porta il nome glorioso di padre dell'economia politica, perchè la separò dalle altre scienze: avendo messo in chiaro che l'ordine economico aveva sue leggi proprie obbiet-tive e aritmetiche. La separazione non pare più accettabile ai realisti moderni; i quali preoccupati dalla stretta parentela di tutte le scienze morali e fi-siche; tornano a ricomporre una nuova enciclopedia complessa e universale. Io dico anzi che essi stanno per risuscitare il caos.

Gli economisti realisti citano segnatamente le leggi limiti, ossia le contingenze limitative. E siccome queste contingenze perturbano quotidianamente le nazioni, e tengono in continua agitazione le classi civili, essi opinano che le leggi peculiari dell'ordine economico si abbiano a stimare di poco conto.

Tutte le leggi naturali ripeto, sono relative a singolari organismi, e come questi mutevoli. Laonde anche le leggi economiche cambiano e vogliono es-sere applicate diversamente. Però l'economista si mostra tal fiata liberista e talvolta vincolista e pro-tettivo ; se fa duopo egli diventerà socialista per ac-comodarsi alle contingenze delle convivenze nazionali.

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Germania aristocratica, nella Francia, nell'Italia de-mocratiche, nell'Inghilterra liberale; se inoltre giu-dicherete che non possono perdere il loro carattere 0 ci riferiamo noi ai possessi degli abbienti, ovvero ai travagli dei nullatenenti, dovrete concludere, che malgrado le contingenze, atte a perturbare ogni sorte di ordinamenti socievoli, tuttavia esiste un ordine economico fornito di leggi sue proprie; il quale or-dine economico merita di formare 1' obbietta della scienza particolare, alla quale voi state per applicare 1 vostri studi.

D'onde trae dunque la sua genesi 1' ordine eco-nomico? Dal sentimento della conservazione indivi-duale, risponde lo smithiano. Sentimento illuminato della consapevolezza propria : cosicché la intelligenza medesima lo veste degli attributi etici e giuridici. Il sentimento della conservazione individuale è una po-testà imperativa e responsabile; avvegnaché l'indivi-duo non potrebbe suicidarsi da sé, sebbene sia ob-bligato di agire secondo le norme della morale e dei diritti a lui additati dalla intelligenza. Da questi sen-timenti muovono gli umani travagli e scaturisce l'or-dine economico.

Quale è il perno di questo ordine economico? Lo stesso sentimento impera tivosopradetto, il quale quando si estrinseca negli scambi quotidiani prende le forme e l'indole dell'interesse personale. Perciò l'interesse personale è per lo smithiano il perno, anzi la prima legge naturale dell'ordine economico.

I realisti, e particolarmente i più recenti evolu-zionisti combattono questa idea; ritenendo che il sentimento della conservazione si debba riferire più presto alla specie collettiva, e come essi dicono alla nazione, anziché all'individuo; il quale si vede per opposto, pronto a sacrificare sé medesimo in prò della famiglia e della patria. E degli stessi animali l'individuo si sacrifica spontaneamente pel suo alveare e pel suo nido.

Lo smithiano non cede né si piega : e sostiene che non può albergare e manifestarsi nella famiglia, nella nazione e nella convenienza sociale niun sentimento né niuna solidarietà d'interessi, i quali non prorom-pano all'individuo umano.

Vero è che nelle nazioni dei bruti la natura ha disegnati i forti e i deboli, quelli che signoreggiano quelli che hanno da essere le vittime. Ma nelle na-zioni umane gli individui sono giuridicamente uguali in cospetto di una giustizia superiore ; e nessuno uomo deve sottostare alla legge degli altri uomini. Perciò l'interesse individuale è imperativo perchè sta accoppiato al conoscimento del diritto e della giustizia. Laonde è il principio di un ordine armo-nico. Se tu cancelli l'interesse individuale, hai dei padroni e dei servi, e fai ritorno al sistema delle caste tiranniche ; e sconfessi i progressi della

ci-viltà, la quale intende di stabilire l'uguaglianza dei cittadini.

L'ordine economico, ripete lo smithiano, ha per suo perno, per suo movente e per legge naturale l'interesse individuale. Poi ha altre leggi economi-che non meno incontestabili, né di una evidenza minore.

Legge economica è quella che obbliga il produt-tore a prescegliere gli espedienti più perfezionati e conosciuti dai produttori a lui prossimi. Lasciate fare e avrete il progresso. Se invece inceppate il produt-tore, sia con vincoli^ regolamentari, sia con pri-vilegi legali, affievolirete quel!obbligo, svierete il cammino naturale del progresso, diminuirete la pro-duzione. Nessuna scusa pure giustissima allontanerà questi effetti. Voi per esempio potreste scusarvi di volere proteggere la indipendenza della nazione e la debilità infantile delle vostre industrie, che ad ogni modo, scemata la responsabilità del produttore avrete una produzione minore, e il consumatore troverà prodotti più imperfetti e più cari.

Legge economica è pur quella che costringe il produttore singolare a ricorrere alla cooperazione di altri produttori, non potendo da sé solo compiere nessun prodotto. Se dunque frapponeste le proibi-zioni, o anche i semplici dazi protettivi rompereste la catena, o almeno diradereste gli scambi coope-rativi, e la produzione diminuirebbe. Né potreste evitare il contraccolpo a danno dei consumatori.

Legge economica è quella che sprona il produt-tore a sceg'iere, in vista del suo interesse personale, gli strumenti del lavoro più vantaggioso. Noi sap-piamo tuttavia quanti ostacoli incontri il produttore : imperocché in molti luoghi sono ancora in vigore i vincoli feudali delle terre, ancora sono contrariate le macchine, ancora si vuole disciplinata e regola-mentata la officina ; e circoscritta è la scelta del lavoratore. Gli ostacoli giungono ad inceppare la circolazione del danaro e del credito. Vero è che gli impedimenti sgorgano il più delle volte dai co-stumi medesimi, o dalle esigenze della igiene, o dalla politica o dalla morale. Nulladimeno la legge economica è inesorabile, e la produzione diminuirà ogni fiata che lo strumento lavorativo sfugga dalle mani del produttore. Voi ripeterete a ragione : io non posso sempre lasciar fare e lasciar passare il produttore ; ma vedendo similmente con evidenza di rendere meno produttivo quel ceto di cittadini che resta colpito dalle restrizioni, sentirete l'obbligo al-meno di agire con circospezione ; perocché gli ot-timi intendimenti morali, giuridici, igienici, politici, non sono sufficienti da sé soli a generare il bene delle nazioni e delle famiglie.

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