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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.30 (1903) n.1533, 20 settembre

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L ECONOMIST A

G AZZE TTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno I X I - Voi. X XX IV

Firenze, 20 SettemDre 1903

N . 1533

Som m ario : L’ inchiesta sulla marina militare — Il risanamento di Napoli, I — L’ emigrazione da alcuni

Stati d’ Europa - E. Z. Sempre Tunisi e Tripoli — Rivista bibliografica. Henry Dumolard. Le Japon politi- que, óeonomique et social - Giulio Scotti. La Metafisica nella morale moderna - Edmond Théry. Situatimi économique et financière de l’ Italie 1890-1903 - Avv. Michele Santoro. Compendio di scienza delle Finanze -

P. S. Leicht. Studi sulla proprietà fondiaria nel Medio Evo — Rivista Economica. (La Macedonia con­ temporanea - Contadini ed operai negli Stati Uniti) — Una circolare per 1’ accertamento del reddito degli

opifici — La produzione granaria mondiale — Navigazione, industria e commercio di Venezia negli anni 1900 e 1901 — Mercato monetario e Banche di emissione — Rivista delle Borse — Notizie commerciali — Avvisi.

L' INCHIESTA SULLA MARINA MILITARE

L ’ Italia ufficiale non ha mai dimostrato grandi simpatie per le inchieste e quando ha dovuto piegarsi a compierne qualcuna, lo ha fatto sempre con riluttanza, a malincuore, più che altro trascinatavi dagli eventi politici che non permettevano di persistere nel rifiuto. I conservatori italiani, in ispecie, hanno avuto troppo spesso il torto di temere o di far cre­ dere che temessero non si sa quali danni per le istituzioni, dalla luce gettata largamente su questa o su quell’ amministrazione, sull’ uno o sull’ altro fatto d’ indole sociale o politica, e hanno preferito di lasciare molti dubbi nella opinione pubblica, an­ ziché illuminarla nel modo migliore. Sarà stato per intima coscienza della propria onestà, per senti­ mento del proprio onore immacolato, o per ti­ mori infondati e ingiustificati, il fatto è che il primo movimento degli animi, ad ogni proposta d’ inchiesta, è stato contrario e solo dopo qual­ che tempo si è ceduto alla corrente fattasi forte e imperiosa. La politica delle pietre sepolcrali, come l ’ abbiamo chiamata in queste stesse co­ lonne nel 1896 (vedi il numero 1145 dell’ Fco-

nomista) è quella che ha trovato numerosi fau­

tori ogni qualvolta è sorto taluno a chiedere un po’ di luce su qualche fatto ; politica che ha pro­ dotto effetti esiziali sulla nostra vita pubblica e non ha certo contribuito a tutelare g l’ interessi del paese.

Eppure le inchieste pubbliche sono diven­ tate ormai una necessità politica, sia che esse abbiano per oggetto un’ amministrazione, sia che mirino a mettere in chiaro la condizione effettiva di una data questione o le opinioni che intorno ad essa si hanno. L ’ uso che delle inchieste ha fatto l’ Inghilterra e i benefici d e ha saputo ri­ cavarne, stanno a dimostrare quale funzione im­ portantissima e utile esse oramai esercitino nella vita parlamentare di un paese veramente libero. Il Governo inglese non si rifiuta mai di compiere le inchieste giudicate necessarie dal Parlamento,

non le contrasta mai ; anzi, anche quando non se ne fa esso stesso iniziatore, e questo è pure av­ venuto spesso, le agevola più che può, impar­ zialmente, non badando se dalle indagini che si vanno compiendo potrà averne danno o vantag­ gio il governo medesimo considerato come ente amministrativo.

E la prova di quanto diciamo si ha proprio ora nella inchiesta compiuta intorno all’ ammini­ strazione militare durante la guerra nell’ Africa del Sud; e questa non è che una delle numerose inchieste, dalle quali gl’ inglesi hanno attinto gran copia di elementi preziosi per le loro riforme legislative.

L ’ Italia, rinunciando spesso a valersi delle inchieste sul sistema inglese, ha perduto il mezzo migliore per approfondire non pochi problemi, per esaminare alla gran luce della pubblica di­ scussione le varie soluzioni caldeggiate, per ri­ parare a qualche grave inconveniente, di cui ha poi risentito maggiormente le conseguenze dan­ nose. Poiché 1’ esame di coscienza è 1’ operazione mentale alla quale meno facilmente si piegano così gl'individui come i gruppi, conviene che altri, estranei ma competenti, si dedichino con serenità e sincerità a ricercare ciò che vi è di fondato nelle critiche, nelle accuse, oppure in altri casi ciò che può farsi pel migliore impiego del danaro pubblico, per riparare a difetti, a er­ rori, per risolvere questo o quel problema na­ zionale. Tale è il caso della marina militare.

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della marina che si sono succeduti negli ultimi anni, di venire avanti essi stessi con la proposta di una inchiesta e certo senza lo spirito di corpo, pel quale tante cose non belle sono tollerate o giustificate, nessun uomo politico messo a capo del dicastero della Marina, avrebbe osato di trascurare le aspre censure mosse alla sua am­ ministrazione e si sarebbe rifiutato di accettare la inchiesta.

Oggi essa s’ impone e non può tardare an­ cora. Dopo le accuse dell’ on. Ferri chiunque che non sia cieco e sordo per proposito sentiva che la inchiesta era ormai inevitabile e che anzi l’in­ teresse, l’ onore stesso della marina la rendevano necessaria. L ’ on. Zanardelli per l’ esperienza che deve avere di tali cose, non avrebbe dovuto cade­ re anch’ egli nell’ errore di far opposizione a una inchiesta che respinta dalla porta sarebbe rien­ trata dalla finestra ; da lui ci saremmo aspettata ben altra condotta, ed egli dovrà convenire, dopo quanto è successo, che ricusare la luce a chi la domanda non serve ad altro che a creare una situazione peggiore, per la quale ciò che prima non si voleva diventa a non lungo andare fatale. Il paese di fronte alle censure, e alle accuse di uomini di diversa fede politica, ha il diritto di conoscere la verità e tutta la verità, e poiché non vi è speranza di farla venire a galla che per mezzo di una inchiesta parlamentare è que­ sta che occorre e urge ordinare. Ormai il paese l’ aspetta e la vuole sincera e completa; qual­ siasi espediente che ne menomasse la efficacia sarebbe un nuovo errore che avrebbe le più amare conseguenze.

Il paese sa che la marina militare gl’ im- pone un onere di oltre cento milioni l’ anno e non può non esigere che, e per la entità della spesa e per la importanza dei servizi che la marina è chiamata a rendere, essa sia al disopra di ogni sospetto e ordinata in modo da dare le maggiori garanzie possibili di azione efficace a vantaggio della patria. Se 1’ organismo è malato, deficiente, se occorrono operazioni radicali per risanarlo, si agisca senza esitazioni nell’ interesse supremo del paese. E da questo doloroso caso della in­ chiesta sulla marina, da queste contraddizioni nelle quali è caduto il Governo, si tragga una buona volta 1’ insegnamento che, quando ha messo radici il dubbio sul retto funziona­ mento di un’ amministrazione, non vi è altra via di uscita che quella della luce completa, procu­ rata ad ogni costo, con volontà sincera e in­ crollabile.

IL RISANAMENTO D I NAPOLI

I.

Quel grandioso complesso di opere pubbli­ che, in parte tuttora incompiute, che va col ti­ tolo di Risanamento dì Napoli, ha una storia ormai lunghetta, della quale sta per iniziarsi un capitolo che è sperabile possa essere 1’ ultimo.

L ’ importanza della città, 1’ entità del lavoro, le molte questioni a cui hanno dato luogo dap­ prima l’ intero piano, poi le sue modificazioni e

più di recente il compimento della sua esecu­ zione, rendono opportuno ricordare qualche dato di fatto, risalire perciò all’ origine e venire giù giù, ma con passo rapido, fino al punto in cui la vasta opera oggi si trova. — Eh, via! sono cose risapute!... dirà taluno. E avrà ragione, per­ sonalmente, perchè le sa lui. Ma 1’ esperienza ci insegna che delle cose d’ indole complessa, delle quali in pubblico si parla di frequente, moltis­ simi ignorano parecchi elementi e magari i più essenziali.

È generalmente noto quali fossero venti anni addietro le tristi condizioni edilizie e igie­ niche d’ una buona parte di Napoli, rese più lar­ gamente e più tristamente note dal colèra che funestò quella città nel 1884. Pel suo risana­ mento radicale e sicuro ebbero a interessarsi il Sovrano, il Governo, il Parlamento, la nazione tutta. Yi contribuì molto, per la parte sua, la condotta dell’abbondante e ottima acqua potabile del Serino, portata a termine nel 1885 ; ma qui non accade parlarne, perchè opera incominciata vari anni prima e indipendente da quella di cui ora si tratta. Occorreva anche un largo riordi­ namento edilizio dei quartieri più prossimi al mare, che erano i più luridi e più insalubri, e una completa riforma della fognatura in tutta la città. ■— La legge 15 gennaio 1885 dichiarò di pubblica utilità tutte le opere necessarie al ri­ sanamento di Napoli, giusta il piano fatto ela­ borare dal Municipio. Vennero previsti necessari 100 milioni. Yi si provvide con l’ emissione di titoli speciali, fruttanti il 5 0]0, da estinguersi in 60 anni cominciando dal 1899, e le rate an­ nue, che comprendono interessi e ammortamento, furono poste per metà a carico dello Stato, per l’ altra metà a carico del Comune. Quest’ ultimo, autorizzato dalla legge, appaltò 1’ esecuzione del- 1’ opera a una Società costituitasi apposta.

Il capitale sociale era di 30 milioni. Questo fu un primo errore : la somma (altri derida il senno del poi) era troppo scarsa. La Società aveva bensì stabilito di emettere obbligazioni per altrettanta somma, ma 1’ operazione non riu­ scì, perchè nel frattempo s’ era determinata la crisi edilizia, che infieriva qua e là e si riper­ cuoteva in tutta Italia, e che in Napoli ai suoli risultanti dalle demolizioni veniva a togliere parte del valore dapprima loro attribuito. Aveva la Società fatto anche assegnamento sui mutui fondiari, che intendeva contrarre per 96 milioni, dando come garanzia gli stabili che fosse venuta costruendo ; e ciò in base alla surricordata legge del 1885, che autorizzava gli Istituti fondiari a far prestiti, per la costruzione di nuove case ad uso di abitazione, fino ai tre quinti del loro va­ lore. Ma anche questo mezzo mancò: la crisi edilizia mise il pànico negli Istituti, che diven­ nero restii ai mutui, massime a quelli speciali in discorso, mentre d’ altronde ne avevano avuto dalla legge facoltà, ma non obbligo.

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1’ obbligo di pagare le espropriazioni e quello di eseguire, secondo il piano approvato, il molte­ plice lavoro di demolizioni, incisioni, colmate di suoli ineguali, costruzione di case, sistemazione di vie e piazze. Ma anche qui capitò un guaio : le espropriazioni, e qualche volta anche le de­ molizioni, vennero a costare più del previsto. Chi aveva sbagliato? Forse un po’ tutti, ma questa indagine ci porterebbe troppo lontano. Certo è che vi furono, tutto compreso, errori e disgrazie. — La Società espropriò, demolì, col­ mò, lastricò, edificò, riscosse pigioni e rate di sovvenzione, ma a un certo punto (1893-94) di­ chiarò di non essere più in grado di andare in­ nanzi. Venne pertanto convenuta col Comune una riduzione del piano generale di risanamento, per circa un quinto dell’ opera totale, rinunziando la Società, come lieve contraccambio, a una pic­ cola parte della sovvenzione e rilasciando al Co­ mune stesso una certa quantità di terreni, ad esso per altre necessità occorrenti. Era un male, ma il minore. A costituire una nuova Società as­ suntrice non v’ era neanche da pensarvi. In quanto al proseguire e terminare il Comune i lavori per conto proprio e direttamente, Dio ce ne liberi!...

Questi provvedimenti bastarono lì per lì, ma non in modo definitivo. I lavori prosegui­ rono per alcuni altri anni, cominciando però da un certo momento in poi a rallentarsi. La So­ cietà, oltre gli errori e le disgrazie di cui si è già fatto cenno, aveva sino dai primi anni un impianto amministrativo troppo dispendioso, un impianto, fra altro, troppo bancario e troppo poco tecnico, in conseguenza del quale, subal- paltando ogni specie di svariati lavori a cui era tenuta, se li vedeva costare enormemente, men­ tre i suoi imprenditori e fornitori arricchivano. Aveva costruito parecchi stabili privi d’ ogni pregio architettonico, ma con un lusso di brutte decorazioni cui nessun bisogno richiedeva. Aveva anche costruito, con un calcolo sbagliato, e sem­ pre con troppa spesa, circa 90 mila metri qua­ drati di case dette economiche, su terreni che in parte vengono giudicati adatti piuttosto per case civili, mentre di soli 45 mila metri quadrati il capitolato d’ oneri le faceva obbligo; di guisa che i prezzi d ’ affitto così di quelle civili come di quelle economiche sono rispettivamente un po’ alti, o nelle une e nelle altre parecchi quar­ tieri rimanevano e rimangono vuoti. Così è che i proventi degli affitti, data la vastità dell’ im­ presa e di fronte a spese d’ ogni genere, sono scarsi. La Società frattanto, per mantenere i suoi impegni, andava consumando a poco alla volta il suo capitale, che non dà, come è noto, un soldo d’ interesse agli aziomsti e che da 30 milioni, a forza di successive svalutazioni, è ora ridotto a poco più di tre milioni, forse soltanto nominali. Inoltre s’ era caricata di debiti ipote­ cari, e naturalmente non gratuiti, per oltre 54 milioni, quasi interamente con la Banca d’ Italia (il Banco di Napoli v’ entra per una piccola somma) che oggi potrebbe dirsi, in un certo senso, proprietaria della Società pel Risana­ mento, avendo prima ipoteca sulla maggior parte degli immobili di questa. La quale finalmente, dopo ridotta quasi a nulla 1’ attività sua, ai pri­

mi del 1901 dichiarò al Municipio d’ esser sol­ tanto in grado di terminare i pochi lavori in corso, ma non di intraprendere le residue parti dell’ opera assuntasi.

A questo punto entra in campo la R . Com­ missione d’ inchiesta per Napoli, che nella sua voluminosa e pregevole Relazione sulla Ammi­ nistrazione Comunale ebbe ad occuparsi a fondo, tra altro, del problema dell’ opera di risana­ mento.

Con la sottile accuratezza che distingue tutte le sue indagini, la Commissione rifece la storia dei progetti, dei primi stadi d’ esecuzione di quello prescelto, della riduzione arrecatavi, delle vertenze sorte fra il Comune e la Società assuntrice ; s’ internò nell’ amministrazione di questa, ne studiò i bilanci preventivi e consun­ tivi, analizzò le singole parti dell’ opera sua, mise a nudo senza riguardi i suoi difetti di or­ ganismo e di gestione, pur tenendo conto anche delle vicende imprevedibili a cui era andata soggetta; e per ultimo cercò di precisare il fab­ bisogno finanziario pei lavori rimasti ineseguiti. Su queste basi, pose a se stessa il quesito « se a raggiungere lo scopo convenisse meglio di la­ sciar decadere l’ attuale Società, provvedendo con nuovo appalto alla esecuzione dei residui lavori, ovvero se non fosse più saggio provve­ dimento quello di mettere la Società stessa in grado di portare a compimento la grande im­ presa ». E venne a dare la preferenza a questo secondo partito, per una serie di motivi che 1’ abbondanza della materia non ci consente di riprodurre. Ma poiché enunciare una massima non basta, la Commissione giudicò indispensa­ bile per venire all’ atto pratico il concorso pe­ cuniario dello Stato, non disgiunto da quello degli Istituti creditori. A questi ultimi conviene infatti evitare la decadenza della Società, sugli averi della quale sono tanto fortemente inte­ ressati.

In quanto allo Stato, è da considerarsi che in un quindicennio, fra imposte e tasse, il fisco ha percepito dalle opere di risanamento un utile nou inferiore ai 12 milioni.

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Sono dunque, fra larditi a fondo perduto e anticipati in prestito, ventinove milioni, che ven­ gono ad aggiungersi agli undici circa non an- cox-a spesi e tuttora disponibili del primo fondo del Risanamento, e perciò a formarne circa qua­

ranta, somma che la Società e il Comune di

Napoli, rettificando i calcoli un po’ stretti della Commissione di Inchiesta, ritengono necessaria e sufficiente per condurre l’ intera opera a ter­ mine.

Provveduto pertanto a questi nuovi mezzi pecuniari, il Sindaco e la Giunta presentarono al Consiglio Comunale quella nuova convenzione con la Società pel Risanamento, che ebbe una discussione più che vivace e provocò, come è noto, anche tumulti. Nel prossimo numero la esamineremo.

LA EMIGRAZIONE DA ALCUNI STATI D’ EUROPA

L ’ Italia con la sua emigrazione propria e

temporanea, occupa ormai il primo posto nello

sviluppo di questo fenomeno. Ma anche altri paesi presentano un movimento emigratorio non trascurabile, che interessa conoscere, anche per apprezzare meglio quello italiano. Se infatti te­ niamo conto della emigrazione dagli Stati d ’ Eu­ ropa per paesi non europei, troviamo che dopo l’ Italia con 288,947 emigranti nel 1901, viene il Regno Unito della Gran Bretagna e Irlanda con 171,715 emigranti. Esaminiamo adunque queste varie emigrazioni, cominciando appunto da quella inglese.

Dai porti del Regno Unito muovono emi­ granti inglesi e di altre nazionalità, anzi, questi ultimi formano un contingente considerevole. Così nel 1890 troviamo che oltre i 218,116 emi­ granti inglesi, partirono dal Regno Unito 94,515 individui di nazionalità straniera e 3349 di na­ zionalità ignota, in totale 315,980 individui; nel 1901 gli emigranti britannici furono, come si disse, 171,715, quelli stranieri 124,354, gli altri di ignota nazionalità 6,506, in tutto 302,575 in­ dividui.

La emigrazione britannica presenta una lieve diminuzione fino al 1899, ma nei due anni suc­ cessivi ha ripreso con maggior vigore. Le par­ tenze più numerose avvengono dal porto di Li- verpool (167,452 nel 1901), poi da quello di Londra (25,010), di Southampton (58,829), Queens- town (26,433), eco. Prevalgono naturalmente gli adulti e tra questi i maschi. Nel 1901 gli emigranti britannici maschi furono 97,108, quelli di sesso femminile 74,607, gli emigranti di na­ zionalità straniera si dividevano in 78,926 ma­ schi e 45.428 femmine e gli altri di nazionalità ignota sono stati 4552 maschi e 1954 femmine. Il maggior numero emigra negli Stati Uniti d’ America, poi viene l’ America settentrionale britannica, il Capo di Buona Speranza, l’ Au­ stralia e la Nuova Zelanda, eoe.

Quanto alle professioni degli emigranti di età superiore a 12 anni senza distinzione di na­ zionalità, si trova che hanno la prevalenza gli operai in genere (43,276 sopra 161,772 emigranti maschi nel 1901) seguono poi i meccanici (17,682),

¡possidenti, professionisti, commercianti (11,583) i coloni, pastori (7249), gli operai agricoli, giar­ dinieri, carrettieri (5717), minatori, lavoranti nelle cave di pietra (4766), impiegati ed agenti (6503), bottegai, commessi di negozio, magazzinieri (4084), eco. Se facessimo un confronto tra la emigrazione italiana e quella che muove dall’In­ ghilterra, dal punto di vista delle professioni, troveremmo delle differenze assai caratteristiche. La nostra emigrazione è nella massima parte formata da agricoltori, terraiuoli, braccianti; quella inglese ha l’ elemento operaio in preva­ lenza, ma è formata da molte professioni; note­ vole poi è il numero dei possidenti, professio­ nisti, impiegati, bottegai. Nella emigrazione fem­ minile prevalgono le serve, mùrici, ecc. (27,060 sopra 105,470 nel 1901), ma pel maggior numero delle donne emigrate (74,519) non è stata de­ terminata la professione.

Il numero degli emigranti britannici negli Stati Uniti, secondo ia statistica inglese, è sem­ pre superiore a quello corrispondente degli im­ migrati britannici negli Stati Uniti, secondo la statistica americana, perchè la statistica inglese comprende tutti i passeggieri di nazionalità bri­ tannica che lasciarono il Regno Unito per re­ carsi agli Stati Uniti, mentre la statistica ame­ ricana comprende fra gli immigrati britannici soltanto quei passeggieri che, al loro arrivo, di­ chiararono di avere intenzione di stabilirsi in quello Stato. Inoltre un certo numero di emigranti par­ tono dalla Gran Bretagna, dichiarando di volersi recare negli Stati Uniti e vanno effettivamente a Nuova York, ma poi senza arrestarsi proce­ dono per il Oanadà, onde la statistica degli Stati Uniti non li conta fra i suoi immigranti.

Venendo all’ Austria-Ungheria, nel 1901 si imbarcarono complessivamente, secondo le noti­ zie avute da vari porti d’ imbarco, 65,083 emi­ granti austriaci ; il maggior numero partì da porti tedeschi. Anche qui troviamo in prevalenza gli agricoltori. Gli emigranti ungheresi imbar­ catisi nel 1901 sommarono complessivamente, secondo le notizie avute dai porti tedeschi e dai porti di Genova, Anversa, Rotterdam ed Am­ sterdam, a 71,349. Sicché, riunendo gli austriaci e gli ungheresi si ha il totale di 136,432 emi­ granti nel 1901.

La Germania ha avuto una emigrazione im­ portante prima del 1893, ma dopo essa ha rag­ giunto proporzioni modestissime. Nel 1891 tro­ viamo che il totale degli emigranti tedeschi fu di 120,089, nel 1901 è stato di 22,073. Essi hanno preso imbarco specialmente a Brema, Amburgo, Anversa, Rotterdam e Amsterdam ; per oltre la metà erano prussiani (12,384), seguivano poi i bavaresi, i sassoni, i wurttemberghesi, ecc. In grandissima maggioranza essi erano diretti agli Stati Uniti.

Dai porti tedeschi, oltre agli emigranti te­

deschi, parte pure annualmente un ragguardevole

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emigranti stranieri hanno assunto proporzioni considerevoli.

La statistica della Russia non fa conoscere paratamente l’ emigrazione verso paesi transo­ ceanici. Essa dà il numero degli usciti dalla Rus­ sia Europea, senza distinguere il paese di desti­ nazione, e senza neppur distinguere i semplici viaggiatori (che costituiscono la massima parte del movimento) dai veri e propri emigranti. Notiamo a titolo d’ informazione che nel 1901 sono usciti dalla Russia stranieri con passaporto in numero di 150,576 e con biglietto a breve ter­ mine in numero di 2,209,466.

I russi usciti con passaporto furono, nel 1901, 187,897; e in questa cifra non sono com ­ presi i contadini russi che, muniti di passaporto per otto mesi, si recarono in Germania per lavori rurali e furono 228,014; i russi usciti con bi­ glietto a breve termine,sommarono a 2,025,475. Queste cifre, specie quelle degli usciti con bi­ glietto a breve termine sono in costante aumento: nel 1890 i russi usciti col biglietto furono sol­ tanto 575,509, e da quell’ anno sono andati cre­ scendo di numero fino a superare ora i 2 milioni. Gli emigranti russi imbarcatisi nei porti di Amburgo e Brema sono stati nel 1901, 57,167.

Nella Spagna, la Direzione generale dell’Isti­ tuto geografico e statistico di Madrid pubblica il movimento dei passeggieri per via di mare dalla Spagna all’ estero. Rei 1901 i passeggeri usciti dalla Spagna con destinazione per paesi esteri sono stati 39,469 e quelli con destinazione per le provinole spagnuole di oltre mare 17,432, in to­ tale 56,901.

Le cifre della emigrazione che si effettua direttamente dai porti spagnuoli non dànno però notizia completa del movimento di emigrazione dalla Spagna, perchè una parte di essa va a prendere imbarco nei porti francesi di Bordeaux, Marsiglia e altri. Nel 1901 sopra 56,901 passeg­ gieri, 35,482 si diressero in America (16,059 a Cuba, 11,558 nell’Argentina, ecc.); 16,894 in Africa di cui 14,668 in Algeria, 3597 in Europa, di cui 2042 nella Gran Bretagna, ecc. Gli emi­ granti dalle provincie del levante e del mezzo­ giorno della Spagna vanno generalmente in A l­ geria in cerca di lavoro e rimpatriano entro 1’ anno.

Gli emigranti dal Portogallo (che ha poco più di 5 milioni di abitanti) per paesi europei e fuori di Europa sono stati, nel 1901, 20,646 ; nel 1891 essi furono 33,585, nel 1895 salirono a 44,746 ; in questi ultimi anni vi è stata adunque una sensibile diminuzione. La emigrazione porto­ ghese si dirige specialmente al Brasile e alle co­ lonie portoghesi della costa occidentale.

La Svezia, anch’ essa con poco più di 5 mi­ lioni di abitanti, ha avuto nel 1900 circa 20,000 emigranti per paesi europei e fuori d’ Europa. Pel 1901 si conosce soltanto il numero, non ancora definitivamente accertato, degli emigranti per paesi fuori d’ Europa, partiti dai soli porti svedesi, e cioè 17,960. Questo numero non com­ prende così nè gli emigranti per paesi d’Europa, ohe nel 1899 furono 4848, nè gli emigranti sve­ desi partiti da porti non svedesi che rappresen­ tano circa il 20 0;0 della emigrazione dei porti svedesi.

La statistica svedese distingue gli emigranti secondo che partirono dalle città oppure dalle campagne. Negli anni 1898 e 1899 su 100 emi­ granti dal Regno, 75 partirono dalle campagne e 25 dalle città. Rispetto alle professioni, in maggioranza sono agricoltori, domestici, operai e artigiani, e fuori di Europa vanno negli Stati Uniti, mentre gli emigranti per paesi europei vanno specialmente in Norvegia e Danimarca.

La Norvegia, con quasi 2,300,000 abitanti, ha avuto nel 1901, 12,745 emigranti diretti in Ame­ rica, in maggioranza sono giornalieri, agricoltori, artigiani, commercianti.

Più importante è la emigrazione dai Paesi Bassi, ma non pel numero degli olandesi che emigrano, bensì per quello degli stranieri che s’ imbarcano nei porti dell’ Olanda. Infatti nel 1901 il numero degli emigranti è stato di 34,343, ma di questi soltanto 1874 erano olandesi. I paesi di destinazione sono quelli dell’ America, sopratutto del Nord.

Lilialmente noteremo ; la Danimarca che nel 1901 ebbe 4657 emigranti danesi per paesi non europei, in aumento di oltre mille sul 1900; ma in altri anni (1890-1893) essi superarono i die­ cimila; il Belgio, che ha avuto 19,710 emigranti nel 1901, cifra questa che riguarda le persone di­ moranti nel Belgio e che uscirono dal Regno da un punto qualunque della frontiera per andare a stabilirsi all’ estero ; ma se si considerano gli emigranti belgi e stranieri partiti dal porto di Anversa per recarsi a paesi d’ oltremare, si trova che gli emigranti furono 46,336, di cui 7673 da Anversa si recarono per via di mare ad imbar­ carsi in altri porti europei; i belgi partiti da Anversa nel Ì901, sono stati 2769; la Svizzera che, con 3,315,443 abitanti, ha avuto 2968 emi­ granti svizzeri, più 953 stranieri domiciliati in Svizzera; nel 1891 le cifre corrispondenti furono 6521 e 995.

Per la Francia non si hanno notizie sicure circa la emigrazione per paesi non europei, per­ chè dal 1893 in poi la statistica che compilavano i commissari nei porti d’ imbarco, non è stata più pubblicata.

La emigrazione è un fatto demografico in­ timamente collegato anche alla densità e distri­ buzione della popolazione nel territorio che, spe­ cialmente nei riguardi economici, può riuscire benefico o nocivo secondo le particolari circo­ stanze di tempo e di luogo, ma è indubitato eh’ esso rappresenta una sottrazione di forze vive la quale, col volger degli anni, potrebbe indebo­ lire la compagine demografica di un paese, se le perdite che ne derivano non venissero in tutto, o in parte almeno, risarcite dal numero dei nati quasi dovunque eccedente quello dei morti.

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emi-grazione, comparativamente alla popolazione, sono dati dall’ Italia, dalla Norvegia, dalla Sco­ zia, dall’ Ungheria, dall’ Inghilterra e dall’ Au­ stria; ma in tutti questi paesi, a differenza del- l’ Irlanda, l’ eccedenza dei nati sui morti supera notevolmente la emigrazione all’ estero.

SEMPRE TUNISI E TRIPOLI

Scommetto che nel leggere il titolo di que­ sto articolo qualche lettore dirà : dev’ essere il solito E. Z., l’ affricanista, anzi VAfricano, lo Scipione da burla ! E potrà subito verificare d’ avere indovinato.

Sicuro : torno ogni tanto sullo stesso tema, perchè gli avvenimenti che si svolgono, e la si­ tuazione quale a mano a mano si presenta, mi confermano sempre più nei concetti che cerco di propugnare e di diffondere.

Nel 1902, secondo statistiche ufficiali, l’ im­ migrazione italiana in Tunisi fu di 6123 persone, di cui 3922 in via temporanea e 2201 in via per­ manente. Di fronte a queste grosse cifre, i fran­ cesi di Tunisi, sempre più impensieriti, sudano di gran camicie per promuovere anche un po’ d’ af­ fluenza dei loro concittadini, e si lamentano che la madre patria non spenda all’ uopo abbastanza danaro. « È una bellissima cosa fortificare Bi­ serta, scriveva due mesi addietro un giornale di laggiù, ma portando su quella sola città ogni sforzo finanziario, si va a rischio di trovarci un giorno nella situazione degli antichi Cartaginesi, i quali, fuori della cerchia delle loro mura, non possedevano in Affrica spazio maggiore del tiro d’ una catapulta ! »

Perciò, visto che la Metropoli non è pro­ pensa a largheggiare, bisogna che la Colonia s’ ingegni da sè. I progetti si succedono ai pro­ getti, e fra altro la locale Direzione delle finanze si sarebbe fermata su quello di un prestito, con le seguenti modalità. Emissione d’ obbligazioni a breve termine per un ammontare di 10 milioni, garantite dalla proprietà del demanio, fruttanti l’ interesse del 4 0[0 e rimborsabili in dieci anni. L ’ emissione avrebbe luogo a misura del bisogno e il ricavato dovrebbe servire per l’ acquisto di terreni da dare a coltivare a buoni patti a con­ tadini francesi. Ma subito vengon fuori i critici. Badate, dice uno, a quello che fate: se non si prendono molte cautele, può accadere, come al­ tre volte, che la terra avuta in concessione venga rivenduta e vada a finire in mano agli specula­ tori, i quali impiegano una mano d’ opera meno costosa di quella francese. Un’ altro osserva: sarà, ma con dieci milioni c’ è da far poco dav­ vero, se si pensa a ciò che è costato il popolare con 300 mila francesi l’ Algeria. Ma in ogni caso i proponenti, avendo scarsa fiducia nei ri­ sultati delle combinazioni che vanno architet­ tando, fanno calcolo anche su provvedimenti proi­ bitivi a danno dell’immigrazione straniera, in­ culcando alle Autorità di appigliatisi appena che sarà possibile. Volete vedere?

Di recente la Commissione per la Coloniz­ zazione, che da tempo studia il problema e che

ha carattere ufficioso, dopo avere presentato la sua proposta, si è chiaramente espressa così:

« Quant à la colonisation sicilienne,_ elle nous inquiéterait si nous n’étions pas convaincus que le Gouvernement pourra l’enrayer quand il le voudra, par des mesures administratives et légales. Nos bonnes relations avec l’Italie ne doivent pas nous empêcher de nous défendre contre le peuplement de la Tunisie par les ita­ liens, d’autant plus que si la Colonie Italienne prenait une extension trop considérable, sa dé­

nationalisation deviendrait impossible ».

Questo si chiama parlar chiaro. Si vorrebbe, potendo, la snazionalizzazione (sarà brutta la pa­ rola, ma la cosa è peggio) della colonia italiana di Tunisia. Seconderà la Francia siffatte richie­ ste ? Eh, c ’ è anche il caso di si, perchè i pre­ giudizi, l’ insistenza di parecchi suoi cittadini, il rodimento di non saper colonizzare colle forze proprie, non farebbe maraviglia prevalessero nei suoi atti, invece dell’ equità e anche di una giu­ sta valutazione dei suoi veri interessi. I modi intanto non le mancherebbero: non solo vietare l’ apertura di nuove scuole italiane, ma ordinare la chiusura di quelle esistenti ; dichiarare obbli­ gatoria per tutti l’ istruzione in scuole francesi; stabilire che tutti i nati nella Reggenza, ancor­ ché nati da genitori stranieri, avranno naziona­ lità francese, e non riconoscere alcuna loro contraria dichiarazione, quando toccano l’ età maggiore, se continuano a risiedere nella Reg­ genza stessa ; aggravare le famiglie di naziona­ lità italiana con tasse più forti di quelle che pe­ sano sui sudditi francesi, ecc. ecc. Provvedimenti odiosi, si dirà, eccessivi, sconsigliati. Sicuro; ma andate a ragionare coi fanatici ! Non stanno forse disconoscendo il fatto dell’ efficacia che nelle colonie ha il clero come elemento dì propaganda nazionale ? Acutamente il Figaro, verso la metà d’ agosto censurava il decreto francese che vieta alle Congregazioni della Tunisia di insegnare, osservando che lo Stato perdeva cosi un pre­ zioso e forte aiuto politico e dovrà rinunziare al grande beneficio di propagare la lingua francese con mezzi che non costavano nulla. Quel gior­ nale ha ragioni da vendere; eppure il decreto c’ è e verrà applicato. D’ altronde, non è ap­ punto francese l’ antico detto: periscano le co­

lonie, ma si salvino i principii? Può darsi che

la Francia sappia sempre salvare i principii, benché anche su questo vi sarebbe molto da dire ; ma certo è che non sa far prosperare le colonie.

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stri connazionali colà residenti occupano sempre in maggior numero le campagne e vi trovano lavoro, senza dire di quelli — piccola schiera ma crescente — che diventano proprietari. Ma come dicevo, il do ut des non può aver luogo da parte nostra fuorché sul terreno commerciale. Non credo che alcuno me ne saprebbe indicare un altro.

Come è noto, presentemente fra Italia e Francia non vige un trattato di commercio e gli scambi tra i due paesi si compiono in base alle rispettive tariffe generali. Solo da pochi anni queste sono state mitigate, mediante uno spe­ ciale accordo, per un piccolo numero di voci. R i­ bassare ulteriormente la tariffa di quest’ ultime, per ciò che interessa l’ esportazione francese in Italia, ovvero ingrossare l’ elenco di tali voci, oppure fare un po’ d’ una cosa e un po’ dell’ al­ tra (qui accenno, ma naturalmente non sono in grado di presentare un progetto concreto e pre­ ciso) è il solo genere di concessioni contrattuali, o m’ inganno, che agli occhi della Francia possa avere un valore apprezzabile. So che siffatte concessioni non riuscirebbero graditissime agli esercenti d’ alcnni rami della nostra industria nazionale, nel suo complesso, irrobustita nell’ ul­ timo quindicennio e ha saputo trovarsi nuovi e importanti sbocchi. Ma anche so che a questo mondo non si può voler tutto; e secondo me, alla protezione d’ alcuni rami d’ industria è molto preferibile, qualora si riuscisse a ottenerla, la ri­ mozione degli ostacoli che contrastano la vita e 10 sviluppo d’ una delle colonie nostre che più devono, per mille ragioni, starci a cuore.

Bellissimi discorsi, supponiamo ; savia con­ clusione.... ammettetelo almeno come ipotesi. Ma 11 programma, ancorché bene immaginato, po­ trebbe far fiasco, qualora la Francia da que­ st’ orecchio non ci volesse sentire assolutamente. E in tal caso — ed è un caso che bisogna pre­ vedere — dove drizzerà il passo quella parte della nostra emigrazione che non varca l’ oceano? Che ne sarà della nostra espansione, pacifica, ma indispensabile, storicamente fatale, nell’ Affrica mediterranea? Quale mira ci rimarrà? Io devo ricantare il mio solito ritornello: Tr ip o l i.

* * *

Citare le proprie parole è fuor di luogo, e qui non mi parrebbe lecito, quando sia per va­ nità puerile. Mi sembra invece un altro par di maniche quando lo suggeriscono le circostanze, o dirò meglio, lo spirito di continuità riguardo a un piano il quale, dato che sia giusto, non è at­ tuabile in un giorno, epperò richiede che il pen­ siero e la parola vi tornino sopra più volte. — Io scriveva qualche mese fa: * La Turchia è in uno stato di decadimento compassionevole. Ne sia prossimo o no l ’ intero sfacelo, ogni giorno che passa segna un aumento della sua debolezza. Non ha piu Marina, non ha più danaro, non ha più credito. Il suo esercito, che in guerra aperta è sempre valoroso, è mal pagato e male equi­ paggiato: in certi momenti basta appena a repri­ mere le insurrezioni interne. Frattanto essa e minacciata dai moti dell’ Albania e di Bulgaria, dalla rivoluzione che si prepara in Macedonia. Ber quanto finora l ’ abbiano tenuta in piedi ma­

lamente, le rivalità e gli opposti interessi delle Potenze europee, è facile scorgere che, per forza di cose, per mancanza irrimediabile di vitalità propria, il terreno le va mancando sotto i piedi. Perchè gli stranieri possano acquistare immo­ bili in Tripolitania occorre un {radè del Sultano. Possibile che la nostra diplomazia non riesca a strapparglielo? Le occasioni non dovrebbero mancare : un torto fatto ai nostri connazionali, del quale s’ abbia diritto di chiedere ripara­ zione, 1' ordinazione non rara di qualche coraz­ zata, fatta dal Governo ottomano ai cantieri italiani, la necessità, in cui spesso la Turchia si ritrova, di ricorrere a un prestito, e via di­ cendo. Sono occasioni che bisogna saper co­ gliere ; suscitare, magari ! » *)

E adesso la situazione si è più che mai ag­ gravata per la Turchia, proprio nel senso pre­ visto. Dello stato presente dei paesi balcanici non occorre parlare. In quanto alle finanze tur­ che, esse non sono oramai più in grado di pa­ gare nè funzionari nè soldati, tanto che diversi casi d’ infedeltà si sono già verificati nell’ eser­ cito. Come finirà? Per ora non lo sappiamo nè voi nè io. Ma frattanto a me sembra che uno Stato ridotto nelle angustie d’ ogni natura in cui la Turchia si trova, debba essere, per ne­ cessità, assai più maneggevole d’ un altro che sia in piena pace e in ottime condizioni morali ed economiche.

Non ostante, capirei che uno Stato solido o no, finché è in piedi, si opponesse ostinata- mente contro qualunque altrui pretesa di ces­ sione, anche piccola, di territori con annesso diritto di sovranità. Ma qui non si tratta affatto di questo : si tratta solo di ottenere per gli ita­ liani la facoltà di poter acquistare, come privati, e pagandoli, s’ intende, terreni in Tripolitania e in Cirenaica. Si può più oltre tollerare che la Turchia ne mantenga il divieto ? Certo, ogni Stato è padrone d ’ applicare in casa propria la legislazione che vuole. Ma via !... qui siamo nel caso di principi elementari e uniformi in tutti i paesi.

Sono parecchi i ricchi italiani che posseg­ gono terreni all’ estero ; e quante fattorie egre­ giamente coltivate non vi sono in Italia appar­ tenenti a stranieri? Del divieto fatto dalla Turchia agli stranieri di comprarne e col­ tivarne nei suoi domini affricani, dovrebbe po­ tersi imporre, perchè è contrario al diritto delle genti, P abolizione.

Ma forse non sarebbe ancora necessario

imporre, e potrebbe bastare la persuasione ac­

cortamente esercitata. — In uno dei suoi medi­ tati scritti sulla politica e il commercio dell’Ita­ lia in oriente, l ’onor. Di San Giuliano cosi si esprime in proposito : 2)

« Vi sono nell’ Impero ottomano due pro­ vince, nelle quali l’ Italia ha maggior bisogno di affermarsi, creandovi una rete di interessi economici veri e reali : l ’Albania e la Tripoli­ tania : a quest’ ultima è indissolubilmente con­ giunta la Cirenaica.

« Tanto in Albania quanto in Tripolitania 1) Economista del 26 aprile 1903.

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e Cirenaica, le autorità ottomane, temendo che il nostro Governo abbia ambizione di conquista, oppongono ostacoli ad ogni iniziativa italiana, di rado con violenze e soprusi, quasi sempre con quell’ arte di tergiversazioni interminabili e cortesi, nella quale i Turchi sono maestri.

« L ’ Italia dovrebbe far comprendere al Sultano che non esiste un solo italiano che aspiri a conquiste territoriali in Albania, e che

tanto minore sarà la probabilità di una azione d’ altra natura in Tripolitania e in Cirenaica, quanto più facile sarà in quella parte dell’Africa mediterranea V espansione pacifica dei nostri traffici e della nostra emigrazione sotto la sovra­ nità del Sultano.

« La politica italiana in Oriente deve es­ sere anche con qualche sacrificio di nobili sen­ timentalità, ispirata ad amicizia verso la Turchia, a condizione che essa secondi la nostra attività commerciale in Albania ed in Tripolitania, com­

merciale e coloniale in Cirenaica. »

Questa mi pare, massime nelle parole che ho sottolineate, la nota giusta. E il mo­ mento che corre dovrebbe essere particolarmente adatto per esercitare 1’ azione diplomatica di cui parla l’ on. San Giuliano. Mi sta fisso in mente che, per potersi ritrovare senza soverchie preoc­ cupazioni dinanzi alla scadenza del trattato re­ lativo alla condizione dei nostri concittadini re­ sidenti in Tunisia, dovrebbe l’ Italia avere già attuati i primi esperimenti di colonizzazione in Tripolitania o in Cirenaica. Lo dovrebbe in ge­ nere, perchè ogni cosa che si abbia in vista e che sembra indispensabile fare prima o poi, deve essere pacatamente preparata e maturata, lo am­ metto, ma non rimandata costantemente alle ca­ lende greche. Ma lo deve essere più ancora per una ragione speciale, di cui ebbi a parlare altre volte, ma su cui non insisterò mai abbastanza.

Ed è che la condizione della numerosissima colonia italiana della Tunisia e la futura — spe­ riamo prossima — colonizzazione della Tripoli­ tania e della Cirenaica sono due termini stretta- mente collegati fra loro. Dipende dal beneplacito della Francia che gli italiani già residenti in Tunisia, e tutti quegli altri che continuano ad affluirvi, possano, anche dopo il 1906, conservare senza inciampi nè vessazioni la propria naziona­ lità e costituire per la madre patria una forza viva economica e morale. Il beneplacito del do­ minatore può trovare un freno nei trattati ; e per riuscire a stipulare un trattato nel senso che sto dicendo, vi possono essere due soli modi. Uno è quello dei contraccambi commerciali, di Cui ho già parlato: di esito non impossibile, ma non sicurissimo. L ’ altro, secondo me più valido, è il possedere uno stato di fatto, che ci permetta di parlare, a un dipresso e detto in lingua povera, così : Ah, poiché volete fondare le colonie ma non sapete popolarle, vorreste che ve le popolassi io ? Che vi fornissi la materia prima su cui pos­ siate mettere bravamente l ’ etichetta vostra? Ebbene, la materia prima, da ora in poi, c’ è il caso che ve la possa far mancare o in tutto o in gran parte. Yi occorrono nelle campagne tunisine braccia italiane? Mi rincresce, ma ci ho lì vicine un’ altra regione amplissima, dove posso avviare 1’ emigrazione dei miei cittadini colla ventesima

parte delle fatiche e spese che sostenete voi e con risultati venti volte più abbondanti. 0 ve­ niamo a patti, o poco male: so come fare!

Ed è risaputo che, a parità d’ altre circo­ stanze, per ottenere buone condizioni da un con­ traente, da un avente causa, è utilissimo tro­ varsi in grado di dirgli: se ci accordiamo, ne ho più piacere ; altrimenti, e lo vedete, vero bisogno di voi non l’ ho.

E. Z.

Rivista (Bibliografica

Henry Dumolard. — Le Japon politique, économique

et social, — Paris, A. Colin, 1903, pag. 343 (fr. 4),

Dopo aver rapidamente — forse troppo ra­ pidamente — accennato alla storia del Giappone, l’ Autore esamina con molta cura e con interes­ santi osservazioni la costituzione, la vita poli­ tica dei partiti, la amministrazione, la sicurezza pubblica, 1’ agricoltura, 1’ economia, la evoluzione commerciale ed industriale di quell’ Impero. Stu­ dia pure l’ Autore con spirito osservatore la questione operaia, il pauperismo, l’ istruzione pubblica, la religione, l’ arte, l’ indirizzo della politica estera, la Stampa, ecc.

Due tesi l’ Autore vigorosamente e con largo corredo di dati sostiene: — la prima, che è esa­ gerato il timore da molti manifestato che il Giap­ pone industriale e commerciale possa essere una pericolosa concorrenza per la industria ed il commercio di Europa; se sono veri i notevoli progressi conseguiti e se è pure vero che il Giappone dispone di una abbondante mano d’ opera a buon mercato, non è meno evidente da ciò stesso che l’ Autore ci espone, che tale mano d’ opera è di scarsa capacità tecnica e che l’ industria e più ancora il commercio mancano di salda organizzazione e di quella esperienza nella direzione delle imprese e degli affari che è elemento indispensabile alla conquista dei mercati.

La Seconda tesi che l ’ Autore sostiene, ri­ guarda gli effetti avvenire della nuova civiltà introdotta nel Giappone. L ’ Autore non nega che essa ha fatto progressi notevoli, ma rileva an­ che gli inevitabili inconvenienti e difetti della civiltà ebbero nel Giappone un progresso ancora più rapido dei beni e dei vantaggi che essa produce. Sopratutto il pauperismo e la misera condizione delle classi lavoratrici, che si abban­ donano perciò facilmente al socialismo, lasciano vedere che 1’ avvenire non è privo di incognite paurose e crede l’ Autore che il rapido passag­ gio da una organizzazione feudale ad un regime moderno di ampia libertà politica possa essere causa di gravi pericoli.

(9)

Giulio Scotti. — La Metafisica nella morale moderna.

— Milano, U. Hoepli, 1903, pag. 341 (L. 5). L ’ Autore crede che mai come ora i grandi problemi morali abbiano agitati gli animi ; forse in questa affermazione vi è una inesattezza, poi­ ché se si può dire che mai gli studiosi ebbero a loro disposizione armi cosi affinate per discu­ tere sui grandi problemi morali, non è men vero che mai le moltitudini furono intorno ad essi cosi indifferenti, dappoiché, affievolito il sentimento religioso, è sostituito dovunque da una dose più o meno grande di indifferenza.

Però ha ben ragione l’ Autore di dire che nel campo scientifico le questioni morali sono vivamente dibattute e quindi il suo libro che tende a riassumere e chiarire i punti più con­ troversi è un lavoro utile di per sé, notevole poi per la chiarezza con cui è dettato e per la suggestiva serenità con cui è concepito. L ’ Au­ tore stesso ammette che i problemi più alti non possono essere risoluti che dal progresso delle scienze, le quali sono ancora ben lontane da poter tentare qualche sintesi ; ciò non toglie che sia utile tratto tratto esaminare che profitto traggano gli studiosi della morale dai piccoli progressi che le scienze biologiche, psicologiche e sociali vanno facendo nell’ esame delle singole parti del problema, o meglio delle funzioni che vi esercitano i singoli fattori.

Il sig. G. Scotti, il cui lavoro venne pre­ miato dalla R. Accademia scientifico-letteraria di Milano col premio « Moisè Lattes » dopo una breve introduzione nella quale espone il proprio intendimento, esamina la sua tesi suc­ cessivamente in altrettanti capitoli, negli scritti dei seguenti filosofi : Kant, Renouvier, Scho­ penhauer, J. Stuart Mill, Sidgwick, Spencer, Ardigò, Rosmini, Wundt, Eouillée, Jugan.

Non possiamo qui esaminare nè il metodo, nè i giudizi dell’Autore, ma dobbiamo però ri­ levare la grande chiarezza e la non scarsa dot­ trina, che fanno del libro una utilissima opera di istruzione, per quanto non si possa convenire nelle conclusioni che ammetterebbero una mo­ rale fino ad un certo punto positiva o scientifica ma ad essa sovrapposta sempre una zona di idealismo o di metafisica. Sembra che 1’ Autore ammetta possibile che la scienza allarghi sempre il suo dominio strappando il velo al fonte metafi­ sico, ma che questa in pari tempo si allarghi alla sua volta sempre più.... e nel campo delle ipo­ tesi intorno all’ Ignoto, vi è posto per tutte le concezioni.

Edmond Théry. — Si/uation économique et financière

de VItalie 1890-1903. — Paris, Economista Euro-

péen, 1903, pag. 177 (fr. 3,50).

Allo stesso modo che alcuni anni or sono i francesi giudicarono l ’ Italia incapace di solle­ varsi dalla crisi economica e finanziaria che la travagliava, ed allora erravano nei loro giudizi, tanto è vero che l’ Italia seppe, per quanto fati­ cosamente, superare e vincere la crisi ; ora i francesi stessi, esaminando la nostra situazione economica e finanziaria, traggono argomento di laudi e di previsioni che, a parer nostro, peccano non poco nel senso opposto. Ciò vorrebbe dire

che l’elemento politico entra un po’ troppo a de­ terminare l’ apprezzamento della situazione.

Non si può negare certamente il migliora­ mento sensibile che in molte parti della pub­ blica economia si è verificato e siamo i primi noi a goderne ed a trarne lieti auspici ; ma l ’ Italia è ben lungi da quell’ assetto che sarebbe desiderabile ; gli italiani non devono dimenti­ care che dei 1600 circa milioni di entrate che incassa il Tesoro, 600 vanno spesi per il ser­ vizio del debito, 400 per le spese militari, 200 per le spese di percezione, in totale 1400 mi­ lioni e non ne rimangono che 400 per tutti i servizi : poste, telegrafi, giustizia, lavori pub­ blici, affari esteri, polizia, amministrazione, istru­ zione, ecc. eco.

Tale situazione, se è molto migliore del pas­ sato, e sufficiente per intraprendere delle saggio riforme, è sempre pericolosa, perchè non è equi­ librata.

Premessa questa sommaria osservazione dob­ biamo subito rilevare che l’Autoae, per quanto sia molto benevolo, esamina però la situazione economica e finanziaria d’ Italia con molta com­ petenza, servendosi di elementi tratti da fonti ufficiali, ed adoperandoli con molto acume, negli undici capitoli di cui consta il libro, specialmente la parte che riguarda la finanza pubblica, le banche di emissione ed il cambio è trattato con quella conoscenza delle questioni non facili nella materia, che tutti riconoscono profonda nel si­ gnor Théry. E se abbiamo notato un certo otti­ mismo, non è perchè l’Autore abbia ad arte ma­ neggiate le cifre ed i dati, ma perchè ci parve non tenesse sufficiente conto dei bisogni che in­ calzano, sia per il miglioramento dei servizi, sia per la urgenza di rendere meno sperequata la pressione tributaria.

Ad ogni modo gli Italiani debbono essere grati al sig. Théry dei suoi studi ; è così raro che gli stranieri parlino del nostro paese con conoscenza completa, che dobbiamo congratu­ larci col valoroso direttore àe\V Economiste Eu-

ropéen.

Avv. Michele Santoro. — Compendio di scienza delle

Finanze. — Bari, G. Avellino, 1903, pag. 459

(L. 3).

Premesso che l’Autore non intende di darci un’opera scientifica^ ma un lavoro scolastico che serva di preparazione sia agli studenti degli isti­ tuti tecnici e commerciali, sia ai candidati ai diversi uffici della amminitrszione finanziaria, questo compendio è per alcuni aspetti lodevole, perchè l’Autore ha veramente saputo conciliare la teoria e la pratica, evitando una parte almeno degli scogli che gli si presentavano.

Appunto perchè si tratta quasi di un libro scolastico, non è il caso di rilevare se il metodo seguito dell’Autore risponda alle esigenze della scienza, e se l’ aver voluto unire la teoria alla pratica non abbia aumentate le difficoltà di com­ prendere il nesso logico delle diverse parti della materia. Così si scorge subito che l’aver voluto nella introduzione fare quasi la storia della finanza, ha costretto l’Autore a render monca la trattazione.

(10)

pubbliche; — entrate pubbliche; — amministra­ zione finanziaria. E l’ Autore mostra una vasta conoscenza della materia ed una capacità note­ vole di esporla con chiarezza. Perciò il lavoro del sig. Santoro va raccomandato.

P. S. Leicht, Studi sulla proprietà fondiaria nel Me­

dio Evo. — Verona, fr.Ili Drucker, 1903, pag. 170.

In questa prima parte l’Autore, si limita a trattare della « curtis e del feudo nell’ Italia su­ periore fino al secolo X I I I » , e divide il suo la­ voro, prima esaminando le modificazioni della proprietà longobarda, il modo cioè con cui quel popolo stabilendosi in Italia organizzò nel senso economico la proprietà, i compascui vicinali, regolò i contratti agrari, ed il patrimonio del culto. Nel secondo capitolo studia la « proprietà ed il feudo » ed anche qui ricerca come si sia svolta nel senso economico la proprietà, come sia ordinata la curtis ed abbia avuto personalità giuridica, e finalmente le vicende dei contratti agrari e dei compascui vicinali. Circa al feudo l’Autore ne studia la natura e lo sviluppo, esa­ mina le condizioni di vassallaggio, ministero ed abitanza; e quindi parla dei diritti successivi e dei diritti reali come diritti attinenti al feudo. Un ultimo capo è rivolto al patrimonio del culto.

Sebbene la natura stessa del lavoro sia di erudizione, l’Autore ha saputo esporlo in modo da mantenere sempre le sue osservazioni in re­ lazione alla tesi che sostiene, quella cioè, che sotto i longobardi il lavoratore dei campi abbia subito uno stato di oppressione che è andato allentandosi sotto la dominazione dei carolingi. E tale tesi è svolta con encomievole forma e con soda dottrina.

Rivista ^Economica

La Macedonia contemporanea — Contadini e operai negli Stati Uniti.

La M acedon ia contem p oranea. — L'Eco-

nomiste Européen ha pubblicato un interessante arti­

colo sulle condizioni attuali della Macedonia, dal quale riassumiamo le notizie seguenti:

Oggi, sotto il nome di Macedonia, si comprende la parte centrale della Turchia europea limitata a nord, dallo Schar-Dagh e dal Kara-Dagh ; ad est, dalla Mesta ; a sud, dal mare Egeo e, ad ovest, dalla linea indecisa, che passando al di là dei laghi di Prespo e di Ochrida, la separa dall’ Albania.

Questa regione, la quale non corrisponde a nes­ suna divisione politica, comprende il vilayet di Sa­ lonicco, la maggior parte di quello di Monastir e il sangiacato d’ IJskub, dipendente dal vilayet di Kossovo.

Ciò che dà alla Macedonia una importanza tutta articolare, è che essa presenta la sintesi etnografica ella Penisola orientale.

La massa della popolazione, all’ interno, è in­ dubbiamente slava, ma le coste o ia parte meridio­ nale sono abitate da greci, i quali si trovano pure nelle principali città.

Gli albanesi si avanzano nella regione occiden­ tale fino a Monastir e ad Usliub. La schiatta rumena è rappresentata dai macedoni-rumeni sparsi in tutta la regione sud-ovest. I turchi formano degli isolotti sparpagliati in tutto il paese ; e finalmente, oltre a ueste razze principali, si incontrano in Macedonia egli zingari e degli ebrei.

In questa regione trovansi dunque rappresen­ tate tutte le razze che si disputano le spoglie del: l’ impero ottomano: le aspirazioni rivali dei diversi Stati che, nel secolo X IX , si sono distaccati dalla Turchia vi si trovano riunite e con ciò si può facil­ mente farsi una idea della gravità che possono as­ sumere i conflitti che vi si producono.

La popolazione della Macedonia ò calcolata di 2,200,000 abitanti ; di questi, 1,300,000 sono cristiani di varie confessioni e nazionalità ; 800,000 sono mao­ mettani e 75,000 israeliti.

La razza slava (bulgara) viene in prima linea con 1,500,000 persone, poi i turchi con 50o,_000, gli albanesi con 120,000, i rumeni con 90,000, gli israe­ liti con 75,000, i zingari con 35,000 e i greci con 25,000.

In ragione del dominio religioso e intellettuale esercitato dai greci nell’ impero ottomano, si è per molto tempo considerata la Macedonia come acquisita all’ ellenismo, ma il risveglio della na­ zionalità bulgara vi si ò prodotto quasi con­ temporaneamente che nella Bulgaria propriamente

detta. . ,

Il firmano del 28 febbraio 1870 che costituì l’ esarcato bulgaro e nominò un vescovo bulgaro a Veles, fece sperare una soluzione migliore ed infatti il trattato di Santo Stefano mise questa regione en­ tro i confini della Bulgaria, ma il trattato di Berlino la rimise sotto l’ autorità del Sultano, stipulando soltanto delle riforme amministrative. Nel 1891 però, per le insistenze di Stambouloff, la Porta accordò nuovi vantaggi e diede 1’ exequatur ai vescovi di Ochrida e di Uskub. Uguale favore venne accordato nel 1891 per le sedi di Veles e di Nevrokop, e nel 1898 per quelle di Monastir, Strummitza e Dibra.

La situazione della Bulgaria si rinforzò 1’ anno dopo colla istituzione di agenti commerciali, rap­ presentanti il principato a Salonicco, Uskub, Mona­ stir e Serres.

Durante il periodo 1891-1898, ¡a propaganda bul­ gara, diretta dalla potestà religiosa, fece rapidi pro­ gressi, ma l’ intervento del Comitato macedone di Sofia, in seguito alle violenze che consigliò, diede al movimento un carattere che gli alienò le simpatie delle Potenze.

Dopo il 1878, i serbi rivendicano essi pure per la loro razza una porzione della Macedonia. Le re­ lazioni tese fra la Russia e la Bulgaria, hanno dal 1886 al 1895, favorito la propaganda serba, ohe dal 1890 ha fatto rapidi progressi, ma nella lotta che essi impegnano sul terreno dell’ insegnamento, sono di molto sorpassati dai bulgari, giacché questi ul­ timi dispongono di 762 scuole con 39,466 alunni, mentre i serbi non ne hanno che 178 con 7200 alunni.

I serbi, come i rumeni, hanno d’ altronde sui bulgari lo svantaggio che, dipendendo da patriarca greco, la loro propaganda non ha organizzazione religiosa. Cosi i Governi di Budapest e di Belgrado chiedono la istituzione di loro vescovi a Monastir, Ipek ed Uskub.

La propaganda rumena in Macedon a e del re­ sto molto meno attiva che quella dei due popoli finitimi, poiché si confonde col movimento elle­ nista.

Da questa rapida e succinta esposizione risulta che tutte queste nazionalità lottano da lungo tempo con selvaggia energia per strappare la Macedonia al dominio turco e farla passare sotto la propria domi­ nazione.

Questa lotta lungamente sorda e latente, ora è scoppiata sanguinosa, fra gli orrori e le stragi che ricordano epoche di barbarie che la civiltà mo­ derna aveva fatto dimenticare.

C o n ta d in i e operai n e g li S ta ti U n iti.

— Benché oggi il primato industriale degli Stati Uniti non possa essere contestato da alcuno, si nota un fatto singolare, e cioè che la proporzione della popolazione che consacra la sua attività alla indu­ stria è sensibilmente minore di quella che vi si ap­ plica in Ingliillerra, in Germania ed in Francia.

(11)

numero di persone che guadagnano la vita coll’ agri­ coltura anziché coll’ industria.

E’ interessante pertanto di vedere come si divide la popolazione americana per professioni, secondo i tre ultimi censimenti :

Migliaia di persone — •— 1880 1890 1900 Agricoltura... 7.714 8. 666 10.382 Professioni liberali... 603 944 1.259 Servizi personali... 3.424 4.221 5.581 Commercio e trasporti. . 1.866 3.826 4. 767 Industria... 3.785 5. 678 7.086 T otale... 17.392 22.736 29.074 Proporzione per cento Agricoltura... 44.3 37.7 35.7 Professioni liberali... 3.5 4.1 4.3 Servizi personali... 19.7 18.6 19.2 Commercio e trasporti.. 10.7 14.6 16.4 Industria... 21.8 25.0 24.4 T otale... 100.0 100.0 100.0 Nella Gran Brettagna e Irlanda, invece, sopra 16,700,000 persone che formano la popolazione attiva 9 milioni sono occupati nell’ industria, 1,680,000 nel commercio, e soltanto 2,460,000 nell’ agricoltura.

Così (a popolazione industriale britannica, è in cifre assolute sensibilmente più numerosa della po­ polazione industriale americana, benché il valore dei prodotti fabbricati dalla prima non sia che la metà di quelli fabbricati dalla seconda.

Bisogna però notare che, secondo la statistica, i trasporti, i quali impiegano un così grande nu­ mero di persone, sono classificati in America in­ sieme al commercio, mentre in Inghilterra figurano compresi nelle industria.

Tuttavia l’ effettivo del personale dei trasporti è certamente molto minore in Inghilterra che non sia negli Stati Uniti, i quali hanno una reto ferroviaria sette o otto volte più notevole; ma anche defal­ cando questo personale dalla cifra della popolazione industriale, questa resterebbe sempre più numerosa in Inghilterra che negli Stati Uniti.

---— -se:

-U N A C I R C O L A R E

per I’ accertamento del reddito degli opifici

Por regolare V imposta sui fabbricati e accertare il reddito degli opifìci il ministro Carcano ha man­ dato una importante circolare. Egli premette che varie questioni sono sorte e si agitano da tempo circa l’applicazione della imposta sui fabbricati, ov­ vero, circa la interpretazione del disposto dell’art. 7 della legge i l luglio 1889, n. 6214, secondo il quale

devono considerarsi come parti integranti degli opifici

« i generatori della forza motrice ed i meccanismi « ed apparecchi che servono a trasmettere la forza « motrice, quando siano connessi od incorporati al « fabbricato. »

Prima di tutto, a togliere qualsiasi difformità nella azione degli agenti della finanza, occorre di­ stinguere i diversi mezzi generatori di forza mo­ trice, ossia, la forza idraulica da quella prodotta dal vapore, o dal gas o dalla corrente elettrica.

I. Forza motrice idraulica. — L’ acqua che colla

sua caduta sviluppa la forza, che serve a dar vita e movimento ad uno stabilimento industriale, forma, insieme alle opere di derivazione e ai canali con­ duttori, parte integrante dell’ opifìcio, e costituisce un elemento essenziale del reddito e del valore lo ­ cativo dell’ opificio stesso.

Non può quindi essere d u b b i o che il valore della forza prodotta dall’ acqua, d i cui è dotato un opi­ fìcio, debba essere compreso nella determinazione del

reddito. , , .

Però, per determinare il reddito, devesi calcolare non tutta la forza che potrebbe aversi dal volume d’ acqua disponibile, bensì quella effettivamente uti­ lizzabile dai motori, e determinare, oltre il valore

locativo di questi e dei trasmettitori del moto, quello unitario del cavallo dinamico, secondo le di­ verse località e le condizioni più o meno favorevoli

dei singoli opifici. ; .

Però a questo proposito non si possono stabilire criteri rigidi e precisi per la commisurazione del reddito e della tassa. A questo proposito si racco­ manda la maggiore oculatezza e ponderazione, affin­ ché, tenuto conto di tutte le molteplici circostanze si giunga all’ accertamento di redditi congrui e pere­ quati, senza dar motivi a dannosi litigi con pretese eccessive, che potrebbero distogliere da nuovi im­ pianti grandiosi e intralciare il desiderato e promet­ tente sviluppo della industria nazionale.

II. Forza motrice prodotta dal vapore o dai gas. —

Diversa da quella degli opifici idraulici è la condi­ zione degli opifici animati dalla forza meccanica prodotta dal vapore o dai gas. In questi opifici si hanno, e di essi fanno parte integrante, caldaie e macchine a vapore, gazometri e motori a gas, che costituiscono i generatori della forza motrice, consi­ derati dall’ art. 7 della legge del 1889, e devono quindi essere compresi nel reddito dell’ opificio, agii effetti della imposta sui fabbricati. Ma sarebbe con­ trario al giusto e alla ragione il comprendere, nei riguardi di tale imposta, il valore della forza pro­ dotta dal consumo di combustibile o di gas. Questi elementi, pur essendo indispensabili per ottenere la forza che serve ad animare le macchine lavoratrici, non sono, come lo è 1’ acqua, parte integrante del- 1’ opificio, non costituiscono una dipendenza, un an­ nesso, una dote fissa del medesimo, non hanno, in altri termini, nessuno dei caratteri richiesti dall ar­ ticolo 7 della legge per poter essere compresi nella determinazione del reddito immobiliare.

Pertanto, agli effetti dell’ imposta sui fabbricati, va computato soltanto il canone di affitto o il valore locativo delle macchine a vapore o dei motori a gas insieme a quello dei trasmettitori del moto, ricor- rendo, qualora sia il caso, e con prudente discerni­ mento, all’ interesse del capitale investito.

III. Energia elettrica impiegata come forza motrice.

— Non diversamente dai motori a vapore ed a gas

vogliono essere considerati i motori elettrici, ossìa quei congegni che riconvertono 1’ energia elettrica in forza motrice. Questi motori sono veri generatori della forza motrice e devono perciò essere compresi nell’ accertamento del reddito dell’ opificio. Ma nella applicazione pratica, non bisogna dare a tale massima una interpretazione troppo estensiva, e non bisogna comprendere nell’ accertamento oltre il valore loca­ tivo della dinamo che trasforma in forza motrice 1’ energia elettrica, anche il valore di questa, e cioe, quanto il proprietario dell’ufficio paga a chi gli for­ nisce 1’ energia stessa. Perocché l’ art. 7 ha disposto che debbano considerarsi parti integranti degli opi­ fici i generatori della forza motrice. Era questi gene­ ratori di forza vanno certamente comprese le dinamo, le quali ricevono 1’ energia elettrica e la. riconver­ tono appunto in forza motrice ; ma non il prezzo o il valore dell’ energia, sia perchè questa nou ha qui una funzione dissimile da quella del carbone impie; gato per la caldaia a vapore, sia perchè altrimenti si cadrebbe in duplicazione di imposta. Basta, ripetesi, determinare il valore locativo della dinamo e dei relativi accessori , a somiglianza di quanto si è stabilito per le macchine a vapore e per i motori a gas.

IV. Officine di produzione di energia elettrica da

trasportare a distanza. — E’ assai frequente il caso di

opifici a forza idraulica, a vapore od anche a gas, che servono alla produzione ai energia elettrica da trasportarsi a distanza, per animare altri opifici in­

dustriali e per altri usi. ,

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