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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.30 (1903) n.1544, 6 dicembre

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GAZZÉTTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anuo I I I - V o l . I I I I V

Firenze, 6 Dicemlire 1903

N . 1544

Sommario : Il programma del ministero. — Sul riscatto delle Meridionali. — Per l’ incremento industriale di Napoli, I, (Continua). — R. Da l l a Vo l t a, Imperialismo e protezionismo, XI. — Rivista economica.

(La conversione del debito ipotecario - I commerci dell’Italia e della Hussia in Serbia - Il commercio dei vini in Germania). — Il programma del Governo. — La situazione del Tesoro al 31 ottobre 1908. — La Me­

diterranea. — I prodotti delle ferrovie. — Movimento della popolazione. ; (Censimento 1901). — Cronaca delle Camere di Commercio (Palermo, Trapani). — Mercato monetario e Banche di emissione — Rivista delle Borse. — Notizie commerciali. — Avvisi.

IL PROGRAMMA DEL MINISTERO

Il voto della Camera, che dà al Ministero una attestazione di fiducia con un numero di consenzienti cosi prevalente e con conversioni così pubbliche e franche di notevoli parlamen­ tari, rende quasi superfluo ogni giudizio sul programma del Governo.

Quando l’ attuale Capo del Gabinetto di­ venne ministro dell’ interno nel Ministero Za- nardelli, qualcuno, alludendo ai vivaci discorsi di riforme tributarie e sociali che 1’ on. Giolitti aveva pronunziato in Parlamento, gli ha do­ mandato : se il Ministro aveva veramente il pro­ posito di fare o se intendeva di seguire la po­ litica funesta del solo promettere.

E l’ on. Giolitti rispose calorosamente che gli intendimenti erano di fare.

Le vicende del Ministero Zanardelli sorto dalla minoranza e allora spesso minacciato dalla opposizione, non permisero che fosse un Mini­ stero, per ciò che riguarda le tante riforme ur­ genti, diverso dagli altri.

Oggi l’on. Giolitti è diventato Capo del Go­ verno ed ha intorno a sè un enorme numero di adesioni. Sembrerebbe quindi che difficoltà par­ lamentari non abbiano ad incontrarsi per dare principio a lavox-i profìcui ohe valgano a svec­ chiare questa macchina governativa che costa tanto e rende così poco.

Non possiamo quindi rimproverare 1’ on. Gio­ litti di aver presentato nel suo programma, che pubblichiamo pivi innanzi, troppe cose. Il Go­ verno può guidare la Camera ad una attività straordinaria, quando non abbia le preoccupazioni di mantenere compatta una maggioranza che sia debole. Oggi la maggiorai za è grandissima e se anche nelle singole questioni qualche gruppo di essa dovesse staccarsene, x'imarrà sempre abbastanza per un lavoro alacre e proficuo.

Possiamo quindi ritenere che 1’ on. Giolitti manterrà ora quei propositi che tre anni or sono aveva con tanto calore manifestati. E non na­

scondiamo che il programma presentato ci è sembrato encomievole e tale da desiderare che sia svolto colla massima alacrità. Coloro che temono che si esaurisca la materia legislativa, evidente­ mente non hanno mai riflettuto su quale ammasso di vecchie e inadatte leggi si regga il giovane Regno. Abbiamo perduto tanto tempo, che per essere ad un punto sufficientemente avanzato del cammino da fare, bisogna correre.

Non analizzei’emo le diverse parti del pro­ gramma.

In questo momento le più urgenti ed im­ portanti questioni sono di ordine finanziario, e quindi, per conoscere gli intendimenti del Go­ verno, bisogna attender la paro'a dell’on. Luzzatti. E non vi è dubbio che l’ on. Luzzatti sarà compreso della grande aspettativa generale che vi è in Italia e fuori sulle linee generali che in­ tende seguire.

Il suo ingegno, la sua esperienza ed il de­ siderio che lo anima di lasciar traccia profonda della sua azione, ci assicurano che la sua espo­ sizione finanziaria sarà tale da rispondere alla attesa e da sodisfare anche la sua giusta ambi­ zione.

Sul riscatto delle Meridionali

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798 L ’ E C O N O M I S T A 6 dicembre 1903

saggia politica di nascondere al pubblico qualche parte del problema, e quindi proseguendo a trat­ tarne n&W Economista, che non è giornale politico, mi sento più libero nella espressione dei miei giu­ dizi, perchè nessuna preoccupazione di opportu­ nità politica mi trattiene. L’ egregio sig. Diret­ tore della Tribuna vorrà tener conto di questo riguardoso sentimento e non incolparmi se in que­ ste colonne, anziché su quelle del suo reputato giornale, rispondo ai suoi commenti.

Innanzi tutto rilevo che nella mia lettera 25 novembre affermavo essere impossibile il ri­ torno Ilo statu quo del 1884 per le condizioni di trasporto della rete meridionale ; sono quindi d ’ accordo che il pensarci solamente rappresenta una summa injuria all’interesse generale ed a quello particolare delle provincia dove è posta quella rete.

Ma posto questo principio sul quale insisto a rilevare che la mia lettera ed i commenti sono concordi, non è per questo eliminata la esi­ stenza dell’ art. 8 del Contratto di esercizio 1885. La Società delle Meridionali accamperà o non accamperà al 31 giugno 1905 la applica­ zione dell’ art. 8 citato : questa è questione che riguarda la Società stessa e della quale non mi occupo. Ma io che voglio rendermi conto possi­ bilmente esatto di questa questione, non posso trascurare 1’ esistenza di quell’ articolo, il quale implicherebbe come conseguenza il ritorno alle condizioni di trasporto che esistevano nel 1884.

La Tribuna nei suoi commenti manifesta il convincimento che, se non avverrà il riscatto, le SS. EF. Meridionali entreranno tranquilla­ mente ad esercitare la loro rete « senza sollevare irosi conflitti che potrebbero risolversi a loro grave danno. » .

Ed ammettiamolo pure ; ma a quali condi­ zioni ? in base a quale concessione ?

Evidentemente in base alla convenzione del 1862 o ad un’ altra convenzione che quella del 1862 modificasse.

La Tribuna nei suoi commenti non accenna nemmeno alla possibilità che le SS. EE. Meri­ dionali possano restare nell’ esercizio tranquillo della loro rete alle condizioni di trasporto che sono attualmente vigenti nella rete Adriatica. Basta riflettere un momento quali diverrebbero le condizioni di dipendenza della rete meridio­ nale col rimanente della rete italiana per com- prendei'e che il semplice ritorno all’ esercizio della rete alle condizioni che saranno vigenti al 30 giugno 1905 sarebbe una summa injuria, come il ritorno alle condizioni del 1884.

Dimostrare questa impossibilità non è il caso ora, ma occorrendo non mancherò di farlo.

Dunque ? Se non si può tornare alle condi­ zioni del 1884, se non si può rimanere alle con­ dizioni attuali, è chiaro che occorrerà una nuova convenzione per 1’ esercizio delle reti me­ ridionali almeno durante i sette acni dal 30 giu­ gno 1905, dalle risultanze dei quali, notisi bene, devono scaturire gli elementi del riscatto a cui lo Stato avrebbe diritto nuovamente.

Ma una nuova convenzione che fosse con­ cretata per l’esercizio della rete meridionale dal 1“ luglio 1905, importerebbe necessariamente un onere per il Tesoro. Tale onere sarà più o meno

sensibile secondo gli accordi che potessero in­ tervenire e secondo le combinazioni che si po­ tessero escogitare ma però sempre un onere.

Ora io dico, e questo era lo scopo della mia lettera alla Tribuna, e lo scopo di queste mie considerazioni : discutendosi oggi il riscatto da farsi e da non farsi prima del 30 giugno 1905 è giusto ed esatto prescindere dalle conseguenze finanziarie che deriverebbero dal non riscattoì

Le egregie persone che parlarono del costo del riscatto perchè non hanno fatto cenno del co­ sto del non riscatto ?

Non è loro dovere, se vogliono illuminare la pubblica opinione sullo stato della questione, fare uno studio sugli effetti finanziari comparativi del

riscatto e del non riscatto ?

Se della*mia lettera del 21 novembre u. s. dal- 1’ egregio Direttore della Tribuna cortesemente pubblicata, e da queste considerazioni, che la completano, si otterrà che si studi il problema sotto tale aspetto, io credo che ne guadagnerà la sincerità della discussione, la quale, in un fatto di tanto interesse "pubblico, non deve essere adul­ terata da reticenze che sarebbero colpevoli.

A. J. Dk Johannis. ‘ ) Ecco la lettera pubblicata nella Tribu na:

Ch ia r is s im o Sig n o r Dir e t t o r ed e l l a 'Tribuna

Roma. In questi giorni si è discusso con una certa lar­ ghezza sugli effetti finanziari che deriverebbero al Tesoro dello Stato dal riscatto delle S. S. R.F. Me­ ridionali, e si sono manifestati pareri diversi, alcuni concludenti conveniente allo Stato altri no il pro­ cedere al riscatto prima dello scadere delle attuali convenzioni di esercizio.

A me pare che coloro che discutono tale parte finanziaria non abbiano tenuto esatto conto di tutte le condizioni del problema, e che perciò i calcoli fi­ nali diano cifre che non rispondono al vero, mentre a mio credere, l’ onere che avrebbe il Tesoro dello Stato sarebbe molto minore di quello che si crede, ed anche esso compensato da vantaggi indiretti,ma effet­ tivi ; — ma di tale punto della questione non è il caso di occuparsi per incidenza. Però, appunto nel convincimento che 1’ onere dello Stato sarebbe rela­ tivamente lieve, vorrei fare qualche considerazione sull’ altro punto della questione : se il riscatto sia evitabile, e se io Stato abbia interesse di evitarlo,

Bastano poche riflessioni.

Allo scadere delle attuali convenzioni di eserci­ zio, se il riscatto non fosse avvenuto, la Società delle S. S. P. P. Meridionali, rientrerebbe nel pieno e com­ pleto godimento della sua convenzione che ha la base nella legge 1862; e dovrebbero decorrere altri sette anni perchè lo Stato possa esercitare la sua facoltà di riscatto.

Tutto questo è pacificamente ammesso.

Ma sorge la domanda: — in quali condizioni al 1 luglio 1905 la Società delle Meridionali, so non sarà riscattata, entrerà nell’ esercizio delle linee ?

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6 dicembre 1903 L ’ E C O N O M I S T A 799

Isernia, siano sottoposte ad un regime ferroviario ohe cancelli tutto ciò che fu fatto nei venti anni, cominciando dal principio del cumulo delle distanze ?

Basta accennare a questa difficoltà per compren­ dere che lo Stato non può evitare il riscatto, e del resto il legislatore che nelle Convenzioni 1885 ha modificato le basi del riscatto, fissate dalla Concen- zione 1862, ponendo per base del computo degli utili 1’ anno 1881, con ciò solo ha riconosciuto inevitabile il riscatto quando scadessero le convenzioni, ed ap­ parecchiava condizioni che appunto per questo fos­ sero di facile applicazione e di poco onere per lo Stato.

Perciò, ripeterò che dagli studi sommari da me fatti, mi risulterebbe che il Tesoro non avrebbe col riscatto ohe un lieve onere effettivo, e che anche in­ direttamente, ma effettivamente, sarebbe compensato, ritengo che la questione preliminare da discutersi, e che pur veggo dai più meno studiata, sarebbe que­ sta : Come rimarrebbe la rete meridionale, sotto l’ aspetto del servizio al pubblico, se il riscatto non avvenisse ?

E siccome ritengo che nessun governo oserebbe applicare nel 1905 per la rete meridionale le con­ dizioni dì trasporto che vigevano nel 1884, è chiaro che lo Stato dovrebbe venire a patti colla Società delle Meridionali ; ed è altrettanto chiaro che la So­ cietà delle Meridionali indicherà come sola soluzione il riscatto.

Non sono tenero nè per 1’ esercizio di Stato nò per i riscatti ; ma nel caso concreto mi pare che non vi sia scelta e che il riscatto si imponga nel- l’ interesse del strvizio e dello Stato.

A me pare quindi che prima di discutere sulla convenienza di fare o non fare il riscatto, sia ne cessario provare che è possibile non procedere al riscatto,

Mi creda con tutta osservanza

Dev.mo A. J. d e Jo h a n n is

Firenze, 25 novembre 1003.

Ed ecco i commenti della Tribuna :

Per deferenza all’ egregio prof, de Johannis, ab­ biamo pubblicato integralmente la sua lettera. Ma non esitiamo a dichiarare che speriamo la Società delle Meridionali non abbia a seguire il suo consiglio.

Senza entrare, per ora, nel merito della que­ stione, a noi pare che il mettere innanzi una pre­ giudiziale così recisa, come fa il prof, de Johannis, se al Governo s’ imponga o meno il riscatto prima del 30 giugno 1905, non possa avere altro risultato che di inacerbire i rapporti fra Stato e Società e di sollevare numerosi e fierissimi contrasti.

E’ ciò che si vuole? Non lo crediamo.

Riepilogando la lettera del prof, de Johannis, si arriva a questa conclusione : Che il 30 giugno 1905, cioè al cessare dell'attuale contratto d’ esercizio, in base al quale la Società delle Meridionali esercita la Rete Adriatica, essa potrebbe applicare alla sua antica rete sociale (Ch. 1,800) le norme pel perso­ nale, i regolamenti interni, gli orari e specialmente le tariffe, che erano in vigore il 30 giugno 1885, creando al Governo, alle regioni toccate dalla sua Rete e al personale, uno stato di cose non solo dif­ ficilissimo, ma impossibile.

Ci perdoni, l’ egregio professore, ma il suo, con­ siglio ricorda troppo il famoso episodio del Palma-

verde che S. M. Vittorio Emanuele I, reduce dal-

l’ esilio di Cagliari a Torino nel 1815 invocò per ristaurare in Piemonte tutto ciò che v’ era prima o che la Rivoluzione aveva spazzato. Ora come fu poco serio l’ atto del piccolo Re di Sardegna, così non ci pare molto più efficace la minaccia delle So­ cietà Meridionali.

Come ! Dopo le numerose riforme che nel ven­ tennio furono introdotte nell’ esercizio della Rete Adriatica, comprendenti le antiche Meridionali, spe­ cialmente in quanto ha rapporto alle tariffe, — ri­ forme studiate e proposte al Governo dall’ operosa e intelligente Direzione Generale delle Meridionali, — questa stessa Direzione Generale crede di potere dal- 1’ oggi al domani, dopo un ventennio di applicazione, revocare e sopprimere ciò che costituisce il suo mi­ glior titolo d’ onore ?

Tale ipotesi non è neppure discutibile.

Certo, nessuno può contestare alla Società delle Meridionali il diritto di far valere quelle ragioni che potesse vantare verso lo Stato. Ma una politica alla

Palmaverde, come quella cui accenna il professore

de Johannis, sarebbe rovinosa non solo per le regioni servite dalle Ferrovie Meridionali, ma più ancora per la Società stessa. Sul terreno del summum jus, se anche le Meridionali potessero invocarlo, del che dubitiamo, la Società sarà sempre in condizioni in­ feriori allo Stato.

Noi pure crediamo che il riscatto della Rete Meridionale toglierebbe di mezzo molte difficoltà che possono insorgere quando si definirà il nuovo pro­ gramma di esercizio ferroviario, sia poi privato o di Stato. Quindi auguriamo che il grave problema sia studiato con sollecitudine e con equità : ma non si possono nè si debbono ammettere pregiudiziali di sorta. E se, per un ipotesi che confidiamo non si ve­ rifichi, non fosse possibile intendersi sulle condizioni del riscatto, non dubitiamo che la Società delle Me­ ridionali tornerà ad esercitare per altri sette anni la sua antica Rete colla stessa diligenza e lealtà con cui seppe amministrarla in passato, senza sollevare irosi conflitti che potrebbero risolversi a suo grave danno.

PER L’ INCREMENTO INDUSTRIALE DI NAPOLI

i.

Le condizioni di fatto.

La relazione pubblicata dalla Commissione che ha studiato il complesso problema dell1 in­ cremento industriale di Napoli è documento no­ tevole, sia per il materiale raccolto, sia per 1’ esame dei fatti e le proposte suggerite da tale indagine. È forse la prima volta che lo stato delle industrie di quella città e lo studio dei mezzi atti a promuoverne lo sviluppo vengono presentati al pubblico in modo quasi esauriente, e per questo, non che per la importanza dell’ ar­ gomento nel momento attuale in cui l’ azione dello Stato viene invocata appunto in modo spe­ ciale pel Mezzogiorno, crediamo conveniente di occuparcene con qualche larghezza.

La prima condizione, per farsi una idea chiara della quistione, è di conoscere le condi­ zioni di fatto in cui trovasi la Napoli industriale e fu infatti questo il primo còmpito cui si ac­ cinse la Commissione. Essa trovò che la pro­ vincia di Napoli conta 2,940 opifici, dotati di una forza motrice di 39,108 cavalli dinamici e che impiegano 71,392 operai, non compresi 214 corrigendi in una Casa di correzione e 1017 de­ tenuti in quattro stabilimenti penali. La parte che ha in queste cifre il Comune di Napoli è preponderante, cioè 2104 opifici, 25,940 cavalli di forza e 38,750 operai,-1 71,392 operai si di­ stinguono in 14,573 femmine, di cui 1372 al di­ sotto di 15 anni, e in 56,819 maschi di cui 7126 minorenni ; gli operai adulti sono quindi 62,894 di cui 13,201 femmine e 49,693 maschi. Queste cifre, tuttavia, non possono dare che un’ idea troppo sintetica delle condizioni del lavoro in­ dustriale nella metropoli napoletana, perchè sia possibile limitarsi ad esse. Certo si può rilevare, a primo aspetto, che non manca a Napoli qual­ che attività industriale ; ma occorre vedere me­ glio come essa si eserciti, in quali rami di la­ voro e in qual modo.

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800 L ’ E C O N O M IS T A 6 dicembre 1903

tutta la provincia di Napoli nel primo gruppo, in cui sono comprese le industrie minerarie, le metallurgiche, le meccaniche e le chimiche sono occupati 36,254 operai con 29,753 cavalli di forza di varia natura ; 18,426 operai e 23,957 cavalli dinamici sono nella sola città di Napoli. Le in­ dustrie di questo primo gruppo sono le più eser­ citate in Napoli e quelle che posseggono i soli pochi stabilimenti industriali, veramente morite voli di tal nome, che rappresentano quasi tutta l’ attività industriale e che assorbono gran parte della mano d’ opera e della forza motrice impie­ gata nelle industrie. A differenza degli operai occupati negli altri gruppi di industrie, questi del primo gruppo percepiscono una media di mercedi soddisfacente, per quanto il lavoro di gran parte di essi non possa dirsi sempre certo, dipendendo quasi interamente dagli ordinativi di Stato. Dei 36,254 operai appartenenti a questo primo gruppo d ’ industrie, lavorano negli stabi­ limenti di Stato (arsenali, cantieri, laboratori di artiglieria, officine ferroviarie, ecc.) 7544 operai; in quelli che impiegano quasi tutta la loro at­ tività in commissioni di Stato, 4063 operai, e finalmente sono addetti a stabilimenti privati per lavori industriali di uso generale 24,107 operai. In rapporto alla sola città di Napoli, gli operai occupati negli stabilimenti governativi sono 5099; quelli nelle officine che lavorano specialmente per lo Stato 2662 e quelli che lavorano negli altri stabilimenti 10,665. Ma dei 36,255 operai che appartengono a questo primo gruppo di in­ dustrie 11,580 circa possono dirsi, secondo le in­ dagini della Commisione, precariamente e non convenientemente occupati e di essi soltanto 5219 in Napoli.

E quanto alla forza motrice, detratti 19,840 cavalli addetti ai servizi di trazione, quelli ado­ perati per la illuminazione pubblica e privata, ne restano soltanto 9913, dei quali sono adope­ rati negli stabilimenti dello Stato e delle Società ferroviarie 3419 ; in quelli che lavorano quasi esclusivamente per lo Stato 2533, sicché ne ri­ mangono’ per lavori industriali di uso generale soltanto 3961.

Le industrie del secondo gruppo, cioè le alimentari, hanno in tutta la provincia impiegati 9705 operai e 7870 cavalli dinamici, di cui sol­ tanto 2351 operai e 1152 cavalli nella sola città di Napoli. Queste industrie, come si vede, hanno poca importanza in Napoli, ma un sufficiente svi­ luppo nella Provincia. Infatti, mentre in Napoli sono impiegati soltanto 1152 cavalli di forza, nella Provincia ce ne sono 6718 e questa forza è tutta impiegata in lavoro strettamente industriale. Ciò forma principalmente il vanto della vicina Torre Annunziata, di Gragnano e di Castellamma­ re, che i danno più forti contingenti in tali indu­ strie per le fabbriche di paste e conserve ali­ mentari, che in tali paesi prosperano.

Ed esaminata con i criteri seguiti pel primo gruppo la cifra degli operai impiegati nelle in­ dustrie del secondo, può dirsi che dei 9705 operai che compongono il gruppo, soli 2593 debbonsi ritenere precariamente impiegati, dei quali 748 nella città di Napoli.

Le industrie tessili ed affini, che formano il terzo gruppo, occupano 6777 operai, di cui 3220

a Napoli e 391 cavalli di forza, di cui 70 a Na­ poli. In queste industrie, che più delle, altre mancano di organizzazione, si osserva subito la grande disparità fra la mano d’ opera e la forza motrice e non potrebbe essere diversamente, dal momento che molta parte di quegli operai in Napoli sono occupati, più che nella tessitura, nel cucito.

Nella Provincia, invece, si esercita un qualche residuo d’industria tessile, ma con ferrila rudi­ mentale, priva di organizzazione ; il che rende impossibile l’ impiego della forza motrice e limi­ tato il guadagno dei lavoranti, sia che lavorino per conto dei terzi, sia che lavorino per conto proprio nei rispettivi domicili. Perciò può rite­ nersi che dei 6777 operai addetti in queste in­ dustrie solo 2777, dei quali 1179 nel Comune di Napoli, ricevano conveniente retribuzione o sicuri proventi.

Il quarto gruppo comprende tutte le altre industrie oltre quelle di cui si è già parlato. In esso si trovano 18,656 operai, di cui 14,753 a Na­ poli e 101)4 cavalli di forza, di cui 761 a Napoli. Fra queste industrie ve ne sono molte di quelle che, per molteplici circostanze, non hanno potuto svilupparsi in modo da tener fronte alla concorrenza di altre fabbriche fuori di Napoli.

La mancanza di ogni progresso nei metodi di lavorazione, accompagnata dalla più assoluta disorganizzazione, specialmente nella funzione commerciale di tali industrie, produce due gravi inconvenienti : l’ asservimento della produzione agli speculatori, e la limitazione del guadagno per la mano d ’ opera. Da ciò deriva che il nu­ mero degli operai veramente e proficuamente occupati è molto minore di quello indicato dalla indagine statistica. Procedendo ad un esame sulle diverse lavorazioni, si può ritenere, con molta approssimazione, che le industrie di que­ sto gruppo (guanti, mobili, scarpe, tipografie, concerie, ecc.) danno lavoro continuo e retribuito a soli 7753 operai in Napoli e a 2107 negli al­ tri Comuni.

Abbiamo voluto riferire queste notizie sul- l’ impiego degli operai e della forza motrice nei quattro gruppi d’ industrie, perchè si vedesse in modo positivo che le condizioni industriali di Napoli sono presentemente assai meschine. So­ pra 38,750 operai,- ve ne sono 15,008 occupati in modo relativamente precario e insufficiente­ mente retribuiti; questo a Napoli ; negli altri Comuni della Provincia, sopra 32,642 se ne tro­ vano in quelle stesse condizioni 11,961. In to­ tale sarebbero 26¿969 gli operai occupati precaria­ mente e insufficientemente retribuiti.

Ora è certo che un censimento professionale avrebbe dato resultati più sicuri e più precisi, e fa meraviglia che non si sia pensato a com­ pierlo in modo da avere una fotografia esatta e completa della struttura economico-sociale della città di Napoli. Tuttavia, quei dati possono ri­ tenersi abbastanza approssimativi e sono certo desolanti, perchè rivelano che tra il 35 e il 40 pér cento degli operai si trovano in uno stato precario di lavoro e sono mal pagati.

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in-6 dicembre 1903 L ’ E C O N O M IS T A 801

sufficienti e contribuisce in modo notevolissimo a rendere acuta la crisi economica ed il feno­ meno della disoccupazione, poiché l’operaio, di fronte all’ insufficiente guadagno, è sempre in cerca di un lavoro meglio retribuito, passa da una officina all’ altra, andando spesso di male in peggio e cambia alle volte addirittura me­ stiere con scapito anche della bontà della pro­ duzione. Nei pochi Stabilimenti industriali esi­ stenti, dove il lavoro trovasi regolato ed orga­ nizzato, e in quelle'poche industrie o lavorazioni, le quali sebbene non esercitate in stabilimenti, pure hanno una certa organizzazione, il tasso dei salari, se non raggiunge le proporzioni di quello di altre città estere e della stessa Italia, non discende mai a cifre meschine. Ma queste industrie e questi stabilimenti sono pochi e vi­ vono pur essi in condizioni disagiate. Tutte le altre industrie, se pure è lecito dare tal nome alle innumerevoli lavorazioni sparse per la città, sono prive di qualunque organizzazione, il gua­ dagno spesso è meschino, e gli operai addetti a ciascuna ricevono salari derisori ed incerti, assolutamente insufficienti ai bisogni delle nu­ merose famiglie.

La stessa relazione della Commissione di inchiesta mette in chiaro che le industrie le quali assumono, specialmente in Napoli, maggior importanza sono le meccaniche. I grandi stabi­ limenti metallurgici lavorano, salvo qualche ec­ cezione, in massima parte per conto dello Stato dal quale sollecitano le Commissioni, con peri­ colo, in caso di mancanza, di dovere rimanere chiusi. Fanno buona prova e sono sufficiente- mente sviluppate le officine per la riproduzione di oggetti artistici in bronzo ed in altri metalli, che danno un discreto contributo alla esporta­ zione. Le industrie alimentari non trovano nella produzione napoletana il posto che dovrebbero avere, data la feracità del suolo e la mitezza del clima. Fanno eccezione la macinazione dei cereali e la fabbricazione delle paste da mine­ stra, esercitate abbastanza largamente, con circa 6000 operai ed una quantità di forza motrice di circa 6500 cavalli. Egualmente sviluppata in qualche Comune è la industria delle conserve alimentari; ma non si contano che poche fab­ briche di cioccolata e di dolci, due importanti in Napoli, altre di liquori e di spirito, qualche stabilimento enologico veramente notevole. Le industrie tessili si trovano in uno stato di grande depressione. Esse non solo non hanno l’ impor­ tanza che dovrebbero avere, data la preferenza e abbondanza di alcune materie prime,, ma nean­ che un modesto sviluppo.

Le indagini statistiche non hanno ritrovato alcun canapificio, malgrado 1’ abbondanza della materia prima, che è tutta esportata all’estero, nella Provincia di Napoli, in cui non esistono neanche lanifici, linifici, jutifici. Vero è che la tessitura della canapa e de1 cotone perdura, per una antica tradizione, sotto forma di industria casalinga, ma essa non ha che poca importanza industriale, perchè eseguita tuttora con telai di vecchio modello, ingombranti e rumorosi, e spesse volte non si esercita che per sopperire ai soli bisogni domestici. Di questi telai ne furono cen­ siti ora 6640 mentre nel 1876 l’ Ellena ne ri­

portava 10,'403 e la statistica ufficiale del 1901 ne dava 5084. Risulterebbe adunque che mentre dal 1876 al 1891 si verificò una sensibile dimi­ nuzione, dal 1891 a oggi vi sarebbe stato invece aumento.

Qualche stabilimento di tessitura del cotone si trova a Castellammare, come in altri Comuni della provincia di Napoli si esercita in modeste proporzioni la tessitura della seta. Alcuni rami di lavorazione importanti per Napoli sono la la­ vorazione dei guanti, compresa la concia e la tintoria delle pelli, la lavorazione delle calzature la grossa conceria dei cuoi per suole e tomaie. La lavorazione dei guanti è assai antica in Na­ poli, perchè vi trova ottima qualità di pelle, as­ sai adatte e propizie condizioni di temperatura e di luce per la concia. Essa difetta nei sistemi di concia delle pelli (concia germanica) e di po­ miciatura e tintoria, tanto che la maggior parte delle pi lli da guanti si mandano, per tali opera­ zioni, all’estero, in Germania e in Francia spe­ cialmente a Grenoble.

L ’ industria delle calzature fa sperare buoni risultati, avendo già assunta una notevole impor­ tanza, tanto che comincia a dare un contributo alla esportazione, non solo nelle altre provincie del Regno, ma anche all’ estero, specialmente in Oriente. Un’ altra industria prevalentemente esercitata a domicilio è quella dei mobili, mas­ sime quelli a buon mercato; ma questa industria, che pur potrebbe dare lavoro sicuro a maggiore numero di operai, è sfruttata da incettatori non sempre discreti, con danno degli operai e del prodotto. Esistono anche alcuni stabilimenti dove si eseguono con successo mobili artistici e di lusso.

Insomma, prevale a Napoli la piccola indu­ stria, e in gran parte a domicilio ; vedremo in altro articolo come viene giudicata dalla Com­

missione d’ inchiesta. (Continua).

IMPERIALISMO E PROTEZIONISMO )

X I.

Le rappresaglie e la reciprocità.

La tendenza a ricorrere alle rappresaglie non si è manifestata soltanto ora nell’ Inghilterra. Ad essa ha potuto dare maggior vigore la mi­ naccia da parte della Germania di applicare al Canadá un trattamento differenziale, quasi per punire quel paese di aver concesso all’ Inghil­ terra il regime di preferenza, ma non sarebbe dif­ ficile di dimostrare che non sono mai mancati al di là della Manica i fautori delle rappre­ saglie.

Non pochi inglesi hanno considerato come dannoso il libero scambio unilaterale e hanno pensato che se gli stranieri colpiscono con dazi elevati i prodotti britannici, sarebbe soltanto un atto di giustizia il fare la stessa cosa per ¡p ro ­ dotti stranieri. Si vuol vedere poi in questa po­ litica, diremo cosi vendicativa, il mezzo per tra­ scinare gli altri Stati verso il libero scambio,

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802 L ’ E C O N O M I S T A 6 dicembre 1903

per indurli almeno a temperare le loro tariffe protezioniste. Lo scopo sarebbe adunque, in tal caso, buono, ma quanto al mezzo non può di re­ gola ritenersi per tale ; e in generale i motivi che spingono alle rappresaglie avranno anche un certo fondamento, presa la cosa in sè stessa, ma il metodo adottato per avere soddisfazione, sul ter­ reno della politica commerciale, dagli altri Stati appare cattivo, perchè sostanzialmente dannoso.

È una illusione, il credere che le rappresa­ glie possano servire di mezzo di correzione per i paesi protezionisti così da indurli ad adot­ tare un sistema di tariffe più liberale. Certo le rappresaglie cagionano di solito danni rilevanti al paese contro il quale sono esercitate, ma pro­ curano perdite non indifferenti a quello che vi ricorre. Applicare dei dazi elevati ai prodotti dello Stato contro cui si vuol procedere per rappresaglia potrà significare infliggergli un danno più o meno grande, ma certo però quei dazi si ritorcono inevitabilmente anche contro chi se ne serve. Tuttavia, se vi fosse la certezza che questo modus operandi avrà efficacia, la perdita temporanea potrebbe essere compensata dai vantaggi successivi; perchè se effettivamente le rappresaglie doganali valgono a iar deporre all'altro Stato le sue armi protezioniste, allora uon v’ ha dubbio che la cosa può francare la spesa. Che tale tattica sia o no da seguirsi può essere materia, come direbbe Adamo Smith, di deliberazione. I danni, gl’ inconvenienti imme­ diati non cessano di esistere, ma se di breve durata, se compensati dai vantaggi respettivi, se il trionfo di una politica commerciale liberale è la certa ricompensa, allora può concepirsi il ricorso alle rappresaglie.

Da ciò vedesi che 1’ Inghilterra, in seguito al programma vagamente tracciatole del Balfour (vedi VEconomista n. 1538), dovrebbe appunto calcolare se per ottenere dagli altri Stati un trat­ tamento migliore le conviene abbandonare o meno il libero scambio odierno. Qui si entra nel campo degli apprezzamenti, poiché trattasi di vedere se, per virtù delle rappresaglie, nelle condizioni presenti, aia probabile una rinuncia alla esage­ rata protezione industriale, cui si sono abbando­ nati generalmente gli altri Stati civili. Chiunque però esamini un po’ addentro le ragioni che li hanno spinti ad accrescere la protezione doganale deve convincersi che non vi sono probabilità per un simile risultato.

Eu già osservato più volte che il protezioni­ smo è stato accolto in più d’ un paese nell’ opi­ nione eh’ esso sia utile e necessario per sè mede­ simo e che cotesta opinione si è radicata sempre più in chi già 1’ aveva e si è estesa ad altri in se­ guito ai risultati, almeno in apparenza soddisfa- cienti, che da quella politica doganale si sono ottenuti.

Come credere quindi che una data linea di condotta protezionista considerata soddisfaciente e più ancora necessaria, sia abbandonata, per non dover sottostare ad altri danni? Interessi troppo potenti e saldamente organizzati si formano nei paesi protezionisti e lottano tenacemente per conservare quei privilegi che hanno saputo ot­ tenere, perchè si possa credere che altri interessi danneggiati, e son poi quelli delle industrie

esportatrici colpite dalle rappresaglie, siano più forti così da ottenere la rinunzia alla protezione per le industrie nazionali. Certo, Stati Uniti, Germania, Francia, non presentano alcuna pro­ babilità, gli ultimi due paesi sopratutto, che le rappresaglie inglesi li inducano a desistere dalla protezione, almeno presentemente ; nell' avve­ nire potrebbe anche darsi che gli Stati Uniti, dopo considerevoli progressi tecnici ed econo­ mici, si sentissero in una condizione talmente forte, da poter sostenere la concorrenza dei ri­ vali. Per ora tale probabilità appare remota, e la politica delle lappresaglie sembra dover ad­ durre unicamente all’ adozione di dazi protet­ tori, stabiliti non già con un criterio organico, per quanto discutibile, ma piuttosto secondo 1’ opportunità maggiore o minore di avviare una guerra di tariffe.

Sta in fatto che non c’ è paese il quale ab­ bia veramente abbassate le proprie tariffe nel timore di perdere il suo traffico di esportazione a causa delle rappresaglie per parte di un altro paese. La tariffa germanica approvata nell’ ul­ tima sessione del Reichstag, aveva l’ intento di rispondere alla tariffa Dingley degli Stati Uniti d’America; ma questi anziché ridurre le proprie tariffe, hanno imposto speciali restrizioni, che rasentano quasi le proibizioni, su varie classi di prodotti che provengono principalmente dalla Germania.

Alla fine di una guerra di tariffe rovinosa, che durò tre anni, la Russia mantenne la sua tariffa attuale che in media colpisce i prodotti nella misura del 130 0[0. Dopo una lotta vivace a colpi di tariffe, Francia e Italia rimasero, anni sono, precisamente allo stesso punto di prima e se vennero ad accordi fu soltanto di recente con risultati mediocri e spintivi anche da ragioni po­ litiche.

Eppure il Balfour e il Chamberlain si lu­ singano di poter ottenere qualche vantaggio con le rappresaglie, il primo anzi fa di quelle il ca­ posaldo della sua nuova politica commerciale se non gli è possibile di ottenere la reciprocità e 1’ altro come disse ai Comuni il 28 maggio u. s., crede sia assolutamente necessario che il gover­ no inglése abbia il potere di applicare dazi su certe cose, se 1’ Inghilterra ha da fare qualche rap­ presaglia quando le Colonie sono danneggiate dalle misure di qualche paese estero.

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6 dicembre 1903 L ’ E C O N O M IS T A 803

I fautori della reciprocità pensano, conscia­ mente o no, che il commercio sia vantaggioso soltanto pei venditori e pertanto l’ idea della mutua concessione è considerata essenziale pel successo del libero commercio. Sembra quasi che 1’ ammettere sul mercato prodotti esteri alle stesse condizioni di quelli nazionali sia ingiusto e poco generoso e che quindi un tale trattamento non possa essere tollerato altro che nel caso in cui i prodotti nazionali ottengono vantaggi cor­ rispondenti sul mercato straniero. Ma ciò non è, come bene osserva il Bastable il beneficio del commercio estero resulta dal poter avere pro­ dotti a condizioni migliori, il che è reso possi­ bile dalla remozione delle restrizioni all’ interno del paese ; se anche quelle dell’ estero scompa­ iono, il guadagno sarà maggiore; ma ciò non to­ glie che una politica liberale per sé stessa pro­ curi vantaggi indipendenti dalla reciprocità com­ merciale.

Questa, del resto, non può essere che artifi­ ciale quando è il resultato di negoziati fra gli Stati, mentre le transazioni commerciali per se stesse sono sempre reciproche, perchè le importazioni devono essere pagate con le esportazioni, oppure con la cessione di diritti spettanti al paese im­ portatore e il paese che importa ha per ciò solo un utile che dipende dall’ acquisto a migliori condizioni delle merci importate. Nondimeno, la reciprocità per coloro che non riescono a conce­ pire i vantaggi che procura la libera importa­ zione dei prodotti nel proprio paese, può parere il mezzo migliore per assicurarsi che gli acqui­ sti saranno pagati con vendite di merci, anziché col capitale; ma è dessa sempre attuabile o non incontra piuttosto difficoltà spesso assai gravii? Gladstone, che nella sua qualità di vice-presi­ dente dei Board of'Trade ebbe occasione nel pe­ riodo 1841-45 di negoziare trattati di commercio sulla base della reciprocità, diceva che ogni volta vi fu un insuccesso, anzi qualche cosa di più. « Il procedimento, egli aggiungeva, pareva ci mettesse in una falsa posizione. La sua tendenza era quella di indurre i paesi a considerare con gelosia e sospetto, come fossero doni per gli stranieri, le modificazioni alle loro leggi, che seb­ bene fossero certo vantaggiose per gli stranieri sarebbero state di beneficio ancor maggiore ai loro propri abitanti. » E fu anche la lezione di cose ricevuta in questa occasione che determinò il cambiamento di opinione sia da parte di Peel, che del Gladstone.

L ’ Inghilterra dovrebbe adunque seguire l’ esempio degli Stati Uniti, che negli ultimi anni han cercato di dare una glande applicazione alla politica della reciprocità commerciale? Per gli Stati Uniti, due recenti scrittori *) hanno do­ vuto concludere che la reciprocità, accolta in vari trattati conchiusi da quel paese, non ebbe che risultati meschini dal punto di vista dello sviluppo dei traffici. Per l ’ Inghilterra, è dubbio non solo se potrebbe avere qualche risultato, ma se potrebbe venire applicata. Infatti, essa esige preliminarmente la formazione di una ta­ riffa, a rimuovere la quale verrebbe appunto

' Ofr. J. La u k e n c e La i o h t.ix o H. Pa k k e r Wit.u s, Reciprocity. New York, 1903.

invocata la reciprocità. Ora che l’ Inghilterra sia disposta a distruggere completamente l’ opera compiuta nel secolo passato, in materia fiscale, non è possibile crederlo sino al fatto compiuto ; e quindi per ora non si comprende come la reci­ procità commerciale potrebbe avere applicazione per opera dellTughilterra. Ben è vero che il Bal- four vorrebbe fosse data al governo la facoltà di applicare dazi contro quei paesi che danneg­ giano, senza alcun riguardo, la esportazione in­ glese, ma qui più che sul terreno della vera e propria reciprocità, si sarebbe su quello delle rappresaglie. Del resto, quando effettivamente della reciprocità si volesse fare la base dei ne­ goziati commerciali, si ricadrebbe inevitabilmente nel protezionismo, perchè col prevalere odierno della dottrina del List sulla varietà delle indu­ strie, cui ogni paese deve proporsi di dare svi­ luppo, in troppi casi mancherebbe la possibilità di contrapporre concessione doganale a conces­ sione doganale e praticamente il negoziato, sulla base assoluta della reciprocità, fallirebbe.

Troppo poco si conosce ancora dei modi pratici con cui il sistema delle rappresaglie e della reciprocità commerciale verrebbe messo in atto, perchè sia possibile di apprezzarne le con­ seguenze probabili rispetto all’ Inghilterra; ma le condizioni odierne degli altri paesi e l’ espe­ rienza del passato permettono di credere che all’ Inghilterra non riescirebbe di attuare su grande scala quel sistema; mentre è soltanto da una larga applicazione di esso che potrebbe spe rare di ottenere risultati di qualche entità. Entro confini limitati non sarebbe che un avviamento al ritorno verso il protezionismo, che è forse il vero desiderio di coloro che propugnano tali riforme.

B. Da l l a Vo l t a.

R iv is ta E co n o m ica

La conversione del debito_ ipotecario — I commerci del- V Italia■' e della Russia in Serbia — Il commercio dei vini in Germania.

La conversione dei debito ipotecario.

— La Nuova Antologia pubblica nel suo numero odierno un articolo dell’ on. Maggiorino Ferraris co! titolo : Di un programma agrario nazionale. In esso l’ on. Ferraris espone i lineamenti del progetto di legge da lui preparato per la costituzione di un Con­ sorzio Nazionale che intraprenda la conversione a minor interesse del debito ipotecario oneroso che grava sui beni immobili, sopratutto del Mezzogiorno e delle Isole.

Il progetto dell’ on. Maggiorino Ferraris, ohe forma il complemento della Riforma Agraria, fu ap­ provato all’ unanimità della Commissione Reale, pre­ sieduta dal senatore Finali, e sarà senza dubbio presentato dal Governo al Parlamento.

Ecco i lineamenti principali:

Sotto il titolo di Consorzio ipotecario nazionale si crea a Roma un Istituto centrale per la conversione del debito ipotecario oneroso.

L’ Istituto ha da 16 a 18 sedi in provincia, che funzionano come Consorzi ipotecari regionali; può avere una succursale in ciascuno dei 1800 manda­ menti del Regno, mediante i Consorzi ipotecari man­

damentali, ha una agenzia in ciascuno dei 5000 e più

uffici di posta del Regno. Così la riforma ipotecaria arriva al più remoto villaggio d’ Italia.

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804 L ’ E C O N O M IS T A 6 dicembre 1903

a gradi fino a 50 milioni, è diviso in quote di L. 5000 ciascuna. Esso potrà venir contribuito da tutti gli Istituti di credito e risparmio del Regno : Casse di risparmio, Banche popolari, Casse rurali, Società di assicurazioni, Crediti fondiari, ecc. E’ lasciata al­ l’ estero una partecipazione del 20 G]{). Le quote non sottoscritte da codesti Istituti saranno assunte di­ rettamente dal Tesoro.

Il Consorzio ipotecario è autorizzato alla crea­ zione di cartelle fondiarie, in misura praticamente illimitata, al 4, al 3,75 ed a! 3 1t2 Oft), a seconda delle operazioni di conversione e delle condizioni del mer­ cato. Gli Istituti azionisti costituiscono alla loro volta un Consorzio per la emissione delle cartelle.

La conversione ha luogo per i soli debiti di data anteriore ai 5 anni e per l’ ammontare massimo di 80 volte 1’ imposta erariale, a cui è soggetta la terra o il fabbricato ipotecato.

I debitori dovranno corrispondere una annualità costante del 5 1(2 0[0 fra interessi, tasse, spese ed ammortamento, con facoltà di rimborsi anticipati.

II Consorziò ha forma interamente mutua e coo­ perativa. 11 dividendo sul capitale è limitato al 5 0|0; tutti gli utili sono assegnati ai debitori ipotecari.

I commerci dell’ Italia e della Russia in Serbia. — Prendendo come raggio di osser­ vazione il decennio 1892-1901, risulta che, per tale periodo di tempo, la media annuale del valore delle importazioni russe in Serbia è stata di franchi (113,782, e di franchi 98,159 quella del valore delle esporta­ zioni serbe in Russia.

Confrontando, come termine di paragone, il mo­ vimento commerciale serbo-italiano, la media an­ nuale del valore delle importazioni italiane appare superiore a quella del valore delle importazioni russe, mentre la media annuale del valore delle esportazioni serbe in Italia appare sensibilmente in­ feriore alla media annuale delle esportazioni serbe in Russia. Effettivamente il movimento commerciale della Russia e dell’ Italia in Serbia, durante il de­ cennio di cui si tratta, è rappresentato dalle cifre rontenute nel seguente quadro :

importazione Esportazione

Anno Italiana Russa

( f r a n Italiana c h i ) Russa 1892. ... . 701,158 718,792 50,698 -1893.... . 1,540,013 735,131 658,402 59,839 — 1894.. .. . 137,120 4,190 — 1895.... . 397,249 1.340,988 — — 1896. .. . . 498,559 402,312 — 1897... . 548,247 450,346 2,927 — 1898.... . 732,639 291,513 — 1899. ... . 876,322 663,077 12,952 7,758 1900... . . 766,452 197,342 — 80,502 1901.... . 899,821 - 679,920 40,256 893,330 759,758 613,782 14,136 98,159

L’ entità degli scambi tra la Serbia e la Russia difficilmente potrebbe avere notevole maggiore im­ portanza, dacché le condizioni dell’ industria russa, malgrado i suoi grandi progressi, non sono ancora tali da permettere che l’ esportazione de’ suoi pro­ dotti possa entrare a sostenere, sui mercati balca­ nici, una seria concorrenza colle esportazioni dei prodotti industriali dell’ Europa occidentale, e, per quel che riguarda i prodotti naturali del suolo di Serbia e di Russia, presso che uniformi essendo le loro specie e le loro condizioni, non potrebbe es­ servi ragione, in massima, di un reciproco scambio, tranne che per due artitoli, cioè per il petrolio del Caucaso, il cui valore soltanto rappresenta una ci­ fra considerevole nelle importazioni, e le prugne, 1’ unico prodotto che figura nelle esportazioni.

Ma è da rilevarsi ; che in questi ultimi anni nelle importazioni di provenienza russa, accanto al petrolio, cominciano già a figurare alcuni prodotti industriali, come tessuti, calzolerie, carta, argenterie e macchine, e che le esportazioni serbe in Russia, le quali anteriormente al 1899 erano assolutamente nulle, cominciano a figurare in quell’ anno per fran­ chi 7758, nell’ anno success.vo per franchi 80,502, e nel 1901 per franchi 893,330.

Il Governo russo molto si è adoperato, e sta adoperandosi, per avviare l’ esportazione de’ suoi

prodotti in queste regioni e stringere cosi, anche sul terreno economico, i proprii legami colla sua clientela slava dei Balcani. Ed infatti dopo aver aiutato la « Società di navigazione del Mar Nero e del Danubio » accordandole sovvenzioni annuali, che da 58,000 rubli vennero man mano elevate sino a rubli 300,000, ultimamente fece passare la stessa compagnia nelle mani dello Stato e per favorire lo sviluppo di tale traffico fluviale concluse speciali accordi commerciali coi governi di Bulgaria e di Serbia, promovendo nello stesso tempo l’ istituzione di un servizio cumulativo tra quella società di na­ vigazione e la compagnia serba di navigazione del- 1’ alto Danubio. Ed ora annunziasi che verrà pros­ simamente istituito in Belgrado, sotto la vigilanza della Legazione Imperiale di Russia, un « Museo commerciale Russo ».

Il commercio (lei vini in Germania.

— L’ ufficio imperiale di statistica ha pubblicato il movimento del commercio estero a tutto settembre, dal quale rileviamo i seguenti dati relativi alla im ­ portazione dei vini.

I resultati ottenuti dall’ Italia nei primi nove mesi del 1903 sono piuttosto soddisfacenti. Infatti si sono importati nel suddetto periodo ettol. 18,340 di vino italiano da consumo diretto, contro 18,262 nell’ uguale periodo 1902.

Un aumento più importante è stato raggiunto coi vini rossi da taglio, dei quali se ne introdussero ettol. 20,780 contro 12,431 nel 1902.

Anche nei vini per la fabbricazione del Cognac l ’ Italia ha guadagnato terreno avendone importati 488 ettol. nell’anno m corso, contro 293 nel 1902.

La contribuzione dei differenti paesi ha subito le seguenti varianti: Vino da d iretto consum o 1902 1903 quintali quintali F r a n c i a ... S p a g n a ... A u s t r i a - U n g h e r i a ... T u r c h i a a s i a t i c a ... I t a l i a ... P o r t o g a l l o ... G r e c i a ... A l g e r i a ... 235,267 71,664 41,408 27,704 18,262 17,396 9,819 8,567 2,729 2,148 3,766 216,860 75,490 40,368 29,169 18,340 16,457 11,748 7.715 2,101 1.715 3,839 S v i z z e r a ... P a e s i d i v e r s i ... T o t a l e . 338,730 423,048 V in i da taglio S p a g n a ... I t a l i a ... G r e c i a ... F r a n c i a . ... ... P a e s i d i v e r s i ... (0,380 12,431 5,003 7,451 6,872 53,694 20,780 8,015 4,969 7,728 T o t a l e . 91,637 95,186 V in o per co g n a c F r a n c i a ... I t a l i a ... P a e s i d i v e r s i ... 10,937 293 589 7,202 488 231 T o t a l e . 11,819 7,921

L’ importazione complessiva del vino di diretto consumo è diminuita di 15,862 ettol- rispetto al 1902 e di 31,227 rispetto al 1901.

Principale fornitrice di questi vini è la Francia, la quale ha risentito maggiormente le conseguenze della crisi che da qualche tempo attraversa il com­ mercio vinario in Germania. Tenuto conto del va­ lore, anziché della quantità, la diminuzione subita dalla Francia è ancora più rilevante, perchè il rifor­ nimento dei depositi tedeschi ha avuto luogo con qualità di prezzo minore e così gli effetti della crisi si sono specialmente risentiti dal vin de crus.

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tí dicembre 1903 L ’ E C O N O M IS T A 805

Il Programma del Governo

Libertà e prosperità economica.

Il Ministero attuale continuerà con fede sempre crescente quella politica interna di libertà la più ampia, nei limiti della legge, che produsse una pacificazione sociale, insieme a notevoli benefici ai lavoratori delle officine e dei campi.

La libertà è indispensabile alla vita ed al pro­ gresso di un popolo civile, ma non è fine a se stessa; assicurato ora il consenso della immensa maggio­ ranza del paese a un regime di ampia libertà, è ne­ cessario iniziare un periodo di riforme sociali, econo­ miche e finanziarie.

Il miglioramento delle condizioni delle classi meno agiate della società dipende sopratutto dall’au mento della prosperità economica del paese, poiché la scarsità e l’ alto interesse dei capitali, 1’ agrieoi tura languente e arretrata, la mancanza d’ industrie e di commerci hanno per indeclinabile conseguenza la povertà dei salari.

Le questioni che incombono

Le questioni che più urgentemente incombono sulla economia del nostro paese sono: i trattati di commercio, la diminuzione dell’ onere del debito pub­ blico, 1’ ordinamento ferroviario, e la urgente neces­ sità di rialzare le condizioni economiche delle Pro­ vincie meridionali. Quest’ ultima non è solamente una necessità politica, ma un dovere nazionale.

Fin dal primo giorno in cui il Ministero assunse 1’ ufficio noi abbiamo intrapresa la negozziazione dei trattati di commercio con 1’ Austria, la Germania e la Svizzera.

Le ottime intenzioni di tutte le parti ci affidano di poter superare le intrinseche difficoltà che i nego­ ziati di tal genere presentano ora in tutti i paesi del mondo.

In queste negoziazioni noi mireremo soprattutto ad agevolare la esportazione dei prodotti agricoli pronti anche per ottenere tale scopo a diminuire la protezione dell’ industria fin dove non ne sia com­ promessa 1’ esistenza e pronti anche a ridurre note­ volmente il dazio fiscale sul petrolio.

La conversione della rendita.

L’ onere del debito pubblico può essere ridotto con la piccola conversione del consolidato 4 1/2 per cento in 3 1/2 per cento e con la grande conversione del titolo 5 per cento.

La conversione del 4 1/2 è stata in questi giorni preparata in modo che a compierla manca soltanto 1’ approvazione della Camere ; il bilancio ne avrà un beneficio di sei milioni all’ anno.

La grande conversione del nostro consolidato 5 per cento, alla preparazione della quale attendiamo con ferma fiducia, oltre al alleviare il bilancio di circa 40 milioni, segnerà l’ inizio di un vero risorgi­ mento eoenomieo del nostro paese, ponendolo in prima linea nel mondo finanziario e ribassando il saggio di interesse del denaro a beneficio dell’ agri­ coltura e dell’ industria.

Il problema ferroviario.

In molta parte 1’ economia del nostro paese di­ penderà pure dall’ ordinamento delle ferrovie.

Giunti ora al Governo, noi esamineremo il pro­ blema ferroviario, seguendo i criteri stabiliti dalla Camera nello scorso giugno, cioè senza alcun precon­ cetto sulla forma dell’ esercizio.

Però noi crediamo che lo Stato non debba essere disarmato in questione di tanta importanza e che convenga fin da ora prevedere 1’ ipotesi che non si riesco ed organizzare convenientemente il servizio privato.

Noi quindi presenteremo senza ritardo un dise­ gno di legge per l’ ordinamento di un servizio di Stato con le più serie garanzie nell’ interesse del commercio, della finanza e del personale ferroviario. Contemporaneamente presenteremo il disegno di legge sulla contabilità e sul sindacato delle strade

ferrate, richiesto dall’ ordine del giorno votato dalla Camera il 3 giugno scorso allo scopo di rendere più effettivo il riscontro e la sorveglianza del Governo sulle aziende ferroviarie in vista delle liquidazioni da farsi il 30 giugno 1905.

Così la Camera avrà sott’ occhio in modo con­ creto i varii lati del problema ferroviario e sarà evi­ tato il pericolo di ripetere l’ errore commesso nel 1878, riguardo alle ferrovie dell’ Alta Italia, di giun­ gere cioè all’ esercizio di Stato senza avere provve­ duto ad organizzarlo seriamente.

Il risorgimento del Mezzogiorno.

Più complesso è il compito del Governo e del Parlamento per quanto riguarda il risorgimento eco­ nomico del Mezzogiorno, a questo devono concorrere i metodi di Governo e i provvedimenti legislativi.

Fra i metodi di Governo ha importanza grande la vigilanza sulle amministrazioni provinciali e co­ munali e delle Opere Pie, e per questa parte io se­ guirò la via della più inflessibile severità nella ap­ plicazione delle leggi con la massima imparzialità nelle lotte fra i partiti locali.

Noi poi prendiamo impegno di affrettare in tutti i modi possibili la costruzione delle ferrovie delibe­ rate dal Parlamento per la Calabria e la Sicilia, delle opere di bonificamento, e acquedotto pugliese per la esecuzione del quale si presentarono al concorso dieci potenti Ditte, delle quali cinque italiane e cin­ que straniere.

Ma più ardua e complessa sarà 1’ opera del legi­ slatore. Mi limito ad accennare brevemente ai prov­ vedimenti che crediamo più urgenti.

Anzitutto, come già dissi, nella negoziazione dei trattati di commercio noi avremo in mira principal­ mente di favorire la esportazione dei prodotti agri­ coli, che costituisce il massimo interesse per le pro­ vincia meridionali.

Noi manteniamo e raccomandiamo vivamente alla Camera la legge per la Basilicata pronti ad esten­ derne l’ applicazione ad altre provincie le quali tro­ vano in condizioni analoghe.

Tenendo poi il massimo conto degli studi fatti per promuovere lo sviluppo industriale di Napoli presenteremo al più presto quelle proposte per I at­ tuazione delle quali occorra una legge, e poiché gravi danni risentono le provincie del Mezzogiorno dall’ onere per i debiti provinciali e comunali e dal- 1’ altezza esorbitante degli interessi.dei debiti ipote­ cari presenteremo due disegni di legge, l’ uno per alleviare il peso dei debiti comunali e provinciali, come si è fatto per la Sicilia e la Sardegna, l’ altro per convertire a minore saggio di interesse i debiti ipotecari. Infine faremo oggetto di speciale studio la questione dei latifondi allo scopo di promuovere con tutti i mezzi possibili la formazione della piccola proprietà con la seguente sostituzione della coltura intensiva alla coltura estesiva. La risoluzione di così gravi problemi richiede come prima e necessaria con­ dizione una finanza severa che non disperda le ri­ sorse del bilancio per fini di secondaria importanza. Poiché oltre a quelli che ho indicati, molti sono gli impegni che Governo e Parlamento devono mante- fiere.

Guerra all’analfabetismo, all'ignoranza, alla superstizione

Bicordo in primo luogo la necessità di rialzare l'istruzione primaria migliorando au n tempo la con­ dizione dei maestri elementari. Purtroppo molta parte d’ Italia è in condizione di vera inferiorità in quanto alla istruzione. La guerra all’ ignoranza e alla superstizione è uno dei primi doveri di una il­ luminata democrazia, e questo dovere noi intendiamo di adempire con la maggiore energia presentando immediatamente un relativo disegno di legge.

Altri impegni.

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Traste-806 L ’ E C O N O M IS T A 6 dicembre 1903

vere; per il Piemonte e la Liguria occidentale la ferrovia ohe deve congiungere Torino a Ventimiglia e a Nizza. Infine la costruzione delle altre ferrovie complementari già approvate per legge.

La riforma tributaria.

Noi intendiamo di mantenere fedelmente tutti questi impegni, ma in modo da non compromettere mai il pareggio del bilancio. Perchè questa è con­ dizione indeclinabile per quella grande operazione delia conversione della rendita che sola potrà darci il mezzo di affrontare una seria riforma tributaria. Questa riforma dovrà in due modi sollevare le con­ dizioni delle classi meno agiate, cioè dedicando a loro beneficio il guadagno che dalla conversione trarrà il bilancio dello Stato e introducendo nella nostra legislazione tributaria il principio di una ra­ gionevole progressione nelle aliquote delle imposte. Sempre nel campo dei provvedimenti di ìndole economica, noi riteniamo urgente il disciplinare se­ veramente le Società anonime rendendo seria ed ef­ fettiva la responsabilità degli amministratori, evi­ tando le coalizioni dannose al pubblico interesse e frenando i giuochi di borsa per i quali molte So­ cietà perdendo di mira i loro fini industriali e com­ merciali, si convertono in strumenti dì inganno della fede pubblica.

Insieme a questi p'rovvedimenti di indole econo­ mica, noi proporremo l’abolizione del domicilio coatto e una serie di riforme sociali, fra cui ricordo il con­ solidamento della Cassa per la vecchiaia degli operai e una estensione maggiore delle facoltà di concedere opere pubbliche alle Società cooperative. Accettere­ mo pure la proposta di iniziativa parlamentare per il riposo festivo.

I provvedimenti per 1' esercito.

In ordine alle istituzioni militari di terra e di mare, tenuto fermo il principio del consolidamento del bilancio, noi ci proponiamo di conciliare la sta­ bilità degli ordinamenti col gradualo e continuo loro funzionamento, e intanto il ministro della guerra provvederà; senza eccedere la somma attuale del bi­ lancio, a pagare le indennità dovute per le entrate in campagna, in Àfrica e a migliorare le condizioni degli ufficiali di grado meno elevato.

Le relazioni colle potenze.

I disegni di legge dei quali ho annunziato la pre­ sentazione, uniti a quelli che già si trovano innanzi al Parlamento e che manteniamo, formando un com­ plesso di riforme nel quale facciamo vivo appello alla operosità del Parlamento.

; L ’ Italia nei suoi rapporti colle Potenze estere si trova oggi nelle migliori condizioni m grazia delle sue alleanze e delle cordiali relazioni di amicizia collo altre Potenze, relazioni solennemente riaffermate con le splendide accoglienze fatte ai nostri amati Sovrani in Francia ed in Inghilterra.

Un voto politico.

Questa fortunata condizione della politica estera, la buona condizione della nostra finanza, la crescente prosperità economica, il sistema di ampia libertà al- 1’ interno oramai accettato da tutti, devono esserci di grande incoraggiamento ad approntare una serie di riforme che da lunghi anni il paese attende. Noi ci metteremo arditamente per questa via, se ci sor­ reggerà la esplicita fiducia del Parlamento : se questa fiducia voi non avete è vostro dovere di dirlo subito e francamente perchè cosi grandi interessi del paese non consentono nè tolleranze, nè indugi. Noi invo­ chiamo un vostro immediato giudizio affinchè cia­ scuno dei rappresentanti del paese assuma apertamen­ te la sua parte di responsabilità e il Governo abbia quella forza che solamente può sorgere dalla vostra fiducia.

LA SITUAZIONE DEL TESORO

al 31 O ttob re 1903

Il Conto di Cassa del Tesoro al 31 ottobre 1903 dava i seguenti risultati:

» » alla chiusura dell’ eserc. 1902-1903. » 258,920,821.96 Fondo diCassa al 31 ottobre 1903. . . ... I.. 256,865,225.87

Differenza in meno L. 2,565,595.99

Pagamenti di Tesoreria dal 1° luglio al 31 ot­ tobre 1903 :

Pel-spese di bilancio . . . L. Debiti e crediti di T esorerìa .. .

396,894,261.46 )

1,452,813,424.92 j 1,848,907,789. 88

Incassi di Tesoreria dal 1° luglio al 31 ottobre 1903 :

Per entrate dì b ila n cio,. . . . L. 575,421,217. 65 ì Per debiti e cred. di Tesorerìa. 1,270,734,194.71 ' Eccedenza dei pagamenti sugli i n c a s s i . . . L.

1,846,155,412.36 2,762,377,02

La situazione dei debiti e crediti di Tesoreria al 31 ottobre 1903 risulta dai seguenti prospetti :

D e b i t i al 80 giugno 1908 al 31 ottobre 1903 m i g l i a i a m i g l i a i a d i l i r e d i l i r e

Buoni <lel T esoro... L. 205,546 193,881 Vaglia del T e s o r o ... 14,196 37,375 Banche, Anticipazioni s ta tu ta r ie ... .-— —

Ammin. Debito Pub. in conto cor. infruttifero. 876,920 196,969 Id. Fondo Culto id. id. 16,614 23,665 Ammin. Debito Pub. in conto cor. fruttifero . 59,345 80,398 Altre Amministraz. in conto cor. infruttifero. 45,068 80,803 Incassi da regolare... 24,950 Biglietti di Stato emessi per 1’ art. 11 della

legge 3 marzo 1898, n. 47... 11,250 11,250 Totale debiti L. 767,080 649,290 i C r e d i t i al 30 giugno 1903 a! 31 ottobre 1903 m i g l i a i a d i l i r e m i g l i a i a d i l i r e

Valuta presso la Cassa Depositi e Prestiti ar­ ticolo 21 della legge 8 agosto 1885. . . L. Ammiuistrazione del Debito Pubblico per pagamenti da rimborsare... Amministrazione del fondo per il Culto. . . Altre amministrazioni... Obbligazioni dell’Asse E cclesiastico... Deficenze di Cassa a carico dei contabili del

T e s o r o ... D i v e r s i ... 91,250 205,369 16,332 45,029 1,783 24,361 91,250 207,178 21,590 79,644 1,757 83,571

Totale dei crediti L. Eccedenza dei debiti sui c r e d it i ... »

231,324 345,624

484,992 164,298

Totale come sopra L. 767,080 649,290

La eccedenza dei debiti sui crediti al 31 ot­ tobre 1903 era di milioni 161.2 e al 30 giugno 1903 di milioni 345.6.

Il totale dell’ attivo del Tesoro formato dal fondo di Cassa, e dai crediti risulta al 31 ottobre 1903 di milioni 741. 3, contro 679.6 alla chiusura dell’ esercizio.

I debiti di tesoreria ammontavano alla fine di ottobre a 649.2 milioni contro 767.0 al principio del- l ’ esercizio.

Vi è quindi una eccedenza delle attività sui debiti per milioni 92.0 alla fine di ottobre, mentre vi era una eccedenza di debiti per milioni 87. 4 al 30 giugno, ossia vi è stato un miglioramento di milioni 179.5.

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