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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.30 (1903) n.1507, 22 marzo

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L'ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Abijo H I - Yol. I I I I V

Firenze, 22 Marzo 1903

N. 1507

S o m m a r io : L ’ E sercizio ferroviario, 1 — La q u estio n e del pane a N apoli - A. J . Dio Jo h a n n i s. S u lle co n d i­ zion i della proprietà fond iaria — R. Da l l a Vo l t a. L ’ arbitrato n e g li sciop eri secondo il d isegn o di leg g e su l con tratto di lavoro ( Continua) —- R iv ista bib liografica. — S. N otavi, T. O lia r amonte. S u l com m ercio dei v in i A u stria -U n g h eria — Francesco C orridore. S toria docum entata della p op olazion e di Sardegna (14/9-1901) — Z oppola Giuseppe. S ocialism o contro socialism o — V idari Giovanni. D overi so cia li dell età presente — M a rtin Louis. D ro it com m erciale et leg isla tio n in d u strielle — E . Vandervelde. L ’E cole r? ral.t; , f *e re^our cham ps — P a u l de Poussie.rs. L es S yn dacats in d u striéis des produ cteurs en F ran ce et a 1 etranger. J. G hailley-B ert. D ix an n ee de p o litiq u e co lo n ia le — C uvillier F. L eg isla tio n m inière et controle des m ines — M aurice B a u rio u . P re cis de d roit a d m in istra tif — R iv ista econ om ica. (L ' organ iz­ zazione indu striale am ericana e la concorrenza coW E u r o p a — L a lotta commerciale in Levante) — I l co m ­ m ercio estero dell A u stria -U n g h eria durante il 1902 — L ’ em igrazione ita lia n a in A u stria -U n g h eria — Banche popolari co o p era tiv e n e ll’ esercizio 1902 — Cronaca d elle Camere di com m ercio (M ilano, M essina, Catania, B ergam o; - - M ercato m onetario e B anche di em issio n e — R iv ista d elle B orse - S ocietà com ­ m erciali ed in d u striali (N u ove Società) — N o tiz ie com m erciali — A v v isi.

L ’ ESERCIZIO FERROVIARIO

I.

Non ostante le recenti notizie dei giornali che assicurano avere il Ministero precise idee sull’indirizzo della politica ferroviaria, noi per­ sistiamo a ritenere che queste sieno affermazioni gratuite e che nè il Ministro dei Lavori pubblici, ne il Presidente del Consiglio e meno ancora il Ministro del Tesoro abbiano rivolti studi accu­ rati e nemmeno preliminari sulla questione, per quanto possano aver manifestato il desiderio che gli interessati facciano qualche proposta.

Abbiamo anzi ragione di credere che il Mi­ nistero non sia ancora in grado di affermare che fu presa la decisione di escludere dalle solu­ zioni l ’esercizio di Stato.

In questo stato di cose non è inutile esporre qualche considerazione sui punti principali del­ l ’importantissimo problema, al quale sono legati tanti interessi pubblici e privati, e dalla cui so­ luzione può dipendere in gran parte l ’andamento della economia del paese.

E prima di tutto, pare a noi, che debba essere posta chiara e netta la questione pregiu­ diziale: se cioè il Ministero escluda o non l’ esercizio di Stato.

Se la politica non fosse una così infida re­ golatrice delle più gravi questioni, vi sarebbe da credere che la maggioranza degli uomini di Stato non possa essere propensa ad accettare che l’ esercizio ferroviario cada in mano de'lo Stato.

Non è molto tempo che due dei principali uomini dell’opposizione si sono recisamente di­ chiarati contrari all’esercizio di Stato: l’on. Son- nino e l’on. Luzzatti;le quali dichiarazioni sono tanto più degne di considerazione in quanto l’on. Luzzatti nel 1885 aveva votato contro gli attuali contratti di esercizio. L ’ esperienza da

una parte, e la crescente potenza dello Stato, hanno modificati i convincimenti di molti, i quali vedono tutti i pericoli a cui si andrebbe incontro se una così vasta industria dovesse essere di­ rettamente dallo Stato amministrata.

Ed egualmente dovrebbe essere recisamente contrario all’ esercizio di Stato l ’on. Zanardelli, che nelle discussioni del 1885, non solo era contrario a quella forma di esercizio, ma soste­ neva anzi la completa concessione delle ferro­ vie a Società private.

Non conosciamo in proposito l ’opinione del- 1 on. GHolitti, nè crediamo che i Ministri del Tesoro e dei Lavori Pubblici abbiano sufficiente autorità per determinare secondo il loro convin­ cimento, qualunque esso sia, l ’indirizzo del Mi­ nistero.

Invece si sono dichiarati fautori dell’ eser­ cizio di Stato alcuni socialisti ed altri deputati della Estrema Sinistra, come 1’ on. Sacchi; ed è a credersi che se venisse pregiudizialmente posta tale questione, i socialisti rappresenterebbero il solo gruppo parlamentare che sosterrebbe tale soluzione, la quale non troverebbe appoggio che in qualche solitario sedente in questo o quel settore della Camera.

Ripetiamo, se la politica potesse affidare in una certa coerenza di opinioni, non si potrebbe nemmeno ammettere possibile che venisse ap­ provato l ’esercizio di Stato, sebbene negli ultimi anni, specie quando l ’on. Todesco era a capo dell’Ispettorato, sembrasse che fosse tendenza palese della burocrazia di condurre ad una simile soluzione. Però più che tutto hanno esercitato influenza di salutare resipiscenza, i recenti moti del personale ferroviario, moti che hanno la­ sciato comprendere in quali difficoltà si trove­ rebbe lo Stato se da solo dovesse sostenere una lotta di quel genere.

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vernativo, (cosa che sarebbe inevitabile, checché ne pensino alcuni, quando l’ esercizio fosse dello Stato) il Governo si troverebbe bene imbaraz­ zato a mantenere l’ufficialità dell’esercito e della marina, la magistratura, g l’ insegnanti, ecc. eoe., con retribuzioni che sono inferiori e per entità e per le distanze degli aumenti, da quelle che godono gli impiegati ferroviari.

Nè d’altra parte dal lato politico sarebbe meno grave la conseguenza di un numero così grande di funzionari a favore dei quali verreb­ bero esercitate quelle influenze parlamentari che anche oggi nelle amministrazioni governative arrivano ad ottenere l’ ingiusto e l ’ illecito e non vengono rilevate solo perchè i deputati ri­ cordano troppo V odie mihi cras libi.

E so ancora oggi, nonostante le resistenze delle società, le influenze parlamentari si risen­ tono persino nella marcia dei treni, e certe fer­ mate di treni diretti si chiamano col nome del deputato che per andare alla, villa o partirne ottenne la interruzione della corsa (citiamo ad esempio Marano nel Veneto e Felizzano di Ales­ sandria) è facile immaginare quale disordine en­ trerebbe nel servizio, quando fosse soltanto il Ministro dei lavori pubblici che disponesse del- l ’ orario.

Ma più grande ancora sarebbe e grave il pe­ ricolo del bilancio come la esperienza nostra e di altri paesi lo ha più volte addimostrato.

Non parliamo degli approvvigionamenti, e di tutti i guai cui darebbero luogo, tutti sap­ piamo la storia dei tabacchi ; ma sarebbero le spese normali che crescerebbero senza limiti. La Prussia e là Svizzera ci insegnano con re­ centi esempi che appena l ’ esercizio delle strade ferrate venne in mano dello Stato, tutti i calcoli rosei fatti prima in sede di preventivo, risul­ tavano errati, ed il bilancio di quegli Stati ha dovuto essere intaccato in causa delle esigenze del servizio ferroviario.

Sono queste, ed altre che si potrebbero fare sull’argomento, vecchie considerazioni delle quali molto ed a lungo si sono occupati stu­ diosi e non studiosi ogni qualvolta si è affac­ ciata la questione dell’ esercizio di Stato.

Si potrebbe quindi avere quasi la sicurezza che l’esperienza nostra ed altrui fosse sufficiente per escludere una simile soluzione.

Ammesso quindi che si voglia continuare nell’esercizio privato, è conveniente esaminare quale forma debbano assumere dopo 1’ esperienza di questi vent’anni in cui vigono le convenzioni Genala, i nuovi contratti d’ esercizio.

E questo esame faremo mano a mano nelle linee generali in prossimi articoli.

LA QUESTIONE DEL P

a

NE A NAPOLI

La municipalizzazione del pane è a Cata­ nia, come esperimento, un fatto compiuto, anco se la durata di tale sistema sia tuttora proble­ matica, in quanto i risultati avuti finora sono incerti, controversi, insufficienti.

Come abbiamo detto in altro articolo, segui­ remo tale esperimento con attenzione.

Questa intanto viene attratta dal movimento sorto, intorno alla stessa questione, in Napoli, città di primaria importanza per la sua popo­ lazione numerosissima, e oggi tanto più in vista sotto i rispetti economici, in quanto il disagio che vi si lamenta suggerisce e richiede spesso provvedimenti speciali.

A determinare 1’ agitazione hanno concorso vari elementi : il non essere il prezzo del pane ben proporzionato al diminuito prezzo dei grani e delle farine; fatto che di recente indusse il Municipio a introdurre il calmiere; la circo­ stanza che sta dinanzi a uno dei rami del Par­ lamento il progetto, già approvato dall’ altro, sulla municipalizzazione dei pubblici servizi ; l ’ esempio di Catania; la presenza in Consiglio comunale d’ una piccola ma operosa schiera di quei socialisti che vorrebbero a un po’ alla volta municipalizzare ogni cosa.

Non diamo alcuna importanza al Comizio per la municipalizzazione tenuto in Napoli il 1° marzo. I comizi sono accolte di persone che quasi tutte già la pensano a un modo, senza contare quelle che credono avere una opinione, ma non avendola cosciente, ragionata, in realtà non l ' hanno, e hanno invece tendenze vaghe, simpatie, antipatie, impressioni superficiali. Nei comizi, per lo più, si declama da alcuni oratori, si acclama da molti uditori, si proclama un qualche principio, a nome di una intera popola­ zione, che non vi assiste, si sta occupando di tutt' altro, non ha conferito alcun mandato. Ma non vi si discute. Supposto che negli interve­ nuti la competenza sia molta — e di rado è C u s ì — non è possibile la discussione in mezzo all’entusiasmo tumultuoso d’un Comizio. Già le opposizioni il più delle volte non vengono nean­ che tollerate.

Interessante fu invece l ’adunanza del Con­ siglio Comunale, nella quale fu trattata la mu­ nicipalizzazione del pane. I suoi fautori si di­ lungarono sugli inconvenienti, che certo non mancano, presentati dall’industria del pane quale è oggi. Una discussione animata fece capo alla deliberazione, presa a voti unanimi, di nomi­ nare una Commissione consiliare, che studi il problema entro due mesi, in tutti i suoi lati e ne riferisca al Consiglio. Ma prima di ciò il Sindaco, nel dichiarare che la Giunta, come è giusto, non intende rimanere affatto vincolata dal responso che la Commissione sarà per dare, espose una serie di prudenti considerazioni, che ci sembrano di molto rilievo.

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fuor-chè a contanti. Ma così facendo, dà luogo a una diseguaglianza a danno dei più poveri, i qnali, pur di comprare a credito, dovranno sempre comprare dai panettieri e quindi pagar di più; mentre d’ altra parte se vendesse a credito, forse lavorerebbe in perdita, andrebbe incontro a gravi danni, che si riverserebbero sui con­ tribuenti.

Certo, seguitava il Sindaco di Napoli, la produzione in grande abbassa la percentuale della spesa; e questo fatto ha luogo così con la municipalizzazione, come colla cooperazione. Ma non è punto certo che siffatta diminuzione di spesa si verifichi egualmente in una impresa comunale come in un’ impresa privata. Ben di­ versa e maggiore di quella d’ una pubblica am­ ministrazione è la solerzia, l ’ avvedutezza, la pratica industriale e commerciale d’un privato ! E siffatta inferiorità dell’Ente comunale è pro­ babile si manifesterebbe non solo nella panifi­ cazione, ma anco nella macinazione e nell’acqui­ sto della materia prima. Non basterebbe infatti che il Comune fabbricasse pane: sempre nel- l’ intento di diminuire le spese generali, biso­ gnerebbe che possedesse e esercitasse un mu­ lino per proprio conto e che si facesse diretto acquirente di grani. Ma per acquistarli con buon criterio mercantile, per seguire sul mercato gra­ nario le oscillazioni dei prezzi, il Comune è ben lontano dall’aver 1’ occhio esperto di quei pri­ vati che a simili commerci dedicano la loro vita. E cosi pure sarebbe loro inferiore nella conservazione del grano, nell’ esattezza ed eco­ nomia della sua manipolazione, nell’evitare abusi e frodi, nella scelta dei mezzi d’ indole tecnica, nell’ acquisto e manutenzione della suppellettile occorrente ai mulini ed ai forni.

Tutte queste considerazioni stanno perfet­ tamente all’ unisono con quelle da noi svolte in più occasioni in queste stesse colonne. Sotto­ scriviamo con due mani.

Meno persuadenti ci parranno le parole con cui il Sindaco cercò di calmare i timori mani­ festati da parecchi sulla qualità non buona e malsana del pane mangiato in Napoli dai meno abbienti. Che vi siano state esagerazioni, può essere. Ma le visite ai forni eseguite dal Me­ dico Provinciale, per quanto valentissimo e co­ scienzioso, e le analisi chimiche da lui compiute, non bastano, ci sembra a distruggere certi fatti precisi, che pur sono stati addotti, di sporcizia e malsania di locali, di adulterazioni perniciose delle farine e del pane.

D i assai mediocre peso ci è poi parsa l’os­ servazione, che del resto non pretendeva d’ es sere una delle principali, sulla necessità di pen sare alla sorte dei panattieri e dei fornai qualora si istituisse il panificio municipale. Eh, via !.... coteste non sono difficoltà. Lasciamo andare che parecchie tra le dette persone potrebbero trov re impiego nell’ impresa comunale di fabb ricazione e di spaccio. Ma in ogni caso, per alcune centi­ naia di individui si dovrebbe rinunziare al van- taggio d una intera cittadinanza, dato (ma non concesso) che la municipalizzazione fosse cosa buona ? Si rinunzia forse a attivare i servizi di tranvai, perchè ai cocchieri di piazza non torna conto ?

Opportunissima fu invece la considerazione che nelle amministrazioni pubbliche il personale suole essere esuberante e che il suo lavoro non ha la, stessa produttività di quello degli addetti alle imprese private. Per una così vasta azienda occorrerebbe un nuovo grande impianto di cor­ rispondenza e di conti. E vi sarebbe poi il pe­ ricolo di avere direttori, vicedirettori, impiegati e contabili piu del bisogno, e operai e garzoni che lavorassero poco, pensassero sempre ad au­ menti di salario e pretendessero un organico con quinquenni e pensioni.

Un esperimento in grande, concludeva il Sindaco, è dunque una avventura rischiosa ; e d’ altronde non si può farlo in piccolo, sia per­ chè non potrebbero usufruirne egualmente tutti i quartieri della vasta città, sia specialmente per­ chè non proverebbe nulla, non darebbe norma. E intanto è necessaria molta prudenza e mi­ sura nello spendere, se non si vogliano sotto­ porre a nuovi sacrifizi i cittadini, mentre la somma riserbata alle spese impreviste non è che di L. 100 mila, già in parte impegnate, pochissime per una grande città, il cui bilancio comunale non ha ancora elasticità di sorta, es­ sendosi da pochi mesi e con grandi fatiche riu­ scito a metterlo in pareggio.

Le dichiarazioni del Sindaco di Napoli ci appariscono basate su sani principi amministra­ tivi e improntate a condotta coscienziosa e senso pratico. Se però ci piace saperlo poco favorevole alla municipalizzazione, ci è rincresciuto vedere in lui altrettanta poca fiducia nella possibilità della cooperazione. Egli sì limitò a notare le difficoltà che si frappongono alla sua riuscita ; e non è già che non ve ne siano. Ma non po­ trebbe il Comune adoperarsi esso pure a rimuo­ verle, specie nel caso che la Commissione de­ legata allo studio sulla convenienza della mu­ nicipalizzazione del pane concludesse per il no ?

Torneremo sull’ argomento.

SULLE CONDIZIONI DELLA PROPRIETÀ FONDIARIA

( ai miei contradittori)

Permettano i lettori che prima di proseguire negli appunti che sono andato pubblicando sulle condizioni della proprietà fondiaria, ritorni sopra unà questione che credevo già esaurita e intorno alla quale invece mi pervengono ancora osser­ vazioni in contradittorio. Parò tutto il possibile per essere chiaro ed esauriente.

Prima di tutto non confondiamo la questione del Mezzogiorno con quella della proprietà fon­ diaria in genere ; ho tenuto espressamente se­ parate le due cose, affinchè non avvenga che gli argomenti che si adducono e si possano addurre per la proprietà fondiaria del Mezzogiorno e delle isole sieno ripetuti per la proprietà in ge­ nere del Regno e viceversa.

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184 L’ E C O N O M IST A 22 marzo 1903

Infine, vogliano i miei egregi contradittori tener conto che iò ho sostenuto essere la impo­ sta fondiaria, nel modo con cui la si impone oggi, un sistema antiquato che non ha più ragione di essere, perchè quel sistema valeva quando lo Stato colla imposta invariabile tendeva ad assi­ curarsi invariabile una parte cospicua delle sue entrate, mentre oggi la imposta immobiliare rap­ presenta una parte così piccola del bilancio che, anche se fosse resa fluttuante col reddito, come tanti altri cespiti, non ne verrebbe gran danno alla stabilità del bilancio. Perciò appunto ri­ tengo che presto o tardi si verrà alla applica­ zione della imposta in base al reddito reale, nè più nè meno di quello che si fa per i fab­ bricati, salve alcune necessarie cautele.

Ciò premesso ho cercato di dimostrare per quali motivi la proprietà rustica non trova più nello Stato ed in genere nella società tutte quelle cure, tutti quei privilegi, tutte quelle disposi­ zioni a sorreggerla colla legge, come in altro tempo, quando la proprietà stessa era di gran lunga la principale sovventrice del bilancio per redditi ordinari e straordinari.

Partendo da queste premesse e sentendo da tutte le parti affermare che l’agricoltura rap­ presentava uno dei più grandi interessi dello Stato, ho rilevato che, per ciò che riguarda la imposta, ciò non lo si può dire, poiché i tabacchi rendono di più allo Stato, e messi insieme ren­ dono anche di più il lotto ed il sale. E giacche tutto è necessariamente relativo, parlando della proprietà rustica in genere ed osservando che essa dà per imposta 100 milioni 1’ anno, tra poco saranno 90, ho avvertito che sopra 20 milioni di ettari produttivi che vi sono in Italia, i 100 mi­ lioni rappresentano una media di 5 lire per et­ taro e senza essere proprietario nè figlio di pro­ prietario, parve a me che 5 lire per ettaro non fossero nè potessero essere una cosi grande gra­ vezza da determinare una crise, e nemmeno da guarirla, se esistendo essa, quella gravezza si to gliesse.

Per di più ho osservato che i migliori calcoli affermano essere il prodotto agricolo italiano di circa cinque miliardi al lordo, ed ho rilevato che 100 milioni rappresentano un aggravio del 2 per cento sul prodotto lordo, proporzione che non mi pare veramente eccessiva, specie date le aliquote che gravano su tante altre attività economiche dell’Italia.

E mi sono attenuto espressamente a que­ ste considerazioni generali, che bisogna dire fos­ sero sfuggite al pubblico, tanto trovarono eco nel paese, appunto perchè comprendevo che di fatto la imposta non doveva essere distribuita, equa­ mente dappertutto in modo da rappresentar quella media o quella proporzionale di L. 5 all’ ettaro, che risulta dalla semplice rapporto della totale superfìcie produttiva coll’ammontare totale della imposta.

Ed infatti ecco che molte persone compe­ tenti, a cui sono andate sott’ occhio qu-lle mie osservazioni, si sono affrettate ad avvertirmi che io cadevo in errore parlando di L. 5 per ettaro, perchè essi ne pagavano 40, 30, 20 per ettaro. Ed è un proprietario dell’Emilia il primo a farmi tale considerazione e poi altri del Veneto, della Lom­

bardia, e della Toscana ; un proprietario della provincia di Verona mi mostrava con documenti che pagava 30 lire l’ettaro su una sua proprietà.

E coloro che si sono compiaciuti di scri­ vermi o di parlarmi od allo scopo di incoraggia­ mento a proseguire nelle mie indagini, o, com­ prendendo a rovescio il mio pensiero, per attaccare vivacemente le mie affermazioni, mi aggiungono che non foro solamente, ma molti altri proprie­ tari della rispettiva regione, si trovano in con­ dizioni simili alle loro per ciò che riguarda l’am­ montare della imposta in ragione della superficie della loro proprietà.

E sta bene; lascio da parte tutte le frasi vivaci e talvolta impertinenti colle quali alcuni proprietari vollero difendersi da quello che sem­ brò loro fosse un atiacco contro di loro, e mi attengo semplicemente ai fatti, ripetendo: se è vero — e non ho ragione di dubitarne — che vi sono molti proprietari che pagano 20, 30, 40 e perfino 45 lire l ’ettaro, vuol dire che ve ne sono altri che non pagano affatto o pagano una inve­ rosimile larva di tassa; altrimenti non saprei in verità come si riscuotessero solo 100 milioni se la maggior parte dei proprietari pagasse il quin­ tuplo, il sestuplo e perfino il decuplo della media.

Basta riflettere che quando un ettaro di terreno paga 40 lire bisogna per forza che ve ne sieno sette che non pagano nulla o dieci circa che pagano una sola lira, per comprendere che quanto maggiori sono le estensioni di terreno che pagano una così alta aliquota di imposta, tanto maggiori devono essere quelle estensioni che godono di una esenzione o quasi.

Qualcuno mi ha scritto che vi sono delle zone come la Maremma in cui la imposta è di 2 a 3 l ’ettaro e tuttavia rappresenta il 15 al 25 0[0 sul reddito netto, perchè sono terre che vengono messe ora in coltivazione e quindi dànno uno scarso reddito netto.

Sono esperto di queste cose perchè conosco bene la zona dell’ estuario veneto che da palude salmastra è diventata fiorente pianura di campi coltivati. E potrei dire che nei primi anni non solo non vi fu reddito netto, ma vi fu eccedenza di spesa per chi intraprese quella bonifica; ma ora ricevono così largo reddito da compensare la eccedenza di spesa. Non mettiamo innanzi quindi casi speciali e condizioni affatto anormali e man­ teniamoci nelle cifre generali le quali, qualunque cosa si dica, mi permettano di concludere che la imposta non può essere causa di crise nè rime­ dio alle crise, inquantochè non colpisce la pro­ prietà che con cinque lire l’ ettaro, gravezza che non può dirsi esorbitante qualunque sia il genere di coltura, come non può dirsi esorbitante, se si considera l’imposta rispetto al prodotto lordo del quale sarebbe il 2 0[0.

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Distribuzione viziosa ed ingiusta come era già stato riconosciuto fin dal costituirsi del Regno . ed a cui si volle mettere riparo appunto colla legge sulla perequazione della imposta fondiaria.

Ma allora gli egregi miei contradittori colle loro osservazioni che parevano dirette contro il mio asserto, mi hanno invece forniti argomenti preziosissimi contro la seconda parte della tesi che sostengo.

Discutendo cioè della recente manifestazione sorta nel mezzogiorno e denunciante uno stato di crise della proprietà fondiaria delle provincie meridionali e delle isole, io richiamai la atten­ zione degli studiosi di cose economiche sopra questo fatto singolare, che la legge 1866 sulla perequazione fondiaria fu apparecchiata discussa e votata nel generale convincimento che la pro­ prietà del settentrione fosse di gran lunga più aggravata di quella del mezzogiorno; e fissando in 100 milioni il massimo reddito di imposta da ricavarsi dalla proprietà fondiaria di tutto il re­ gno e nello stesso tempo una aliquota massima

del 7 0[Q, che poi fu portata all’ 8.80, sul reddito

imponibile catastale, si voleva sgravare il nord dall’ eccesso della imposta, riversando la diffe­ renza dal più giusto aggravio sulle terre del sud molte delle quali si asseriva che non paga­ vano imposta o pagavano una imposta derisoria a paragone del reddito.

Ora è chiaro che se i proprietari del Nord in numero cospicuo affermano che invece di pa­ gare cinque lire l’ettaro ne pagano 30-40 ed an­ che 50, se i proprietari del centro hanno man­ tenuto sempre un contegno silenzioso rispetto a questa questione come se non avessero nessun interesse nè ad ottenere la perequazione nè a far conoscere l’ammontare della loro aliquota e quindi è probabile che in complesso paghiamo una quota giusta, risulta evidente che deve es­ sere nelle altre regioni che deve mancare qual­ che congegno cosi che una parte notevole della proprietà o sfugge alla imposta o la paga in mi­ sura limitata.

Ed allora quello che accennai come un sem­ plice sospetto, che cioè la recente agitazione della proprietà fondiaria del mezzogiorno, non sia che un mezzo per allontanare il nuovo ca­ tasto o per impedirne gli effetti, mi pare che acquisti corpo e debba essere un dato di fatto esaminato da chi dispone dei mezzi adatti.

Se adunque i miei egregi contradittori si trovano d’accordo con me nel senso che il com­ plesso della proprietà italiana pagando allo Stato 100 milioni non può dirsi eccessivamente ag­ gravata, portino il contributo del loro' sapere e della loro esperienza sulla questione della spere­ quazione, e senza fare inutili divagazioni imitino i loro dipendenti, si associno tra loro, studino e facciano studiare ciò che loro preme si sappia, tutelino i loro interessi alla stregua dei fatti e vedranno che allora, quando la verità ri conosca le cose prendono subito una piega diversa.

Se si dimostrasse che la media della impo­ sta per ettaro nell’ Italia settentrionale è di 15 lire, nell’ Italia centrale di 10 lire, e nella me- ndionalee nelle isole molto meno; la questione che ora si agita cambierebbe subito aspetto.

E se i proprietari che mi scrivono con tanta

vivacità intendessero meglio i loro interessi e si valessero degli strumenti moderni per tutelarli di fronte allo Stato, non dovrebbe essere difficile raggiungere lo scopo.

Perchè le loro associazioni non mettono a concorso per un premio conveniente un lavoro che dimostrasse come è distribuita la imposta fondiaria in Italia secondo le regioni, secondo la superficie e secondo le colture?

Ma è lecito sperare tanto dalla classe dei proprietari che non hanno ancora saputo fondare una Associazione vitale e degna di loro ?

A . J . D E JO H A N N IS.

L’ARBITRATO NEGLI SCIOPERI

s e c o n d o il d is e g n o d i l e g g e s u l c o n t r a tt o d i la v o r o

La legislazione italiana non ha finora che una disposizione, la quale abbia lo scopo di fa­ vorire il ricorso all’arbitrato nelle controversie tra il capitale ed il lavoro. E la disposizione in parola è quella dell’art. 12 della legge 15 giu­ gno 1893 sulla istituzione dei collegi dei probi­ viri : « per le controversie (dice l ’ articolo) che, ai sensi dell’ art. 9, eccedono la competenza della giuria, questa potrà, per volontà delle parti, essere adita in qualità di collegio arbitrale ». Il giudizio arbitrale instaurato in forza di que­ sto art. 12 è retto dalle norme di diritto co­ mune e oltre a ciò è da avvertire che 1’ arbi­ trato al quale accenna la legge non può riferirsi che a controversie individuali. Infatti, la legge sui collegi di probi-viri, nel suo spirito ed an­ che nelle suo disposizioni fondamentali, ha lo scopo di facilitare la conciliazione delle que­ stioni che sorgono tra g l’ industriali e i loro operai singolarmente considerati, e se la concilia­ zione fallisse, di far decidere le controversie da una giurìa composta di due industriali e di due operai e presieduta da persona estranea e com­ petente nelle questioni economiche e giuridiche. La competenza della giuria è limitata riguardo al valore a lire duecento e rispetto alla materia alle condizioni del lavoro fissate nel contratto in vigore (salari pattuiti, ore di lavoro conve­ nute, eco.) e alle controversie relative a fatti che possono dar luogo a indennità, a compensi ece.

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186 L ’ E C O N O M IS T A 22 marzo 1903

individuali danno luogo appunto ad accordi che hanno necessariamente anch’ essi carattere col­ lettivo.

Basterebbe questa considerazione per dimo- trare che l ’ istituzione dei Collegi dei probi­ viri, cosi com’ è organizzata nella legge italiana del 1893 è inadeguata al fine di dare al mondo industriale un mezzo facile e sempre pronto per dirimere le controversie del lavoro. Noi abbiamo creato degli enti che sono in gran parte una copia dei Collegi francesi d eiprvdhommes, senza badare che questi sono sorti in Trancia molti anni prima in condizioni economiche differenti e particolarmente in un ordinamento industriale che non era certo identico all’attuale.

Si comprende, invero, che al principio del secolo passato si creassero quei tribunali per de­ cidere sulle questioni insorgenti tra padroni e operai, ma si comprende meno che verso la fine del secolo trascorso, siano stati istituiti unica­ mente per decidere sulle controversie individuali. Ad ogni modo, non è questo il solo difetto che presenta la legge italiana sui probi-viri e non passerà forse molto tempo ancora senza che il legislatore l ’abbia corretta e completata in vari punti ; diversamente, essa sarà in molti casi di efficacia così limitata che agli occhi degli inte­ ressati sembrerà spesso derisoria. Perocché se varrà a far rendere giustizia a operai o a im­ prenditori che in determinati casi siano stati lesi nei loro diritti, oppure danneggiati in qualche in­ teresse, non riescirà però a impedire che sorgano conflitti collettivi e che ne derivino tutti quegli effetti perniciosi dei quali essi sono fecondi tanto nel presente, quanto per l ’avvenire.

La prova che ormai si riconosce la neces­ sità di integrare in alcuni punti la legge sui col­ legi dei probi-viri l’abbiamo precisamente nei disegno di legge sul contratto di lavoro, in quella pai te che tratta della conciliazione e dell’arbi­ trato. Non esamineremo ora se convenga di rego­ lare in una legge sul contratto di lavoro questa materia o se piuttosto le disposizioni relative alla conciliazione e all’arbitrato, non andrebbero unite e coordinate con quelle sui collegi di pro­ bi-viri. A vero dire, questa seconda via sarebbe più logica e opportuna, perchè vi è affinità di materia e necessità di collegare le funzioni dei collegi di probi-viri con le norme relative alla conciliazione e all’arbitrato. La conciliazione rien­ tra già nell’àmbito delle funzioni proprie dei probi-viri e l’ arbitrato dovrebbe essere pure una delle funzioni dei Collegi probivirali, come già l’art. 12 della legge 1893, sopra riportato, ac­ cenna chiaramente. Anzi, non v’ ha dubbio che sarebbe stato più opportuno che il ministro della giustizia presentasse, in un disegno di legge spe­ ciale, quelle disposizioni sulla conciliazione e l’arbitrato con altre disposizioni complementari della legge sui probi-viri; era questa una eccel­ lente occasione per migliorare anche quella legge e per integrarla. Dippiù, mentre una proposta di legge sul contratto di lavoro solleva molte gravi questioni giuridiche ed economiche, invece alcuni articoli aggiuntivi a quell’art. 12 già ricordato non possono dar luogo ad ardue questioni di di­ ritto civile e industriale. Insomma, per concludere su questo punto, pare a chi scrive che molte

ra-gloni avrebbero consigliato a tenere un metodo differente nella presentazione del disegno di legge sul contratto di lavoro, staccandone quella parte che non riguarda la sostanza del contratto di la­ voro, ma si riferisce alla risoluzione delle con­ troversie tra il capitale e il lavoro. E poiché a questo provvede, sia pure in piccola parte, la legge del 1893 sui collegi dei probi-viri, era que­ sta legge che occorreva modificare e completare. Ciò premesso, e con riserva di esaminare in seguito quella parte del disegno di legge del- l ’on. Cocco-Ortu, che riguarda propriamente il contratto di lavoro (ossia i primi 5 capi) vo­ gliamo occuparci delle disposizioni relative al- l’arbitrato negli scioperi. Il progetto in alcuni articoli (47, 48, 49) si occupa dapprima della definizione delle controversie individuali o sin­ gole in contrapposto alle controversie collettive, che sono regolate negli articoli successivi. Può parere strano che avendosi già l ’istituto dei probi-viri precisamente per le controversie indi­ viduali, si diano nuove disposizioni in questa legge sulla stessa materia. Ma tanto la Commis­ sione speciale per lo studio dei disegni di legge sul contratto di lavoro, nel suo progetto primi­ tivo, quanto il ministro della giustizia hanno pensato che convenisse favorire il ricorso all’ar­ bitrato, e le norme eh’essi propongono si limi­ tano, in sostanza, a favorire la clausola compro­ missoria e il compromesso e derogano soltanto alle norme generali vigenti quanto al modo di nomina degli arbitri, ove le parti non abbiano provveduto, ed alla assoluta inappellabilità della sentenza.

(7)

Qui incomincia ad attuarsi il principio che costituisce a cosi dire, secondo la relazione, la caratteristica delle giurisdizioni create dal di­ segno di legge, vale a dire che queste debbono, per quanto è possibile, innestarsi sulla istitu­ zione dei probi-viri. Allo scopo poi di rendere rapida e semplice la procedura della controver­ sia e prontamente efficace il giudizio si stabi­ lisce (art. 49) che la decisione arbitrale è inap­ pellabile.

È degno di nota il fatto che il progetto della Commissione ammetteva il deferimento della controversia al Collegio arbitrale, solo lad­ dove non esistesse o non funzionasse il compe­ tente collegio di probi-viri. E invero, se consi­ deriamo che secondo l’ art. 10 della legge sui probiviri nessuna delle controversie indicate dalla legge medesima, e son tutte quelle rela­ tive al contratto di lavoro o di tirocinio, può essere portata innanzi alla giurìa o, se eccede la competenza di questa, innanzi ai magistrati or­ dinari, senza previo sperimento di conciliazione innanzi all’ufficio di conciliazione, e consideriamo pure che la giurìa può funzionare anche ora da collegio arbitrale, pare si possa dubitare che la sovrapposizione di altri collegi arbitrali previsti e regolati dalla legge, sia in ogni caso opportuna. Sieno libere le parti, secondo il diritto comune, di ricorrere all’ arbitrato, ma per ciò che ri­ guarda il legislatore parrebbe che, se esse si risolvono a ricorrere all’ufficio di arbitri, la giu­ risdizione dei probi-viri sia quella propriamente indicata; essa esiste già e funziona con proce­ dimento abbastanza rapido ed economico ; è na­ turale quindi che per lo Stato sia sufficiente e la più adatta. Ad ogni modo non sarà frequente il ricorso all’ arbitrato nelle controversie indivi­ duali, mentre m quelle collettive la questione assume maggiore importanza. Vediamo adunque le norme proposte nel disegno di legge.

(Continua).

R . Da l l a Vo l t a.

R iv ista (Bibliografica

S. N o ta r i. T . C h ia r a m e n te . — Sul commercio dei m m ita lia n i in A u stria-U n gh eria. — C on egliano, h ard i, B rasolm e C,, 1902 op. pag. 31.

Con molta chiarezza ed abbondanza di dati gli Autori in questa breve relazione al Congresso enologico italiano tenutosi l ’anno scorso in Co­ llegllano, esaminano gli elementi di fatto rispetto alla nostra esportazione di vino in Austria-Un- gheria e concludono opinando che quell’ Impero avrà ancora bisogno per qualche hanno, sino a che non abbia ripristinata la sua produzione vinicola, dei nostri vini meridionali per miglio­ rare ì vini deboli indigeni; che quindi il Governo

ara bene senza però incorrere a gravi sacrifizi a cercare di mantenere rispetto ai vini le con­ dizioni doganali vigenti; ma che d’ altra parte

a viticoltura italiana non deve illudersi, ma com­ prendere che « per vender bene bisogna pro­

tali, '>6ne *’ °^e essa ® ancora troppo

lon-F ra n c e s c o C orrid ore. — S to ria documentata della p o ­ polazione d i S ardegn a (1 4 7 9 -1 9 0 1 ). — T orin o, Clauson C., 1902, 2"- Ed. pag. 329 (L . 6,00).

La Sardegna, e perchè isola, e per la ori­ ginalità conservata dalla sua popolazione dà luogo a minori spostamenti od almeno essi sono molto lenti, offre materia interessantissima per uno studio demografico di un popolo abbastanza numeroso e meno influito da cause esterne. Non è quindi da meravigliarsi se lo studio diligente dell’Autore sulle vicende della popolazione sarda sotto la dominazione spagnuola e sotto la dina­ stia sabauda ebbe così larga accoglienza presso gli studiosi ; e ne esca oggi la seconda edizione accresciuta di ricerche originali e di notizie.

I materiali raccolti e soggetti a critica dal­ l ’Autore gli possono essere di ausiglio a consi­ derazioni, confronti ed avvicinamenti più ampli assai di quelli che non ci sieno dati nel volume, che per la maggior parte è composto dai dati sui quali si basa lo studio.

Z o p p o la G iu s e p p e . — Socialismo contro socialismo. — M ilano, L. P. O ogliati, 1901, pag. 407.

Contro il socialismo collettivista, l’Autore erige il Socialismo « vero », cioè l ’unione di tutti gli uomini in una sola famiglia nella quale regnerà la pace e l’amore poiché il sentimento della^ religione cristiana dominerà nelle anime.

E uno scritto un po’ strano, in quanto si trovano una dietro l ’altra, come infilzate, idee le più disparate. Però l’Autore, profondamente religioso, non risparmia al clero ed ai Pontefici, specie parlando del Potere temporale della Chiesa, le più vivaci censure, non cessando di citare Satana come ispiratore del male e Dio desideroso del bene. Per quanto non si possano condividere molti dei concetti d ell’Autore, il libro appena si comincia a leggere diventa Una tentazione perchè desta la curiosità di andare sino in fondo tanto sembra che l’Autore lo abbia scritto tutto d’un fiato senza posar mai la penna.

II volume è dedicato « al Capo della Chiesa ed al Capo dello Stato che l ’amore del bene avrà uniti nell’ armonia perfetta tra gli interessi sociali e l’ evangelio di Cristo ».

V id a r i G io v a n n i. — D o veri sociali d e ll'e tà presente — M ilano, J ln o o H oepli, 1903, pag. 246 (L. 2).

Questo lavoro del sig. Vidari ebbe una spe­ ciale segnalazione dalla Accademia della Cru­ sca per il concorso Rezzi bandito per un’opera che trattasse « di argomento utile ed atto a mi­ gliorare i costumi ». Come si comprende il tema non era ne facile nè molto determinato ; tanto che di trentacinque lavori presentati nessuno conseguì il premio.

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188 L ’ E C O N O M IS T A 22 marzo 1903

condizioni sociali dell’età presente sotto l’aspetto economico, politico-amministrativo, e spirituale. Consacra poi la seconda parte divisa in quattro capitoli ai « doveri sociali dell’ età presente, che comprendono la beneficenza collettiva, la espansione della vita familiare, l’iniziativa in­ dividuale, la coltura.

La stessa enunciazione dei titoli lascia com­ prendere che il complesso del lavoro non è or­ ganico quanto si poteva desiderare dato lo scopo dèi librò; ma considerati separatamente i diversi argomenti trattati, si nota lo sforzo, talvolta ben riuscito dell’Autore, di rendere facile ed esau­ riente la sua dimostrazione.

Non è il caso di rilevare il concetto fonda- mentale da cui parte ed a cui giunge l’Autore per giustificare i rapporti tra gli individui sin­ goli e la società; esso non emerge chiaramente, appunto perchè il libro, volendo essere popolare, manca di quella discussioni che avrebbero reso più chiaro il pensiero.

M a r tin L o u is . — V ro il Commerciale et legislation in- iluslrielle. — P a ris, V.vo Ch. Dunod, 191)1, pag. 671.

Il prof. Martin, che è membro della Ca­ mera francese, pubblica in questo volume un breve trattato di diritto commerciale ed un al­ tro sulla legislazione industriale. Nel primo, se­ guendo l’ordine del Codice di Commercio, svolge tutta la materia molto accuratamente, scegliendo le parti più importanti e di massima del Codice, alle quali consacra più ampia trattazione; perciò questa parte riesce chiara ed ordinata, special- niènte perchè l’Autore ha evitato di esser fara- ginoso, il che in simile materia non è sempre facile.

Nella seconda parte l ’Autore espone la le­ gislazione industriale, cominciando da ciò che riguarda il lavoro, i sindacati professionali, i Corpi consultivi dell’industria, il lavoro indu­ striale degli adulti, il lavoro delle miniere; ri­ ferendosi alle leggi generali e speciali che re­ golano la materia ed alla giurisdizione più recente. Ùn’ altra parte del volume tratta dei contratti industriali come quello di « apprentis- sage » di locazione d’opera e di servizio, ecc. L’ultima parte riguarda la proprietà industriale.

Con molta sobrietà l ’ Autore ha saputo esporre ed illustrare molta materia che riesce facile a consultarsi per l’ordine ammirevole colla quale è trattata.

E . V a n d e r v e ld e . — L ’Exode R urale et le retour aux ehamps. — P aris, Lib. F elix A lcan, 1903, pag. 304 (fr. 6).

In questo volume, che fa parte della Biblio- t.hèque générale des Sciences sociales, edita dalla Lib. E. Alcan, l ’Autore sostiene una tesi che è contraria a quella che sull’ argomento generale sin qui- è stata esposta. Egli riconosce che ne! secolo N IX molte cause, che enumera, hanno determinato 1’ esodo dei contadini verso le città, dove si richiedevano nuove braccia a sodisfare i bisogni industriali, mentre nelle campagne la piccola proprietà trovava ostacoli, i beni comu­ nali diminuivano, le industrie a domicilio scom­ parivano, e la introduzione delle macchine agri­ cole richiedeva un minor numero di braccia; ma crede di vedere che ora un nuovo ( rdine di

cause determina un movimento inverso. E rileva che 1’ uso crescente della forza idraulica porta molte industrie lontane dai centri abitati ; che la vita, per i fitti elevati e per gli alti tributi, diventata molto cara nelle città, conduce, alla emigrazione nelle campagne, non solo dei lavo­ ratori ma anche della borghesia, per la quale la facilità delle comunicazioni rende meno sensibile la lontananza dai centri popolati.

Da ciò desume che il periodo dell’ esodo ru­ rale sia finito e cominci quello del ritorno ai campi, sia pure sotto altra forma e per altri tini; tanto più che il progresso della civiltà toglie sempre più la separazione che prima esisteva tra la città e la campagna.

Questa importante constatazione suffragata da molti elementi non ci pare irrefutabilmente provata, ma certo i dati raccolti dal brillante e dotto scrittore sono sufficienti per costituire un valido indizio del nuovo movimento, ed egli si serve delle notizie raccolte e delle sue osser­ vazioni con quell’ acume e quella franchezza di esposizione che tutti gli riconoscono.

P a u l d e R o u s s ie r s . — Les Syndaeats industriels des producteurs en France et a l’ètranger. — Paris, lib. Armand Colin, 1902, pag. 290 (fr. 3,50).

L’Autore, premesso uno studio sul feno­ meno economico di queste coalizioni di produt­ tori, in tre capitoli diversi esamina i trusts ame­ ricani, icartells tedeschi ed i sindacati industriali dei produttori francesi, venendo quindi ad emet­ tere il suo giudizio, sia sulle cause di forma­ zione, sia sugli scopi, sia infine sui pericoli di tali istituti.

Non è il caso di riassumere qui tutte le co­ piose notizie che l’Autore ha raccolto sui trusts, sui cartell e sui sindacati, le quali sono tanto più interessanti in quanto, trattandosi di tatti re­ centi e quasi contemporanei, non è facile for­ marsi una chiara idea del numero nè della im­ portanza nè delia vita complessiva di queste associazioni se non sono raccolte ed ordinate con un buon metodo.

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Il libro scritto molto chiaramente, sarà uti­ lissimo a chi voglia formarsi un concetto del- 1’ argomento ; così interessante.

J . C h a ille y -B e r t. — D ix années de jiolitique coloniale. — Paris, lib. Armanti Colin 1902, pag 174 (fr. 2).

Il Sig. Chailley-Bert è autore di altri lavori sull’argomento delle colonie, citiamo fra gli altri « Les Compagnies de Colonisation sous l’ancien regime » e quello : La Colonisation de VIndo- Chine » editi pure dalla libreria Armand Colin.

Nel volume di cui qui parliamo, l’Autore cerca di provare che se le colonie francesi fino a qui diedero meschini risultati, ciò dipende dal fatto che si trattava di un periodo preparatorio, du­ rante il quale però, per segni evidenti, le colonie migliorarono così che è venuto il momento di trarre da esse benefizi che compensino le cure ad esse prodigate.

In diversi capitoli l ’Autore quindi esamina 10 stato delle colonie francesi, rileva il bene ed 11 male che, secondo il suo parere, presenta la loro attuale organizzazione e suggerisce 1’ indi­ rizzo che sotto 1’ aspetto economico, civile, am­ ministrativo ed educativo è necessario imprimere alla vita delle colonie stesse affinchè la madre patria possa finalmente ricavarne tutto 1’ utile possibile.

L’Autore appare soverchiamente ottimista nei giudizi e nelle speranze, e l ’ardore col quale difende la politica coloniale, lo spinge sino al punto da ritenere che non sia utile abolire troppo frettolosamente la schiavitù.

Tuttavia, sorretto da molti dati statistici e scritto in forma facile, il lavoro del sig. J. Chail­ ley-Bert è senza dubbio interessante.

C u v ilìie r T . — Legislation m inière et controle des mi­ nes. — P aris, V V'J Ch. Dunud, 1902, pag. 788 (fr. 12).

Senza che ne abbia il titolo, l ’ opera del Sig. Cuvilìier può dirsi un trattato di legislazione mineraria francese, tanto più importante in quanto gli ultimi lavori pubblicati sull’ argo­ mento datano già da qualche tempo e sono in­ tervenute non poche modificazioni nel regime che riguarda le miniere. L ’Autore ha dato alla sua trattazione più che un commento alle leggi, una serie di nozioni dal punto di vista ammini­ strativo e del diritto privato; perciò la prima parte contiene un breve cenno storico della le­ gislazione antica sulle miniere, e quindi la discus­ sione dei diritti dello scopritore, dell’esercente e del proprietario. A questa parte giuridica, in cui oltre che delle disposizioni di legge è tenuto conto della giurisprudenza, segue quanto riguarda la sorveglianza amministrativa : personale, con­ trollo, eco., ecc.

La seconda parte del libro contiene il testo delle leggi e regolamenti e decreti vigenti.

Molto ordinato, il lavoro riesce utile a consul­ tarsi per chiunque abbia interessi minerari da tutelare.

M a u rice Hauriou. — P récis de d ro it A d m in istra tif. — P a n s , L. Laro se, 1903, pag. 880 (fr. 12).

Questo importante trattato di diritto Am­ ministrativo del sig. Hauriou è meritatamente

giunto, in tempo relativamente breve, alla 5a edi­ zione giacché gli studiosi della materia hanno avuto campo non solo di apprezzare l’ ordine col quale è esposta la materia, ma il concetto fondamentale che la ispira : in quanto l’Autore ha saputo trovare la essenza, si direbbe deh di­ ritto amministrativo e coordinarne le parti die­ tro tale concetto. Egli segue la dottrina già esposta dal A. V. Dicey il quale distingue il di­ ritto amministrativo negli Stati nei quali l’Ammi­ nistrazione gode di fronte ai cittadini di parti­ colari privilegi, da quelli dove essa è soggetta, come in Inghilterra, al diritto comune; per i primi il diritto amministrativo è « un diritto ,di equità fondato sui privilegi dell’ Amministra­ zione; ¡> pei secondi non può avere altra base scientifica che la illustrazione p*,r mezzo della

giurisprudenza delle diverse leggi. ,im­

partendo da questo principio fondamentale che ha per soggetto VAtto amministrativo e per fine la equità, l’Autore espone la definizione o l’azione dello Stato, il suo modo di azione, e la legalità di questo colla base in privilegi delle Amministrazioni; esamina quindi le varie que­ stioni che si connettono al diritto pubblico indi­ viduale, degli enti morali ed ecclesiastici. Dopo queste premesse entra nella materia del diritto amministrativo, ne definisce la funzione ed espone la teoria dell’ atto amministrativo sor­ gente del diritto. Segue la organizzazione am­ ministrativa dello Stato, dei dipartimenti del comune, degli uffici pubblici e delie colonie.

Il terzo libro è consacrato ai diritti delle persone amministrative; i diritti ed i mezzi di agire della polizia, intesa in un significato ampio che comprende cioè non solamente Tardine pub­ blico, ma tutte le funzioni pubbliche. Accanto a questa parte di diritti pubblici, stanno i .diritti delle persone private; demanio, privato dello Stato, dipartimenti, comuni eco.

Finalmente l’ultima parte è rivolta al con­

tenzioso amministrativo. ,

Il libro perspicuo risente però alquanto dell0 sforzo di limitare la trattazione della vasta ma­ teria contenuta in un solo volume, ma è una guida utilissima a più ampio svolgimento.

J.

R iv ista (Economica

V organizzazione in du striale am ericana e la concor­ renza coll* E u ropa — L a lolla commerciale in L e­ vante,

L ’ o r g a n iz z a z io n e i n d u s t r i a l e a m e r i ­ c a n a e l a c o n c o r r e n z a c o l l ’ E u r o p a . — I l problem a che presentano g li Stati TJnini al giorn o d’ o g g i nel m ondo del com m ercio, della finanza e dòl- l'in d u stria attrae sem pre più l ’a tten zio n e et n e ll’A m e­ rica stessa e n e ll’Europa. L ’ invasiQhe di questa da parte dei capitale am ericano, le g ig a n tesch e com bi­ n azioni m anipolate da P ierp on t M organ éd a ltti, n on ch é l ’ esten sio n e del dom inio am ericano' oltre i confini d ella patria di M onroe siao. a Cuba ed alle F ilip p in e, hanno con trib u ito ad eccitare 0 .l’interesse

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190 L ’ E C O N O M IS T A 22 marzo 1903

e pratiche. Ora, n ella sua opera in tito la ta « A m eri­ can In d u stria i Problem a », ven u ta alla luce in qu esti g io rn i, il sig n o r W . E . Law son passa in rassegna i fa tto ri che hanno reso g li S ta ti U n iti qu ello che sono o g g i. Ancora, e g li cerca di esporre quale significato abbia questo p orten to am ericano per quello che ri­ guarda 1’ a vven ire della produzione e del com m ercio in tern azion ale, poiché, eg li dice con grande verità, « qu el paese presenta i più com plicati e plu rilaterali problem i del m ondo econom ico nel m om ento attuale.»

Secondo il Lawson la forza d ell’ ind ustria am eri­ cana sta n ella su a organizzazione, ed egli considera il p iù v o lte m ilionario ed il m onopolista com e « il con trib u to sp eciale e caratteristico degli S tati U niti alla in d u stria m oderna ». M olti però dubitano del valore perm anente di qu esto con trib u to, e sono in ­ c lin a ti a considerarlo sem plicem en te com e il punto cu lm in an te d ell’ organizzazion e a un punto di vista in d ivid u alistico. Ma a questo fattore bisogna c o n g iu n ­ gern e un altro u gu alm en te di grandissim a im portan­ za: poiché è chiaro ehe u n organizzatore riescirà tanto più in quanto potrà agire su un bu on m ate­ riale, e l ’organ izzatore am ericano trova n e ll’operaio tip ico del suo paese un alto livello di in telligen za, di avvedutezza e di energia. E gli é caratterizzato dalla predilezion e per il lavoro m eno assorb en te e che la scia più lib ero lo svolgim en to della su a in d i­ vidu alità ; il che u n ito a ll’ incoraggiam en to dato s i­ stem aticam en te d agli im piegati am ericani a ll’in te lli­ gen za ed a ll’ attitu d in e, co stitu isce senza dubbio la causa p iù efficace d ell’ eccellen za d ell’ operaio am eri­ cano tipo, e un elem en to im portante dello sviluppo d ell’ in d u stria. Ora, che l ’ ind ustria am ericana di­ v e n ti tra breve uno dei fu ttori dom inanti n el com ­ m ercio del m ondo, 1’ autore considera com e certo, ma g li straord inari m ovim en ti d e ll’ esportazion e ed im ­ portazion e di ferro e d 'acciaio degli Stati U n iti negli u ltim i due ann i lo conducono a conclu dere che, i er qualche tempo alm en o, il com m ercio estero am eri­ cano sarà su sc ettib ile di can giam en ti estrem i e di sb alzi in seg u ito alle vio len te flu ttu azion i n ei rap­ porti della dom anda e d ell’offerta locale.

Ma il d ifetto m olto appariscente é n e ll’ organiz­ za zio n e econ om ica am ericana, e il Lawson afferma con una frase m olto in cisiv a che il tallon e d’A chille degli S ta ti U n iti è in W all S treet. In generale la m oneta e la Banca sono sem pre state uno scoglio per l ’ in d u stria am ericana, e lo son o o g g i più che mai. « Se, scrive il Lawson, g li A m ericani avessero attitu d in e natu rale alla finanza, si sarebbero dato da m olto tem po un sano e forte sistem a bancario. Ma e ssi non son o m ai riu sciti a ciò, in parte perchè non hanno mai fa tto u n o sforzo serio, e in parte perchè il m eccanism o bancario non entra n elle loro abitudini di pensiero ». P erò si può a ggiu n gere anche u n ’altra ragion e, ed è la mancanza di una classe leg isla tiv a im parziale che p ossa assum ere il còm pito sopra di sè. Com unque, è certo ci. e il sistem a che lascia libere le flu ttu azion i d ella sp eculazion e, non regolam entate cioè da n essu n a B anca di S ta to , è un con tin u o pe­ ricolo. Tanto è vero qu esto, ehe u ltim am en te alcune grandi B anche di N ew Torte hanno sen tito la n eces­ s ità di allearsi, di co stitu ire una sp ecie di trust ban­ cario, appunto n e ll’ in ten to di controllare il m ercato m onetario com e n o i a suo tem po abbiamo ann un­ ciato.

P er quanto riguarda i trusts, che attualm ente han no una parte co sì rilevan te n ella vita in d u striale d egli S ta ti U n iti, il Lawson dice che si avrà certo presto o tardi una leg isla z io n e al riguardo. Questi m on op oli potrann o essere regolam en tati m ediante una r ev isio n e d ella tariffa, la quale p o ssib ilità è un incub o che grava n on solo su i Irus's, ma s u ll’ind u­ stria am ericana in generale. E sso è un p ericolo in ­ separabile da m an ifattu re che sono cresciu te a ll’om­ bra d ella P rotezion e, giacché in n essu n paese la P ro tezio n e è co si in ten sa com e n eg li S ta ti U n iti. Il Law son considera qu esta riform a di tariffa com e un fa tto re, n el problem a ind ustriale, di prim aria impor­ tanza, poiché le m odificazioni dei dazi e d elle impo­ ste provocheranno cangiam enti radicali e di gran p ortata nella organizzazione ind ustriale.

In som m a — tale la con clu sion e di questa pubbli­ candone in teressan tissim a e su g g estiv a — g li ind u­ striali am er.cani del giorn o d 'oggi non son o com - mei c ia n ti n el sen so ordinario. E ssi s ’ im pegnano in serie di avven tu re gigan tesch e, che posson o

termi-nare o con b rillan ti su ccessi o con fiaschi co lossali. 11 nuovo regime am ericano, per qu anto abbagliante possa apparire a primo asp etto, è lu n g i d all’ avere per sè una v itto ria sicura. Di qualunque gen ere siano i su oi m eriti ed i su oi v a n ta g g i, esso ha ancora m olto da fare per provare la propria su p eriorità di fronte al sistem a in d u striale europeo che esso ha così a r ­ ditam ente sfidato.

L o t t a c o m m e r c ia l o i n L e v a n t e . — La grande p o ten zia lità di produzione, cui son o giu n te orm ai, sp ecialm en te per i con tin u i p rogressi n ei m eccanism i le in d u strie in Europa, hanno determ i­ nata natu ralm ente una concorrenza a ttiv a , m inuta, passo a passo fra i vari esportatori.

E siccom e 1’ A m erica del N ord non solo fa da sè, ma fa anche per g li altri, così orm ai non v ’ è più can tu ccio in Europa e su lla co sta di L evante, n el quale g l’ in d u striali europei col loro viaggiatori e com m essi, a iu ta ti dai r isp e ttiv i C on soli, non cer­ chino di con trastarsi il terren o.

Ora, sebb en e i n ostri siano ancora m eno esp erti d egli altri, che da tempo dom inavano i m ercati, tu t­ tavia, noi che teniam o appresso al m ovim en to com ­ m erciale con un a certa d iligen za, abbiamo p otu to notare che nel com m ercio dei tessu ti — n eg li altri ram i siam o ancora casalin gh i — i n ostri p rod otii vanno penetrando con d iscreto su ccesso.

Una n u ova prova la troviam o in un rapporto del Console fran cese a Salon icco, pu bb licato dal Mon teur Officiel su l com m ercio dei te ssu ti n el L evan te. Vale la sp esa di riassum ere alcu n i di questi dati, a g g iu n ­ gen d on e qu alch e altro, che può riu scire u tile ai pro­ du ttori ed esportatori.

Si possono valutare a 20 m ilion i i te ssu ti di o g n i specie im portati a S alon icco. 1! fatto più n o te ­ vole da registrare, scrive il C onsole fran cese, c o n ­ siste n ei p rogressi con sid erev o li fatti in qu esti u l­ tim i anni dall’ esp ortazion e italiana.

« La g io v a n e in d u stria te ssile della penisola è o g g i in grado di fornire i prodotti, r ich iesti dalla m assa dei consu m atori, che non ha alt-ra cura che di otten ere, con un m inim o di spesa, un m assim o di m ercanzie, senza occuparsi della qualità.

É co sì che 1’ Ita lia è arrivata a forn ire la m ag­ gior parte d elle coton ate u n ite e stam pate, larghezza da 70 a 75 cm. da L. 0.35 a 0.40 franco bordo a Sa­ lon icco ».

A nche nei seffiri e te le di Vichy l’ I ta lia occupa il prim o posto per le qu alità a buon m e -cato. Le qu alità su periori p rovengono dalla F ran cia e dalla A lsazia, q u elle m edie d all’ In gh ilterra.

Le flanelle di coton e son o pure fo rn ite in gran parte d all’Ita lia , che ha trion fato d ella concorrenza ted esca, M onaco-G ladbaeh. È uno dei p rincip ali ar­ tico li di qu ella p iazza. Larghezza un m etro, prezzo L. 0.50.

N ei te ssu ti di fantasia e ind ian e, 1’ In ghilterra conserva sem pre il prim ato.

I tu lli per cortin e, im p ostati finora da Torino e da N ottin gh am , seno presen tem en te o g g e tto di una concorren za m olto se ia da parte d elle fabbriche austriache

II B elg io (C ou itray) ha o tten u to grandi su ccessi per la fornitura dei tralicci e delle te le di lin o per m aterassi.

L ’ In g h ilterra conserva il m onop olio per i tw ills e shirtings, ma per i m adapolán e le co to n in e im ­ bian cate in con tra la concorrenza d ell’ A m erica. A n ­ che l ’ Ita lia ten d e a sm erciare una parte della sua produzione di qu esti articoli e, sebbene len tam en te, va facen dosi strada.

I te s s u ti per m obiglio son o princip alm ente di origin e francese ; la G erm ania, e da qualche tem po l ’ Italia, concorrono a qu esta im portazione.

L e lan erie di fantasia son o ancora per la m a s­ sim a parte di origin e fra n cese; l’ In gh ilterra fa s o ­ p rattu tto concorren za n egli articoli a buon prezzo e l ’A u stria -U n g h eria non ne fornisce che una piccola quantità.

L ’ In g h ilterra fornisce la m aggior parte dei Serges e merinos e una qu alità di te ssu ti d etti Italian e (ìicilian Cloths. Sarebbe il caso di stu d iarli per ve­ dere se s i può entrare in concorrenza, fabbricandoli veram ente in Ita lia com e indica la marca,

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