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IL DANNO ESISTENZIALE DA STRESS PSICHICO Avv. Paolo Vinci

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IL DANNO ESISTENZIALE DA STRESS PSICHICO

Avv. Paolo Vinci∗∗

LA NUOVA FRONTIERA: LA “RIVISITAZIONE” DELL’ART. 2059 COD. CIV.

Si dibatte di una materia dalla vexata complessita, in un frangente estremamente delicato, rischiarato appena dalle recenti pubblicazioni giurisprudenziali. Rischiarato ma non definito.

Tutt’altro. Poiché siamo in cammino, forse alla soglia di grandi cambiamenti giurisprudenziali, ritengo eccellente il brocardo di Faulkner che fa da sottotitolo al convegno (“L’uomo non solo riuscirà a sopravvivere, prevarrà”), ove però lo si consideri alla luce di una premessa: per prevalere, l’uomo deve prima di tutto sopravvivere e come è noto, da darwiniana memoria, a fare ciò “non sono le specie più forti o intelligenti, ma quelle che meglio si adattano al cambiamento”.

Licenziandomi dall’attento e colto uditorato, in un afoso pomeriggio del giugno 2002, auspicai che, in assenza di un improbabile intervento del legislatore sull'art. 2059 c.c. (legislatore more solito silente o in grave ritardo nei confronti dell’anelito innovativo proveniente dalla società civile), fossero Dottrina e Giurisprudenza a qualificare i c.d. danni emergenti e lo stesso ambito di applicabilità dell'art.2059 c.c. In modo un pò più chiaro e coerente. Infatti, la Corte di Cassazione fino a qualche tempo prima era stata ferma sull'interpretazione della fattispecie della norma e sui suoi limiti di applicabilità, divenendo poi successivamente ambivalente. Il giurista, che ha il dovere di essere sempre equidistante, doveva contribuire ad una legislazione e, in assenza, ad una interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale scevra da distonie ed ambivalenze, ad un diritto che contemplasse un giusto ed equo risarcimento per ogni categoria di danno, ivi compresi i c.d. danni emergenti, guardando alla Carta Costituzionale come parametro (ed al tempo stesso limite) per il coevo giusto riconoscimento dei diritti del danneggiato e per lo scoraggiamento di tentativi, anche stravaganti, di ampliamenti di fattispecie che non meritano riconoscimento giuridico.

La Corte di Appello di Milano, Sez. II Civ., qualche mese dopo, nella sentenza 14 febbraio 2003 rilevava che “ai fini della completezza del sistema risarcitorio non debbono rimanere vuoti o spazi

Convegno 3-4 ottobre 2003, Vicenza : “IL DANNO ESISTENZIALE: TRAGUARDO DI UN PERCORSO TORMENTATO. LE ATTIVITA’ REALIZZATRICI DELLA PERSONA NELLA RESPONSABILITÀ CIVILE, NELLA FAMIGLIA, NELLA PROPRIETÀ, NEL CONTRATTO”, ASSOCIAZIONE GUIDO GENTILE.

∗∗Avvocato del Foro di Lecce

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scoperti nella tutela di diritti soggettivi, costituzionalmente garantiti, a seguito di alterazioni, non riconducibili al danno biologico, della personalità del soggetto leso, avendo, comunque, diritto il danneggiato al ristoro integrale delle conseguenze pregiudizievoli nella sfera dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, conseguenti a fatto illecito di terzi...” e che “restava fuori dal sistema risarcitorio il danno non patrimoniale , non risarcibile in mancanza di fatto reato e le alterazioni fisio-psichiche non rilevabili con criterio medico-legale...”. Questa premessa conduceva la stessa Corte a postulare che “tali limitazioni risarcitorie potrebbero dar luogo a profili di incostituzionalità sotto il profilo della parità di trattamento (art. 3 della Cost.) , ove si pensi ad esempio alla non risarcibilità del danno non patrimoniale in caso, statisticamente non infrequente, di presunzione di responsabilità ex art. 2054 , comma secondo , cod. civ. che non consente il risarcimento del danno morale al danneggiato”. “Occorre, in tale sede, determinare , in presenza di fatti potenzialmente idonei a ledere diritti fondamentali dell’individuo, la soglia della tutela costituzionale. In mancanza di una norma specifica che riconosca la tutela risarcitoria, nel caso di accertata violazione di diritti fondamentali dell’individuo, occorre che la violazione accertata abbia caratteristiche tali da costituire effettivo pregiudizio ai valori tutelati dalla Carta fondamentale, tali da incidere sulla loro mancata realizzazione”.

Ma al tempo stesso, opportunamente, la stessa Corte poneva limiti e moniti laddove specificava che

“...occorre, tuttavia, evitare duplicazioni risarcitorie e sarà, quindi, compito del giudicante specificare eventuali accorpamenti di danno sotto la voce del danno non patrimoniale...”. O ancora maggiormente, laddove stigmatizzava che “...occorre anche che sussista il nesso di causalità tra comportamento lesivo e danno che deve tradursi , oltre che nella consecutività temporale tra comportamento lesivo e danno, anche in un giudizio di proporzionalità o adeguatezza tra il fatto illecito e le conseguenze dannose...”.

Un modesto giurista quale il deducente e, più autorevolmente, la sensibilità della Corte di Appello di Milano avevano colto la necessità di far assurgere al vaglio costituzionale tutta una serie di fattispecie risarcitorie conclamate e che non trovavano riscontro e supporto in concreti istituti meritevoli di tutela. Ciò accadeva in epoca non... sospetta e non si erra quindi dal vero se si afferma che erano stati anticipati “i temi forti” della primavera 2003.

Le sentenze della Corte di Cassazione nn. 7283 del 12 maggio 2003 e soprattutto le sentenze c.d.

“gemelle” del 31 maggio 2003 nn. 8827 e 8828, pronunciate dalla terza Sezione, indubbiamente

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schiudono nuovi orizzonti nell’universo risarcitorio. Ma è, soprattutto, il “diktat” della Corte Costituzionale, contenuto nella sentenza n. 233 dell’11 luglio 2003, a porre un netto spartiacque tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, affermando, con riferimento alle citate sentenze della Corte di Cassazione, “l’indubbio pregio, consistente nell’aver ricondotto ... a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona atteso che in esse viene prospettata con ricchezza di argomentazioni nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.

2059 c.c. tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti la persona e di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.

Un suono di trombe assordante si elevava nei cieli della dottrina italica! Da più fronti.

- Da una parte, i fautori dei c.d. danni emergenti rilevavano che la Consulta aveva elevato a rango costituzionale tutta una serie di fattispecie di danno non patrimoniale, in primis il danno esistenziale, mai fino ad allora oggetto di valutazione espressa.

Tra di essi, il prof. Paolo Cendon testualmente affermava: “... esce perdente, con questa sentenza, ogni possibilità di atteggiare di qui in poi il territorio non patrimoniale come realtà esaurentesi al semplice gioco del duetto danno biologico più danno morale.. ... a metà dell’anno 2003, sull’onda dei recenti (e stravolgenti) assunti della S.C. in proposito, i giudici costituzionali proclamano, senza più riserve o titubanze, che il danno non patrimoniale derivante da reato sarà risarcibile pur allorquando la colpa dell’autore del fatto risulti, in sede di giudizio civile, semplicemente da una presunzione di legge ... Al di là di ogni ispirazione punitiva, l’art. 2059 c.c. assolverebbe in definitiva, secondo l’opinione della Consulta, una funzione tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale”. Ma, lo stesso prof. Cendon non poteva disconoscere che quella pronuncia rivestiva tutte le caratteristiche della incompiutezza e/o della non definitività, laddove stigmatizzava una specificità dei danni risarcibili. Ed infatti il giurista fondatore della “scuola triestina” non poteva esimersi dal rilevare che ”ebbene, i dilemmi per la responsabilità restano in larga misura insoluti.... e la Corte, in effetti, non ha fatto altro che sintetizzare il mero dettato esteriore della norma....restando oscuro e inespresso, invece, lo scopo ultimo di una disciplina che appare volta ad ammettere, come questa, il ristoro del danno non patrimoniale in alcuni casi sì e in altri casi no. Rimane aperto in definitiva, con riguardo all’illecito, il problema dell’individuazione

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circa le ragioni giustificatrici su cui assiedere, funzionalmente, il quia della limitazione di risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge” ... ed ancora ....”si tratta di interrogativi che permangono nella sentenza n. 233/2003...”.

- Dall’altro lato, cantavano vittoria i fautori di una interpretazione più ristretta del panorama risarcitorio, adducendo a sostegno delle loro tesi che i giudici della Consulta hanno semplicemente codificato il binomio patrimoniale - non patrimoniale e che per quest’ultimo, con l’espressione “ danno da lesione di valori inerenti la persona “, hanno conferito definitiva legittimazione giuridica ai soli danni biologico e morale, appunto non accennando espressamente al c.d.” danno esistenziale”. Un arguto giurista bolognese, il prof. Flavio Peccenini, intitolando il suo commento sulla Rivista Diritto e Giustizia “Al bando i risarcimenti bislacchi”, riconosceva che “il mutamento giurisprudenziale ha fatto assume all’articolo 2059 cod.civ. una funzione non più sanzionatoria, ma soltanto tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale ... su tale base, pertanto, anche il riferimento al reato contenuto nell’art. 185 cod. pen. ….. non postula più la ricorrenza di una concreta fattispecie di reato, ma solo una fattispecie corrispondente nella sua oggettività all’astratta previsione di una figura di reato...”, al contempo, negando tutta una serie di possibili duplicazioni e sperequazioni interpretative ad una interpretazione che era definita asettica e identificativa di un percorso razionale volto a “dare legittimità esclusivamente al danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima al danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art.32 Cost.) e, infine al danno derivante alla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.

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DANNO ESISTENZIALE: AFFERMATO O NEGATO DALLA SENTENZA N. 233/03

CORTE COST.?

Questo lo “stato dell’arte” dopo la pubblicazione delle citate sentenze, in tema di risarcimento del danno alla persona.

Alcune modeste riflessioni appaiono necessarie e doverose.

Vengono indubbiamente elevate sotto l’egida del termine “interessi di rango costituzionale inerenti alla persona” , senza più reticenze di sorta, tre partite generali di danno: il danno morale, il danno biologico e, appunto, il danno derivante da “lesione di interessi, inerenti alla persona, costituzionalmente protetti”. Tutto questo in un contesto bipolare danno patrimoniale - danno non patrimoniale tutt’altro che superato dalla pronuncia della Consulta; anzi, rafforzato. Appare chiaro il fermo monito, volto dai Massimi Giudici sia alla Corte di legittimità sia ai giudici di merito, a non riconoscere tutta una serie di risarcimenti quanto meno stravaganti (i c.d. “danni bagatellari”), che una tendenza, enfatizzata dal noto provincialismo italiano, vorrebbe esaudire (si pensi alla recente sentenza del giudice di pace di Napoli, IX Sez. civ., pubblicata il 3.9.03, con la quale viene riconosciuto il danno esistenziale ad un automobilista che ha subito la disdetta della polizza R.C.).

Ma da qui ad affermare che la sentenza della Corte parli espressamente - o quanto meno sottenda - il c.d. “danno esistenziale”, facendolo assurgere a ”ius receptum”, ne corre. Infatti, dell’affermazione “danno esistenziale” non v’è manifestamente traccia in tutte le citate sentenze della S.C e meno che mai in quella della Corte Costituzionale. Anzi, vi è una netta presa di distanza laddove in una delle due “sentenze gemelle”, i giudici della Cassazione fanno testualmente riferimento a ... quello che una parte della dottrina suole chiamare ”danno esistenziale”. Ed ecco che tutti i dubbi e le ubbie rappresentate in sede anticipatoria vengono inesorabilmente a galla. Le stesse sentenze più significative sul tema, emesse dai giudici di merito, si pensi a quella del Tribunale di Roma del 7.3.02 (...”non può distinguersi, accanto al danno morale, al danno biologico ed al danno patrimoniale una ulteriore figura di danno esistenziale, che non si distingue ontologicamente dal danno morale...”) o a quella del Tribunale di Torre Annunziata 20.3.02 (...”il danno esistenziale consiste nella perdita o nella compromissione di una o più attività realizzatrici della persona, salvaguardate dall’art.2 Cost....e deve essere risarcito quale autonoma voce di danno...”) non trovano, a seconda, palese smentita o inequivocabile supporto dalla sentenza 233/03 Corte Cost. Appare chiaro, in primo luogo, che i giudici della Consulta si limitino a compiere un

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rinvio per relationem alle sentenze “gemelle” della Corte di Cassazione e che quindi sotto certi aspetti la Corte manifesti una eccessiva ”supinità” verso il dettato della Corte di legittimità. Ma, sin da una lettura superficiale del testo, si evince che la sentenza della Corte Costituzionale non conferisce definitività alla vicenda ed al percorso tormentato (come, appunto, il titolo suggestivo ed affascinante di questo convegno) verso un definitivo panorama risarcitorio del danno alla persona.

In sostanza, ha ragione Giulio Ponzanelli allorquando afferma, in tema di danno esistenziale, che detta sentenza “non disegna praterie di libertà”.

Ciò, tuttavia, non significa depauperare il prezioso monito che promana dal pronunciamento e che schiude un dibattito giurisprudenziale e dottrinario, comunque tutto di qui a venire. Sempre che il Legislatore, in (ennesimo) colposo ritardo, non ritenga di intervenire con una legge...” di rango costituzionale” che metta definitivamente ordine nella vexata complessita dell’universo risarcitorio.

Ma questa è destinata a rimanere una semplice utopia: del resto non è proprio il legislatore che, per dare “manifesto ingresso giuridico” al danno biologico, ha impiegato ben 14 lunghi anni (dalla sentenza n.184/86 Corte Cost. alla legge INAIL del 2000)?

In pratica, la proposta esistenzialista non è stata proclamata definitivamente; anche se obiettività vuole che si dica che il c.d. “danno esistenziale” si sta delineando all’orizzonte, nell’alveo dell’art.2059 c.c., come sinonimo del nuovo danno non patrimoniale, assolutamente non sovrapponibile al danno biologico, che soffre i limiti della “soglia costituzionale”.

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IL DANNO PSICHICO DA STRESS DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N.233/03

È plausibile interrogarsi se, in seguito al nuovo scenario profilatosi con l’avvento delle sentenze primaverili della Corte Cass. e, soprattutto, della 233/03 Corte Cost., la categoria del danno psichico sia venuta a modificarsi o meno.

Fino al momento della pubblicazione delle citate sentenze, si era notato, da più parti e non a torto, che la Giurisprudenza aveva via via manifestato una certa “insofferenza” a veder ristretta in un ambito circoscritto (danno biologico e morale) ogni casistica afferente alla lesione dell’integrità psichica. Si pensi al veicolare della Cassazione dalla sentenza n.911/99 del 3.2.99 (Il danno alla

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salute, per quanto normalmente si risolva in un peggioramento della qualità della vita, presuppone pur sempre una lesione dell'integrità psicofisica, di cui quel peggioramento è solo la conseguenza, non, essendo risarcibile la minore godibilità della vita, ma solo la lesione della salute, costituente il bene giuridicamente tutelato dall'art. 32 Cost. Consegue, che in difetto di prova di una lesione dell'integrità psicofisica del soggetto che sia conseguita alle sofferenze indotte dallo stress da rumore illecitamente provocato con un comportamento integrante gli estremi di reato non è configurabile un danno biologico risarcibile.) e dalla n.13340/99 del 29.11.99 (il danno biologico può sussistere non soltanto in presenza di una lesione che abbia prodotto postumi permanenti, ma anche in presenza di lesioni che abbiano causato uno stress psicologico) fino alla sentenza n.2515/02 del 21.2.02 (In caso di compromissione dell'ambiente a seguito di disastro colposo (art.

449 cod. pen.), il danno morale soggettivo lamentato da coloro che, trovandosi in una particolare situazione con tale ambiente (nel senso che ivi abitano e/o svolgono attività lavorativa), provino in concreto di avere subito un turbamento psichico (sofferenze e patemi d'animo) di natura transitoria a causa dell'esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita, è risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione all'integrità psico - fisica (danno biologico) o di altro evento produttivo di danno patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre all'offesa all'ambiente ed alla pubblica incolumità, anche l'offesa ai singoli, pregiudicati nella loro sfera individuale), attraverso la sentenza, come le prime due, sempre della III Sez. civ., n.15330/00 del 30.11.00 (.. la norma sul danno morale di cui all'art. 2059 cod. civ. [danno consequenziale, sì, al danno biologico, ma da questo concettualmente distinto, attenendo il primo alla sfera del danno alla salute, il secondo, specificamente, a tutte le sofferenze psichiche e morali subite a causa del comportamento illecito dell'agente] si ispira ai medesimi criteri risarcitori "integrali" di cui alla "Generalklausel" di cui all'art. 2043 del codice civile, e non ha, pertanto, natura indennitaria del "pretium doloris", ma considera tutte le sofferenze di ordine psichico e morale che il danneggiato subisca in conseguenza dell'evento dannoso ingiusto, e si fonda, pertanto, sul principio costituzionale di cui all'art. 2 della Carta fondamentale, che tutela e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo).

Ora, il quadro del danno psichico (e quindi- rimanendo al tema della relazione- quello da stress), appare un po’ più chiaro e delineato, anche se non del tutto immune da dubbi e distonie ai quali occorrerà porvi rimedio. Certo, oggi, dopo il monito della Consulta, i giudici di merito dovranno

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maggiormente fare mente locale a non incorrere in marchiane violazioni della Carta Costituzionale, tenendo presente che è suscettibile di tutela la lesione della personalità del soggetto, ogni qualvolta configuri un’alterazione, di valenza apprezzabile, costituzionalmente tutelata ex art. 2 Cost.

Occorre, ovviamente, che sussista il nesso di causalità tra comportamento lesivo e danno, che deve tradursi sia nella consecutività temporale sia in un giudizio di proporzionalità ed adeguatezza tra il fatto illecito e le conseguenze dannose.

Ma è in concreto che occorre valutare gli (eventuali) interventi innovativi che hanno modificato (o meno) la categoria.

Per quanto concerne il danno psichico, definizione e casistica, rimando alle mie precedenti pubblicazioni ed in particolare proprio a quella del giugno 2002, in occasione del precedente convegno vicentino dell’Associazione Guido Gentile.

Limitandosi al tema, per ”stress” si intende ogni tensione nervosa e fisica che può logorare l’individuo. Ne consegue che il “danno psichico da stress” è quel pregiudizio che colpisce la psiche del soggetto in seguito ad una lesione fisica rilevante ovvero quell’evento che non aggredisce l’incolumità fisica del soggetto, ma ne provoca un mero squilibrio psichico.

Da questa definizione, pacifica sul piano psichiatrico, emergono due distinti tipi di stress.

- Il primo, collegato ad una apprezzabile lesione psicofisica e consistente in una vera e propria malattia psichica che genera un’alterazione della vita in senso stretto (delle attività realizzatrici della persona).

In questo caso, le sentenze della Cass.8827 e 8828/2003 non mutano il quadro già in essere.

Secondo la sentenza n. 233/2003 Corte Cost. “hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona... viene, infatti, prospettata, con ricchezza di argomentazioni – nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale – un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte dello stato d’animo della vittima, sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse costituzionalmente garantito all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art.32 Cost.), sia infine il

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danno (spesso definito in dottrina e in giurisprudenza come esistenziale) derivante alla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.

Non v’è dubbio che detta lesione psicofisica vada integralmente risarcita sia come danno biologico, sia come danno morale oggettivo, trovando peraltro ulteriore supporto costituzionale dalla recente disposizione della Consulta. Fermo restando che, ove vi sia una lesione organica cerebrale, permanente ed irreversibile ed al contempo sussistendo le circostanze afferenti la categoria del danno patrimoniale (deminutio patrimonii e riduzione capacità lavorativa specifica), la lesione psichica possa essere, sebbene in casi rarissimi, risarcita anche patrimonialmente. Appare, però, obiettivamente difficile prevedere simile ipotesi nel campo del danno psichico da “stress”, trattandosi di una sindrome soggettiva destinata a non dare conseguenze pregnanti sulla capacità lavorativa specifica. L’ipotesi della risarcibilità patrimoniale rimane viva, nel campo del danno psichico, laddove l’evento abbia causato direttamente una effettiva riduzione della predetta capacità.

- Il secondo, quello transeunte e non assurgente al rango di malattia, non può essere risarcito, non trovando supporto giuridico nella Carta Costituzionale e nello stesso diritto positivo vigente.

Infatti le stesse sentenze gemelle della Cassazione 8827 e 8828/03 in primo luogo delineano quali figure non più sovrapponibili il danno non patrimoniale ed il danno morale soggettivo, considerata l’estensione della nozione del primo, inteso come “danno da lesione di valori inerenti la persona”; in secondo luogo, affermano che “non appare proficuo ritagliare all’interno di tale generale categoria figure specifiche di danno, etichettandole in vario modo...”. È proprio questa nuova concezione del danno non patrimoniale che conduce la Suprema Corte a concludere che “nell’ottica della concezione unitaria della persona la valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali possa essere anche unica, senza una distinzione tra quanto va riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica, ovvero quanto deve essere liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico in senso stretto ( se una lesione dell’integrità psicofisica sia riscontrata) e quanto per il ristoro dei pregiudizi in parola; ovvero, ancora, che la liquidazione del danno biologico, di quello morale soggettivo e degli ulteriori pregiudizi risarcibili sia espressa da un’unica somma di denaro per la cui determinazione si sia tuttavia tenuto conto di tutte le proiezioni dannose del fatto lesivo” . In questa nuova lettura,

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“non ha più ragion d’esser” (sentenza 8827/03) quella tendenza delle Corti di merito alla dilatazione degli spazi propri di altre voci di danno. Con l’ulteriore invito volto dalla Corte al Giudice di merito ad “...assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci di danno che concorrono a determinare il complessivo risarcimento”.

Questa precisazione conduce a ricondurre il risarcimento dello stress cd. medicalmente accertato ai metodi tradizionali (biologico e morale) ed a bandire il risarcimento dello stress del secondo tipo (quello transeunte e non assurgente al rango di malattia) poiché privo di ogni conforto costituzionale.

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RIFLESSIONI CONCLUSIVE

In conclusione, è proprio la particolare e complessa natura del danno psichico a rendere estremamente difficile la sua valutazione, trattandosi di lesioni non visivamente percettibili e di ardua identificazione, spesso riposte nei meandri più reconditi della psiche. Al contempo non si può, per tali ragioni, non valutarle. È legittimo che il danneggiato ottenga il ristoro integrale delle conseguenze pregiudizievoli nella sfera dei diritti fondamentali garantiti costituzionalmente, privilegiandosi, oggi più che mai dopo il monito della Consulta, un’interpretazione corretta e soprattutto una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.

Nel diritto positivo, nonostante le recenti sentenze, permane la scollatura tra diritto normativo e diritto vivente e ritengo che occorra ridisegnare una branca del diritto privato italiano, che preveda al centro la persona umana, allo stesso modo con cui il codice del 1865 aveva fatto con la proprietà e quello del 1942 con i contratti. Solo così si può raggiungere la auspicata certezza del diritto, evitando il tutt’ora vigente disordine ed individuando le figure risarcitorie senza rischi di incostituzionalità.

Senza “certami letterari o agonismi sportivi”, occorre mirare ad un diritto che contempli un giusto risarcimento per ogni categoria di danno, ivi compresi i c.d. danni emergenti, guardando alla persona umana ed alla sua dignità, al giusto ristoro per una lesione patita e per una capacità compromessa, senza alcuna speculazione. Con chiarezza e rigore giuridico, sostanziale e formale.

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Ma soprattutto con equilibrio ed equità, come questo eccellente convegno ha evidenziato e con l’augurio che, come ha ammonito l’amico Busnelli, “dai tormenti si passi alle speranze”.

Del resto le stesse recenti sentenze testè esaminate invitano all’equità, con una rilettura del sistema risarcitorio in chiave antropologica ed ontologica, indicando quale oggetto e fine della tutela la persona umana, fonte di tutti i valori ed oggetto unico di valorizzazione da parte del diritto. Al contempo, modalità di riferimento del danno diviene la dimensione dinamica dell’agire e non più la dimensione statica dell’avere, con una interpretazione prevalentemente personalistica.

La persona umana, quindi, al centro dell’universo risarcitorio; campo di battaglia di ogni discordante valutazione delle scuole di diritto; inestimabilis res di gaiana memoria, anelito di certezza per una società in continua evoluzione.

La persona umana, appunto, valore assoluto di difficilissima quantificazione risarcitoria, che prima di tutto costituisce un ...grande mistero.

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