L'ECONOMISTA
G A Z Z E T T A S E T T I M A N A L E
SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE. INTERESSI PRIVATI
Anna 1Y - Voi. Vili Domenica 16 settembre 1877 N. 176
IL METODO STORICO E POSITIVO
N E L L A
SCIENZA DELL'ECONOMIA POLITICA
fContinuazione, vedi N. 175.)
Smesso il metodo diretto, invano si ricorrerà al criterio supplementare che chiamano metodo dì
dif-ferenza indiretta. Con questo metodo, invece di
due casi differenti solo per la presenza o l'assenza di una data circostanza, si mettono a paraggio due classi di casi, che non concordano rispettivamente che per la presenza di una circostanza in una classe e la sua mancanza nell'altra. Per figurare l'ipotesi la più favorevole si possa concepire (e che sta ben lunge dal potersi verificare), pognamo che si para-goni una nazione, la di cui politica commerciale è restrittiva, a due altre o più nazioni che soltanto convengano in ciò che desse permettono il libero scambio. Qui non v ' h a bisogno di supporre che l'una di queste nazioni concordi colla prima in tutte le circostanze: l'una può concordare con essa in alcune, un'altra nelle rimanenti: se ne potrà con-chiudere che se quelle nazioni restano più povere dell'altra a sistema ristrettivo, ciò non possa essere l'effetto del primo, nè del secondo gruppo di circo stanze, ma sì del sistema protettore. Se la nazione, si dirà, che pratica questo sistema avesse dovuta la sua prosperità al primo gruppo di cause, la prima delle due nazioni esercitando il libero scambio, avrebbe goduto di uguale prosperità : se per contro ella 1' avesse dovuta al secondo gruppo di cagioni, la seconda nazione sarebbesi dovuta trovare in que-sto caso: or desse non lo sono nè l'una nò l'altra; dunque la prosperità deve attribuirsi al sistema proi-bitivo. Io vi confesso che se mai si potesse dare una prova appariscente dell'argomento sperimentale, la sarebbe cotesta. E tuttavia sarebbe una vana illusione. E di grazia, perchè la nazione, che ha prosperato, non dovrebbe ella la sua prosperità che ad una sola causa? La prosperità nazionale è sem-pre il risultato collettivo di una folla di circostanze favorevoli. La nazione, che pratica il sistema
restrit-tivo, può riunirne un maggior numero che alcuna deile altre due, nbbenehè tutte quelle circostanze possano d'altronde esserle comuni con l'una o l'altra delle medesime. La prosperità può essere dovuta in parte alle tfircoslanze che le sono eoniu ii eol-l'una di quelle nazioni, e in parte a quelle che le ; sono comuni coll'altra, di guisa che ciascuna di essp, avendo metà meno di circostanze favorevoli, sia rimasta inferiore. Egli è chiaro che l'imitazione più fedele, che possa farsi nella scienza sociale, della induzione legittima fondata sulla esperienza per dif-ferenza diretta o indiretta, non ha che l'apparenza speciosa di una prova concludente senza alcun reale i valore.
! Non rimarrebbe dopo ciò che un tentativo delle altre tre forme del metodo sperimentale, cioè del metodo di concordanza delle, variazioni
concomi-tanti e dei residui per risolvere il problema in
que-stione. E Stuart Mill dimostrerò che nessuna di queste tre forme di metodo può approdare a buon porto.
presun-346 L' E C O N O M I S T A zione sarà una vana illusione. Perchè la logica ci
autorizzasse ad inferire che un dato antecedente fosse la causa di un dato effetto per ciò che tutti gli altri antecedenti si potessero eliminare, sarebbe mestieri che l'effetto non potesse derivare che da una sola cagione. Se desso ammettesse più eause, ognuna di queste, presa singolarmente, potrebbe es-sere eliminata. Or nella ipotesi dei fenomeni sociali ed economici, la supposizione di una causa unica è ben lunge dal vero. Le eause della ricchezza, della sicurezza, della libertà, del buon Governo, della pubblica moralità e di altri e tali fenomeni politici che particolarmente ci interessano, o dei loro con-trarli, sono infinitamente numerose : e soprattutto lo sono le cause esteriori o remote, le sole che in maggior parte sieno accessibili all'osservazione di-retta. Nessuna cagione, da sé sola, non basta a produrre uno di quei fenomeni: innumerabili fattori spiegano sui medesimi una grande influenza e pos-sono contribuire, vuoi a produrli, vuoi ad impedirli. E però da ciò che noi potemmo eliminare una qualche circostanza, non potremo logicamente infe-rire che la medesima non contribuisse punto allo effetto, pure in quel caso in cui l'abbiamo esclusa. Si potrà ben conchiudere ohe l'elfetto possa talvolta prodursi senza il concorso di essa, ma non mai che allorquando la medesima esiste, non vi contribuisca punto per la sua parte.
Il metodo delle variazioni concomitanti va pur soggetto alle medesime osservazioni. Se le cause che agiscono sullo stato di una società, producessero effetti di una natura affatto differente: se la ric-chezza dipendesse da una causa, e da un'altra la pace: se il popolo fosse virtuoso per una terza causa, e intelligente per una quarta — noi potremmo — pur senza segregare le cause— riportare a cia-scuna di esse la proprietà dell'effetto, che cresce-rebbe o diminuicresce-rebbe in ragione diretta della me-desima. Or avviene che ciascuno attributo del corpo sociale è soggetto all'influenza di cause innumere-voli; ed è tale e pur tanta la reciproca azione degli elementi coesistenti della società, che tutto ciò, che influisce sull'uno dei più importanti fra essi, influisce per ciò solo su tutti gli altri, o direttamente o indi-rettamente. E per conseguenza non differendo in qualità gli effetti degli agenti, e la quantità di cia-scuno di essi essendo il risultato complesso e misto di tutti i fattori, è chiaro che le variazioni dello insieme non potranno mai presentare una propor-zione uniforme con quelle di una qualunque delle sue parti costitutive.
Escluso pur anco il metodo delle variazioni
con-comitanti, non rimane che il cos'i detto metodo dei residui, per cui, conosciute le tendenze delle singole
cause concorrenti, ed assegnatane a ognuno la parte dell'effetto, s'inferisce che il residuo, ehe non può
essere spiegato per quelle cause, debba attribuirsi alle altre circostanze, che vi concorsero. E per vero la forma di questo metodo pare di prima giunta la più affine e conveniente alle ricerche intorno ai fe-nomeni sociali ed economici, perocché dessa richiede soltanto una esatta osservazione delle particolarità di un paese, o di uno stato sociale. Se non che egli fu giustamente osservato da recenti scrittori, che qualunque possa essere il valore di questo metodo, desso non è più un metodo di osservazione e di esperienza pura: perocché esso eonehiude, non già da una comparazione di casi, ma sì da quella di un caso col risultato di una deduzione antecedente. Ap-plicato ai fenomeni sociali, desso presuppone che sieno di già conosciute le cause, donde proveniva una parte dell'effetto ; e poiché le cagioni, come si è mostrato, non poterono conoscersi per una espe-rienza specifica, lo furono per deduzione dai prin-cipii della natura umana; d'allora non si ricorre alla esperienza che come ad un criterio suDplemontare, per determinar le eause che produssero un residuo inesplicato. Ma con ciò si ammette necessariamente per base il metodo deduttivo; e da altra parte se può abilmente ricorrersi ai prineipii della natura nmana per stabilire certe verità politiche, lo si po-trà per tutte. Se egli è permesso di dire ehe la Inghilterra deve evidentemente la sua prosperità eco-nomica al suo sistema proibitivo, per ciò che, pur fattasi la parte di tutte le altre tendenze che ope-rarono in concorrenza, resta ancora una certa quan-tità di prosperità da spiegarsi; dev'essere del pari permesso di risalire alla stessa sorgente per l'effètto del sistema proibitivo, e di investigare, se le leggi dei motivi e delle azioni degli uomini non ci possano render conto delle sue tendenze. E infatti l'argo-mento sperimentale si riduce tutto alla verificazione di una conclusione dedotta da quelle leggi generali. Perocché noi possiamo ben togliere l'effetto di una, di due, di tre o quattro cause : ma non mai riesci-remo a togliere l'effetto di tutte le cause meno una, e sarebbe in vero cotesto un curioso esempio dei pericoli di un eccesso di circospezione, se, per evi-tare un ragionamento a priori sull'effètto di una causa sola, dovremmo fare altrettanti ragionamenti o priori deducenti, quante v'hanno cause operanti in concorso con quella particolare in un dato caso. (4) Egli adunque resta dimostrato ehe nessuna delle forme del metodo induttivo vai punto a risolvere i problema economico del sistema proibitivo o ristret-tivo commerciale sulla ricchezza o prosperità nazio-nale. Ed io non produssi questo problema che quale uu esempio classico della scienza economica. Ed è
(1). Yed. J. S. Mill, Système de Logique deductive
et niductive, trad. Peisse. tom. I, liv. Ili, chap. V I ;
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pregio dell'opera, spianataci così la via, di adden-trarci per sommi capi nelle dottrine fondamentali della Scienza, per mostrare in essa più chiaramente ancora la indispensabile necessità del metodo de-duttivo e filosofico.
Movendo dalla natura intima della Scienza econo-mica, necessariamente si vede che dessa si occupa di una classe speciale di fenomeni sociali, di quelli cioè che si producono di mira all'acquisto della ricchezza.
Questi fenomeni, subhiettivamente considerati, rivano in un modo generale ed immediato dal de-siderio della ricchezza, dal tornaconto individuale, dalla tendenza al ben essere, come da prima e uni-versale causa motrice. Tutte le operazioni industriali o produttive degli uomini, e tutti gli atti, per cui si distribuisce la ricchezza prodotta, e la si fa pas-sare per la circolazione dagli uni negli altri, fin quando arrivi al consumo, tutti movono, si spiegano, si svolgono in virtù del principio generale del desi-derio della ricchezza, del tornaconto individuale. Or questo principio è una legge della natura umana, perchè è una forma della legge di felicità, centro di gravitazione dell'umano agire.
•Egli è tanto impossibile concepire la produzione della ricchezza senza l'azione permanente ed intensa dell'interesse personale, quanto il concepire il mec-canismo planetario senza la gravitazione, o la mac-china dovuta a Papiri ed a Watt senza la forza ela-stica dei liquidi vaporizzati. L'uomo è portato a produrre la ricchezza dalla forza degli appetiti e dei bisogni che sento in se stesso. È il grido dell'io che lotta per appropriarsi oggetti esteriori. E però l'atto di produrre ricchezza è stato sempre, e sarà pur sempre, in virtù della natura umana per l'or-dine supremo, del Creatore che compose questa na-tura, un atto personale relativo all'individuo, e al piccolo mondo della famiglia (1).
Dunque la Si iienza economica, che move da questo principio onde studiare e spiegare i fenomeni sociali che costituiscono il suo obbietto, fin dai primi suoi passi risale alia natura umana, e si vale dei metodo deduttivo.
Scoperta questa legge per siffatto metodo, la scienza l'analizza ancora profondamente onde pur inferirne altre deduzioni, che assumono la forme di assiomi fondamentali della dottrina. Il tornaconto personale involge nella sua essenza l'aversione al travaglio e alla fatica (chè l'uomo per natura tende ad evitare il dolore) e il desiderio del godimento immediato di piaceri costosi. Dal complesso di queste due ten-denze risulta la legge principale psicologica,
fami-fi). M. Chevalier, Corso di Econ. Polit. Discorso IX.
liare a tutto il mondo, per cui l'uomo preferisce un guadagno, una ricchezza maggiore ad una minore, e vuol conseguire la massima possibile ricchezza col minimo lavoro possibile. Or bene con questo metodo deduttivo la Economia è pervenuta a proclamare la
legge del mìnimo mezzo, ossia quella di ottenere
eoi minimo dispendio il maggiore effetto utile, il massimo risultato col minimo sforzo. E intanto su questa legge resta impiantata tutta la scienza eco-nomica, dacché fu distinta dalla legislazione, dalla morale, e della politica. E che mai sono quei no-bili pronunciati di Economia, — il progresso
eco-nomico della società consiste nel far sì che in cia-scun prodotto la utilità sia dovuta molto più alla natura che all'uomo — il più sicuro segnale di civiltà e di progre-so è la gran parte che nella produzione delle ricchezze pigliano le forze della natura, ossia la gran parte di lavoro che la natura fa invece delVuomo •— il capo d'opera del progresso economico consiste nel/'attenuare sempre più nella ricchezza sociale l'utilità onerosa trasformandola in gratuita; — che mai, dico, sono codesti
pro-nunciati se non specificazioni della legge del minimo mezzo, per cui si mira a produrre molta ricchezza con poco lavoro?
Su questo principio del tornaconto individuale, scoperto per il metodo deduttivo, si asside tutto l'organismo della Scienza Economica. Dessa, al dire dei più sapienti economisti odierni, considera il ge-nere umano come occupato dell'acquisto e della consumazione della ricchezza: il suo scopo è quello di mostrare quale sia la coudotta degli uomini vi-venti in stato sociale, se quel movente, fatta astra-zione da altri impulsi peculiari e accidentali, sia la regola costante di tutte le loro azioni. La scienza economica mostra il genere umano, che mosso dal desiderio del tornaconto, accumula la ricchezza, forma il capitale, e lo impiega alla produzione di nuove ricchezze, sancisce l'istituzione della proprietà, sta-bilisce leggi per impedire le usurpazioni per la vio-lenza o la frode sull'altrui proprietà, escogita diverse combinazioni per rendere il lavoro più produttivo, regola per accordo la ripartizione del prodotto sotto l'influsso della concorrenza, adopera certi mezzi, vie di comunicazione, per agevolare i trasporti, impiega certi espedienti, moneta, credito, per facilitare gli scambi.
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è già clie siavi stato un economista sì assurdo per supporre che il genere umano sia così realmente costituito: ma sì quel procedimento è, perla natura stessa delle cose, imposto alla scienza. Allorquando un effetto dipende da un concorso di cause, queste cause debbono studiarsi singolarmente, una per una, e le leggi loro ricercate separatamente, se si voglia, per mezzo delle cause, poter predire o sindacare l'effetto: perchè la legge dell'effetto si compone delle leggi di tutte le cause che lo determinano. Egli fu mestieri conoscere la legge della forza centripeta e quella della centrifuga o tangenziàle, prima di poter spiegare o pronunziare il moto della terra e dei pianeti. Avviene lo slesso, dice il Mill, della maniera d'agire degli uomini in società. Per giudicare come eglino agiranno sotto l'influenza dei desideri! e delle avversioni, che gli agitano simultaneamente, fa d'uopo sapere come essi agirebbero sotto l'influenza di cia-scuna di quelle cause in particolare. Non v'ha forse nella vita di un uomo una sola azione che abbia la sua sorgente in qualche impulso immediato o remoto diverso dal desiderio della ricchezza. — Quanto a quelle branche dell'umana attività, di cui là ricchezza non è l'oggetto principale, l'economia politica non pretende che sien loro applicabili le sue conclusioni. Ma sonovene delle altre, nelle quali 10 scopo principale e diretto è l'acquisto della ric-chezza: di queste si occupa l'Economia. Il suo pro-cesso necessario consiste nel considerare quel (ine principale, come se desso fosse l'unico; ipotesi che mentre è la più semplice fra tutte, è puro la più vicina alla verità: l'economista ricerca quali sieno le azioni che un siffatto desiderio produrrebbe, se non fosse combattuto da alcun altro desiderio; e di tal maniera egli si approssima, il più ehe si possa, all'ordine reale degli affari umani. Rimane solo di rettificare o modificare quest'approssimazione in ogni caso particolare, in cui si mostri l'intervento di qualche altra causa impulsiva, oltre al desiderio della ricchezza, pongasi la carità, la simpatia, il costume, 11 patriottismo, di che devesi tener conto nella spie gazione, o predizione degli avvenimenti reali. Ma questi casi nulla provano contro i pronunciati della scienza economica, all'istesso modo ciie il movimento reale di un projettile nè perpetuo, nè uniforme, nè accelerato, nè perfettamente parabolico, non ismen-tisce le leggi del moto, della gravità e della resi-stenza.
Il signor Cairnes (1) ha pur dimostrato che le tre teorie capitali economiche del valore, della
ren-dita, della popolazione, sonosi costrutte col metodo
deduttivo, prendendo le mosse da leggi di carattere
( 1 ) J . E . C A I R N E S . The character and logicai
me-thod of politicai economi/. — London, 1857.
fisico, fisiologico, e psicologico; e a dire movendo dalla tendenza dell'uomo al tornaconto individuale, onde ottenere la massima ricchezza col minimo la-voro; movendo dalla lifn'tazione della terra neces-saria all'uomo come luogo di abitazione e di lavoro e come fonte di sussistenze e di materie prime, limitazione quanto ai prodotti, alla estensione, alla
fecondità relativa, alla fertilità per se decrescente;
movendo dalla virtù fisiologica insita alla umana specie di riprodursi e moltiplicarsi senza limite
assegnàbile, se non fosse da ostacoli rattenuta, si
arrivò a formulare la dottrina del valore, della
ren-dita, della popolazione: perocché l'essenza intima
del valore è tutta riposta nel risparmio del lavoro, o nel costo di riproduzione economica, che fontal-mente rientra nella gran legge del tornaconto indi-viduale; la rendita prende vita nella limitazione della terra, in estensione, in fecondità relativa e j successiva, e sì mette fondamento nella natura delle
cose ; e la teorica della popolazione si compone dei due fattori, della tendenza indefinita a riprodurre e della limitazione dei mezzi di sussistenza, o meglio di esistenza, premesse di verità intuitiva, rac-chiuse nella natura delle cose. Il citato economista incrlese logicamente arriva alla incontrastabile couclu-sione, che le teoriche più certe, più diffìcili e clas-siche della scienza, e quelle soprattutto relative alla circolazione e distribuzione della ricchezza, furono indubitatamente scoperte col metodo deduttivo e ra-zionale.
Se non che or giova dar la parola agli economisti partigiani del metodo positivo e storico.
Il sistema razionale in economia politica, essi di-cono, messa da banda l'opera lenta e progressiva del genio dei popoli, ci seduce con le idee concepite
a priori e colle costruzioni metafisiche. Ma l'uomo
e la società subiscono continue e successive trasfor-mazioni, per cui ciascun periodo isterico ha una impronta e quasi una fisonomia sua propria, che lo contraddistingue dai periodi che furono e da quelli che saranno. Le abitudini, i gusti, gl'interessi, il modo stesso di vedere le cose, cangiano. Ora se la scienza sociale ha per obbietta la società, è impossi-bile che la sia formulata entro limiti rigorosi ed immutabili: essa in quella vece dovrà essere sotto-posta, come la realtà medesima delle cose, a con-tinue evoluzioni; ed è così che il solo storicismo
relativo potrà essere il vero e naturai fondamento
di ogni teoria sociale economica. La disciplina che si arroga il diritto di formulare una teoria assoluta, pretenderebbe nientemeno che arrestare questo mo-vimento di trasformazione, e di dare ad una idea la sovranità sul pensiero di tutti i secoli futuri.
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vero, dovrebbe foggiare tanti di questi tipi ideali, quanti sono i caratteri dei popoli ; e di più dovrebbe rimutarli tratto tratto ad ogni mutazione che avvenga nei sentimenti e nelle condizioni loro ; la qual cosa, in tali termini, è assolatamente impossibile. Io non seguo, aggiunse il Dunoyer, il metodo di quei filo-sofi dommntici, i quali non parlano che di diritto e di dovere.
Non si parla in fisica, in matematica di ciò che
dev'essere: si ricerca semplicemente ciò ch'è, o come
avvenga che una cosa sia. Il geometra considera in quali circostanze due linee formino un angolo : ma non dice mica che due linee hanno il diritto di for-mare un angolo. Il chimico osserva, clic l'acqua sottoposta all' azione del fuoco passa allo stato di vapore; ma egli non dice già che uno dei diritti dell' acqua è di trasformarsi in gaz. Il pubblicista può parimente osservare in quali circostanze l'uomo pervenga alla libertà: ma non deve già dire se egli voglia parlare scientificamente, che l'uomo ha
diritto di esser libero !
Da altra parte soggiungono gli economisti storici che l'obbietto dell'economia è lo studio dei fenomeni della ricchezza in tutte le sue fasi di produzione e distribuzione, circolazione e consumo. Ora questi fenomeni, come si esprèsse il prof. D'Ippolito, non sono altra eosa che il prodotto della libera volontà del-l'uomo, modificata sovente da cagioni esterne mol-teplici e potentissime: non mai adunque potranno i medesimi avere tale costanza e stabilità da essere riassunti col rigore di una formola matematica. I fatti cangiano, perchè cangiano gl'interessi, ma la formula resta tale quale fu concepita.
Laddove, si aggiunse, si costrugga la economia col metodo razionale, sarà forza la venga fondata su ipo-tesi astratte, e se ne avrà per risultato una teorica, che non risponde alla realtà delle cose.
Questa teoria vi dirà, a mo'd'esempio, ohe esiste un prezzo corrente generale in virtù della libera concorrenza dei venditori e dei compratori. Ma in-tanto questa libera concorrenza ò una verità giuridica in ipotesi astratta ; nella realtà del fatto è tanto di-fettosa e imperfetta, che la legge del prezzo venale è dettata ora da una maggior copia di capitali di-sponibili, ora da una cieca abitudine, e non di rado da un <ì bile astuzia. Questa teorica professerà la ren-dita gratuita della terra sulla base della succedanea coltivazione di tre classi di terreno di disuguale fertilità, incominciando dai più fertili : ma intanto questa non è che mera ipotesi smentita dai fatti e dalle sperienze, che mostrano tutta la rendita una mera retribuzion del lavoro, nè di rado assai inferiore al suo valore. Questa teorica vi insegnerà ancora che i profitti tendono a livellarsi: ma pur questa è una mera ed assoluta ipotesi, a cui resiste la realtà dei fatti : perocché presuppone che i captali abbiano
tanta mobilità da affluire e rifluire secondo una data legge di equilibrio, come avviene dei liquidi. Or ciò, dicono, non si verifica punto nel fatto, poiché i capitali fissi non si potranno cosi facilmente disto-gliere da un'industria per farli servire in un'altra, ed i limiti di nazionalità, di civiltà, di clima, oppor-ranno pure alla lor volta altri ostacoli, acciò si con-segua un siffatto equilibrio. Di tal modo sì costruisce una dottrina vuota ed inutile, che implica uno stato di fatto, che putito non esiste. Vi sarà un merito di logica nelle deduzioni dalie premesse: ma questa logica non approderà a buoii porto, perchè le premesse, donde sono inferite quelle deduzioni, non rispondono a quella realtà della vita, donde deggiono prender le mosse le. scienze sociali. E tale fu il risultato, che per la prima volta fu dovuto alla scuola di David Riccardo, che introdusse nell'economia le ipo-tesi, le formule, ie astrazioni a severità matematica, e così degenerò dalla gran scuola di Adamo Smith, elie rintracciò le cause della ricchezza delle Nazioni nella osservazione dei fatti sperimentali.
In ultimo si aggiunge da altri che I' Economia politica studiata nella storia sia opera utile ed uma-nitaria, perocché facendo ella conoscere all'uomo il suo tempo, gli disvela la genesi logica delle idee, che informano il suo secolo, e lo mette in armonia eon esso, in quella vece il metodo razionale, pre-sentandogli un tipo, che non risponde alla realtà storica dei fatti, lo colloca in una posizione o di conflitto o d'incertezza ; perocché o lo indurrà a riforme, che riducano questa realtà dissonante dal tipo ideale preconcetto, o lo assonnerà nel letargo di una cieca pratica senza tener conto di alcun lume teorico della scienza.
Io produssi gli argomenti precipui del sistema istorico e positivo in Economia in tutta la loro forza, e ccn le parole istesse dei suoi fautori.
Or io fermo ritengo che per questo metodo isto-rico la scienza economica si costruisce a metà. Io già osservai nella Prolusione al corso di
Enciclo-pedia giuristica che nelle elaborazioni scientifiche
delle discipline sociali le antitesi delle scuole sopra-tutto alemanne tra la speculazione razionalistica e
1 l'istoria, l'idealismo e il realismo, tra il formale e
il contenuto, fra l'ordine obbiettivo e subbieltivo, pon-gono a tortura la scienza ; che queste antitesi sepa-rano elementi e rapporti che, per la eterna essenza delle cose, debbono essere organicamente congiunti : che
* n o
6 L' E C O N O M I S T A 16 settembre 18 77 »
0 coll'altro membro di esso, pur leggiadro e gra-zioso (I). La seien/.a non è che l'ordine del pensiero
ripensante l'ordine della idealità e della realtà. Per
la qual cosa io penso che il pieno possesso della verità non possa ottenersi che coi duplice criterio dell' idea e del fatto, delia speculazione e della os-servazione, e clie le scienze sociali, e in ispecie la Economia politica si debba costrurre eoi metodo complesso di analisi e di sintesi, di razionalismo e di storia, di sperienze e di idealità, di osservazione e di sillogismo, di logica induttiva e deduttiva. Col puro metodo razionale non si formerà altro ehe una scienza chimerica, che sta nelle nuvole; e eoi solo metodo isterico non si costrurrà ohe una mera dot-trina empirica, clic giace, quasi dissi, nel fango.
Analizziamo l'organismo di questa dottrina empi-rica : e noi ne scopriremo i grandissimi difetti.
La scuola storica di Economia si pone sott'oechio 1 fenomeni della ricchezza sociale dell' epoca ehe si attraversa : dessa si limita a studiarli in sè stessi, come tanti fatti esistenti, a metterli in rapporto coi fenomeni economici delle epoche anteriori per sco-vrirne la connessione. Ecco tutto. Or io vi dico che una tale dottrina non è più scienza. Dessa non è più che una nuda istoria: ella descrive i fenomeni nel momento storico attuale, e ve ne addita la ge • nesi, ìa figliazione de'momenti storici anteriori : ella narra, e non giudica punto. Vi mostra il fenomeno d'oggi, e vi dichiara che desso ò stato determinato da quell'altro fenomeno di jori. È la storia del pre-sente nella continuità col passato. Ove è la scienza? Tu arriverai a conoscere ciò eh' è, ciò che fu, ma non mai ciò che debba essere per ragione. E fino a quando una dottrina non prenda le mosse da ve-rità somme, da principii universali, assoluti, arri-vando a conseguenze certe e determinate, si potranno avere zibaldoni, inventari, e, se vuoisi, arte, istoria; scienza, non mai. Perocché, come giustamente os-servò il signor D'Ippolito, la scienza è un lavorìo logico della ragione, la quale, non avendo il divino attributo di intuire direttamente la verità, ha bisogno di movere da veri già noti ed evidenti per giungere alla conquista di nuore verità. E queste, essendo deduzioni rigorose da quelli, che furono i punti di partenza, acquistano lo stesso grado di certezza e di evidenza dei primi ; e se la idea, donde si move, fosse oscura, o difettosa del carattere di verità as-soluta ed universale, certamente i veri, che se ne dedurrebbero, non potrebbero avere un grado di certezza maggiore, e allora non si avrebbe veramente una scienza.
Se non che il metodo isterico esclusivo non soltanto
(1) Prolusione al corso di Enciclopedia Giuristica,
p. X X V I I - X X X I I . Firenze, 1875.
implica il concetto negativo di scienza, ma altresì con-duce al risultato di una dottrina o inutile del tutto, o rovinosa alla vita economica dello Stato. Difatto o codesta dottrina economica si limita a descrivere il processo isterico dei fenomeni economici nel tempo e nello spazio, ed allora si riduce ad una pura con-templazione dei fatti, che non può avere alcuna di-rezione pratica alla vita intorno a ciò che debbasi, o convenga fare od omettere per ottenere il ben essere economico della società ; ossivvero intende dare ammaestramenti e regole di operare pei pre-sente e per l'avvenire: ed allora di nuovo o queste regole e questi ammaestramenti si estraggono dai fatti istorici traducendoli in formule, oppure da prin-cipii assoluti ed universali di ragione. In questa seconda ipotesi il metodo storico passa nel campo del metodo razionale. E nella prima si riesce all'as-surdo, che si giustifica tutto. Non v i . saranno più regole apodittiche per distinguere i buoni instituti economici dai cattivi ; e ogni cosa sarà buona al suo tempo e al proprio luogo. Allora non vi sarà fatto o fenomeno economico, per quanto repugni alle ragioni immutabili dell'eterna giustizia, e alle leggi immutabili della sociale felicità, che non sia buono e giusto; perchè nel sistema isterico la ragion d'essere del fatto è nel fatto stesso e nei suoi rapporti col passato: e però ogni fatto o avvenimento a suo tempo e luogo verrà santificato, e sia pur l'uno contrad-dittorio dell'altro a diversi momenti istorici, purché ci sia il tornaconto dell' interesse materiale. Allora col criterio meramente positivo e storico dovranno giustificarsi nel medio evo i reggimenti delle
mae-stranze e corporazioni d'arti e mestieri,' ed i sistemi regdamentari, a cui certo non mancavano le ragioni
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va ogni dì gettando delle masse di prodotti nuovi ; ragioni coteste, ehe spiegano storicamente l'institùto della libera concorrenza, e, che per buona ventura son diverse e separate da quelle che razionalmente 10 giustificano, e a dire il perfezionamento della produzione, lo sbassamento della ragione dei prezzi, la determinazione del giusto prezzo delle cose, l'eqaa proporzione fra ia produzione e il consumo, il re-golamento della distribuzione dei capitali, considera-zioni tutte razionali, nò già meramente istoriche, che fanno della libera concorrenza una legge di interesse
S O
generale e di tanta importanza, che ad essa lei è dovuto, al dire di Stuart-Mill, se l'economia politica ha qualche diritto al carattere di scienza; perocché quella è legge di ordine e di giustizia distributiva. Così ancora col criterio storico si giungerà ad affer-mare che tanto il lavoro libero, quanto il lavoro
schiavo, sono entrambo alla pari utili e giusti; questo
nell'antico mondo, quello nell'odierna Europa: ognuno al suo tempo ed al proprio paese; e di tale maniera non saravvi alcunché di per sé stesso giusto e ra-zionale nell'ordine economico. La scienza non avrà più nulla da proporre o da consigliare. Inchiodata sempre al momento storico, ella non mai potrà ad-ditar l'ottimo, nè insegnare i mezzi o le vie, onde accostarvisi o conseguirlo. Io sento profondamente la necessità inesorabile di un tipo ideale poggiato sulle sanzioni naturali applicate all' ordine sociale delle ricchezze, e pur confortate dai fatti : senza questo tipo ideale egli è per vero impossibile giu-dicare della bontà delle istituzioni al di sopra del tempo e dello spazio : ad ogni fase isterica noi do-vremmo far l'apoteosi dei fenomeni, e invece di guardarli in faccia per sentenziarli, se buoni o cattivi, saremmo costretti ad abbassare gli occhi, e tutti adorarli come ottimi.
Io ho !' intima convinzione che esiste un' ordine necessario di ragione economica, come esiste un'or-dine morale pubblico e privato. E però la seienza dell'ordine sociale delle ricchezze deve impiantirsi su principii sì certi, evidenti, e irrefragabili, come quelli dell'ordine fisico e morale. E per conseguente v' ha un criterio assoluto per estimare i fenomeni economici, come ve ne ha uno per discernere l'ordine giuridico il giusto dall' ingiusto, come nel-l'ordine ontologico ve n ' h a un altro per distinguere 11 vero dal falso : perocché egli sia eternamente certo che il vero nell'ordine della intelligenza, è il buono nell'ordine della volontà, il giusto nell'ordine giuri-stico, l'utile nell'ordine economico. Senza quest'ordine necessario di ragione economica, non rimane a base degli interessi più urgenti dell'umano consorzio, che l'arbitrio, il capriccio, l'egoismo ; e da allora la vio-lazione dell'ordine subisce inesorabilmente le sanzioni della Natura pronta sempre a punire eoi suo flagello i traviamenti della ignoranza, o le prevaricazioni dei legislatori.
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E per vero ella è consentita da tutti i più sapienti filosofi e giuristi la necessità di un archetipo
del-l'ottimo civile, che valga di regola sovrana e di
cri-terio legislativo per giudicare con certezza, nè già empiricamente, della bontà o della imperfezione dei sociali instituti da riformare o da instaurare. La ne-cessità di quesfi archetipo è attestata luminosamente dalle stesse aberrazioni dell'antico e moderno mondo, con cui si tentò di creare un modello ideale di so-cietà. Percorrete col vostro pensiero tutte le brillanti utopie dell'ottima congregaz one umana, da Platone a Saint-Simon, da Evemero ad Hnrrington, dai Millenarii a Fourier, da Campanella a Roberto Owen, da Tommaso Mòòro a O ' C o a n e r : in fondo a tutte voi vi vedrete le più solenni testimonianze dell'eterno bisogno del meglio, del desiderio indomabile di ac-costarsi a un tipo di perfezione ideale. Se voi non avete sott' occhio, scrivea il nostro Rornagnosi al prof. Sanese Valeri, il più alte punto di perfezio-namento ottenibile, potete mai accorgervi di che
manchi la cosa pubblica, e da qual parte dovete rivolgervi per andare avanti ? Queste scopo forma la stella polare della scienza, perchè forma il modello ideale, cui conviene raggiungere o almeno avvici-nare. La cosa è tale, che anco colla persuasione di non raggiugnerlo mai, egli serve di guida per fare tutte il bene che si può.
Or se egli è consentito che un modello ideale, un archetipo del perfette civile è di assoluta neces-sità nell'ordine sociale, come regola suprema per apprezzare e riformare le leggi e gli instituti giu-ridici dello Stato ; farà mestieri pur consentire la necessità di un archetipo dell'ordine sociale delle ricchezze, come criterio fondamentale, onde estimare e coordinare i fatti economici, i quali sono pur tanta parte dell'ordine e della vita civile. Perocché l'intero edificio della social convivenza consta di molti lati e si compone di molte parti: nè consente punto la ragione che siavi una regola architettonica per l'una parte, nè già per l'altre; e poiché l'ottimo civile si compone del benessere morale e materiale al più alte grado di perfezionamento, ne consegue che l'archetipo del perfetto civile deve del pari pre-siedere a tutti i suoi fattori, e a dire all'ordine mo-rale, giuridico ed economico della società. Chiede-telo alla forza etimologica della parola istessa, in che pur sempre sta molta filosofia. Economia suona essenzialmente ordine, con cui una cosa qualunque vien diretta dall'umano giudicio. Economia sociale non è descrizione della nuda e indefinita produzione, distribuzione e consumazione della ricchezza: altra cosa è l'istoria materiale dei prodotti e delle ric-chezze, ed altra la politica loro economia. Dessa è l'ordine sociale delle ricchezze : e quest'ordine con-siste in ciò che sia copiosa la produzione della ric-chezza, equa la sua distribuzione, facile e rapida la
532 46 settembre 1877
circolazione, e più vantaggiosa la consumazione. Or l'ordine presuppone ed implica una legge od un ar-chetipo.
Togliete queste leggi e questi archetipi, riducete il tutto ai momenti storici ; voi non avrete che una dottrina di fatalismo materiale : lo sviluppo del mo-vimento economico dell' umana società sarà quello dei vegetali. Erra a partito il Dunoyer quando ci consiglia di riguardare il mondo morale ed econo-mico all'istesso modo con cui i chimici ed i mate-matici studiano la materia e le quantità : nei feno-meni della materia, nei calcoli delle quantità tutto ò fatale, tutto necessario: non v ' h a alcun che di libero, di personale all'uomo: tutte le sue ricerche sono limitate a conoscere ciò che è, o come avvenga che una cosa sia: i concetti di diritto o di dovere non possono trovare in questo campo i loro termini essenziali di personalità intelligente e libera. Per onore della umana ragione noi non oseremo mai pensare, che l'economista od il filosofo debba con-siderare le libere azioni degli uomini al modo istesso con cui il chimico osserva che l'acqua sottoposta all'azione del fuoco passa allo stato di vapore, od il geometra considera in quali circostanze due linee formino un angolo. E vorremo noi dire che il pub-blicista non può affermare che l'uomo ha diritto ad
esser libero, perchè nò anco il chimico può dire che uno dei diritti dell' aequa sia di trasformarsi in gaz, nè il geometra può asserire che due linee ab-biano il diritto di formare un angolo?! Di questo
passo il Dunoyer, censurando una proposizione del Sismondi, che addimandava sola una spiegazione, potè arrivare alla conclusione, che l'economia non ha nulla da consigliare ai Governi; che governare non è proprio delle scienze ; clic le scienze osservano i fenomeni, nè già li governano ; che elle studiano la natura delle cose senza pretendere di regolarla ; che la vera economia non preteude punto di pre-siedere alla produzione delle ricchezze, e che si li-mita ad indagare come tali ricchezze si formino, e quali circostanze sien favorevoli o contrarie al loro incremento ed alla buona loro distribuzione. L'eco-nomia non ha nulla da consigliare ai Governi ! E il dice Dunoyer, il di cui splendido libro De la
li-berti du travati è un immenso e prezioso tesoro di
consigli ai legislatori ed ai governi, per la libertà del lavoro dalla terra e dal sottosuolo all' officina, dalla fabbrica alla scuola ! Il Dunoyer offende la lo-gica ad un tempo e l'economia. Lo mostrò fino al-l'evidenza il nostro Romagnosi, le di cui gravi ra-gioni mi si consenta qui di riassumere a vantaggio dei giovani studiosi d'Italia. Nel sistema del Dunoyer a che sarebbon ridotte le scienze ? A procacciare uno spettacolo di pura curiosità, e nulla più. Allora non varrebbe la pena di occuparsi cotanto di esse, perocché l'uomo non potrebbe far servire la natura
al proprio benessere. Da altra parte come le arti utili potrebbono essere dettate ed esercitate? Un cieco e fortuito empirismo dovrebbe regolare ogni cosa. Ciò non è tutto. È vero o no che con le arti si governa la natura, disponendo con precognizione i mezzi necessari ad Ottenere il dato intento? Que-sta precognizione è scienza. Ma da altra parte chi non sa che senza questa precognizione l'uomo non può ottener nulla di quello che si prefisse nell'ope-rare sulla n a t u r a ? L'uomo tanto può quanto sa, disse Bacone; ed appunto, poste le forze materiali, può perchè sa. Egli poi studia la natura delle cose appunto perchè pretende di regolarla. La sentenza del sig. Dunoyer è dunque un controsenso perfetto di quanto fu fatto, si fa e si farà sempre da tutto il genere umano. Hannovi certamente scienze
COn-tì
templative, tali I' astronomia, la storia naturale ed
altre; ma esistono pur anco scienze operative, come l'agraria, la medica, la morale, la politica. Più an-cora : lo studio delle scienze contemplative viene in-trapreso per condurre alle scienze operative. Nulla dunque v'ha di più falso della proposizione, che le scienze studiano la natura senza pretendere di rego-larla (4).
E di vero tanto dista che il governare non sia proprio delle scienze, secondo che il Dunoyer af-ferma, che per contro il governare forma l'oggetto immediato o mediato delle scienze. Egli è immediato, come nella morale, nella medicina, nelle arti di ogni sorta: egli è mediato, come nelle matematiche, nella fisica e simili. Desse osservano i fenomeni appunto per governarli ad utilità dell'uomo. Allorché Franklin studiava le leggi naturali del f u l m i n e , fu appunto per condurlo in una maniera innocua agli uomini. Nell'economia politica esiste una parte di fatto che dev'essere studiata, onde cogliere le leggi di impulso naturale degli affari economici. Ma evvi pur anco una parte di ragione che deve studiarsi, onde fis-sare leggi di ordine necessario ad ottenere lo scopo della economia. E siccome I' uomo lavora invano e lavora male, se non si vale delle tendenze stesse della natura, come l'idraulico lavora male o invano se non si prevale delle tendenze naturali delle acque; così lo studio della parte di fatto serve necessaria-mente a sistemare la parte di ragione Gotésta parte di ragione altro non è in sostanza che un complesso di fini e di mezzi, nei quali conviene far servire i poteri della natura alle intenzioni dell'uomo. Questa parte di ragione costituisce l'essenza propria della politica economia, come il dice lo stesso suo nome. Dunque è assurdo e disastroso il divorzio fra le due parti dell'economia, insinuato dal sig. D u n o y e r : e
( 1 ) G. D. R O M A G N O S I , Annali Universali di
16 settembre 1877 333
pur quando si trattasse di una semplice divisione dottrinale, dessa sarebbe soverchiente e ruinosa ; perchè di tal modo la scienza viene arrestata a metà del cammino. Non vuoisi negare a Dnnoyer che nelle scienze economiche si vuole indagare come le ricchezze si producano, e quali circostanze sien fa-vorevoli o contrarie al loro incremento ed alla loro buona distribuzione. Ma di grazia, qual è l'unica mira di siffatte indagini? qual è l'ultimo e supremo termine, su cui debbono riposare? quando trattasi delle virtù e dei vizii, qual è lo scopo e il termine della scienza ? Conoscere le une per conseguirle, e gli altri per evitarli. Cosi nel 1' economia vuoisi co-noscere le circostanze favorevoli all'incremento ed alla buona distribuzione delle ricchezze, onde e fife t-tuace, per quanto ò da noi, codeste circostanze; e del pari vuoisi la cognizione delle circostanze con-trarie, onde evitarle o rimoverle per quanto egli sia possibile. E quanto più positiva e specificata si è codesta cognizione, di tanto più ella è preziosa, e serve agli affari pratici. Talché le teorie generali propriamente non racchiudono fuorché la virtù di dirigere la mente a scovrire tali circostanze , piut-tosto che qualificarle, e dimostrar.le gli effetti favo-revoli o contrarli. Ora non è egli evidente che in questo studio si vuol governare la natura ? Posto che si tratta di agire con effetto preconosciuto, si tratta appunto di far servire la natura alla potenza dell'uomo; lo che appunto è governare.
Nè qui sta il tutto. Fra queste circostanze favo-revoli o nocive all'incremento ed alla giusta distri-buzione della ricchezza, pur vi figurano come po-tentissime e decisive la legislazione e l'amministrazione pubblica. Quali dunque saranno le grandi conclusioni dell' eeonomistn? Se egli non si arroga il diritto di stendere progetti articolati di legge e di regolamenti positivi, non crederà per fermo di aver adempito il suo ufficio, se egli, a mo' del fisiologo, del medico e del moralista, non avrà dimostrato che la tale o tal altra posiziono naturale o artificiale trae ordina-riamente seco il tal bene o il tal male; e però non avrà stabilito buoni aforismi economici, dei quali il legislatore e I' amministratore pubblico e privato si possono valere, onde conseguire il fine proposto dalla sociale economia. Prima che questi aforismi siano stabiliti, sarà mai sempre temeraria ogni teo-ria, vuoi fisica, vuoi morale o politica. Quando lo economista concepisca in questa maniera la scienza sua, ed in conseguenza ne tratti accuratamente, egli avrà reso il miglior servigio alla cosa sociale. Ad-ditando i beni ed i mali d'ordinario inevitabili delle date combinazioni, egli avrà in sostanza preparata la legge o il precetto colle loro irrefragabili sanzioni naturali. Ora egli è evidentemente impossibile arri-vare a codesto risultato col metodo storico delle scuole tedésche.
Io sovente mi posi a meditare sulla logica del metodo storico delle scuole germaniche di economia, onde trovare la profonda ragione, che abbia indotti sì illustri e sapienti maestri a tenersi paghi di in-vestigare le forme storiche dei fenomeni economici, senza mai risalire ai principi! sintetici che valessero di regole direttive ed assolute alla buona economia delle nazioni; la qual cosa è finora sfuggita, quanto io sappia , alle osservazioni di tutti gli scrittori. E se io grandemente non erro, parmi che il sistema di queste scuole abbia le sue profonde radici nella filosofia Hegeliana. Tanto gli è vero ciò, che altrove notai, che la filosofia moderna, sopritulto l'alemanna, ha questo carattere, che una sola deduzione logica, assoluta e severa, genera e produce tutte le cogni-zioni che costituiscono le diverse sue parti , per guisa che in esse tu non vegga in l'ondo che lo stesso ed unico principio, che vi si incarna, atteggian-dosi e prendendo l'orme ed aspetti speciali in di-stinti momenti ili manifestazione: il perchè tutto II valore delle particolari teorie emana dal valore delle prime premesse, e si regge o cade con esse (I).
Nessuno ignora che nel si.-te ma filosofico di He-gel v'ha identità assoluta del reale e dell 'ideale, del soggettivo e dtìWoggettivo, della ragione divina ed umana. Il puro pensiero, impersonale, è VAssoluto, l'Uno Dio. (.'intiero mondo, in tutta la realtà della vita, non è ohe l'analisi di questo pensiero senza soggetto. Il tempo, gli avvenimenti, i l'atti non sono che un 'affezione immutabile e" necessaria di quel pensiero infinito, una semplice modificazione dello
Assoluto. La suprema attuazione di Dio in sè è Io
Stato, e il suo sviluppo graduale è la storia del mondo. Questa istoria non è più una successione di accidenti capricciosi e fantastici, una serie arbitraria di apparizioni e risorgimenti, di decadenze e di suc-cessi: dessa è il risultato provvidenziale dei disegni di Dio, e dei destini dell'uomo. Tutta la storia, tutta la creazione è una grand'opera d'arte, l'eterno svi-luppo di uno spirito potente e profondo ; identità della necessità e della libertà, la storia è divina come la natura. Elia non è che Io esplicamento dello spirito universale. Gli Stati, i popoli, gl'individui rappresentano in questo sviluppamento un principio determinato che li costituisce, di cui eglino hanno coscienza, e che fa la vita loro. Un popolo con tutti i suoi fatti non esiste nella storia dei mondo, che per rappresentarvi una idea necessaria: questa è i a epoca sua : allora mentre egli è l'agente dello spi-rito universale, gli altri popoli sono di fronte a lui senza forza e senza diritto; l'epoca loro è finita, e dessi non contano più nell'istoria del mondo. In
(1) Prolusione al Corso di Enciclopedia giuridica,
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questo panteismo, Dio, mondo, storia sono una cosa sola : è desso il razionalismo oggettivo già procla-mato da Spinoza. E per esso si apriva necessaria-mente alla conclusione, che tutti i fatti istorici si debbono rivestire della legittimità filosofica, perchè la storia è la sacra e pura manifestazione
dell'Ms-soluto. Da qui il famoso pronunciato di Hegel : Tutto ciò che è razionale, esiste ed è reale; e tutto ciò che è reale, è razionale. Soltanto in codesto sistema
io posso intendere il criterio storico della scuola Alemanna di Economia : ella, movendo dalla filosofia Hegeliana, può ben contentarsi della storia dei feno-meni economici, senza preoccuparsi di formulare archetipi ideali, o regole direttive a priori : la storia alla data epoca, e presso a un dato popolo, è la ra-gione istessa : ciò che è reale, è razionale, ciò che è, è ciò che dev'essere. L'Economista di fronte ai fenomeni della ricchezza, è come il Giurista in pre-senza ai fenomeni della giustizia. Questi non si preoccupa di ciò, che debba fare I uomo, acciò il diritto si trovi, e si faccia prevalere : egli basta sol-tanto riflettere per conoscere che cosa accada: il diritto fatalmente vegeta, e apparisce nella storia: la riflessione non fa che seguire l'azione, la quale perciò non è libera: quillo che dev'essere, è; nè più si tratta che di intenderlo come cosa necessaria. Io qui non istarò a confutare cotesta filosofia tra-scendentale : il fecero di già i nostri filosofi sovrani che la mostrarono cavernosa, svaporata, puerile me-tafisica, avvolta in gergo sibillino, sterile spettacolo di voli dell'umano pensiero nel caos della idealità, che nulla dicono alla coscienza, per quanto valgano alla faticosa ginnastica della mente. E perchè non si creda non esser consentito al solo palato degli italiani il gustare tanta squisitezza di cibo, valga il ricordare il severo giudicio del celebre Stahl, pro-fessore all'Università di Berlino: « l'idealismo og-gettivo di Hegel non è meno dell'idealismo sogget-tivo di Fichte un puro mondo di sogni: l'unica differenza si è che, per difetto di soggetto, in quello pur vi manca chi sogna ! » (d)
Se non che il sapiente professore di Lipsia, Gu-glielmo Roscher disse strano vaneggiamento cotesto archetipo ideale nell'economia, per ciò che si do-vrehhono foggiare tanti di questi tipi ideali, quanti sono i caratteri dei popoli, rimutandoli poi tratto tratto per le singole mutazioni dei sentimenti e delle condizioni nazionali. Ma se io grandemente non erri, egli parmi che il dottissimo professore abbia con-fuso l'elemento scientifico coli'artistico della dottrina sociale. La quale si compone di due fattori: l'uno è sintesi deduttiva, l'altro analisi osservatrice e
spe-li) F. G . S T A H L , Storia della Filosofia del Diritto,
voi. Il, lib. V. cap. 4.
16 settembre 18 77 »
i rimontale: in quello si contengono principii assoluti; in questo modalità contingente di forme. Ora le varietà modali rei sentimenti e nelle condizioni dei | popoli non escludono ed anzi implicano la unità dei ; principii fondamentali e la identità delle somme
leggi nel movimento universale dell'uman genere. E sempre la legge sovrana dell 'unità nella varietà. La sposizione positiva delle varietà modali è storia, e laddove sia diretta all'applicazione pratica della vita diventa arte: ma la serie ordinata dei principii e delle somme leggi è scienza: ed egli è tanto as-surdo voler costrurre la scienza senza un archetipo ideale, quanto descriver ia storia senza un
relati-vismo contingente nel tempo e nello spazio. — La
scienza rimane inconcussa ed immutabile nella so-stanza dei principii : l'arte e l'istoria procedono sem-pre variabili nelle modalità contingenti. Egli invero è indubitabile che in fondo ai fatti, ai fenomeni, agli instituti sociali di ogni luogo e tempo, malgrado le contingenze e le varietà di l'orma e di modo, si scuoprono certi punti di convenienza, che quasi leggi universali e comuni governano i fatti mede-simi e li rannodano ad un principio sostanzialmente identico. La potente logica si fa di essi come una scala per salire alle idee madri e costrurre l'arche-tipo della scienza. 0 vorremo noi negare che, nel-l'ordine fisico e morale, di sotto alle contingenze del tempo e alle differe ti modalità dei fenomeni, preesi-stono sempre e dovunque leggi sovrane ed assolute? 0 nelle storiche evoluzioni diremo noi non esistere principii e leggi universali che presiedono ai destini ed alla civiltà del genere umano? 0 nei fatti eco-nomici, nei fenomeni delle ricchezze, non potrà il profondo pensatore, sollevandosi al disopra delle pure e semp'ici contingenze storiche, scorgere un ordine, una legge che valga di norma in ogni luogo e tempo? Con la logica del Roscher sarà un folle va-neggiamento, una filosofia della storia, se a traverso alla infinita varietà di tante storiche contingenze non sia dato risalire, colla prodigiosa sintesi del Vico, alle leggi astratte e universali del movimento storico dell'uomo e della società. Colla logica del Roscher sarà mestieri rinunciare ad un archetipo ideale nella scienza del diritto, perchè sarebbe d'uopo formare tanti tipi ideali quante sono le varietà di caratteri e di condizioni dei popoli. 0 i ella scienza del diritto penale e del diritto amministrativo si dovranno fare tanti tipi ideali, quanti sono ì caratteri delle civiltà nazionali? Il vero si è che le varietà reali nelle contingenze storiche dei popoli nulla provano contro l'archetipo ideale delle scienze sociali. E la negazione di quest'archetipo in nome di quelle varietà sarà sempre una esagerazione sconfinata della scuola sto-rica. Per me esiste una filosofia della ricchezza, come esiste una filosofia della politica, del diritto e della morale.
16 settembre 1877 L' E C O N O M I S T A 355
Si dirà per avventura che la scienza economica, ! fondata su quest'archetipo ideale, non sia più che una brillante, ma vuota chimera, perchè costrutta sulle astrattezze, non sempre risponda alla realtà storica della vita? Ma da allora con la stessa logica | dovrebbe condannarsi la scienza della fisica di fronte alla meccanica applicata, perocché quella annuncia e dimostra le pure leggi del moto, astraendo dalle , condizioni di attrito ed altretall dei corpi, mentre la meccanica prende a calcolo condizioni siffatte nello applicare le leggi del moto alle macchine. Allora dovrebbe del pari condannarsi la fisiologia che ti mostra le leggi del corpo sano, astraendo dai morbi e. dalle condizioni patologiche che pur troppo per-turbano quelle leggi. Ma da quando la ragione pro-scrisse l'ordine ideologico per ciò che desso non sempre risponde all'ordine reale? Egli sarà sempre necessario l'ordino dei prineipii, quasi tanti tipi e modelli di perfezione, a cui l'umanità dovrà mirare nel procelloso mare delta vita, come ad un faro onde approdare al glorioso porto. Ehe se voi non avete fede in un archetipo ideale, io perdo ogni fede nel progresso della umana famiglia : perocché pro-gresso senza il termine di una mèta suprema da raggiungere, è un assurdo: e progredire è un suc-cessivo avvicinarsi al meglio ed all'ottimo; e le evo-luzioni storiche dei popoli, quando non fossero indi-rizzate a un tipo di perfezione, potrebbero costituire sì bene un movimento, fu a un vero progresso non mai. Vaneggiamo noi come il Roscher ci accusa? Vaneggiano dessi i sommi penalisti quando propon-gono un archetipo ideale di sistema punitivo per ciò che ad esso non corrispondono i Codici positivi j dei popoli? Folleggiarono Romagnosi e Guizot allor-ché con profonda scienza delinearono il tipo archi-tettonico del perfetto incivilimento sociale, per ciò che desso non corrispondesse esattamente allo stato reale e positivo dei popoli? La filosofia del diritto è forse una scienza chimerica, perchè costruisce uno stato ideale giuristico, a cui la vita civile deve ognora più accostarsi con uno svolgimento progres-sivo? Vaneggia per avventura l'Estetica quand'eila ti propone un tipo sovrano del Beilo ? Vaneggiò stranamente Cicerone quando modellava l'ideale del perfetto oratore, quantunque egli pensasse non es-servi stato per avventura alcuno che lo avesse rag-giunto? Vaneggiò egli Platone quando imprese a descriver le forme delle cose, le idee, e dicévale ingenite e viventi sempre nella.ragione e nello intel-letto, e tutte le altre cose affermava nascere, variare, declinare e perire, uè mai per lungo tempo rima-nere fisse ed immutate? — Nè quell'artefice, dicea Tullio, che volea effigiar Giove o Minerva, contem-plava qualcuno per ritrarne la somiglianza, ma sì ispiravasi a certa esimia forma di bellezza, alla quale mirando smanioso, componeva l'arte e moveva la
mano. Nè vorremo pensare abbiano vaneggiato gli antichi Greci, quando studiarono ed ingentilirono tanto il tipo ideale del Bello, specialmente nell'ar-chitettura e nella statuaria, che desso addivenne eterno modello alle odierne scuole, e sì che i lavori istessi di Miclielangiolo e di Canova non faranno mai dimenticare le statue di Fidia e di Prassitele. E siccome Grecia fu sovrana per l'archetipo del Bello, Roma la fu per l'archetipo del Giusto: nè mai si dirà fosse vana metafisica il tipo ideale d' giustizia, che fu imposto al Patriziato Romano, quando si ricordi ehe quel tipo generò l'eguaglianza civile e politica di tutto il popolo, e trasformò passo a passo il diritto fino alla equità naturale dell'editto pretorio ed alla semplicità del gius delle genti.
Or io domando se ci permetta la logica di negare ogni virtù fecondatrice al tipo ideale dell'une, che pur si concede al tipo ideale del belìo e del giusto, dappoiché son dessi i tre fattori, che costituiscono e riassumono tutta quanta la civiltà della umana specie. Or l'ordine economico rientra essenzialmente nel tipo ideale dell' utile. Duuque o è pure uno strano vaneggiamento un archetipo ideale del buono nella Morale, del giusto nel Diritto, del bello nel-l'Estetica, o se non lo è, noi sarà del pari un tipo ideale dell'utile nell'Economia sociale.
Pisa
P r o f . G i o . DE GIOANNIS GIANQUINTO.
(Continua)
IL LUSSO E LE FORME DI GOVERNO
Sotto questo titolo quel chiaro ed eloquente eco-nomista che è il signor Baudrillart pubblica un arti-colo nella Revuc des deux mondes del 1° settembre e noi crediamo rìon senza interesse il riferire con-cetti più importanti espressi dall'egregio scrittore. La maggior parte degli scrittori politici hanno consacrato ai rapporti dello Stato col lusso privato e pubblico considerazioni più o meno estese. È ab-bisognato inoltre che i legislatori dessero una solu-zione a queste questioni che si possono annoverare fra le più diffìcili, perchè si tratta di fissare dei li-miti sempre indecisi fra il compito del Governo e l'azione individuale.dispa-356 L' E C O N O M I S T A
rire, e la legge fissa il maximum di questi consumi. Col l'affermarsi del principio monarchico, prevalendo le memorie del diritto romano, l'intervento diventa frequente, si facevano ancora deile leggi suntuarie sotto Luigi X I V ; oggi non se ne fanno più, ma si continua a ricercare se nella tassazione di certi prodotti e di certi rami di industria e di commercio 10 Stato avrà riguardo al carattere morale o no, necessario o no del consumo. I meno moderati vo-gliono delle imposte contro il lusso, i più moderati accettano, reclamano talvolta delle tasse sul lusso.
Quanto al lusso pubblico, lo Stato non saprebbe mettersi affatto fuori di causa, ma elfi gli attribuisce una prima parte, chi riduce il suo ufficio pressoché a nulla. Lo proporzioni del lusso pubblico si sono molto ristretto per noi moderni. Si tratta solo ormai di poche feste e soprattutto dell'intervento del Go-verno sotto l'orma di direzione e di sovvenzione nel dominio delle belle arti.
Quella che può chiamarsi politica del lusso si ri-collega alla questione delle forme di Governo. Giova considerare l'argomento al lume della storia per ri-cavarne verità di cui possiamo profittare.
Si prenda a questo proposito la classificazione usata di monarchia, aristocrazia e democrazia senza dimenticare che spesso si hanno forme miste, senza confondere il Governo colla Società, che può es-sere di indole diversa, monarchico per cs: il primo democratica la seconda per la sua interna organiz-zazione, e tenendo conto delle differenze fra lo Stato antico e moderno.
Secondo Montesquieu, che discepolo dell'antichità non discerno sempre le condizioni della vita moderna, che ritiene la proprietà esser nata da una conven-zione della legge, il lusso è « tuttociò che eccede 11 materialmente necessario eguale presso tutti » donde conclude « che le ricchezze particolari non essendo aumentale che perchè hanno tolto a una parte dei cittadini il materialmente necessario, bi-sogna che questo sia loro restituito. » I Governi sono i soli che in varia forma secondo le differenti istituzioni sieuo in grado di obbligare i ricchi a fare questa restituzione. La monarchia richiedendo il lusso il ricco restituisce spendendo molto, l'aristocrazia volendo la moderazione imporrà delle leggi sutuarie la democrazia vorrà queste leggi a nome della egua-gunglianza e stabilirà la imposta progressiva.
Montesquieu, uomo di genio e ammirabile per molti lati, non ha meno per questo su molti punti delle idee o troppo vaglie o false. Nell'argomento in questione egli subordina troppo spesso delle verità essenziali a pretese convenienze politiche sia per stabilire delle regole, sia per motivare delle ecce-zioni.
Quando si parla dei rapporti del lusso colla mo-narchia, bisogna mettere da parte il dispotismo puro.
La monarchia assoluta presso i moderni ha in-contrato sempre delle barriere legali o almeno mo-rali. A maggior ragione ciò può dirsi delle monarchia temperata e di quella rappresentativa, la quale ultima sembra offrire colle precedenti una differenza di na-tura, avendo a base il diritto popolare e muovendosi nel cerchio delle leggi e della costituzione.
Il lusso dispotico rivestirà il carattere di una fan-tasia disordinata, alle cui brame sfrenate la natura delle cose oppone ostacoli insuperabili; di qui quel furore che assume nelle forme, di qui i tentativi smisurati, le opere colossali, i capricci malsani, le follie senza nome. Il dispotismo nel lusso è sempre lo stesso. Caligola non è una eccezione, Claudio più bonario è costretto a subire gli stessi mali, nè la corruzione romana è neppure essa una eccezione. La storia dell'imperatore Chevu-Sin, mille e cento anni avanti l'era volgare, vale quella di Eliogabalo. Gli esempi si possono moltiplicare, essi mostrano che si è piuttosto diminuito che esagerato la parte del lusso e della cupidigia nei delitti del dispotismo. La massa partecipa ai piaceri, ma paga le imposte e paga colla persona, come si vede a partire dalla costruzione delle Piramidi. Il male del despota si attacca ai ricchi, i quali non solo per gusto, ma quasi per necessità dissipano ricchezze malsicure e sempre minacciate. Oggi l'Oriente ce ne fornisce la prova
La monarchia assoluta moderna, anco la francese, non ha il lusso sfrenato del dispotismo orientale e romano. Le dissipazioni di alcuni re, nobili e favo-rite di re ne sono molto lontane. La monarchia as-soluta ha potuto sacrificare molti uomini per un fine ambizioso, ma non lo ha fatto per gustare quasi una voluttà nuova. Ciò non toglie l'eccesso del lusso nella corto, e le cariche numerose dei parasiti e gli imbarazzi finanziari conseguenti. Le donne, come oggetto dì regio lusso, hanno avuto più del dispo-tismo parte nella rovina generale; questa è stata una delle invenzioni più originali della vecchia mo-narchia. Il regno delle favorite ha costato di più che tutti gli harems. Anco nelle arti la monarchia assoluta, malgrado i suoi vizi, è superiore al dispo-tismo puro, che ha prodotto opere colossali senza gusto, ovvero opere di una grazia falsa o di una mollezza snervante.
L' E C O N O M I S T A 357
Perchè una semplicità almeno relativa sembri conciliabile colla monarchia, occorrono grandi muta-menti nel giudizio degli uomini, grandi rivoluzioni nella società. « La monarchia si spoglia allora di quelle magnificenze che ricordavano sia la sua con-sacrazione religiosa, sia la sua brillante gioventù, mescolata alle avventure feudali. Non più mistero sulla sua culla. » Ecco l'epoca delle rnonacrhie co-stituzionali, in cui la parte simbolica del lusso regio scompare per lasciare il luogo ai limiti di ciò che nel linguaggio severo della contabilità si chiama « la lista civile, » Il lusso potrà quà e là essere-un episodio, ma non fisserà più l'attenzione dello storico come un elemento del potere, come un fatto che tocchi agli interessi più essenziali del popolo. •
L'aristocrazia, considerata come classe governante, comincia colta semplicità e non riesce al lusso che degenerando. Basterebbe a questo proposito l'esempio della aristocrazia romana e della nobiltà francese.
Bisogna distinguere le aristocrazie territoriali — che quasi dappertutto e per un tempo più o meno lungo hanno presa la forma di feudalismo — e le aristocrazie commercianti.
L'aristocrazia feudale ha avuto il suo lusso rico-noscibile a certi tratti generali, numero di servitori esagerato, ospitalità sovrabbondante, profusione in-credibile nella-tavola, grandi caccio, ricchezza di abiti e di armi, splendori che si spiegano nelle guerre, nei tornei, negli ingressi solenni.
Anco spogliata dei caratteri che costituivano la feudalità, l'aristocrazia territoriale ha ritenuto qual-cuno di questi tratti, addolciti dalla civiltà. Questa nuova aristocrazia territoriale ha sovente per le arti, pel lavoro, per l'agricoltura un gusto ignoto ai vecchi tempi, in Inghilterra alcuni di questi nuovi ricchi entrati nell'aristocrazia sempre aperta, sembrano an-tichi. Colà c'è gran differenza fra il lusso severo e non senza grandezza dei proprietari territoriali e quello meschino dei mercanti arricchiti.
Le aristocrazie commercianti offrono tratti diversi da quelle territoriali. Esse amano più particolarmente i raffinamenti sensuali. Però sono più econome, per-chè l'abitudine degli affari corregge il gusto della prodigalità. Sanno sempre quello che spendoao, e questo costituisce un limite alle profusioni. D'altronde esse hanno sulle aristocrazie territoriali il vantaggio di avere acquistato la loro fortuna col lavoro, lavoro che debbono continuare se non vogliono andare in-contro alla decadenza. Il loro lusso in qualche modo è utilo e giova alle arti.
Finalmente non bisogna confondere il lusso ari-stocratico col lusso nobiliare, soprattutto con quello della nobiltà della corte. Questo ha avuto una su-periorità che non potrebbe negarsi. Nonpertanto esso ebbe grandi eccessi almeno nei grandi signori. Il loro lusso è effìmero e più frutto di vanità che di orgoglio, prodigo, indebitato.
Quanto alla democrazia, non è vero che essa re-spinga il lusso. La storia antica smentisce questo pregiudizio e lo smentisce lo sguardo più superficiale che si dia alle società moderne. Le repubbliche non si consacrano più alla povertà. La Svizzera stessa ha veduto arricchire i suoi cantoni.
La democrazia moderna ammette la ricchezza e vuole la libertà, e a questi due titoli autorizza tutta la somma di lusso compatibile colla morale e colle prescrizioni della economia politica. Essa produce e può produrre quanto al lusso del bene e del male.
L'abolizione del monopolio e dei privilegi, che esagerano il lusso, tende a moderarlo. Il lavoro li-bero e responsabile e l'uguaglianza contribuiscono a produrre il medesimo effetto. La proprietà territo-riale tende a dividersi e la necessità di economizzare in tali condizioni si accrescono.
Il concentramento dei capitali che ha creato nn certo numero di grandi capitalisti, ha creato insieme un lusso nuovo, che ha i suoi lati buoni e i suoi lati cattivi, ma a ogni modo si tratta di un'eccezione e le cupe profezie non si sono avverato. — Questa classe temuta da 50 anni si può dire che non è nata, e i capitali diffusi si mescolano alle grosse ag-glomerazioni create dal credito.
D'altra parte l'industria come la democrazia ri-chiede lumi e libertà. Il suo sviluppo tiene alla estensione degli sbocchi. Fa più affari con una mol-titudine comoda (die con pochi opulenti. Se il gran lusso resta raro e costoso, il lusso medio e piccolo mediante le industrie artistiche si trova largamente sodisfatto, e in tuttoeiò io spirito democratico ha avuta la sua gran parte di influenza.
Un lusso più comodo e generale tende in tal guisa a sostituirsi al lusso fastoso dei pochi. Oltreché non è detto che necessariamente l'eleganza abbia a per-! derci, l'uomo è liberato da grandi noie, la nettezza
e la proprietà divengono abitudini più generali, il contrasto fra il ricco ed il povero diventa meno appariscente, ed il lato morale si avvantaggia per tultociò.
Ecco ora il male, i pericoli per lo meno. « L'egua-glianza restringe molto il gran lusso, ciò 6 inconte-stabile; ma la società non può essa offrire questa situazione singolare in cui tutti desiderano con una passione sfrenata un lusso mediocre? »
14 L' E C O N O M I S T A 16 settembre 18 77 »
sotto l'influenza della democrazia, come dimostrò il Tocqueville.
Non ci si contenta del necessario in modo stazio-nario, come il vecchio comunismo. Si vuol salire. 1 sogni troppo innocenti han perduto agli occhi della democrazia il loro prestigio. Dal 1830 in poi s'è mutato intendimenti, non si è più voluto che tutti fossero poveri, ma che tutti fossero ricchi. Inebriati dai successi della industria e dai progressi ottenuti, si corre al conseguimento di un paradiso sulla fede della teoria filosofica della perfettibilità indefinita. Ecco l'utopia moderna.
Dalla brama di eguaglianza sono nate industrie ingegnose. Il lusso d'imitazione, questo figlio del-l'eguaglianza bugiarda, contraffa lutto. Ma quanti godimenti che non si contentano di apparenze! Il rimedio a questa malattia non è possibile trovarlo nelle conbinazioni politiche o in una economia so-ciale che immagini nuove organizzazioni del lavoro, del capitale e del credito. « A un tal male la reli-gione e la morale indicano dei mezzi di guarireli-gione; il mondo esteriore coi suoi godimenti e la società coi suoi accomodamenti economici o politici non hanno che a confessare la loro impotenza. »
« Conclusione inevitabile: nè la storia, nè l'analisi filosofica permettono l'ottimismo ne! modo di apprez-zare alcuna forma di Governo quanto a questa pas-sione dei godimenti sensuali o vanitosi, a cui si è dato il nome generico di lusso. I partigiani di cia-scuna di queste forme hanno fatto i quadri più vivi del lusso abusivo sviluppato dalle istituzioni che essi condannano. Questi quadri sono in generale esatti, sebbene qualche volta il colore sia troppo cupo. La monarchia e l'aristocrazia sono state l'oggetto di queste pitture vendicatrici. A torto lo spirito demo-cratico, che le ha tracciate più di una volta, si cre-derebbe esente dai pericoli che la questione solleva. Nessuna forma sociale e politica ha il diritto di as-sumere a questo riguardo un tono di superiorità or-gogliosa, e di abbandonarsi ciecamente a una su-perba e confidente sicurezza. »
Il Congresso per la riarma e la codificazione
DEL
DIRITTO DELLE GENTI
Gli uomini benemeriti della scienza che si sono prefissi lo scopo di estendere lo sviluppo e di rin-vigorire la forza dei principii internazionali si sono riuniti quest'anno nella città di Anversa negli ultimi giorni di agosto e nei primi del mese di settembre. Salta agli occhi di tutti il contrasto non privo di
significato, che porgeva l'ironia degli eventi in questa circostanza, in cui in un angolo di Europa sedevano uomini insigni per autorità e per dottrina a discutere dei mezzi più atti ad assicurare la pace fra le na-zioni, mentre in un'altra parte una guerra orribile e devastatrice spargeva senza freno i suoi flagelli. Il Congresso attuale ha cambiato alquanto il carat-tere che gli fu dato all' epoca della sua fondazione che ebbe luogo a Bruxelles nel 1872, dietro l'ini-ziativa della Società degli Amici della Pace degli Stati Uniti ; benché fin dalle prime contasse nel suo seno giureconsulti eminenti non si staccava dalle tradizioni degli antichi Congressi della pace e si proponeva per oggetto di stabilire una corrente irre-sistibile di opinioni e d'idee che preparasse il regno della paco universale.
Il secondo Congresso tenuto a Ginevra conservò questo carattere più filantropico che giuridico, ma l'anno successivo alla Aja, le questioni d'interesse cominciarono a prendere il posto delle speculazioni teoriche, si cominciarono a restringere le questioni puramente politiche per accordare un poco di posto a questioni di un carattere più scientifico concer-nenti i rapporti di diritto esistenti fra le varie na-zioni. Questa evoluzione si pronunziò maggiormente nel successivo Congresso tenuto a Brenta, città emi-nentemente commerciale in cui si rese più sensibile il bisogno di mantenersi in una sfera più pratica e positiva e finalmente nel Congresso di quest'anno la trasformazione può dirsi completa ; dacché i suoi lavori si sono aggirati sopra le più gravi questioni del diritto delle genti, e non solo sopra quelle a cui può dar luogo lo stato di guerra, nei rapporti fre belligeranti e fra neutri, ma sopra qnelle ancora che presuppongono lo stato di pace e che sono in-tese ad agevolare i rapporti ed il commercio inter-nazionale.
Cosi Io scopo di evitare i conflitti armati fra le nazioni è proseguito dal Congresso inlirettamente, cercando di unificare gli usi del commercio, di ren-dere uniformi per quanto sia possibile le legislazioni dei vari paesi, e di avvicinare tutti i popoli mediante la reciprocanza dei buoni sentimenti.