L'ECONOMISTA
GAZZETTA SETTIMANALE
SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE. INTERESSI PRIVATI
Anno IV - Voi. Vili Domenica 2 settembre 1877 N. 174
LA QUESTIONE DEI BANCHI IN ITALIA
(Continuazione, vedi N. 1118, 169, 170 e 171)VI
Noi stimiamo assai l'ingegno e la dottriua di Marco Minghetti, e ci onoriamo di essere, nel novero dei suoi discepoli, tra coloro che hanno colto tutte le occasioni per rendergli pubbliche testimonianze di ammirazione. Egli ha recato dei grandi servigi alla economia politica, e il suo nome corre l'Europa come una grande illustrazione del nostro paese, e cooperò efficacameute a far valere all'Italia la reputazione di essere nazione liberale e sapiente.
L'importunza a cui giunse nella scienza il nome di Marco Minghetti ci fa dubitare che le più incon-cusse verità non bastino a salvare dalle improvvise aberrazioni le menti più robuste per coltura e per talento. Come Sismondi, verso la fine della sua vita, cadde nel dubbio, confondendo le immutabili lessi della economia cogli infiniti errori della politica, il sig. Mingetti proclamò, a sostegno del suo progetto ministeriale sulla circolazione cartacea, i suoi sospetti sulla libertà. Se, per le esigenze e per gl'impegni della tattica parlamentare, non avesse ottenuto la re-missione di coloro che spiegano i falli degli uomini di Stato colla troppo famosa massima che il fine giustifica i mezzi, il discorso che il sig. Minghetti pronunciò alla Camera dei deputati nella tornata del 10 febbraio 1874, ci avrebbe fatto vedere nel-l'insigne economista la inconseguenza che perdette il Sismondi, quando nella Enciclopedia di Brewster pubblicò lo schizzo di quei principii nuovi, che si chiamarono nuovi sol perchè erano molto antichi.
Chi mai poteva attendersi dal Minghetti queste parole?
« È egli veramente dimostrato in modo « assoluto dalla scienza che ogni privato, ogni isti— « tuto, ogni banco abbia naturalmente e normalmente « il diritto di emettere il biglietto pagabile al latore? « Che questa, trent'anni or sono, quand' io studiava « economia pubblica, sia stata una teorica sostenuta « dagli economisti, non vi è dubbio alcuno. Ma d'al-« lora in poi la scienza ha progredito. La economia
« politica è nata come una scienza di opposizione: « avendo trovato il mondo avviluppato di pastoie e « stretto di ceppi che impedivano ogni libertà di mo-« vimento, ha voluto romperli tutti. Ma questa sua « nobile corsa ed utile al progresso della umanità « qualche volta è passata al di là dei giusti termini. « Oggi però in Europa tende a prevalere quella « scuola alla quale debbono informarsi tutte le scienze, « la scuola sperimentale. Questa scuola ha corretto « molte induzioni che si credevano verità inconcusse « fino a ieri Sarebbe tempo che noi liberali « avessimo il coraggio di guardare in viso certi ar-« ticoli di fede che abbiamo ereditato dai nostri mae-« stri e che difendiamo a occhi chiusi, pretendendo « che nessuno osi contrastarli; e pare quasi che « ci faccia paura il lume della critica. La scienza « ormai non rispetta più nessuno di questi articoli « di fede, e non ne ha rispettati di ben più gravi; « però noi dobbiamo coraggiosamente sopportare la « critica ed accettare la discussione anche su quei « principii che da un secolo si tramandano come « se fossero verità sacramentali, sulle quali non si « dovrebbe più tornare senza taccia di eresia. »
Dei discorsetti sul fare di questo — sonanti di frasi ad effetto, le quali aprono porte sfondate, od esprimono vaghi sentimenti, indeterminati, indefiniti, e sfuggono, invocandola con grande presunzione, la dialettica scientifica — se ne udirono parecchi in Italia da tre o quattro anni a questa parte, dacché qualche declamatore sorse ad inveire contro coloro che « pretendono cristallizzare la scienza, » anziché farla progredire secondo i criterii ed i fini di chi la vorrebbe mancipia della ragione di Stato.
prin-282 L' E C O N O M I S T A 2 settembre 1877 cipii, gli agi o la tranquillità della vita; e dall'altra :
sono uomini attivi, abili, solidariamente legati in ta- j cita associazione di mutuo soccorso e di mutuo in-censamento per incarnare nelle loro persone il Go- , verno e la supremazia del paese. I deboli, i paurosi e gli astuti trovano facile modo di emergere, hanno sempre aperta una via a salire sugli altri senza merito e senza fatica. Impiegati nelle pubbliche am-ministrazioni, dall'usciere al ministro ; insegnanti, dal maestro di villaggio al professore di Università; medici, ingegneri, magistrati, ecc., a tutti è offerto un pretesto di partecipare alla lotta : la scienza eco-nomica, fatta strumento di partito, ha larghe braccia
per stringere nel suo seno quanti vogliono, col proprio tornaconto, cooperare alla esaltazione dello Stato. In tali condizioni è una grande sventura che uomini insigni come il Minghetti si compiaciano di cogliere le grandi occasioni per fortificare nell'intelligenza dei volghi l'errore. « A me non duole tanto l'inganno suo, esclama il Ferrara, quanto il pensare agli effetti che l'autorità delle sue argomentazioni dovrà pro-durre. Il pubblico, la gioventù studiosa e inesperta, dando alle parole del maestro il peso che meritano, potrebbe da oggi in poi credere che chi parla di libertà in materia di banchi, parli di un pregiudizio decrepito. »
E soggiungeva ;
« Gli è vero che in fatto di credito qualche cosa di antiquato vi sia, poiché il libro tanto rinomato dell'on. Minghetti conta già parecchi anni, e le sue teorie si trovano identicamente le stesse in Rossi, in Mach Culloch, in Sismondi, in Say, e più su, in Ricardo, in Malthus, in Smith, il che vuol dire
es-sere già vecchio eli un buon secolo, non già il prin-cipio della libertà, si bene quello della restrizione.
Il principio della libertà applicato al credito è una conquista recentissima del progresso scientifico; e mi ricordo anzi che, anni sono, un giovane studente, vedendomi a difendere calorosamente la libertà del credito, venne a chiedermi su quali libri avesse po-tuto approfondire la questione, ed io ebbi il dispia-cere di non sapergliene indicare alcuno, tanto era nuova la tesi un terzo di secolo fa. Apparvero poi, come tutti sanno, il Bastiat, il Coquelin, e una lunga serie di scrittori, i quali, l'uno dopo l'altro, rischiara-rono e propugnarischiara-rono in mille occorrenze, e dimostra-rono all'evidenza la opportunità, la utilità, la necessità della libera circolazione fiduciaria. I loro scritti for-mano adesso biblioteche colossali; e se fon. Min-ghetti avrà occasione di recarsi a Parigi, assistendo ad uno di quei banchetti di economisti, che sono molto numerosi, potrà vederlo quasi tutto composto di amici del credito libero. Wolowski ha sestenuto, è vero, parecchi anni or sono, il sistema della re-strizione , ma, difendendo un reggime già mollo
an-tico, non ha mai preteso discreditare come antiquata
la teoria della libertà. Non nego che dalla Germania qualche libro ci piova di tanto in tanto, emanazione della vecchia scuola camerale talvolta, e tal altra della moderna scuola dei socialisti cattedratici, irto sempre di cifre, alle quali si può far esprimere ciò che meglio piaccia ad ognuno, ma scarso di ragio-namento. abbastanza sodo per potermi convincere che la vieta scuola del vincolismo, risorgendo sotto nome diverso, costituisca un progresso. »
La libertà è la scienza, la scienza è la verità, la verità è quello che è, e non è suscettibile né di progresso, né di regresso. Quella dottrina che l'ono-revole Minghetti chiamava antiquata si può riassu-mere in poche idee generali, a svolgere le quali si scriverebbero volumi, non tanto per dimostrarne la esattezza, quanto per ribattere le obbiezioni che fa-cilmente s'indovinano in chi non abbia studiato con peculiare attenzione la materia, nella quale pare im-possibile che illustri uomini di Stato italiani profes-sino la dottrina espressa con quella celebre frase del vecchio sistema tedesco: beschraenkter
Unterthanen-Verstand.
Confutare il Minghetti ci parrebbe assai presun-tuoso, se il Minghetti, accusando di tarlata e vetusta la scienza della libertà, non avesse pronunciato errori assai volgari per i tempi nostri, e che appena tren-t'anni fa era permesso discutere. Due degli argomenti principali da lui invocati alla Camera, e che citiamo qui a mo'd'esempio, dimostrerebbero ch'egli abbia assai poco approfondito la tesi, sulla quale ebbe la debolezza di voler dare una pubblica lezione a Francesco Ferrara, il più grande fra gli economisti italiani.
2 settembre 1877 L' E C O N O M I S T A 283 regolare pagamenti considerevoli, e che di esso non
può, nè potrà mai approfittare la maggior parte delle popolazioni, il grosso pubblico, a meno che i tentativi di James Hertz non riescano nel loro in-tento, cosa molto problematica.
Il Minghetti ha detto ancora, per sostenere il monopolio della emissione, che « se i tagli del bi-glietto di banco sono grandi, essi vanno in mano di uomini competenti, di banchieri, o per lo meno di gente d'affari che sa esaminare e rendersi conto da quale istituto provenga un titolo da 1000, da 300, ecc., e quali difficoltà presenti al cambio e al rimborso; ma quando si scenda a due lire, a una lira, a 30 centesimi, si pone le pretese cambiali in mano di persone le quali non sono nè capaci, nè
abituate a giudicarne. »
Beschraenkter Unterthanen-Verstand. 1 popoli
sono sempre fanciulli ; e senza la sollecita vigilanza e la paterna tutela dello Stato non si può immagi-nare la società in alcun tempo e in alcun luogo. Noi ci permettiamo tuttavia di osservare, nel caso in termini, non essere vero che il piccolo taglio si riceva alla cieca ; al contrario : il popolo riceve i piccoli biglietti perchè sa che si ricevono per forza i grossi quando v'abbia corso coatto. Una prova l'abbiamo noi stessi, nel nostro paese, a pochi anni di distanza : quando correvano il mercato in numero infinito i biglietti fiduciarii emessi dalle ditte indu-striali, dalle diverse associazioni, dai Comuni, ecc., la renitenza che il grosso pubblico opponova alla loro circolazione fu tale, che si determinò un avorio
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della moneta di bronzo, il quale salì fino al 12 per 100.
Gli argomenti che oggi s'invocano per dimostrare la necessità di proteggere « la limitata intelligenza del popolo » contro il biglietto libero, sono quegli stessi coi quali in passato si volle rendere legittimo il reggime d'eccezione che pesava sul commercio dei grani e sulle industrie della panificazione e della beccheria. Lo Stato allora aveva la sacrosanta mis-sione di assicurare l'alimento del popolo contro gli abusi in cui sarebbe immancabilmente caduta la industria abbandonata a sè stessa. Quali conseguenze spaventevoli, quali infamie, quali colpe, quanti danni e pericoli non tormentavano allora l'immaginazione dei legislatori al solo pensiero di lasciare senza freno la produzione e il commercio delle sostanze alimen-tari? Passarono quei tempi, ma quelle opinioni ri-masero in fatto di credito. I Governi serbarono il loro assunto di regolare, dirigere, eccitare, trattenere gli affari e la condotta dei banchi. V' è una lunga serie di atti che il Governo permette, ve n'ha un'altra più lunga ancora che proibisce ; ed a quelli a cui acconsente, esso impone limiti e modi ; ed a quelli che vieta accompagna le eccezioni. Capitale e maniere d'impiegarlo, depositi e conti correnti, emissioni e
contanti in cassa, mandati, riscossioni e spese per
conto, operazioni sulla rendita pubblica, eccetera,
tutto, esclama lamentevolmente il Ferrara, tutto è contemplato, condizionato, ammesso, respinto, pre-scritto minutamente, secondo la volontà, secondo l'arbitrio dello Stato
Beschraenkter Unterthanen-Verstand ; ma i
Go-verni non hanno mai pensato di proteggere le popo-lazioni, « le quali non sono nè capaci, nè abituate a giudicare, » contro i fallimenti in permanenza
san-zionati dalla prepotenza della legge, per i quali la carta di monetata Russia perde i 3|4 del suo valore, e la Banca d'Inghilterra ha sospeso molte volte i suoi pagamenti, e ^banchi privilegiati d'ogni paese hanno frodato il povero popolo contribuente per anni ed anni parecchi ! beschraenkter Unterthanen-Verstand; ma non si è mai protetto il risparmio del popolo produttore, il quale ha comperato per migliaia di milioni i valori spagnuoli e messicani, che andarono perduti in capitale ed interessi; i valori turchi, che non si possono mai realizzare ; e i valori di una in-finità di titoli, che si potrebbero vendere appena a peso di carta! beschraenkter Unterthanen-Ver stand-, ma quando mai si pensò a proteggere, per via di regolamenti e di monopolio, la emissione di lettere di cambio, benché sieno annualmente così numerosi i fallimenti per cospicue somme in ogni paese com-merciale? Del resto, si parla sempre dei pericoli ipotetici a cui ci esporrebbe la libertà, che non fu mai integralmente applicata; e si dimenticano i danni reali nei quali ci ha fatto cadere il privilegio, ch'ebbe sempre forza di legge.
Noi tuttavia abbiamo fede nel trionfo della scienza. Terrà tempo in cui la libertà sarà dappertutto a p -plicata al credito, e saranno universalmente incon-cusse tutte le verità che ne dipendono, le quali non possiamo qui enumerare, e meno ancora dimostrare, perchè questo lavoro esigerebbe un volume, ed esce dalla tesi che ci siamo proposti di trattare
nell'Eco-nomista brevemente. Ma i principali criteri
scienti-fici, a cui vorremmo informata la nuova legislazione italiana, possiamo, come abbiamo promesso, esporre sommariamente, appoggiandoci in particolar modo alla grande autorità di Francesco Ferrara.
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Non vi può essere che lo intervento arbitrario di una legge positiva, provocato da peculiari interessi politici, o da errori di pubblica amministrazione, che dichiari atto illecito il biglietto al portatore, il quale, di sua natura, non è che la forma migliore per obbligarsi ad un pagamento.
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real-284 L' E C O N O M I S T A 2 settembre 1877 mente si paghi appena si presenti, non è fatto, come
la moneta metallica, per correre i mercati. Esso non è, di sua natura, che una formalità ammini-strativa del banco cbe lo rilascia, e per il pubblico che lo trattiene non è che un facile strumento di credito.
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Un banco non abusa mai della emissione. Quando il pubblico, anziché valersi del biglietto per conver-tirlo in danaro, Io serba in portafoglio, e lo fa servire come medium degli scambi, sostituendolo nei suoi effetti alla moneta, è il pubblico che- abusa di un'a-zione legittima e legale del banco. Della emissione eccessiva del biglietto fiduciario è il pubblico che si fa autore, non è il banco che ne sia colpevole.
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La libertà ha per effetto di limitare la emissione alla fiducia che il pubblico consente ai banchi, ciò che esige incassi metallici maggiori a cui non sia tenuto il privilegio, il quale può, in tempo di crisi e di panico, aumentare impunemente, quando occor-rerebbe restringere, la circolazione cartacea.
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La eguaglianza nella libertà vuol dire concorrenza fra i commercianti di credito a beneficio della pro-duzione; la eguaglianza nel privilegio (vagheggiata dall'on. ministro Majorana) vnol dire coalescenza degli incettatori ili credito a danno delle industrie e dei traffici.
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Se si considera il biglietto come una semplice promessa di pagamento, lo Stato non ha da inter-venirvi affatto ; se si vuole che il biglietto sia ciò che non è : moneta effettiva, lo Stato non può avere altro incarico che quello concessogli sulla moneta, di regolarne cioè la emissione nella qualità, non nella qnantità.
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Chi dice libertà dice responsabilità. L'anonimo non è che un privilegio, questa forma di associa-zione risultando da molte eccezioni al diritto comune. L'industria bancaria, estranea alla ingerenza gover-nativa, non può essere esente dalla rigorosa appli-cazione di questo principio.
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Le società anonime di credito, informate al prin-cipio della non responsabilità, hanno impresso un'at-tività febbrile agli impieghi di capitali disponibili. Ma se esse hanno determinato un maggior concorso alla produzione, hanno anche trascinato alla immo-bilizzazione, mercè la speranza di ricondurla alla cir-colazione economica nel momento opportuno, una gran parte di capitale, la quale non sarebbe stata disponibile che provvisoriamente; ma il calcolo, es-sendo stato troppo generale, diede luogo a delusioni ed a catastrofi. Sotto il punto di vista della utilità, come sotto quello della giustizia, la responsabilità dev'essere voluta in ogni impresa bancaria.
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Gli è perchè si può moltiplicare arbitrariamente la circolazione cartacea, che il biglietto a corso for-zoso dello Stato o di un banco si deprezza forte-mente ed improvvisaforte-mente : nel regime della libertà, il biglietto, essendo ristretto ai bisogni del mercato, circola a condizioni pari della moneta metallica, e qualche volta, per la maggiore utilità che presenta, può sulla moneta metallica godere un aggio.
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L'intervento dello Stato nella emissione fiduciaria implica il privilegio, e il privilegio conduce inevi-tabilmante al monopolio, perchè, come disse Napo-leone, « une seule banque est plus facile à surveiller que plusieurs. »
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Non si può fissare arbitrariamente il prezzo del danaro, come non si può arbitrariamente fissare il prezzo di qualsiasi altra merce: il saggio dello sconto deve dunque subire le oscillazioni naturali del mer-cato. Solo chi abbia tutto il monopolio d'un prodotto, può vendere quel prodotto ad altissimo prezzo; e ancora, sotto pena che i consumatori ne sostituiscano la utilità con un'altra che valga meno, deve subire la legge del costo di riproduzione. Così del danaro: il monopolio soltanto potrebbe permetterne, sino ad un certo punto, il rialzo arbitrario.
2 settembre 1877 L' E C O N O M I S T A 5 l'emissione eccessiva ha per ostacolo : da una parte,
la limitata esistenza dei buoni titoli destinati allo sconto ; dall'altra, il cambio continuo dei biglietti in metallo prezioso; per modo che il banco, il quale non abbandoni le norme di oculatezza e di rigore che distinguono le sane e regolari operazioni di credito, se eccede emettendo, è naturalmente con-dotto a correggersi rimborsando. L' emissione, per sè stessa, non è pericolosa, non è causa di soverchia circolazione cartacea; il credere che lo sia, è con-fondere il biglietto a corso libero col biglietto a corso forzoso, od è attribuire alla emissione un abuso che sta esclusivamente nello sconto.
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0 domina nel mondo economico una tendenza al riposo, e i mercati rimangono in istato di quiescenza : le industrie rispondono ai soliti e quotidiani bisogni, i commercianti acquistano senza lusinga di arricchire sollecitamente, e, lo sconto procedendo a passo lento e regolare, la emissione cartacea dei banchi non può eccedere che in via eccezionale e momentanea. 0 domina nella società lo spirito della speculazione, e la febbre dei subiti e cospicui guadagni agita e fa intraprendente la produzione, la quale ricorre al cre-dito per avere i mezzi di procedere nel suo straor-dinario svolgimento. Il credito vuol dire sconto ; lo sconto può tradursi in biglietti di banco, la cui emis-sione, in apparenza eccessiva, sembra produrre un rialzo generale dei prezzi. Realmente, non è la emis-sione che cagioni il rincaro delle merci; la emisemis-sione è in questo caso effetto, non causa : anche senza la carta, col solo danaro, o con qualsiasi forma di cre-dito si potesse sostituire il biglietto di banco, i prezzi sono alterati per il solo fatto della speculazione com-merciale che invada il mercato.
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Se una supposizione saggia od erronea prevalga nell'industria commerciale sulla scarsezza probabile di merci o di derrate, la quale possa essere cagio-nata da una causa qualsiasi, i produttori e gì' im-portatori le vogliono accumulare nei depositi per destinarle molto vantaggiosamente alla vendita quando la temuta scarsezza si verifichi. La .possibilità di acquistare, offrendo non solo tutto il danaro che si possegga, ma tutta la quantità di valori futuri che ciascun compratore possa farsi rappresentare sotto una forma qualunque di credito, contribuisce quasi esclusivamente alla crisi, qualora la speculazione fallisca. I biglietti di banco emessi in quantità ap-parentemente eccessiva non favoriscono le operazioni rovinose del commercio, più di quanto le favorirebbe ogni altro mezzo di credito. Anzi, quasi tutte le spe- '
culazioni che preparano il periodo della crisi si fanno senza l'aiuto dei biglietti, perchè ogni commerciante ha facoltà di acquistare, non già in ragione dei buoni valori che possiede, i quali costituiscono la sua sol-vibilità, ma in ragione della fiducia che gode, la quale può essere qualche volta illimitata. Dunque, la speculazione foriera di crisi, ha le sue cause estrinseche e indipendenti dal banco, ed è un errore il credere che 1' emissione bancaria vi contribuisca come causa concomitante. « I biglietti di banco non hanno alcuna influenza sui prezzi; ciò che vi agisce è il credito. Chi supponesse che le crisi sieno una grande sciagura, chi vuole ad ogni costo evitarle, dev' essere disposto, non a regolare e inceppare la libertà del commercio bancario, ma a dichiarare guerra aperta ad ogni maniera di credito. Il credito che si fa ad un mercante r.ou dipende dalla quan-tità di biglietti che circoli sul mercato, ma dall'opi-nione che si abbia sulla sua solvibilità. Il banco può avere qualunque tendenza a dar credito ; la ten-denza ad usarne, nella parte seria del commercio, dipende dall' opinione che essa nutra sulla riuscita delle speculazioni. Quando un mercante estende lo sue compre al di là dei suoi pronti mezzi, e" s'im-pegna a pagare in un tempo determinato, lo fa colla speranza che la sua operazione si trovi compiuta prima della scadenza. Che la sua speranza fallisca o riesca, ciò dipende dalle eventualità del commercio, non dalla quantità dei biglietti di banco. L'esistenza del banco, la possibilità di dimandargli, in caso di crisi, uno sconto, è l'ultimo fra i suoi calcoli; se il mercante vedesse probabile la crisi prima di aver potuto vendere, si asterrebbe dallo speculare. »
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Quando l'uragano delle crisi commerciali soffia impetuoso sul mondo degli affari, avviene che sotto il reggime della libertà, la sospensione dei pagamenti, dipendendo dal numero e dalla importanza dei banchi che rimangono maggiormente scossi, non implica che una parte, il più delle volte assai piccola, della circolazioue fiduciaria ; e sotto il reggime del mo-nopolio, la sospensione dei pagamenti e il conseguente deprezzamento del biglietto invadono tutta intera la massa cartacea circolante. Di più: sotto il reggime della libertà, i banchi non potendo impunemente mantenersi in istato abnorme, non consentendolo la concorrenza, la sospensione dei loro pagamenti dura il meno possibile, sotto pena di fallimento ; e sotto il reggime del monopolio, la sospensione dei paga-menti è un fallimento in permanenza, mercè la
pro-tezione del corso forzoso.
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unico s'ingannano sulle condizioni del mercato, sulla
natura e sulle cause d'una crisi, e ricorrono inop-portunamente a provvedimenti restrittivi, tutta la economia del paese ne rimane latalmente colpita, e l'errore persiste, perchè il monopolio non ha altra guida che il proprio interesse; tanto è vero che i più lauti dividendi dei banchi unici corrispondono quasi sempre agli anni delle crisi più gravi. Invece se di parecchi banchi liberi, uno o due s'ingan-nano egualmente, sola una piccola frazione della clientela generale ne sofre i danni ; e l'errore di quei pochi banchi è tosto corretto dalla condotta dogli altri, che fanno loro, in tal caso, una seria concor-renza. La sollecitudine colla quale nel monopolio si adottano i provvedimenti restrittivi, è impiegata nella libertà per uscirne : sotto il reggime della libertà e della pluralità, gli errori amministrativi e finanziarii più diffìcilmente accadono, più presto si riparano, e meno riescono perniciosi.
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Se fosse esatto il dire che gli stabilimenti di cre-dito, i quali hanno in eircolazione dei milioni, tirano un prestito senza interesse sulla fiducia del pubblico, bisognerebbe soggiungere che sotto il reggime della libertà il prestito è volontario, e sotto il reggime del monopolio esso è forzato; vale a dire che, nell'un caso, il portatore dei biglietti accorda spontaneamente il suo credito al banco sotto l'impulso della propria responsabilità, e nell'altro caso è costretto suo mal-grado ad accordarglielo senza che nessuno si chiami responsabile per lui.
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Il sistema della libertà e della pluralità dei banchi ammette i più rigorosi provvedimenti governativi per impedire la malafede, la frode e i fallimenti ; il sistema del privilegio e del monopolio li esclude sempre necessariamente e inevitabilmente, o li elude.
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L'unità del biglietto implica l'unicità dei banchi. Parrebbe che un banco centrale potesse emettere biglietti per cederne, sotto guarentigia, il beneficio della circolazione ai banchi locali, che sarebbero tenuti a disporre di un sufficiente incasso metallico per assicurare costantemente la convertibilità. Ma se i biglietti portano un marchio speciale, si ricade nella pluralità dei banchi, e l'operazione del banco centrale si renderebbe oziosa; e se non ne portano alcuno, dove comincia e dove finisce, sotto il puuto di vista della convertibilità, la responsabilità di ogni banco? I due sistemi non si possono amalgamare tra
loro : unità del biglietto vuol dire banco unico; la plura-lità dei banchi implica la varietà dei biglietti. È falso, dopo tutto, che una quantità di biglietti appartenenti a diversi banchi generi l'incertezza e la confusione nei cambi. L'inconveniente, se si verificasse, non avrebbe la gravità che gli si suppone, ma in fatto l'inconveniente non può aver luogo. Anzitutto, i bi-glietti diversi corrono rispettivamente i diversi mer-cati. Sotto il reggime della libertà i banchi sono locali, e nella ristretta cerchia dove uno esercita la propria azione non ne sorgono mai tanti altri a fargli concorrenza da generare la confusione nella intelli-genza del pubblico. Ma se pure questo fatto avve-nisse, vorrebbe dire che i bisogni del mercato lo esigerebbero; e se i biglietti di molti istituti corres-sero dentro uno stesso perimentro bancario, vorrebbe dire che sarebbero egualmente conosciuti ed apprez-zati, dappoiché è impossibile che entri nella libera circolazione un numero maggiore di biglietti di quello che il pubblico sapesse e volesse accettare; ed av-viene sempre che l'incertezza stessa da cui sono ac-compagnati i biglietti mal sicuri, allontani da loro il credito delle popolazioni, e li renda conseguente-mente incapaci di sconcertare il mercato. Cosicché, il male di cui si teme non può essere sperimentato che con un fatto, il quale di questo timore è la negazione: » la molliplicità dei biglietti suppone una corrispondente ricerca; e la ricerca, che si fonda sulla fiducia, esclude la possibilità del temuto in-conveniente. »
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L'azione motrice del biglietto di banco — che non crea il capitale monetario, ma lo distribuisce rapidamente, facendolo passere dalle mani che non lo saprebbero utilizzare a quelle che se ne possono valere produttivamente, — è forse più necessario nelle campagne, dove non si conosce neppure il si-stema delle compensazioni, che nelle città; nei pic-coli che nei grandi centri di popolazione, perchè ivi è minore l'attività industriale, e maggiore dev'esserne lo stimolo. Il monopolio, che concentra la circola-zione cartacea, agisce contro l'interesse generale, la giustizia distributiva e la logica. La libertà e la plu-ralità dei banchi sono, anche sotto quest'aspetto in-portantissimo, d'una superiorità incontestabile.
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solle-2 settembre 1877 L' E C O N O M I S T A 287 cite di ritirare i loro depositi, quando appunto il
banco sarebbe maggiormente interessato a serbarli. I banchi liberi, che sorgono naturalmente dove i bisogni locali li dimandano, traggono a sè quel capi-tale monetario, che, molto probabilmente, giacerebbbe lungo tempo inoperoso in sterili risparmi senza il loro intervento; ed in epoca di crisi, l'agricoltore, il piccolo commerciante, il modesto possidente, non sentendosene minacciati, lasciano i loro depositi nelle casse dei banchi, e piuttosto di ritirarli, sono disposti, per solidarietà di sicurezza, ad accrescerli.
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Il capitale di un banco nulla guarentisce, in quanto ai biglietti che omette, dappoiché la somma del capitale, da principio a sè stante, va a confon-dersi nella massa degli affari che il banco intra-prende, perdendo la sua esistenza separata e ridu-cendosi semplicemente alla differenza tra l'attivo ed il passivo del banco stesso. La somma delle emis-sioni, che forma parte del passivo, non può essere guarentito che dallo insieme dell'attivo. Quand'anche il banco non abbia versato alcun capitale, le sue emissioni sarebbero pienamente coperte se possedesse l'equivalente della totalità dei suoi debiti. Il capitalo non è che un soprappiù, il quale può valere in soccorso di qualsiasi fondo che nell'attivo venisse a mancare; e volendosi considerare come malleveria, andrebbe ripartito a lira e soldo fra tutti indistin-tamente i debiti ch'esso coopererebbe a guarentire. E la riserva che risponde realmente delle emissioni ; e la riserva r.on è già quel fondo che si viene ac-cumulando per certe rate che si prelevano dai pro-fìtti annuali, e che si destinano o ad aumenti del capitale, od a salvaguardia delle perdite eventuali ; la riserva risulta da quelle tali somme che, fra le partite attive, si riguardano prontamente disponibili, come il contante in cassa, gli effetti che si possono esigere a presentazione, ecc., e questa riserva è per un banco ciò che è la cassa per un mercante: non costituisce il suo patrimonio e non è il suo capitale; non costituisce neppure la sua solvibilità definitiva, si bene la sua solvibilità immediata, sulla quale il pubblico sta sempre attento per accordare o togliere al banco emittente la sua fiducia. In qual rapporto poi la riserva (che sarà metallica in tempi normali, e può essere cartacea, a biglietto inconvertibile, o mista, in tempo di corso forzoso) debba essere te-nuta verso l'emissione, è impossibile stabilire a
priori: essa deve saggiamente dipendere per ogni
banco dalle esigenze peculiari del mercato in cui opera, dalle abitudini commerciali e industriali della propria clientela, dall'epoca in cui v' è di consueto maggiore o minore affluenza al rimborso, da pa-recchi altri elementi che deggiono essere
giusta-mente apprezzati ed osservati. È questione di pura esperienza: la riserva in rapporto alla emissione deve ridursi alla sola quantità indispensabile, la quale varia per ogni banco, per ogni luogo, per ogni tempo. Il di più dello stretto necessario costi-tuisce una perdita, il di meno un pericolo.
Noi potremmo continuare cogli aforismi ; ma que-sti pochi, messi giù alla rinfusa, bastano a riassu-mere in poche linee la scienza della libertà. Colla loro scorta si potrebbe provare alla evidenza che la libera emissione, il libero credito, le libere opera-zioni bancarie, possono perfettamente coesistere in tempo di corso forzoso. Basta rammentare l'enorme differenza che corre tra biglietto inconvertibile dello Stato, e biglietto convertibile in moneta metal-lica , o in moneta cartacea di un banco. Il bi-glietto governativo essendo moneta, e il bibi-glietto di banco potendo correre in luogo della moneta, la dimostrazione dovrebbe riuscire assai facile ed assai persuasiva. Ed è questo un lavoro che speriamo di poter presto consegnare nelle colonne dell'
Econo-mista. Ci pare limpidissimo il concetto che il
reg-gime più innocuo e in pari tempo il più conforme alla verità scientifica ed alla realità delle condizioni in cui versa il nostro paese, sia quello di adottare ia carta governativa da un lato e la piena ed intera libertà bancaria dall'altro. Una sola difficoltà con-viene superare per arrivarvi, quella che, a parole, sembra molto tenue, e in fatto dev'essere formida-bile: abbandonare tutti i pregiudizii ormai smentiti dalla ragione e dalla esperienza, dalla storia e dalla statistica.
Vi riuscirà il Parlamento? Vi riusciranno anzi-tutto i signori ministri? Noi ne disperiamo. Se ci volgiamo al potere rappresentato dalla Destra, tro-viamo il Minghetti, il quale, sin dal 1863 (sua
espo-sizione finanziaria del 14 febbraio), parlando della Banca Nazionale, ebbe a dire: « La Camera non
288 L' E C O N O M I S T A 2 settembre 1877 era da attendersi, non vi ha portato altra verità che
quella di dichiarare « vuota disquisizione
accade-mica » ogni discussione sulla tesi del credito in
Italia.
Se non ci mostriamo troppo lieti che l'onor. Ma-jorana regga il Ministero di Agricoltura e Commercio,
abbiamo la fortuna di vedere alle Finanze l'on. Seismit-Doda, le cui parole dette in Parlamento quando si esa-minò lo schema di legge sulla circolazione cartacea, ci sono guarentigia che non si ricadrà ciecamente, per solo spirito di partito, negli errori per i quali andrà famosa la legge 30 aprile 1874, che urge rinnovare, L'on. Seismit-Doda, è utile rammentarlo ora che egli dovrà occuparsi di questa spinosa riforma, fu forse il solo nella Camera, dopo il prof. Ferrara, che abbia intesa la questione nella sua essenza e nella sua importanza. — Egli pure fece una grande distinzione tra biglietto governativo e biglietto di banco, dicendo che « hanno forme ed influenza e
caratteri ed uffici diversi, di cui sono fattori i molteplici elementi di credito, che non s'impongono per legge. » — Egli pure alzò la voce senza
pau-rosi riguardi, contro le teorie dell'on. Luzzatti, che
« parrebbero ridicole se economicame?ite non fossero assurde, perchè ci riportano ai vieti deliri della
bilancia mercantile. » — Egli purò dichiarò che
« se si possono porre condizioni alVesercizio di un diritto comune, quando da fatti temporanei ed anor-mali sia ferita la libertà economica nei suoi prin-cipii, non si può e non si deve negare a priori lo esercizio di quel diritto, a solo vantaggio di pochi e col danno probabile di tutti. » - Egli pure riconobbe
che « come nel mondo morale, così nel mondo
eco-nomico tutte le ingiustizie reclamano, o prima o dopo, una qualche espiazione. » = Egli pure
os-servò all'on. Minghetti che « la sua così detta scuola sperimentale è la distruzione di ogni scuola e la
negazione di ogni esperienza. » — Egli pure
pro-clamò che « la libertà, lasciata sviluppare, e
coor-dinata soltanto a quelle temporanee esigenze che le peculiari condizioni nostre potrebbero suggerire,
sempre rispettandone i diritti e la sostanza, ripa-rerebbe a tutti gli errori nei quali siamo sinora caduti. »
Egli dunque, l'on. Seismit-Doda, se non smentirà sè stesso, ora che è al potere, avrà la fortuna di far valere i suoi studii e i suoi principii a beneficio della patria.
T U L L I O M A R T E L L O . (Continua)
DELLA LIBERTA DI AMMINISTRAZIONE DEI COMUNI
C O N S I D E R A T A
in rapporto alla integrità del loro patrimonio
Quando al cadere dei calori estivi che oggi allontanano dagli affari i nostri uomini politici si r i -prenderanno i lavori parlamentari, i rappresentanti della Nazione saranno probabilmente chiamati ad oc-cuparsi senz'altro indugio della grave questione che da tanti anni preoccupa la mente di chi s'interessa alle sorti delie aziende locali, quale è quella della mag-giore e minor libertà da concedersi all'azione delle rappresentanze dei Comuni. Noi crediamo ormai as-sodato in Italia il principio della libertà comunale; e la massima già proclamata in Toscana fino dal 1774 da quel principe liberale e filosofo che fu Pietro Leopoldo, che cioè gli affari economici
deb-bono essere diretti ed amministrati da quelli che ci hanno interesse, sta per ricevere un'applicazione
più larga di quella che si facesse colla legge del 20 marzo 1803. — Il relativo progetto di riforma già presentato alla Camera dal ministro dell'interno fino dal 7 dicembre 1876 è informato sostanzialmente a cotesto principio di libertà, e per esso una gran parte delle nostre amministrazioni comunali, e pre-cisamente quelle dei Comuni aventi una popolazione agglomerata di 4000 abitanti, acquisterebbero piena libertà di azione per quel che riguarda il patrimonio comunale, talché, salva l'osservanza di semplici for-malità, potrebbero senza bisogno di approvazione su-periore disporre assolutamente delle sorti presenti e future del proprio Comune. — Noi abbiamo già reso conto ai lettori dell'Economista delle disposizioni che si contengono in codesto progetto di legge, e non è nostra intenzione ripetere qui le osservazioni allora emesse in proposito. Noi ci siamo manifestati aper-tamente favorevoli a codeste rinnovazioni finché si tratta di rilasciare agli interessati la libera disponi-bilità delle cose loro, ed anzi altre volte abbiamo lamentato quella eccessiva restrizione delle facoltà dei Consigli comunali che deriva dalla legge 14 giugno 1874, ed abbiamo deplorato che quella legge imposta dalle necessità della finanza erariale oltre al menomare le rendite dei Comuni portasse la con-seguenza di vincolare l'azione delle rappresentanze locali in modo che per alcune di esse non resterebbe oggi, a tutto rigor di legge, che il magro compito di votare le spese obbligatorie ed anche queste in quella misura che più piaccia all'autorità tutoria.
rice-2 settembre 1877 L' E C O N O M I S T A 289 vuto dai propri elettori, non intendiamo che debbano
cotesti amministratori dichiararsi padroni assoluti delle sorti presenti e future dell'Ente amministrato. Noi troviamo che alla loro libertà di azione si oppongono naturalmente alcune limitazioni dipen-denti strettamente, non tanto dalla natura del man-dato quanto e più, dalla estensione dei diritti dei mandanti.
La questione della libertà comunale viene ordi-nariamente trattata sotto il punto di vista dell'inte-resse generale dello Stato, e si discute fin dove quella libertà possa estendersi senza che codesto in-teresse possa ricevere offesa ; altre volte si tratta in i relazione agli interessi di una data classe di cittadini ! o di contribuenti ed allora si guarda quali restri-zioni debbano ammettersi perchè una data classe di redditarii non sia ingiustamente aggravata a discarico delle altre nella distribuzione delle pubbliche gra-vezze. — Raramente però vieDe trattata sotto il rapporto della conservazione del patrimonio comu-nale e degli interessi futuri dell'Ente amministrato, la di cui vitalità avvenire non può dipendere dal'a volontà di una sola generazione.
Tutto considerato a noi invece sembra cotesto il punto più interessante di questa grave questione. — In due modi si possono dagli amministratori attuali compromettere le sorti future dell'Ente amministrato, sia alienando e sperperando il patrimonio mobiliare od immobiliare che ci ha tramandato la previdenza o la generosità dei nostri antenati, sia consumando fin d'ora le rendite future e le contribuzioni che pur dovranno pagare coloro che verranno dopo di noi. — La conservazione di cotesto patrimonio co-munale, la vitalità futura di questo Ente indefettibile possono forse lasciarsi in piena balìa delle attuali amministrazioni? Ecco dove sta il punto più inte-ressante di cotesto problema.
Finché si tratta di fissare la misura ed anche la specie delle entrate di una data gestione e di stabilirsi fino a qual punto debba in un dato anno usufruire per i bisogni comunali la potenza contributiva degli amministrati, finché si tratta del modo di erogare coteste entrate, nessuno più di noi desidera una com-pleta libertà per i rappresentanti del Comune. Quando la legge con un buon sistema elettorale ha procu-rato che gli amministprocu-ratori rappresentino, finché è possibile, i desiderii e le vedute della maggioranza degli amministrati, quando ha stabilito la procedura amministrativa in modo che le decisioni dei Consigli comunali non sieno l'effetto di sorpresa o di- co'pi di mano di una minoranza, ma piuttosto il portato della matura riflessione della maggioranza, nessuna autorità ha veste legittima per giudicare se coteste deliberazioni sieno buone o cattive. — Se i Consi-glieri da noi eletti ci tassano in misura che ci sembri incompatibile con le nostre forze, se le rendite del
[ Comune vengano erogate in un modo che non ci sembri il più opportuno per l'interesse dei contri-buenti, noi di codesto non potremmo dolerci con nessuno, giacché nessuno ci ha imposto cotesti am-ministratori a preferenza di altri ; e se non ci piace il loro modo di amministrare potremo rimediarci togliendo loro il mandato alla prima occasione. Finché adunque si tratta di deliberazioni che non attacchino la sostanza del patrimonio comunale e che non compromettano la libertà delle future amministrazioni il buon andamento dell'Azienda comunale trova la sua garanzia nel controllo degli interessali e nella , libertà di scelta degli amministratori. — Ma quando
l'azione delle attuali rappresentanze vuole spingersi fino a toccare l'esistenza del patrimonio del Comune fino a disporre fin d'ora delle rendite che appar-tengono ad altri che non sono i loro rappresentati allora la cosa cambia radicalmente di aspetto. — Il controllo degli amministrati non ha più valore od almeno in grado assai minore giacché essi non hanno un interesse attuale e diretto in quei deliberati che vanno a colpire le gestioni future. — Gli ammini-strali si occupano assai delle gravezze attuali come del modo con cui il prodotto delle coutribuzioni viene erogato, ma poco s'interessano di quello che avverrà fra 20 o 30 anni e delle gravezze che an-, dranno a colpire i loro discendenti. — L'esperienza | ci dimostra chiaramente quanto un nuovo balzello,
anche lieve, commuova violentemente quelle stesse popolazioni che assistono indifferenti, se non plau-denti, alle più rovinose operazioni di credito che pur debbono far carico o prima o poi al loro Co-mune. L'egoismo connaturale all'uomo ci invita na-turalmente a preferire all'interesse di chi verrà dopo di noi le nostre comodità ed i nostri piaceri, ed il rimettere alle future amministrazioni il pagamento dei comodi presenti è cosa troppo lusinghiera perchè possa eccitare reclami o lamenti.
Quando adunque si tratta di compromettere la sorte del patrimonio comunale e di vincolare a prò del presente le rendite delle future amministrazioni tutti gli argomenti che consigliano il legislatore ad accordare queste libertà comunali non valgono più affatto. Nè a nostro parere coteste deliberazioni potrebbero neppur dipendere dal semplice beneplacito di una autorità superiore, come attualmente dispone la legge comunale e provinciale. I casi e le necessità che possono autorizzare sia l'alienazione del patrimonio del Comune, sia la contrazione di un imprestito a lunghe scadenze non dovrebbero lasciarsi all'arbitrio di nessuna autorità amministrativa, ma vorremmo che fossero nettamente e tassativamente dichiarate dal legislatore.
delibera-290 2 settembre 1877 zioni che, sebbene di speciale importanza influiscono
solamente sulle gestioni correnti, o che aventi pure carattere continuativo possono liberamente revocarsi dalle future rappresentanze, e quelle che attaccano in modo irrevocabile la sostanza del patrimonio co-munale; e tanto meno cotesta distinzione si ritrova nel progetto di riforma sopraccennato. Difatti gli art. 157, 138 e 139 della legge 20 marzo 1865, rifusi nell'articolo 111 del progetto, i quali si referiscono a quelle deliberazioni che abbisognano oggi della sanzione della autorità tutoria e che secondo il nuovo progetto richiederanno formalità speciali, mettono quasi alla pari le alienazioni e le contrattazioni di imprestiti che sono atti di vero dominio con altri deliberati di natura ben differente e che possono considerarsi o come atti di semplice amministrazione o come decisioni di carattere sempre revocabile a beneplacito delle future amministrazioni. Cotesta con-fusione pare a noi che debba nuocere alla giusta soluzione di questa grave questione della libertà co-munale perchè, o il timore di danneggiare la sostanza del patrimonio comunale può indurre il legislatore ad imporre vincoli irragionevoli anche agli atti di semplice amministrazione, oppure il desiderio di con-cedere le libertà oggi reclamate, può trascinarlo ad allargare troppo la mano con danno irreparabile di chi dovrà poi sopportare le conseguenze dell'operato delle presenti rappresentanze.
Facciamo adunque voti perchè nella imminente riforma della legge comunale e provinciale sia ben definita la distinzione fra le deliberazioni che riguar-dano la semplice amministrazione del Comune e quelle che contengono disposizioni di vero dominio. Siamo persuasi che cotesta distinzione agevolerebbe la migliore soluzione della questione di cui si tratta, sia di fronte al rispetto del principio della libertà comunale, sia di fronte alla tutela delle sorti future del Comune medesimo.
Nessuno, a nostro parere, potrebbe essere in coscienza fautore di una libertà sconfinata per le amministrazioni dei Comuni quando con animo spas-sionato si consideri lo stato finanziario di molti di essi, e quando, precorrendo l'avvenire, voglia riflet-tersi a quali condizioni sarebbero infine ridotte se si seguitasse ancora sullo _ stesso sistema. Quando vediamo l'abuso del credito a cui molti Comuni, benché sotto tutela, si abbandonano cosi facilmente, e quando vediamo così generalizzata la colpevole abitudine di servirsi dei capitali presi in prestito non solo per opere di lusso ed affatto improduttive, ma anche per sopperire alle spese ordinarie del bilancio, non può farsi a meno di ripudiare quella libertà senza limiti, che pur da molti si invoca, e di riflet-tere che il legislatore ha il dovere di salvare dalla prodigalità o dalla mala fede dei presenti le gene-razioni future. — Potrebbe discutersi seriamente se,
non diciamo l'abuso, ma semplicemente l'uso del prestito ed in specie di quello a lunghe scadenze sia nella legittima facoltà delle pubbliche ammini-strazioni; e sarebbe agevole il dimostrare come, non lasciandosi ai nostri discendenti la facoltà di accettare la eredità nostra col benefìzio di inventario, la con-clusione di un imprestito da pagarsi in epoche remote non sia infine che una illegittima intromissione negli affari delle future generazioni. Potrebbe dirsi e con ragione clic le amministrazioni attuali, comunque siano costituite, non possono essere che l'organo della volontà generale attuale e conseguentemente non | possano nè obbligare nè impacciare l'azione delle ammistrazioni future che saranno l'organo della vo-lontà generale di un tempo avvenire. — Ma se, non ostante tutte le ragioni che ci dimostrano come il debito sia sempre una disgrazia per qualunque siasi amministrazione pubblica o privata, non possa ban-dirsi dai pubblici bilanci cotesta pericolosa sorgente di rendite straordinarie si faccia almeno in modo che la legge circondi l'adozione di cotesta estrema misura di tutte quelle cautele che valgono a ren-derne raro l'uso e ad impedirne affatto l'abuso.
Noi non potremmo ammettere prima di tutto che possa in nessun caso ricorrersi al credito per sop-perire alle spese ordinarie ed annuali dell'azienda comunale, e non crediamo che possa esservi auto-rità alcuna avente la facoltà di sanzionare cotesta | enorme irregolarità di amministrazione. Il deficit
2 settembre 1877 L' E C O N O M I S T A 291 ammenoché non se ne decretasse per legge
l'am-mortamento in un tempo brevissimo e non ecce-dente i 3 anni, ossia per quanto può durare secondo le leggi vigenti il mandato di coloro che le delibe-rano. Quando un Consiglio comunale sapesse che deliberando una spesa di cotesto genere occorre caricare i bilanci correnti del costo necessario, quando insomma si trovasse nella necessità di far sentire immediatamente agli amministrati le conse-guenze dell'opera sua, si anderebbe molto a rilento nel decretare certe spese, o si preferirebbe il me-todo più giudizioso di decretarle quando già fossero preparati i fondi necessari mediante annui avanzi procurati, nelle gestioni decorse. — Unica causa ragionevole degli imprestiti a lunghe scadenze può ritrovarsi o nella necessità assoluta di riparare a qualche sciagura improvvisa e generale, o nell'im-pianto di lavori di utilità pubblica di carattere per-manente. Le amministrazioni future non potrebbero allora lamentarsi del carico proveniente dall'operato
dei loro antecessori quando cotesto o fosse la con-seguenza di una imprescindibile necessità, o fosse compensato con un reale vantaggio. — Ma anche quando la creazione di un imprestito fosse ammis-sibile occorrerebbe ad ogni modo che la ricorrenza delle condizioni necessarie a legittimarlo venisse constatata con formalità e cautele assai più serie e rigorose di quello che sieno richieste dalla legge vigente e dal progetto di riforma. Occorre ricor-darsi che creando un imprestito si apre, come di-ceva Colbert. una piaga che i nostri pronipoti forse non vedranno rimarginarsi; benché cotesta misura sia qualche volta un male necessario, pur nono-stante è sempre un male, ed il ricorrere a simili espedienti pericolosi non deve esser lasciato dalla legge al capriccio di nessuno amministratore.
I rigori che invochiamo dal legislatore per tute-lare la conservazione del patrimonio comunale e per salvare dalle possibili dilapidazioni dei presenti le sorti future dei nostri Comuni italiani non par-tono da sentimenti autiliberali, ma piuttosto da de-siderio sincero di libertà. Riflettiamo che non vi sono nemici peggiori della libertà di coloro che ne abusino, ed è cosa ormai generalmente ammessa che quando la libertà degenera in licenza spiana la via al dispotismo. I più validi argomenti che si opporranno all'attuazione delle misure che allargano la libertà dei Comuni saranno principalmente de-sunti dalla rovina economica di molti di loro, e cotesti argomenti non possono combattersi in altro modo che coli'impedire assolutamente che si seguiti per parte dei Comuni medesimi nel rovinoso ed immorale sistema del debito, col quale, se si segui-tasse ancora, si preparerebbe ai nostri figli la trista alternativa o di disonorarsi sconfessando gli impe-gni dei loro padri, o di sagrificarsi completamente
rinunziando alla sodisfazione dei loro bisogni per pagare le nostre pazzie.
M.
IL CONGRESSO DELL'ASSOCIAZIONE BRITANNICA
P E R IL
orogresso delle Scienze e la sezione di Economia Politica
Il Congresso annuale dell' Associazione britannica ha avuto luogo quest'anno nella città di Plymouth e le sue sedute incominciarono il 13 di agosto sotto la presidenza del prof. Alien Thomson, una delle più eminenti notabilità scientifiche dell' Inghilterra. Nel suo discorso di inaugurazione invece di seguire l'esempio fornito l'anno scorso dal signor Andrews, che, come presidente del Congresso di Glasgow fece una lunga rassegna dei progressi scientifici e delle scoperte di ogni genere, realizzate nel corso del-l'annata, il sig. Thomson preferi invece di svolgere estesamente e di .approfondire l'esame di una delle più interessanti ed importanti questioni biologiche intorno a cui si agitano le manti degli scienziati moderni. Egli parlò dello « Svoglimento delle forme della vita animqle » entrando nelle viscere dell' ar-gomento ed analizzando i più complessi e controversi problemi dell'embriologia; ma questo soggetto si dilunga troopo dalla cerchia di studi che ci siamo proposti, perchè possiamo, nonostante il suo gran-dissimo interesse cedere alla tentazione di darne un resoconto per quanto breve e sommario.macr-292
giore alla riproduzione dei suoi simili che non alla produzione delle cose necessario al sostentamento della vita umana, e che quando l'equilibrio fra il numero degli esseri componenti una determinata società ed i materiali di cui questa poteva disporre per conservarne l'esistenza era rotto, la natura s'in-caricava di ristabilirlo mediante le malattie e le ca-lamità che sono conseguenza di una vita disagiata. Invece di dedurre come conseguenze legittime di questo principio i mezzi preventivi contro questi mali, che cioè non dovessero i Governi creare nessuno ostacolo alla produzione delle ricchezze, che non do-vessero i mezzi artificiali stimolare nell' uomo la tendenza alla riproduzione, ma che dovessero anzi promuoverne la coltura morale ed intellettuale in modo ch'egli potesse con la forza della propria vo-lontà padroneggiare questa tendenza, gli avversari di Malthus hanno tratto la conclusione ch'egli chiedesse dallo Stato mezzi repressivi, vincoli e restrizioni di-rette contro l'aumento della popolazione, e su questo punto dove era facile il trionfo si sono dati a com-batterlo ed a malmenarlo. Certo è che molli fatti che Malthus non poteva prevedere e dei quali quindi non poteva tener conto, hanno dopo di lui contri-buito a rendere meno sensibile ed a limitare l'azione del principio da lui affermato. L'emigrazione, le co-lonie, le ferrovie ed un gran numero di invenzioni e di scoperte sorprendenti peraltro, se hanno allon-tanato i mali avvertiti dal grande filosofo non hanno invalidato il principio sul quale riposa la sua teoria e ne hanno anzi fornito la conferma.
Il sig. Fortescue appoggiandosi sopra dati statistici ha voluto dimostrare che le condizioni di miseria in cui può vivere una popolazione, conducenti ad una straordinaria mortalità, ai contagi, al precoce inde-bolimento, non tendono se non che in casi straordinari a diminuire il numero totale della popolazione medesi-ma, ma solo a diminuirne la sua potenza produttrice e la produttività media del suo lavoro ; i vuoti sono paesto riempiti e nuovi sopravvenuti prendono im-mediatamente il posto degli scomparsi. Ebbene che cosa prova ciò? prova ciò forse che queste condi-zioni di cose non siano un grave flagello che non abbiano in gran parte origine nelle cagioni assegnate da Malthus e che non si debba cercare con ogni mezzo di prevenirle?
Nonostante la grande emigrazione dalle Isole brit-taniche, ha soggiunto il nobile lord, il numero degli abitanti in esse si è presto triplicato, da IO milioni nel 1760 è salito a più di 29 milioni nel 1861, sebbene in Francia sia cresciuto soltanto da 22 mi-lioni a poco più di 37 nello stesso periodo. Adesso la popolazione francese è giunta a più di 32 milioni vale a dire -4 milioni circa meno della Francia, dacché ha perduto l'Alsazia e la Lorena. Se la na-zione inglese avesse preso a guida il principio di
Malthus, che fa della continenza della popolazione la pietra angolare del sistema di Governo, la popo-lazione inglese sarebbe rimasta ancora a 16 milioni come era al principio del secolo, le sue dipendenze sarebbero state perdute, le sue colonie spopolate, la sua ind stria paralizzata per mancanza di braccia, il suo commercio ristretto per mancanza di navi. Anco in questo punto dobbiamo confessare che non ab-biamo saputo renderci esatto conto di rigore logico del ragionamento del Fortescue ; egli che poco prima aveva detto che Malthus pone come principi, che la popolazione non può aumentare senza i mezzi di sussistenza, che la popolazione aumenta immanca-bilmente dove esistono i mezzi di sussistenza e che i freni i quali reprimono la potenza eccessiva di ri-produzione della popolazione e mantengono i suoi effetti al livello dei mezzi di sussistenza si riducono tutti alla continenza morale, al vizio ed alla miseria, avrebbe dovuto notare che, anco in armonia con i principi di Malthus, uno sviluppo sorprendente nella produzione della ricchezza avrebbe dovuto produrre uno sviluppo corrispondente nel numero della popo-lazione. La questione sta nel sapere se facendo della continenza della popolazione la pietra angolare del sistema di governo si sarebbe pervenuti allo stesso grado di sviluppo evitando molti mali, molte calamità e molte miserie.
2 settembre 1877 293 10 prova il numero di municipi che si sono fatti
essi stessi esercenti, intraprenditori e costruttori di molti servizi pubblici, come la incanalatura delle acque e la fabbricazione del gas. L'inconveniente per altro non sembra sia tanto grave quanto piace al nobile lord di dipingerlo poiché si stanno sempre costruendo nuove linee in Inghilterra e si stanno spesso raddoppiando e qualche volta triplicando le stesse linee fra una città e l'altra.
Nel seguito del suo discorso il signor Fortescue si estese a deplorare l'anarchia che regna nelle cir-coscrizioni amministrative dell'Inghilterra. Il sistema delle contribuzioni, dell' istruzione pubblica, della giustizia, la rete stradale, l'assistenza pubblica, la Chiesa hanno ciascuno circoscrizioni proprie le quali si sovrappongono e si confondono le une colle altre. 11 signor Fortescue vorrebbe mettere ordine a questa ' confusione vorrebbe creare dei dipartimenti o pro-vinole e dei circondari come sono stabiliti presso molte nazioni del continente, regolare uniformemente la loro sfera d'azione e le loro spese estendendo sopra di esse il controllo del potere centrale, affine di mantenere 1' unità del principio e di proteggere tanto le minoranze attuali, quanto anche le genera-zioni sopravvenienti, dalla volontà arbitraria, prodiga ed imprevidente di maggioranze locali puramente temporanee. Il progetto sarebbe bello specialmente dal punto di vista della sua simmetria, ma il nobile lord non sospetta nemmeno che la libertà individuale, che tanto contribuisce alla grandezza del popolo in-glese, possa venirne compromessa, libertà a cui le discordanze e le anomalie attuali del sistema ammi-nistrativo riescono così favorevoli.
Sulla questione della popolazione, con idee assai diverse da quelle di Lord Fortescue, parlò lo stesso giorno il signor Bourne, il quale si prefisse di di-mostrare che si realizzava in Inghilterra il caso di una produzione industriale sovrabbondante, dovuta in gran parte alla tendenza troppo forte della popola-zione di moltiplicarsi e che perciò doveasi provve-dere a frenare questa tendenza da un lato, e dall'altro a trovare nuovi espedienti per occupare le braccia disoccupate col l'aprire nuovi sbocchi e nuovi mercati.
Benché i riguardi dovuti allo spazio c'impongano di passar sopra agli argomenti che si riferiscono in modo troppo esclusivo agli interessi ed alle istitu-zioni puramente inglesi non dobbiamo tralasciare di prender nota di un abile ed elaborata comunicazione del D. Hancock intorno alla € Spesa che deriverebbe dall'adottare in Inghilterra un sistema completo di pubbiica perseguitabilità dei delitti calcolata dietro i resultati già ottenuti in Scozia ed in Irlanda da questo sistema. » Egli mostrò che l'estensione all'In ghilterra del sistema di perseguibilità di ufficio dei delitti che già da un pezzo ha fatto le sue prove in Scozia ed in Irlanda è soltanto una questione di
tempo. Nel 1872 il signor Walpole aveva detto che era una disgrazia per l'Inghilterra essere il solo paese del mondo dove la persecuzione dei delitti fosse lasciata alla mercè dei privati i quali potevano sporgere querela od esimersene secondo che facesse loro piacere. La riforma su questa materia è ritar-data dal timore della spesa a cui essa porterebbe incontro, ma il signor Hancock dimostra che collo stabilire un ufficio di Crown Solicitor ossia di pro-curatore fiscale, come lo chiamano in Scozia, ren-dendosi inutile l'inchieste del Coroner, si risparmie-rehbero molte spese di procedura e molte perdite di tempo e si porterebbe in sostanza un risparmio nella spesa.
Nel secondo giorno del Congresso si discusse assai intorno ai debiti contratti dagli Stati sovrani o quasi sovrani con creditori stranieri il sig. Clarke lesse una lunga comunicazione tessendo i progressi fatti dal sistema di emissioni di imprestiti stranieri, tanto nella sua forma legittima, quanto nella forma di il-legittima espansione che prese di recente per scopi fraudolenti. Il sig. Walford disse che nel prestare denaro agli Stati esteri doveasi porre la massima cura nello accertare se questo denaro venisse con-sacrato a spese produttive o piuttosto non fosse speso come ultimamente in Turchia ed in altri paesi del-l'Oriento a pagare gì' interessi di debiti anteriormente contratti. Altri oratori non mancarono che espressero un analogo sentimento di diffidenza verso la Russia, osservando che le sue recenti costruzioni ferroviarie, per provvedere alle quali aveva contratti numerosi imprestiti, erano fatte piuttosto con uno scopo pura-mente militare che con quello di provvedere allo sviluppo commerciale delle vaste regioni dell'impero.
294 L' E C O N O M I S T A 2 settembre 1877 pence per ogni lira sterlina dell' imposta sopra gli
affitti, nel secondo questa sovraimposta fu ridotta a 4 pence, dopo quattro anni fu ridotta a tre e quindi a 2 ; fu creata una banca per sovvenire le somme necessarie, prima che fossero incassate mediante la so-vraimposta, ed il denaro vi accorse all' interesse del 4 per cento. Il prezzo sborsato in acquisti di pro-prietà private da demolirsi a tutto il 31 maggio de-corso ascendeva a -1,012,000 sterline mentre il va-lore delle proprietà vendute e di quelle che rimangono da vendere, valutato moderatamente, ascende dopo il miglioramento por Io menu a 1,647,000 sterline. Frattanto le condizioni igieniche della popolazione sono cambiate in modo sorprendente ed il numero dei delitti dal 1867 al 1873 è diminuito di 3,030. La lettura del sig. Watson fu ascoltata con sin-golare attenzione ed un voto cordiale di ringrazia-mento gli fu indirizzato dal Congresso.
(Continua)
PROPOSTE RIGUARDANTI LA MONETA SPICCIOLA
Recentemente si sono fatte alcune proposte in-torno alla valuta divisionale, proposte di cui credia-mo bene di render conto.Tutti deplorano gl'inconvenienti e i pericoli della circolazione dei biglietti di 50 centesimi. Quei pic-coli biglietti consorziali, i quali passano così rapi-damente di mano in mano diventano in breve così sudici da destare la nausea. Oltre di che facilmente si lacerano e si prestano alla contraffazione.
Essendo quindi generale il desiderio di sostituire qualche altra cosa a quei biglietti, non fa maravi-glia se la questione è stata sollevata e discussa. Il sig. Fuzier, membro della Camera di commercio di Milano, presentò a quella rappresentanza una pro-posta, che essa accolse e deliberò di raccomandare al governo.
La proposta consisterebbe nel sostituire ai biglietti di piccolo taglio delle valute metalliche a titolo eroso. Lo Stato dovrebbe ritirare i biglietti consorziali da 50 centesimi, una lira e due lire, e sostituirvi pezzi erosi di nickel e rame o d'altra lega, del valore di cent. 20 e 40.
Il presidente della Camera di commercio di Mi-lano fu autorizzato a comunicare la proposta alle altre Camere del regno, chiedendone l'appoggio al ministero.
La Camera di commercio di Genova la prese ad esame nella seduta del 18 luglio, emettendo il pro-prio parere sul merito della medesima e sulla pra-tica attuabilità.
« Troviamo, dice la relazione della Commissione, che grave spesa si avrà per coniare di tali monete in numero sufficiente per rimpiazzare tutti i biglietti da lire 2, I , 0,50. Nella moneta erosa poi il valore reale è tanto inferiore al valore nominale che si avrà una attrattiva grandissima per il falsificatore. Questa moneta sarà in sostanza un biglietto di me-tallo; e quando il governo volesse riprendere, come, dobbiamo desiderare, la via che ci porti poco a poco a riavere la circolazione reale non più fiduciaria, sarà necessario demonetizzarla, e questo con forte perdita, mentre i metalli per monete siffatte si rea-lizzerebbero assai male. »
In seguito a queste osservazioni, la Commissione genovese formulava un altro progetto.
« Noi proponiamo di chiedere al governo che i 20 milioni destinati a facilitare il ripristinamento della circolazione monetaria regolare siano in questo anno destinati a togliere dalla circolazione i biglietti
o D
da cent. 50, lasciando per gli anni prossimi il pen-siero di togliere quelli da L. I e quei da L. 2. A questo scopo proponiamo che si rimpiazzino i bi-glietti che si tolgono dalla circolazione con una nuova moneta d'argento allo stesso titolo di 835;000 come il restante argento divisionario. Vantaggio della no-stra proposta si è che non si rimpiazzerebbe la carta con moneta fiduciaria, sì bene con altra avente un valore intrinseco, se non al tutto giusto almeno sufficiente. Quando poi si volesse ritirare, avrebbesi sempre un metallo ricco e facilmente realizzabile con poca perdita. »
Alle obiezioni che potrebbero riferirsi agli osta-coli che la emissione della moneta divisionaria d'ar-gento potrebbe incontrare nella Convenzione di Pa-rigi del 1865 e alla possibilità della emigrazione di
cotesta valuta dalle piazze italiane, la Commissione risponde:
« Ad evitare questi inconvenienti noi proponiamo che queste monete siano coniate in modo che all'e-stero non abbiano corso. Per esempio, in pezzi da cent. 40 e 60. Per esempio, in pezzi ottagoni in-vece di rotondi. Proponiamo poi che solo possano essere usate per lire 20 in ogni pagamento. In ul-timo che le Banche del Consorzio non possano te-nerne in cassa che una somma da limitarsi. »
La Commissione crede che in tal modo valutato anche il prezzo attuale dell'argento, che espone a grave perdita chi volesse fondere i nuovi pezzi, le monete resterebbero in circolazione e che gli Stati esteri non accettandole, non avrebbero ragione al-cuna di opporsi alla loro coniazione. La Camera di commercio approvò la proposta alla unanimità.
Non possiamo passare sotto silenzio come la
Per-severanza avesse con molta competenza trattato
2 settembre 1877 L' E C O N O M I S T A 295 Essa incominciava dal notare che sebbene nei
no-stri tempi si ricorra meno che in passato alla co-niazione della moneta erosa, pure il Belgio, gli Stati Uniti e la Giamaica emisero pezzi nei quali una parte di nickel è commista a tre parti di rame. Ma urtarono nella difficoltà del rialzo nel prezzo del nickel, le cui variazioni di valore, per le poche mi-niere e per l'incetta fattane dalla Germania, pongono
un ostacolo, benché non insuperabile, all'uso di co-testo metallo negli strati inferiori della circolazione monetaria.
Pertanto il citato giornale, senza opporsi al pro-getto del sig. Fuzier, si domandava se nellle attuali condizioni del mercato dell'argento non sarebbe pos-sibile la sostituzione ili pezzi d'argento di mezza lira ai biglietti da 50 cent.; a ciò ne incoraggerebbe l'esempio degli Stati Uniti e della Russia.
Certo converrebbe considerare 1° se il mercato dell'argento sia in grado di offrire la quantità di metal'o che occorrerebbe all'Italia per coniare la piccola valuta da sostituire ai biglietti ora incorso. 2° Se si incontrerebbe un ostacolo nella conven-zione monetaria di Parigi. 5° Se vi sarebbe peri-colo di vedere scomparire cotesta moneta d'argento non appena fosse gettata sulla piazza.
Considerando che i biglietti da 50 cent, ritirati a tutto il 31 decembre dalla cassa del Consorzio ammontano a poco più che 12 milioni, il bisogno delle monete da mezza lira non potrebbe essere per ora molto superiore a quella cifra. Basterebbe forse una ventina di milioni. Il getto delle miniere ame-ricane soverchia la richiesta delle zecche federali e il vecchio argento tedesco affluisce di continuo sul mercato di Londra, tantoché il prezzo dell'argento si mantiene basso. E l'impero germanico ha ancora una gran quantità d'argento da smonetare. L'espor-tazione per l'India e per la Gina è stata enorme e ha impedito un più forte rinvilio, ma il rialzo dei prezzi dei generi di consumo sul mercato orientale è segno che esso è provvisto a sufficienza di quel me-tallo. Data questa condizione di cose, l'Italia po-trebbe senza andare incontro a perturbazioni, chie-derne al mercato 15 milioni, impedendo anzi ulteriori deprezzamenti.
Forse restringendo la coniazione dei pezzi da 20 centesimi e da 2 lire, si potrebbe rimanere nei limiti impostici dal patto di Parigi coli' articolo 9, che in ogni caso potrebbe rivedersi.
Una particolare circolazione monetaria non è in-conciliabile colla circolazione cartacea e qualche tempo addietro circolavano sulle nostre piazze molti pezzi da 50 centesimi. Si aggiunga che invece di rivolgerci al mercato, potremmo trattare colla Ger-mania per l'acquisto della somma di argento che ci occorresse.
Da queste considerazioni la Perseveranza era
in-dotta a credere che la sostituzione dei pezzi da mezza lira ai biglietti da 50 centesimi potrebbe, colle de-bite cautele, effettuarsi senza alcun pericolo.
Il sig. Fuzier diresse alla Perseveranza la se-guente lettera, che per la sua importanza ripro-duciamo.
« L'articolo: La moneta spicciola, contenuto nella
Perseveranza del 6 corrente, mi ha recato quella
soddisfazione naturale che nasce in chi vede richia-mata l'attenzione di persone competenti sopra un argomento che desidera studiato e sul quale crede necessario un provvedimento.
« La proposta da me fatta nella seduta della Camera di commercio del 22 maggio si riassumeva nella ri-chiesta al Governo di sostituire ai biglietti di piccolo ta-glio delle valute metalliche a titolo eroso. Cercai di convalidare il sistema che propugnava, con argomenti comprovanti la possibilità e la convenienza della sua attuazione, e ì miei colleghi lo confortavano del loro appoggio.
« Senza avversare tale sistema, nel succitato ar-ticolo della Perseveranza se ne contrappone uno diverso, ohe, secondo il mio modo di vedere, non mi pare possa raggiungere Io scopo prefisso.
« In luogo di valuta a titolo eroso, si domanda se non sarebbe possibile sostituire ai biglietti di pic-colo taglio dei pezzi d'argento di mezza lira.
« Tale domanda è seguita da tre quesiti del se-seguente tenore:
« 1° Il mercato d'argento è in grado di offrire la quantità di metallo che occorrerebbe all'Italia per coniare la piccola valuta da sostituire ai biglietti ora in corso?
« 2° Posto che sì, non s'incontrelffje un grave introppo nella Convenzione monetaria di Parigi?
« 3° Yi sarebbe pericolo di veder scomparire co-testa moneta d'argento non appena fosse gettata sulla piazza?
« La disamina che vien fatta di tali quesiti, e le spiegazioni che vi fanno seguito, mi suggerirono alcune considerazioni, che mi permetto di brevemente sviluppare.
« Al primo quesito non dovrei nulla osservare, non ammettendo la convenienza, vigente il corso forzoso, del conio di valuta d'argento a titolo fino, e quindi, non ammettendo il bisogno di una quantità rilevante di tale metallo.
« Siccome però anche nel mio sistema una certa quantità del suddetto potrebbe abbisognare, se si adottasse la lega erosa di argento e rame invece di quella di nickel e rame, così vedo con piacere dis-sipato ogni dubbio sulle perturbazioui dannose che il mercato monetario potrebbe risentire, considerata l'abbondanza dell'argento che io pure ammetto, spe-cialmente per l'accrescimento della sua produzione,