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L I N E E F O N D A M E N T A L I D E L L A R E L A Z I O N E S U L L O S T A T O D E L L ’ A M M I N I S T R A Z I O N E D E L L A G I U S T I Z I A P E R L ’ A N N O 1 9 9 6 1 .

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LINEE FONDAMENTALI DELLA RELAZIONE

SULLO STATO DELL’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA PER L’ANNO 1996

1. La Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia costituisce un significativo canale istituzionale, promosso dal Senato della Repubblica con l’ordine del giorno approvato il 29 gennaio 1969, che consente al Consiglio superiore della magistratura di offrire alle Camere un apporto - sul piano dell’informazione e dell’elaborazione - per gli interventi legislativi concernenti l’amministrazione della giustizia.

Il C.s.m., in accoglimento di quell’invito del Senato e facendo seguito alle nove relazioni degli anni 1970-1994, ha deliberato di redigere la Relazione al Parlamento per l’anno 1996, dedicandola alla ricognizione dei problemi di funzionalità nell’amministrazione della giustizia ed alla formulazione di linee propositive per una riforma dell’ordinamento giudiziario, finalizzata alla realizzazione di un sistema processuale efficiente ed ispirato alle garanzie costituzionali.

L’amministrazione della giustizia è, peraltro, caratterizzata da una complessità tale da rendere ormai impossibile concentrare in una sola relazione l’esame dei molteplici problemi che la interessano.

Questa Relazione si inquadra, pertanto, nel contesto dei vari interventi di contenuto generale, quale - da ultimo - la proposta di risoluzione elaborata dalla competente Commissione del C.s.m. in tema di «Gestione dei processi di criminalità organizzata».

La constatazione della crisi di efficienza del sistema giudiziario e le nuove forme di garanzia - cui sono riconducibili le declaratorie di incostituzionalità dell’art. 34 comma 2 c.p.p., pronunziate dalla Corte nell’arco di un quinquennio, che hanno ridisegnato le incompatibilità del giudice nel processo penale - rendono indifferibile una riflessione sulle possibili riforme di ordinamento giudiziario.

La Corte costituzionale, nell’assumere la decisione del 24 aprile 1996 n. 131, non ha esitato a rilevare di essere pienamente «consapevole delle difficoltà di ordine pratico che, come conseguenza della propria giurisprudenza, possono derivare alla formazione concreta degli organi giudicanti»; ed ha affermato che «ciò, tuttavia, non la esime dalla propria essenziale funzione di garanzia, quando se ne richieda l’intervento in presenza di norme costituzionalmente illegittime». La sentenza così conclude: «Alle anzidette difficoltà, con appropriati interventi e riforme di ordine normativo ed organizzativo, devono porre rimedio altre istanze costituzionali alle quali appartengono i relativi doveri e le relative responsabilità. Per questo, nel pervenire alla presente, ulteriore pronuncia di incostituzionalità in difesa del principio del giusto processo e dell’imparzialità e della terzietà del giudice, questa Corte deve rivolgere, anzi rinnovare (...) un pressante invito agli organi competenti affinché pongano mano con urgenza a quegli interventi e a quelle riforme che gli indisponibili principi della Costituzione richiedono in ordine al buon funzionamento della giurisdizione penale».

Il Consiglio superiore della magistratura, nell’ambito delle competenze che la legge istitutiva gli attribuisce, ha tratto da ciò occasione per avviare una riflessione caratterizzata dalla massima concretezza.

La necessità di pervenire in tempi brevissimi alla elaborazione di una riforma in grado di segnare una decisa inversione di tendenza, rispetto alla constatata crisi di efficienza, ha suggerito l’opportunità di individuare linee propositive schematiche e di utilizzare un modello di esposizione sintetico, ma idoneo a consentire la rapida e puntuale focalizzazione dei problemi e dei possibili interventi innovativi.

2. I dati statistici relativi alle sopravvenienze dei procedimenti, nonostante le notevoli discrasie che li caratterizzano in riferimento alla diversità delle fonti, univocamente dimostrano il costante

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incremento, anche nel breve periodo, dei carichi di lavoro e del tempo di definizione dei processi, nei settori penale e civile.

Dai prospetti emerge, altresì, con chiara evidenza che la linea di tendenza dell’incremento del lavoro giudiziario è tale da non poter essere compensata esclusivamente con aumenti dell’organico della magistratura, né fronteggiata solo mediante spostamenti tabellari all’interno degli uffici.

La riflessione svolta ha reso possibile accertare che, qualora si fosse inteso porre riparo all’incremento del lavoro esclusivamente con aumenti dell’organico, si sarebbe dovuto maggiorare del 70% il numero dei magistrati, nel decennio 1985-1995, per il solo settore civile. La constatazione è di per sé sola risolutiva per dimostrare la complessità della situazione.

E’ incontestabile, peraltro, che l’attuale struttura degli uffici di primo grado non consente di fronteggiare l’incremento dei procedimenti civili e penali. Al di là dei dati statistici, l’analisi ha evidenziato che è la stessa articolazione degli organi di giurisdizione di primo grado che ha insite in sé ragioni e cause di inefficienza, individuabili nella inattuale distribuzione degli uffici sul territorio e nell’ormai scarsamente razionale strutturazione del primo grado del giudizio di merito in diversi uffici ricoperti da giudici togati (tribunale e pretura, con relative procure della Repubblica).

Due interventi si delineano come essenziali: la riscrittura della geografia giudiziaria; la creazione dell’ufficio del giudice unico di primo grado.

Quanto al primo, va rilevato che la diffusa ripartizione degli uffici sul territorio ha determinato l’esistenza di un preponderante numero di tribunali di modeste dimensioni, le cui difficoltà di funzionamento sono di intuitiva evidenza.

Occorre, pertanto, una ridistribuzione sul territorio secondo modelli organizzativi adeguati ai tempi ed alla varietà delle situazioni locali, avendo riguardo all’effettiva domanda di giustizia, quantificata sulla scorta di indici di lavoro idonei a costituire attendibile criterio per orientare le scelte di soppressione o di accorpamento di circondari.

Uno strumento idoneo per poter dimensionare correttamente gli uffici è certo quello della ridefinizione della loro allocazione; ma lo stesso - pur indispensabile - non è, da solo, ancora sufficiente allo scopo.

I dati esposti e le considerazioni svolte nella Relazione fanno ritenere opportuno che, nell’intraprendere la riforma delle circoscrizioni, si realizzi anche una contestuale innovazione per razionalizzare l’organizzazione giudiziaria; si proceda, cioè, ad eliminare la duplicità degli uffici di primo grado retti da magistrati togati: pretura e tribunale, nel settore giudicante; le due procure della Repubblica, in quello requirente.

La concentrazione degli uffici di primo grado si configura, a detto fine di razionalizzazione, come indispensabile. Pertanto, ad essa dovrebbe essere riconosciuta priorità logica, qualora non si ritenesse opportuna la contemporaneità degli interventi.

Nell’affrontare la questione della concentrazione delle competenze di primo grado in un ufficio giudiziario unico, è necessario sgombrare il campo da un equivoco che non di rado è emerso in passato e cioè che sia ineluttabile l’equazione «giudice unico = giudice monocratico».

L’equazione non ha, in realtà, fondamento: l’ampia trattazione svolta nella Relazione convalida l’assunto che l’unificazione di pretura e tribunale (al pari di quella delle due attuali procure della Repubblica aventi dimensione circondariale) è praticabile ed utile a prescindere dalle scelte del Legislatore circa la maggiore o minore ampiezza della monocraticità nelle funzioni giurisdizionali.

Si è anche constatato che il lungo dibattito protrattosi per oltre un secolo è ormai prossimo al suo punto di arrivo: la eliminazione dell’ordine gerarchico nella magistratura, da un lato, e la consapevolezza che giudice unico non significa necessariamente giudice monocratico, dall’altro lato, conducono alla unificazione dell’ufficio del giudice togato di primo grado.

Questo appare un modello organizzativo più moderno, assai più flessibile di quello attuale ed adeguato così alle incrementate esigenze di efficienza come alle dimensioni funzionali al nuovo assetto delle incompatibilità nel giudizio penale.

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Ove, poi, il Legislatore intendesse estendere il suo intervento all’ambito processuale, la nuova dimensione organizzativa sarebbe adeguata anche ad attuare modelli di giudizio tendenzialmente monocratici, con riserve di collegialità, nel settore civile e nel settore penale.

Naturalmente, in questa ipotesi, l’intervento legislativo dovrebbe farsi carico dell’individuazione specifica delle fattispecie da assoggettare al regime collegiale, disciplinandone i rapporti con il regime monocratico. Su tali scelte, propriamente riservate alla discrezionalità del Legislatore, la Relazione volutamente non prende posizione.

L’istituzione dell’ufficio del giudice unico di primo grado configura tipicamente, invece, una riforma delle norme di ordinamento giudiziario. Se ciò non significa negare i rapporti di interdipendenza che esistono con l’ordinamento processuale, attenta considerazione deve riservarsi, peraltro, al principio espresso dalla Corte costituzionale, secondo il quale «qualunque norma sul processo presuppone che vi sia un’organizzazione giudiziaria, e quindi un ordinamento giudiziario, ma non ne è in alcun modo condizionata, dovendo viceversa l’ordinamento giudiziario adeguarsi alle esigenze funzionali derivanti dalle norme dei codici di rito, in genere, e da quelle di competenza in special modo» (sentenza n. 184 del 1974).

Pertanto, nella Relazione, le prospettive di riforma delle normative di rito, pur inscindibilmente connesse alla proposta di riorganizzazione degli uffici, sono tutte calibrate in modo da non alterare la struttura del processo, la posizione delle parti ed il sistema delle garanzie.

Per altro verso, l’ufficio giudiziario unico di primo grado viene qui concepito in modo da consentire il dimensionamento degli organici su livelli in grado di favorire il migliore funzionamento ed il soddisfacimento delle esigenze di specializzazione.

In una fase propositiva è apparso opportuno delineare i due diversi moduli organizzativi ipotizzabili - l’accentramento ed il decentramento -, individuando i rispettivi problemi e le soluzioni in grado di fronteggiarli.

Nella elaborazione delle due soluzioni si è avuto riguardo anche alla opportunità di assicurare che la - pur auspicabile - contestualità delle riforme consenta un graduale accorpamento di uffici giudiziari, evitando l’impatto derivante da una rapida eliminazione della presenza del giudice togato in alcuni centri. La proposta del modulo decentrato, pur non unanimemente condivisa, è ispirata dalla necessità di contemperare tali esigenze.

L’istituzione dell’ufficio unico del giudice togato di primo grado comporterà la necessità di prevedere adeguate strutture di supporto non solo ai singoli magistrati, come da tempo auspicato, ma anche alle funzioni dei dirigenti.

A tal fine si è posta allo studio la previsione di funzioni direttive intermedie, che potranno essere definite nel loro nucleo essenziale nelle norme di ordinamento giudiziario, riservando alle indicazioni tabellari la determinazione delle attribuzioni specifiche da riconoscere all’interno di ciascun ufficio.

In conclusione, col presente contributo propositivo, derivato dalla oggettiva ricognizione delle problematiche, il Consiglio superiore della magistratura intende offrire lo spunto per una serie di interventi, in tema di ordinamento giudiziario, caratterizzati dalla organicità: interventi che superino i limiti dell’ottica emergenziale, restituiscano razionalità ed efficienza alla giurisdizione nel settore civile e nel settore penale e favoriscano la più completa realizzazione del «giusto processo».

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1.1 I dati statistici. Premessa metodologica.

Al fine di verificare la rispondenza dell’attuale distribuzione del personale di magistratura alle esigenze ed ai carichi di lavoro degli uffici e, quindi, di soddisfare lo scopo che la Relazione si ripromette, è necessario effettuare una preliminare ricostruzione statistica dei dati disponibili circa i procedimenti pendenti nel settore penale ed in quello civile. Successivamente dovrà procedersi al confronto di tali dati con quelli dei magistrati addetti ai singoli settori, divisi per tipologie di ufficio.

Tale raffronto consentirà di accertare la percentuale dei magistrati in servizio addetti ad ogni categoria di uffici ed ai settori penale e civile, in modo da verificare quale proporzione esista tra le varie categorie di grandezze.

In ragione dei dati allo stato disponibili, il raffronto deve essere necessariamente effettuato per quantità temporalmente non corrispondenti, in quanto, a fronte di dati sulla distribuzione dei magistrati negli uffici giudiziari aggiornati all’11 giugno 1996 (quanto all’effettiva copertura dei posti della pianta organica) ed al 31 dicembre 1995 (quanto alla «destinazione tabellare»), i dati delle pendenze globali dei settori penale e civile (tratti dagli allegati statitistici della relazione del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione) sono aggiornati al 30 giugno 1995. La disomogeneità è, comunque, scarsamente rilevante, in ragione dei modestissimi interventi sugli organici della magistratura intervenuti tra il giugno 1995 ed il giugno 1996 e non è tale da falsare l’individuazione delle linee di tendenza.

Per ragioni di chiarezza espositiva, i prospetti statistici ai quali si farà riferimento sono riportati alla fine del presente capitolo.

1.2 Distribuzione dei magistrati in relazione al carico di lavoro degli uffici.

La ricostruzione statistica costituisce una base di partenza per una ricerca che, pur nella sua sinteticità, intende fornire un quadro della caduta di efficienza del sistema giustizia.

I dati disponibili, nonostante le notevoli discrasie che li caratterizzano in riferimento alla diversità di fonte, depongono tutti nel senso di un costante incremento, anche nel breve periodo, dei carichi di lavoro nel settore penale e in quello civile (cfr. tabella 4).

In questa sede, non interessa analizzare le cause di questo incremento (sulle quali è sufficiente osservare che il miglioramento della produttività degli uffici non sembra comunque in grado di far fronte all’incremento delle sopravvenienze: cfr. tabelle 5-6), bensì è utile individuare le ragioni per cui la struttura giudiziaria si rivela sempre meno idonea a far fronte a questa crescente domanda di giustizia, allo scopo di indicare le modalità e le tipologie di intervento di carattere ordinamentale che consentano una concreta inversione di tendenza.

In particolare interessa al Consiglio individuare quale sia il rapporto ottimale tra il numero dei magistrati da adibire ai singoli uffici giudiziari e la mole di lavoro da cui sono interessati gli uffici stessi.

Il dato che emerge ad una prima lettura è che nel settore giudicante, a fronte di 5.939 magistrati effettivamente presenti nell’organico degli uffici giudiziari, vi sono 7.237 destinazioni tabellari (prendendo in considerazione la distinzione tra sezioni penali e sezioni civili), il che significa che 1.298 magistrati svolgono, secondo le previsioni tabellari, sia funzioni penali sia funzioni civili.

Non pare arrischiato affermare che questa promiscuità funzionale si riscontra essenzialmente nei tribunali di modeste dimensioni.

Dai prospetti si ricava che la linea di tendenza dell’incremento del lavoro giudiziario nella presente fase storica è tale da non poter essere compensata con un aumento proporzionale del numero dei magistrati. Ad esempio, la pendenza dei procedimenti civili nel decennio 10 giugno

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1985 - 30 giugno 1995 è aumentata del 171% in pretura, del 64% in tribunale, del 62% in corte di appello e del 18% in Corte di cassazione.

Gli incrementi parallelamente intervenuti anche nel settore penale non hanno consentito di far fronte all’imponente aumento di lavoro con puri e semplici spostamenti tabellari all’interno degli uffici: di modo che, ove avesse voluto porsi riparo all’incremento del lavoro nel settore civile esclusivamente con aumenti dell’organico della magistratura, nel solo decennio di riferimento l’organico avrebbe dovuto essere incrementato circa del 70% (corrispondente alla media approssimata per difetto degli incrementi di lavoro sopra indicati). La considerazione consente di per sé sola di escludere che utile rimedio possa essere un reclutamento straordinario, già da respingere pur sulla scorta di ragioni diverse.

Per evitare l’elefantiasi dell’organico della magistratura (tra l’altro incompatibile con le esigenze di adeguata gestione e di assicurazione di un adeguato standard qualitativo), appare evidente che debbono percorrersi strade alternative: la migliore distribuzione dei magistrati sul territorio ed il conseguente recupero di efficienza.

1.3 Obiettivi della rilevazione statistica.

L’analisi statistica riportata evidenzia il crescente deficit di funzionalità della struttura giudiziaria, ma non costituisce elemento in sé adeguato a permettere di identificare gli accomodamenti di carattere territoriale che possano migliorare la distribuzione dei magistrati sul territorio. Perché possa rispondere a questo scopo la rilevazione statistica deve tradursi in dati che consentano una analisi ragionata dei carichi di lavoro dei singoli uffici. Ne discende l’opportunità di prendere in considerazione dati elaborati, capaci di esprimere attendibili indici di lavoro degli uffici giudiziari.

Il Consiglio superiore della magistratura, considerata la carenza dei sistemi di rilevazione statistica, specie quanto agli indici di lavoro, li ha giudicati inidonei a costituire un attendibile supporto per un’adeguata gestione degli organici degli uffici giudiziari. In particolare, con delibera 22 giugno 1995 il Consiglio ha esplicitamente affermato di non essere in grado di rendere pareri sulle proposte di modifica degli organici dei magistrati addetti agli uffici giudiziari fino a quando non siano stati aggiornati e resi più attendibili gli indici di lavoro.

L’inadeguatezza degli attuali elementi è dovuta al fatto che il dato statistico riguarda essenzialmente l’aspetto numerico del lavoro giudiziario e non ne consente una attendibile ponderazione qualitativa. Questa carenza comporta una duplice conseguenza: da un lato, non consente di valutare l’effettivo carico di lavoro dei singoli uffici, dall’altro impedisce un realistico controllo dei livelli di produttività ed efficienza dei magistrati e, più in generale, della rispondenza della struttura alla richiesta di giustizia nel suo complesso.

Una concreta analisi delle cause di inefficienza del sistema giustizia, che sia strumentale all’adozione di misure ordinamentali destinate a migliorare il grado di efficienza del sistema, non può dunque prescindere da un’esplicita segnalazione della necessità di rivedere i sistemi di rilevazione statistica. Al riguardo va dato atto che sono allo studio interventi destinati ad incidere in maniera rilevante sui sistemi di rilevazione statistica dei carichi di lavoro.

Inoltre, è da tempo all’opera presso il Ministero di grazia e giustizia un Gruppo di studio, istituito con d.m. 17 gennaio 1995, presieduto dal Presidente dell’Istat e composto da tecnici dell’Istat, da magistrati del Ministero e da tre componenti del Consiglio superiore della magistratura.

Il Gruppo ha in programma l’approvazione, entro l’estate del 1996, di un rapporto finale nel quale si proporrà una nuova metodologia nella determinazione degli indici di lavoro giudiziario.

Il metodo, che il rapporto applicherà sperimentalmente agli attuali distretti di corte d’appello, si fonda sulla ponderazione delle cause (pendenti e sopravvenienti), distinte per tipi di procedimento,

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rispetto alle quali vengono determinati i tempi necessari di trattazione, attraverso l’analisi di molteplici fattori e l’applicazione di svariati criteri distintivi e correttivi.

tabella 1

La distribuzione dei magistrati (1) a. Magistrati togati

posti in organico 8.959

magistrati in servizio 8.267

magistrati in servizio negli uffici giudiziari 7.982 a.1 Uffici requirenti: magistrati in servizio

- procure presso le preture 586

- procure presso i tribunali 1.047

- procure generali presso le corti di appello 230 - procure presso i tribunali per i minorenni 94 - Procura gen. presso la Corte di cassazione 65

- Direzione Nazionale Antimafia 20

totale 2.043

a.2 Uffici giudicanti: magistrati in servizio a.2.1 per posti di organico:

- preture 1.689

- tribunali 2.734

- corti di appello 873

- tribunali per i minorenni 158

- uffici e tribunali di sorveglianza 142

- Corte di cassazione 343

totale 5.939

a.2.2 per funzioni (esclusive e promiscue):

a.2.2.1 funzioni penali

- preture 1.100

- tribunali 1.753

- corti di appello 623

- tribunali per i minorenni 135

- uffici e tribunali di sorveglianza 116

- Corte di cassazione 171

a.2.2.2 funzioni civili

- preture 1.256

- tribunali 1.937

- corti di appello 558

- tribunali per i minorenni 132

- Corte di cassazione 164

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(1) fonte: Ufficio automazione C.s.m., dati all’11 giugno 1996 per le voci a) e b)1; dati al 31 dicembre 1995 per le voci voci a.2.1 e a.2.2.

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segue tabella 1 b. magistrati onorari b.1 giudici di pace (2)

posti in organico 4.700

magistrati in servizio 3.141

b.2 vice pretori onorari (3)

posti in organico (4) 2.671

magistrati in servizio 2.117

b.3 vice procuratori onorari (3)

posti in organico (4) 1.617

magistrati in servizio 1.419

(2) fonte: ufficio giudici di pace C.s.m. (dati al 19 giugno 1996).

(3) fonte: Quarta Commissione referente C.s.m..

(4) il numero dei vice pretori e dei vice procuratori onorari non è predeterminato ex lege, su base nazionale, bensì fissato con delibera del C.s.m., in relazione alle esigenze dei singoli uffici; il dato complessivo qui riportato consta del totale dei vice pretori e vice procuratori previsti per singoli uffici.

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tabella 2

I dati della giustizia penale. Dati nazionali

a. procedimentib. magistratic. percent.le pendenti addetti magistrati al 30 giugno1995 (1) (2) (3) a. Uffici requirenti

procure presso le preture 2.434.834 586 28.68 procure presso i tribunali 235.999 1.048 51.30 procure presso i tribunali minor. 17.820 94 4.60 procure generali

presso le corti di appello n.r. (6) 230 11.26 procura generale

presso la Corte cassazione n.r. (6) 65 3.18

D.N.A. n.r. (6) 20 0.98

totale 2.043 100.00

b. Uffici giudicanti

preture (compresi gip) 771.507 1.100 28.13

tribunali (compresi gip) (4) 266.404 1.753 44.83

tribunali minorenni 28.051 135 3.45

corti di appello (5) 118.489 635 16.24

Corte di cassazione 14.699 171 4.38

uffici e tribunali di sorveglianza n.r. (6) 116 2.97

totale 3.910 100.00

(1) fonte: Relazione del Procuratore Generale della Corte di Cassazione sull’amministrazione della giustizia, Roma, 1996.

(2) fonte: Ufficio automazione C.s.m., dati al 31 dicembre 1995. N.B.: il riferimento è a tutti i magistrati addetti al settore, anche promiscuamente con diverse funzioni. Pertanto, nelle tabelle 2 e 3 lo stesso magistrato può essere computato più volte, se investito di più funzioni.

(3) percentuale dei magistrati presenti nella giudicante, rilevati dalle tabelle, nonché della requirente.

(4) compresi i procedimenti pendenti in corte di assise.

(5) compresi i procedimenti pendenti in corte di assise di appello e dinanzi alle sezioni per i minorenni.

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(6) il dato non risulta rilevato.

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tabella 3

I dati della giustizia civile. Dati nazionali

a. procedimentib. magistratic. percent.le pendenti addetti magistrati al 30 giugno1995 (1) (2) (3)

preture 1.357.265 1.256 30.96

tribunali (4) 1.711.971 1.937 47.74

tribunali minorenni — 132 3.25

corti di appello (5) 97.392 568 14.00

Corte di cassazione 36.148 164 4.05

totale 4.057 100.00

(1) fonte: Relazione del Procuratore Generale della Corte di Cassazione sull’amministrazione della giustizia, Roma, 1996.

(2) fonte: Ufficio automazione C.s.m., dati al 31 dicembre 1995. N.B.: il riferimento è a tutti i magistrati addetti al settore, anche promiscuamente con diverse funzioni. Pertanto, nelle tabelle 2 e 3 lo stesso magistrato può essere computato più volte, se investito di più funzioni.

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(3) percentuale dei magistrati presenti nel settore in base a provvedimento tabellare.

(4) procedimenti di primo e secondo grado.

(5) procedimenti di unico e secondo grado.

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tabella 4

Incremento dei procedimenti pendenti (1)

a. procedimenti civili: Confronto pendenze 30 giugno1985 - 30 giugno 1995.

procedimenti pendenti al 30.6.85 30.6.95

preture 500.349 1.357.265 (+171,26%)

tribunali 1.046.954 1.711.971 (+ 63,51%) corti di appello 60.190 97.392 (+ 61,80%) Corte di cassazione 30.637 36.148 (+ 17,98%)

b. procedimenti penali: Confronto pendenze dal 30 giugno 1992 al 30 giugno 1995.

proc. pendenti al 30.6.92 30.6.93 30.6.94 30.6.95 procure presso le preture 1.824.304 2.148.778 2.277.554 2.434.834 procure presso i tribunali 146.446 173.466 229.978 235.999 procure presso i tribunali

per i minorenni 14.910 14.300 15.888 17.820

preture (compresi g.i.p.) 581.099 592.663 719.959 771.507 tribunali (compresi g.i.p.) 167.000 189.386 244.529 266.374

tribunali minorenni 2.784 3.419 4.032 3.902

corti di appello 55.345 67.051 90.285 118.489 Corte di cassazione 11.238 11.741 12.357 14.699

(1) fonte: Relazioni del Procuratore Generale della Corte di Cassazione sull’amministrazione della giustizia, Roma, 1986 e 1996.

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tabella 5

Procedimenti sopravvenuti:

a. procedimenti civili: (a fianco degli ammontari le percentuali in aumento o diminuzione) (1).

sopravvenienze 1.7.82 1.7.83 1.7.84

30.6.83 30.6.84 30.6.85

preture 405.315411.530 (+1,53%)417.719 (+1,50%) tribunali 414.105405.723 (-2,03%)363.905 (-11,31%) corti di appello 26.186 23.201 (-11,4%) 25.105 (+8,20%) Corte di cassazione 9.838 9.701 (-1,40%) 9.726 (+0,25%)

sopravvenienze 1.7.92 1.7.93 1.7.94

30.6.93 30.6.94 30.6.95

preture 644.402749.573 (+16,3%)843.249 (+12,50%) tribunali 494.095514.634 (+4,15%)516.234 (+0,31%) corti di appello 30.693 32.891 (+7,16%) 34.615 (+5,24%) Corte di cassazione 13.626 13.633 (+0,05%)15.443 (+13,27%)

b. procedimenti penali: (a fianco degli ammontari le percentuali in aumento o diminuzione) (1).

sopravvenienze 1.7.92 1.7.93 1.7.94

30.6.93 30.6.94 30.6.95

procure presso le preture 3.777.3363.912.441 (+3,6%)4.209.992 (+7.6%) procure presso i tribunali 499.714617.113 (+23,5%) 554.870 (-10,1) procure presso i tribunali minor.49.83648.694 (-2,3%) 47.486 (-2,5%) preture (compresi g.i.p.) 3.216.3503.580.113 (+11,3%)3.823.041 (+6,78%) tribunali (compresi g.i.p.) 417.929501.070 (+19,89%)515.859 (+2,95) tribunali minorenni (compresi gip)52.40451.435 (-1,85%)47.211 (-8,22%) corti di appello 53.36367.424 (+23,34%)72.545 (+7,59%) Corte di cassazione 34.52341.111 (+19,08%)44.196 (+7,50%)

(1) fonte: Relazioni del Procuratore Generale della Corte di Cassazione sull’amministrazione della giustizia, Roma, 1986 e 1996.

(23)

tabella 6

Procedimenti esauriti:

a. procedimenti civili: (a fianco degli ammontari le percentuali in aumento o diminuzione) (1)

periodo 1.7.82 1.7.83 1.7.84

30.6.83 30.6.84 30.6.85

preture 406.378424.571 (+4,47%)423.762 (-0,20%) tribunali 295.785298.597 (+0.95%)327.869 (+9,80%) corti di appello 24.673 22.187 (-11,1%) 21.523 (-3.00%) Corte di cassazione 9.700 9.140 (-5,78%) 8.619 (-5,71%)

periodo 1.7.92 1.7.93 1.7.94

30.6.93 30.6.94 30.6.95

preture 595.811699.535 (+17,4%)648.788 (-7,26%) tribunali 399.754460.326 (+15,2%)457.848 (-0,54%) corti di appello 29.797 33.135 (+11,2%) 32.298 (-2,53%) Corte di cassazione 15.221 14.367 (-5,62%) 14.816 (+3,12%)

b. procedimenti penali: (a fianco degli ammontari le percentuali in aumento o diminuzione) (1)

periodo 1.7.92 1.7.93 1.7.94

30.6.93 30.6.94 30.6.95

procure presso le preture 3.457.0643.731.413 (+7,9%)4.119.964 (+10,4%) procure presso i tribunali 473.648557.408 (+17,7%) 547.531 (-1,8%) procure presso

i tribunali minorenni 50.335 47.192 (-6,2%) 45.786 (-3,0%) preture (compresi g.i.p.) 3.241.2483.473.070 (+7,15%)3.685.068 (+6,10%) tribunali (compresi g.i.p.) 388.124456.251 (+17,55%)472.517 (+3,56%) tribunali minorenni

(compresi g.i.p.) 47.11552.179 (+10,74%) 48.628 (-6,81%) corti di appello 36.58546.502 (+27,10%)51.863 (+11,52%) Corte di cassazione 34.02040.495 (+19,03%)41.863 (+3,37%)

(1) fonte: Relazioni del Procuratore Generale della Corte di Cassazione sull’amministrazione della giustizia, Roma, 1986 e 1996.

(24)

2.1 Interventi della Corte costituzionale e riforme ordinamentali.

I ripetuti interventi della Corte costituzionale in materia di incompatibilità del giudice nel processo penale, e soprattutto le recentissime sentenze 24 aprile 1996 n. 131 e 20 maggio 1996 n.

155, hanno dato luogo ad immediate ricadute di carattere organizzativo sull’esercizio della giurisdizione penale. Tale situazione viene ad innestarsi in un quadro di crisi della giustizia nel suo complesso, risalente nel tempo e determinato dal concorso di molteplici fattori, di carattere non solo organizzativo, ma anche dal sedimentarsi di interventi legislativi parziali in tema di ordinamento giudiziario, di diritto processuale penale e civile e di diritto sostanziale.

I principi in materia di incompatibilità del giudice affermati dalla Corte e la riorganizzazione del sistema di distribuzione dei magistrati sul territorio costituiscono questioni logicamente collegate e concomitanti, ma non reciprocamente condizionate, in quanto è evidente che di riforme ordinamentali si avvertiva in modo marcato la necessità già anteriormente ai pronunciamenti della Corte.

Pertanto, i nuovi principi sulla incompatibilità possono essere considerati un fattore di accelerazione, ma non un elemento determinante rispetto agli interventi di riforma che di seguito saranno proposti.

Con questa premessa, nella presente prima parte della Relazione si procede ad una ricostruzione delle esigenze concretamente esistenti in punto di distribuzione dei magistrati sul territorio, sulla base dell’attuale assetto ordinamentale, prendendo spunto dalle nuove esigenze originate dagli interventi della Corte costituzionale; con la consapevolezza, però, che nella materia esistevano già da tempo le condizioni per un radicale intervento.

2.2 Il processo penale. Le sentenze della Corte costituzionale.

La sintesi delle declaratorie di incostituzionalità emesse riguardo all’art. 34 c.p.p. (riferibili alle incompatibilità dei giudici dei tribunali e dei pretori), consente di individuare il progressivo iter seguito nella definzione del concetto di incompatibilità ritenuto costituzionalmente legittimo, nel rispetto del principio di terzietà del giudice, enunciato dalla Corte sin dalla sentenza 10 dicembre 1986 n. 268.

Il giudice delle leggi, con sentenza 24 aprile 1996 n. 131, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 comma 3 c.p.p. nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che:

a. come componente del tribunale del riesame si sia pronunziato su misura cautelare nei confronti dell’indagato o dell’imputato;

b. come componente del tribunale dell’appello si sia pronunziato su aspetti non esclusivamente formali dell’ordinanza applicativa della misura cautelare personale.

Con la sentenza 20 maggio 1996 n. 155 è stata altresì dichiarata l’illegittimità della norma medesima sotto gli ulteriori profili dell’incompatibilità del giudice delle indagini preliminari, che abbia conosciuto di una misura cautelare personale, con la funzione giudicante nei confronti del medesimo soggetto in sede di giudizio abbreviato o dibattimentale, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti. Parimenti è stata affermata l’incompatibilità del giudice del riesame, che si sia pronunziato sulla mi- sura cautelare personale, con la funzione giudicante in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Le sentenze seguono ad altre dieci, con le quali precedentemente la Corte, nel dichiarare sotto diversi profili l’incostituzionalità dell’art. 34 c.p.p., aveva già stabilito una serie di situazioni di incompatibilità del giudice in relazione alle funzioni esercitate in momenti diversi del processo.

Appare utile, prima di elencare le sentenze della Corte, riportare il testo dell’art. 34 c.p.p.:

(25)

«1. Il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento o al giudizio per revisione.

2. Non può partecipare al giudizio il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna o ha deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere.

3. Chi ha esercitato funzioni di pubblico ministero o ha svolto atti di polizia giudiziaria o ha prestato ufficio di difensore di una parte ovvero di testimone, perito, consulente tecnico o ha proposto denuncia, querela, istanza o richiesta o ha deliberato o ha concorso a deliberare l’autorizzazione non può esercitare nel medesimo procedimento l’ufficio di giudice.»

1. Sentenza 26 ottobre 1990 n. 496: ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio abbreviato il g.i.p. presso la pretura che abbia emesso l’ordinanza di cui all’art. 554 comma 2 del medesimo codice (ossia l’ordinanza con la quale il g.i.p. dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero - che aveva chiesto l’archiviazione - per il promovimento dell’azione penale);

2. sentenza 20 novembre 1991 n. 401: ha esteso al g.i.p. del tribunale l’incompatibilità già dichiarata per il g.i.p. di pretura, giudicando costituzionalmente illegittimo l’art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede per il g.i.p. presso il tribunale, che abbia ordinato al pubblico ministero di formulare l’imputazione, il divieto di partecipare al successivo giudizio abbreviato;

3. sentenza 30 dicembre 1991 n. 502: ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il g.i.p.

presso il tribunale che abbia ordinato al p.m. di formulare l’imputazione (art. 409 comma 5 c.p.p.) e nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio del g.i.p. che abbia respinto la richiesta di decreto di condanna;

4. sentenza 25 marzo 1992 n. 124: ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p.

nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a celebrare il dibattimento per il g.i.p. presso la pretura che abbia respinto la richiesta di applicazione di pena patteggiata, per la ritenuta non concedibilità di circostanze attenuanti;

5. sentenza 22 aprile 1992 n. 186: ha esteso al g.i.p. del tribunale l’incompatibilità affermata con sentenza n. 124 del 1992 per il g.i.p. della pretura, quanto alla partecipazione al giudizio del giudice delle indagini preliminari che abbia respinto la richiesta delle parti di patteggiamento della pena ex art. 444 c.p.p.;

6. sentenza 26 ottobre 1992 n. 399: ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p.

nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a procedere al dibattimento del pretore che, prima dell’apertura, abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata, escludendo la sussistenza di una ipotesi attenuata del reato contestato;

7. sentenza 16 dicembre1993 n. 439: ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio abbreviato del g.i.p.

che abbia respinto la richiesta ex art. 444 c.p.p. di applicazione di pena concordata tra le parti;

8. sentenza 30 dicembre 1994 n. 453: ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudizio del g.i.p. che, per la ritenuta diversità del fatto sulla base di una valutazione complessiva delle indagini preliminari, abbia respinto la domanda di oblazione;

9. sentenza 30 dicembre 1994 n. 455: ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che abbia, all’esito del precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al p.m., a norma dell’art. 521 comma 2 c.p.p.;

(26)

10. sentenza 15 settembre 1995 n. 432: ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il g.i.p che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell’imputato.

Va richiamata la sentenza 31 maggio 1996 n. 177, con cui la Corte ha chiarito che l’incompatibilità del giudice per atti compiuti nel procedimento è determinata da provvedimenti adottati in base ad una valutazione di indizi o prove inerenti alla responsabilità penale dell’imputato in fasi precedenti rispetto a quelle per le quali il giudice è investito.

Non rileva, ai fini dell’incompatibilità, la circostanza che il giudice abbia adottato provvedimenti con contenuto valutativo nell’ambito di una stessa fase processuale, altrimenti il processo - che per sua natura è costituito da una sequenza di atti - risulterebbe frammentato sino a perdersi la necessaria unità del giudizio e la sua intrasferibilità.

Quest’ultima sentenza ha dichiarato, dunque, non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34 comma 2 c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che nel dibattimento abbia emanato un provvedimento di custodia cautelare nei confronti dell’imputato per un reato oggetto di contestazione suppletiva e nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio direttissimo il pretore che abbia convalidato ed applicato una misura cautelare nei confronti dell’imputato.

2.3 Le cause di incompatibilità dei magistrati nel processo penale. Riflessi sull’assetto organizzativo degli uffici giudiziari.

Le sentenze della Corte hanno determinato riflessi sull’assetto organizzativo degli uffici giudiziari, come di seguito sintetizzati.

(27)

2.3.1 La originaria impostazione dell’art. 34 c.p.p..

E’ di intuitiva evidenza che l’ampliamento delle cause di incompatibilità del giudice, specie nei tribunali di piccole dimensioni e, in genere, nelle strutture giudiziarie caratterizzate da un organico ridotto di magistrati, può provocare rilevanti problemi organizzativi, sotto il profilo, soprattutto, della formazione dei collegi.

In proposito, è significativo rammentare come proprio l’esigenza di non impedire il regolare funzionamento dell’amministrazione della giustizia avesse influito in modo rilevante sulla iniziale formulazione dell’art. 34 c.p.p.. Sulla questione la Relazione al testo definitivo del nuovo Codice di procedura penale osservava:

« ... Quanto all’art. 34, era stata segnalata l’opportunità di prevedere l’incompatibilità a partecipare al giudizio non solo del giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare, ma anche del giudice che ha emesso un provvedimento durante le indagini preliminari. Si è però osservato che tale limite comporterebbe rilevanti problemi organizzativi per i tribunali (una ventina) che dispongono di un organico di quattro magistrati (compreso il presidente): in questi uffici l’adozione di un provvedimento da parte di un giudice diverso dal giudice per le indagini preliminari (ad esempio, durante il periodo feriale) renderebbe assolutamente impossibile la formazione del collegio giudicante ...»

«La Commissione parlamentare nel Parere definitivo ha espresso nuovamente le sue perplessità circa l’omessa previsione, nell’art. 34, quale ipotesi di incompatibilità a partecipare al giudizio, dell’avere il giudice emesso un provvedimento (non conclusivo) nel corso delle indagini preliminari, rilevando che il presidente della corte di appello potrebbe agevolmente sopperire agli “eccezionali” casi di impossibile formazione del collegio, distaccando qualche magistrato nell’ambito del distretto».

«Non v’è dubbio che tali rilievi abbiano un loro fondamento, considerata soprattutto la natura del nuovo processo, la quale, presupponendo che la prova si formi al dibattimento, richiede che il giudice della fase del giudizio non abbia conoscenza degli atti delle indagini preliminari (questa esigenza assume un particolare rilievo per il giudice che abbia emesso un provvedimento cautelare personale). Si è ritenuto però di non modificare l’art. 34, permanendo tuttora la validità della considerazione espressa nel precedente paragrafo; si sottolinea, in particolare, come, di norma, e in osservanza del principio di «concentrazione» (v. legge- delega, direttiva n. 40) l’operare del comma 2 dell’articolo in esame, finirà per rendere di fatto di assai limitata verificabilità le situazioni in esame ...».

Questa impostazione, che era alla base della norma dell’art. 34 c.p.p. nella sua originaria formulazione, è ora del tutto superata atteso che i ripetuti interventi della Corte costituzionale hanno sancito che l’opportunità di evitare intralci nella organizzazione degli uffici non può prevalere sulla fondamentale esigenza di garantire la terzietà del giudicante. È evidente l’oggettivo impatto che ne discende sulle strutture, in particolar modo su quelle periferiche.

2.3.2 Il monitoraggio sui tribunali di piccole dimensioni: l’assetto del settore penale.

Alcuni anni or sono il Ministro di grazia e giustizia commissionò all’Istituto di scienze economiche dell’Università cattolica una ricerca, diretta da Giancarlo Mazzocchi e condotta da Luigi Campiglio, sui Criteri economici sociali per la determinazione delle circoscrizioni giudiziarie (1979), in cui veniva identificata la fascia dimensionale «media» (ed ottimale sotto il profilo della migliore allocazione delle risorse, della produttività e dei probabili tempi medi di accesso alla giustizia) «nelle preture con dimensioni da 2 a 10 magistrati».

Successivamente nel disegno di legge n. 2478, presentato il 10 ottobre 1990 dal Ministro di grazia e giustizia di concerto con il Ministro del tesoro e con il Ministro della funzione pubblica, si ipotizzò la «dimensione media» di un tribunale in un ufficio composto da non meno di otto e non più di venti magistrati.

Su tale proposta il C.s.m. ebbe ad esprimere un articolato parere, approvato nella seduta dell’8 maggio 1991. Nello stesso senso si è espressa anche la Relazione riguardante uno studio sul possibile ampliamento dell’organico della magistratura, del 1993. Successivamente, con risoluzione 25 maggio 1994, il Consiglio superiore ha, invece, indicato in dieci unità l’organico minimo dei tribunali di cui si proponeva la permanenza (v. infra, capitolo 3).

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Al di là di quelli che possono essere de iure condendo i criteri idonei ad identificare le fasce dimensionali medie degli uffici giudiziari, per la prestazione del servizio giustizia, occorre estrapolare quelle situazioni significative, coinvolgenti determinati uffici giudiziari, per richiamare l’attenzione sulla carenza degli organici e sulle implicazioni nascenti nel settore penale, per l’attività processuale dei singoli uffici giudiziari, dalle pronunzie della Corte costituzionale in tema di art. 34 c.p.p. .

Per un approccio funzionale al contesto istituzionale va però puntualizzato che i problemi sembrano derivare non tanto dalla carenza di un numero adeguato di magistrati togati (il cui organico, in base alla legge 9 agosto 1993 n. 295, è stato aumentato a 9.109 magistrati), quanto soprattutto da una loro insufficiente dislocazione sul territorio.

Non appare, infatti, ragionevole, tanto in riferimento alla popolazione, quanto alla domanda di giustizia, l’attuale diffusione e distribuzione territoriale degli uffici giudiziari.

Sulla questione il Consiglio superiore ha effettuato un’approfondita analisi che ha condotto ad una proposta di revisione delle circoscrizioni giudiziarie opportunamente segnalata al Ministro (cfr.

la citata delibera 25 maggio 1994 e, infra, il capitolo terzo).

In una prospettiva temporale di breve periodo è opportuno far riferimento alla stabilizzazione in sede di capoluogo di distretto della competenza per il riesame e per l’appello avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari personali, introdotta dal d.l. 10 maggio 1996 n. 250, cui ha fatto seguito il d.l. 8 luglio 1996 n. 355. Ciò non esclude la necessità di apprezzare la riforma che si propone nella seconda parte anche come funzionale ad un possibile ripensamento della soluzione adottata dal decreto legge citato, specie alla luce del maggior dimensionamento dell’organico del tribunale, conseguente dalla concentrazione degli uffici di primo grado.

Nella prospettiva così individuata, la «soglia» numerica minima di sicurezza per consentire ai tribunali il rispetto delle incompatibilità prefigurate dall’art. 34 c.p.p., nel testo risultante dai vari interventi della Corte costituzionale, è quella di cinque giudici (tre componenti del collegio, g.i.p. e g.u.p.).

Nella quota collegiale deve essere ricompreso anche il presidente (o il presidente di sezione).

Questa consistenza di organico appare adeguata a garantire dagli effetti derivanti da eventuali astensioni o ricusazioni dei singoli giudici.

Ove, per mera ipotesi, si ritenesse che gli stessi cinque magistrati possano svolgere promiscuamente anche funzioni civili, di modo che l’organico del tribunale potrebbe essere fissato alla soglia minima di cinque magistrati, sulla scorta dei dati disponibili, si dovrebbe ritenere che dodici tribunali non raggiungono, comunque, in condizioni normali di «copertura» dei posti, la quota indefettibile di autosufficienza, disponendo, ciascuno dei sottoindicati uffici, di un presidente e di tre giudici.

Tali tribunali risultano essere: Acqui Terme, Camerino, Casale Monferrato, Lanusei, Mistretta, Orvieto, Spoleto, Sulmona, Tolmezzo, Tortona, Urbino, Vasto.

Tale conclusione, ovviamente, presuppone che i tribunali che vantano un organico di almeno cinque magistrati si trovino in condizione di totale copertura degli organici. E’ evidente che, ove l’organico scendesse al di sotto delle cinque unità, anche per uffici maggiori si riproporrebbero i problemi denunziati per i tredici tribunali sopra indicati. In via meramente esemplificativa, può rilevarsi che alla fine del 1995 ventuno tribunali per scoperture di organico erano al di sotto della soglia dei cinque magistrati addetti. Essi erano quelli di: Aosta, Ariano Irpino, Crema, Enna, Gorizia, Isernia, Ivrea, Lagonegro, Larino, Melfi, Mistretta, Modica, Mondovì, Montepulciano, Nicosia, Pinerolo, Rovereto, Saluzzo, S. Angelo dei Lombardi, Sciacca, Tempio Pausania.

Ove si ritenesse che la quota minima di autosufficienza per ciascun tribunale sia, invece, di sei magistrati (comprendendovi il presidente, sottratto, però, per la sua funzione direttiva, trattandosi di uffici promiscui, al compito di presiedere il collegio penale), le situazioni di sofferenza - in aggiunta ai precedenti dodici tribunali - coinvolgerebbero i seguenti altri 15 tribunali (ove, allo stato, esiste un organico di un presidente e di quattro magistrati): Ariano Irpino, Aosta, Bassano del Grappa,

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Crema, Isernia, Ivrea, Lagonegro, Larino, Mondovì, Montepulciano, Nicosia, Pinerolo, Rovereto, Sala Consilina, Saluzzo.

Una peculiare situazione, che merita di essere segnalata, è quella dei tribunali di Imperia e di Lanciano, in cui l’organico è di cinque magistrati, ma con la caratteristica (invero criticabile ed assolutamente inopportuna) che accanto ai tre giudici vi sono il presidente del tribunale e un presidente di sezione, con la conseguenza dell’ovvia incompatibilità di presenza di questi ultimi due nel medesimo collegio.

Dal censimento degli uffici giudiziari si desume, quindi, che dodici o ventinove tribunali su 164 (a seconda del limite minimo ottimale, ma teorico, accolto) sarebbero in situazione di sofferenza istituzionale, per sopperire ai problemi di incompatibilità del giudice penale e di formazione, in concreto, dei collegi giudicanti, con inevitabili riflessi negativi in termini di efficienza della risposta penale.

2.4 L’assetto del settore civile e la dimensione minima degli organici del tribunale.

Fermo restando il rilievo dei principi costituzionali dell’imparzialità e della terzietà del giudice quali fondamenti essenziali dei diritti di difesa e di eguaglianza dei cittadini, deve prendersi atto che nell’ambito del processo civile l’unico momento processuale di incompatibilità (a prescindere dalle situazioni di cui all’art. 51 c.p.c., che però trovano causa in situazioni esterne al processo) è quello fissato dall’art. 669 terdecies c.p.c., per il quale del reclamo avverso il provvedimento cautelare del giudice singolo del tribunale deve conoscere il collegio, di cui non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento.

Da un punto di vista strettamente operativo, per far fronte alle esigenze del settore civile - che sono quantomeno pari a quelle del settore penale, soprattutto ove si considerino le difficoltà di avviamento della riforma processuale introdotta con la legge 26 novembre 1990 n. 353 ed i gravissimi problemi di smaltimento dell’arretrato - pare ragionevole mantenere fermo il principio tradizionalmente affermato dal Consiglio superiore per il quale una corretta distribuzione degli organici tra settore civile e penale comporta che al primo sia adibito un numero di magistrati quantomeno eguale a quello previsto per il secondo.

L’impostazione comporta l’abbandono del modulo organizzativo dello svolgimento promiscuo delle funzioni giurisdizionali civili e penali che, secondo la rilevazione statistica in apertura riferita, costituisce strumento organizzativo particolarmente utilizzato (oltre che pressoché obbligato negli uffici di piccole dimensioni), per dar luogo ad una formula che prevede l’esclusività dell’incarico di ogni magistrato. Appare, pertanto, evidente come questa impostazione richieda un deciso intervento sulla consistenza degli organici negli uffici giudiziari, da dimensionare almeno sul livello minimo di dieci unità.

La fissazione di questo numero di magistrati costituisce, naturalmente, solo una soglia minima di funzionalità e prescinde da ogni valutazione circa la dimensione ottimale dell’ufficio.

Inoltre, è da precisare che in forza del d.l. n. 355 del 1996, per i tribunali delle città capoluogo di distretto la soglia minima dovrà essere necessariamente fissata in un numero superiore alle dieci unità, in considerazione delle esigenze del tribunale del riesame e dell’appello in materia di misure cautelari personali.

Sulla base di questa costruzione si rileva che dei 164 tribunali solamente ottantacinque raggiungono la soglia di dieci unità di magistrati in organico e che tra quelli che non pervengono a questa dimensione minimale vi sono i tribunali di due città capoluogo di distretto, e cioè L’Aquila e Campobasso, e quelli di altri 29 capoluoghi di provincia.

L’elencazione di tali dati concorre a far apprezzare la funzionalità della riforma che si propone nella parte seconda - ossia l’unificazione di pretura e tribunale - a consentire, già di per sé sola, il superamento di numerose situazioni di crisi.

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2.5 Prospettive di riforma.

L’analisi sopra effettuata è riferita ai tribunali, in quanto è su questi uffici giudiziari che grava il maggior peso della crisi e si riflette in misura superiore la nuova disciplina dell’incompatibilità.

Rispetto a tali uffici, le considerazioni sinora svolte in questa Relazione hanno avuto riguardo alla soglia dimensionale minima che è assolutamente necessario rispettare, perché essi siano posti in condizione di operare; si estenderà in prosieguo la valutazione alle dimensioni ottimali che varrebbero ad assicurarne la migliore funzionalità.

Non sono stati, peraltro, affrontati aspetti ulteriori dell’organizzazione della giustizia, che pure assumono rilievo, in quanto allo stato sono solo indirettamente riferibili al tema della Relazione. È sufficiente segnalare, ad esempio, quello concernente i criteri di organizzazione del lavoro dei magistrati addetti ai singoli uffici e, soprattutto, il criterio della fissazione dell’organico all’interno di essi (in particolare per l’individuazione del numero ottimale delle sezioni di ogni tribunale, in proporzione alla consistenza della relativa pianta organica).

In questa sede, inoltre, deliberatamente l’analisi non ha interessato il complesso della giurisdizione ordinaria , quindi, la problematica delle corti d’appello e della Corte di cassazione, così come neppure quella degli organi di giurisdizione specializzati, quali il tribunale per i minorenni, gli uffici ed i tribunali di sorveglianza. Altrettanto non è apparso opportuno l’esame delle problematiche riguardanti la magistratura onoraria (ed in special modo i giudici di pace), in quanto l’assetto di essa è pienamente compatibile con la riforma che si propone.

Le sentenze della Corte costituzionale in tema di incompatibilità evidenziano che l’attuale struttura dei tribunali non è in grado di fronteggiare le esigenze di un processo penale articolato secondo i canoni costituzionali del «giusto processo». Per altro verso, essa neppure può sopportare l’emergenza costituita dal notevole arretrato della giustizia civile e le nuove esigenze dettate dall’attuazione della riforma processuale introdotta dalla legge 26 novembre 1990 n. 353.

È la stessa articolazione degli organi di giurisdizione di primo grado che ha insite in sé ragioni di inefficienza.

Sono due i tipi di intervento che sembrano essenziali: la creazione di un ufficio giudiziario unico di primo grado e la conseguente necessaria riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie.

(31)

3.1 Premessa.

Le sentenze della Corte Costituzionale in tema di incompatibilità del giudice inducono ad approfondire il tema, già da tempo oggetto di riflessione in sede consiliare e ministeriale, dell’organizzazione degli uffici giudiziari e della loro dislocazione sul territorio.

L’analisi interessa essenzialmente gli uffici di primo grado, tribunali e preture, il cui attuale assetto è di 164 circondari, costituenti le unità territoriali di base. Problemi meno significativi sono correlati all’individuazione della dislocazione territoriale delle corti di appello che concernono non tanto la loro ubicazione, bensì il numero dei distretti nell’ambito di ogni regione e l’esigenza di un loro più omogeneo ridimensionamento quanto ad estensione, popolazione residente e numero dei circondari.

Obiettivo basilare di ogni proposta di nuova organizzazione territoriale delle circoscrizioni giudiziarie è quello di individuare un progetto di riarticolazione del rapporto tra domanda (proporzione tra popolazione e flussi processuali) ed offerta (strutture, magistrati) di giustizia sul territorio.

In tale prospettiva, è particolarmente avvertita l’esigenza di incidere sulla destinazione e sulla dislocazione dei magistrati, giudicanti e requirenti, sul territorio nazionale.

L’istanza, generalmente condivisa, di procedere alla riduzione del numero dei circondari, non implica necessariamente l’indebolimento della presenza in periferia del sistema giudiziario.

Presuppone, comunque, aggiustamenti graduali nell’organizzazione dell’apparato giustizia, anche in considerazione delle diverse problematiche concernenti gli uffici giudiziari.

A titolo esemplificativo, può aversi riguardo alla necessità di soluzioni nettamente differenziate per gli uffici giudiziari di provincia e per i tribunali metropolitani: siti, questi ultimi, in aree caratterizzate da elevati livelli di conurbazione e di concentrazione di attività produttive.

Si tratta, dunque, di ridisegnare la geografia giudiziaria, secondo modelli organizzativi adeguati ai tempi ed alle varietà di situazioni strutturali, con attenzione alla effettiva domanda di giustizia e tenendo conto di indici di lavoro predeterminati ed affidabili, in modo da offrire un valido ed attendibile criterio per le scelte di soppressione o di accorpamento di circondari.

3.2 L’attuale ripartizione degli organici.

L’organico attuale della magistratura è di 8.959 unità (esclusi i 150 uditori senza funzioni) suddivise tra corte di cassazione, 26 corti d’appello, 3 sezioni distaccate di corte d’appello, 164 tribunali ed altrettante procure, 165 preture, 97 procure presso le preture, 29 tribunali per i minori e relative procure e 29 tribunali di sorveglianza.

Le dimensioni degli uffici, distribuiti a reticolo sul territorio, sono in prevalenza medio-piccole:

tali, quindi, da porre difficoltà di funzionamento non appena si verifichi una vacanza di posto ovvero un’assenza prolungata.

L’organico di 12 tribunali prevede 4 giudici; in 17 tribunali ne sono previsti 5; in 61 casi l’organico oscilla fra 6 e 10 magistrati.

In 87 procure della Repubblica presso il tribunale (di cui 37 promiscue, ossia competenti anche per reati pretorili) sono in organico 3 o 4 magistrati; 27 procure presso le preture hanno in organico al massimo 3 magistrati; 21 preture circondariali hanno una consistenza di organico che non supera le 3 unità e in 50 casi sono dimensionate fra 5 e 7 magistrati.

Gli uffici di tribunale di grandi dimensioni sono pochi: solo in 6 città è superato il livello di 60 giudici in organico. Le preture superano le 40 unità solo in 5 casi.

Le procure presso i tribunali hanno un organico superiore alle 10 unità in 22 uffici; quelle presso le preture raggiungono gli 8 magistrati in 21 casi.

Una frammentazione così diffusa rende di intuitiva evidenza la notevole difficoltà di funzionamento della gran parte degli uffici medio-piccoli.

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Le sentenze della Corte costituzionale in tema di incompatibilità e la disciplina introdotta dal d.l. 10 maggio 1996 n. 250, cui ha fatto seguito il d.l. 8 luglio 1996 n. 355, richiamano ad un tempestivo intervento di razionalizzazione degli organici.

Ferme restando, in ogni caso, le soglie dimensionali minime individuate nella trattazione che precede (retro, capitolo II), può affermarsi che un adeguato funzionamento degli uffici giudiziari richiede che gli organici di quelli di più ridotte dimensioni ascendano ad un numero che potrebbe orientativamente essere di 20 unità per i tribunali e di 10 per gli uffici requirenti.

Una consistenza siffatta potrebbe assicurare un’adeguata ripartizione di competenze tra civile e penale e consentire anche la necessaria specializzazione per particolari settori. È, dunque, necessario individuare lo strumento più idoneo per poter dimensionare, quanto meno in tale misura minima, gli uffici giudiziari.

Gli uffici delle grandi città presentano problematiche diverse, di natura eminentemente organizzativa e che inducono ad ipotizzare la necessità della coincidenza del circondario con l’area urbana.

3.3 La risoluzione del C.s.m. del 25 maggio 1994.

L’elaborazione di una diversa distribuzione territoriale dei circondari, grazie anche ai recenti studi ministeriali, è ormai in fase avanzata e, dunque, il Legislatore dispone di un’ampia gamma di indicazioni per le scelte che appaiono non più differibili.

Le linee guida tracciate nella risoluzione del Consiglio superiore della magistratura del 25 maggio 1994, avente ad oggetto: Segnalazione al Ministro di grazia e giustizia della necessità di provvedere alla revisione delle circoscrizioni e in particolare alla soppressione di Corti d’appello, Tribunali e Procure della Repubblica al fine di rendere immediatamente praticabili la riforma del processo civile ed il rilancio del processo penale, conservano tuttora piena validità e rappresentano un sicuro punto di riferimento.

In particolare, l’efficienza e la funzionalità degli uffici giudiziari è preliminarmente condizionata dalla loro razionale distribuzione sul territorio e dal corretto dimensionamento dei loro organici. Non costituisce valido e praticabile rimedio, alternativo a questo, l’incremento generalizzato degli organici, mediante un reclutamento ordinario o straordinario, perché assolutamente in contrasto con la finalità fondamentale di mantenere un livello medio omogeneo di professionalità dei magistrati.

A parte ogni ulteriore considerazione, conforta tale conclusione la circostanza che gli aumenti di organico cui si è di recente proceduto (si è passati in pochi anni da 7.354 a 9.109 magistrati) hanno avuto una minima incidenza sull’efficienza del sistema.

Va, dunque, abbandonata la prospettiva di un aumento generalizzato dell’organico e devono essere ribadite le scelte operate dal C.s.m. nella risoluzione richiamata, frutto peraltro di contributi scientifici provenienti da diversi settori.

I criteri che hanno ispirato le direttive enunciate nella risoluzione sono collegati agli indici di lavoro disponibili, alle condizioni socio-economiche di ciascuna zona, alle possibilità di collegamento fra i centri ed alla caratterizzazione strategica dei presidi giudiziari commisurata al tasso di criminalità organizzata.

Punto di riferimento per la riorganizzazione dei tribunali è senza dubbio il territorio provinciale, considerato come parametro di imputazione della comunità per profili demografici, amministrativi ed economici.

Attualmente i circondari giudiziari dei 164 tribunali si presentano oltremodo eterogenei in relazione al bacino di utenza della popolazione interessata, per ambito geografico, per livelli di contenzioso e di devianza sociale.

(33)

In parte, per 61 province, i circondari corrispondono ai confini provinciali. Si tratta di una coincidenza tendenziale ma significativa, poiché è il risultato di una sostanziale unità amministrativo-territoriale.

È da segnalare che in tema di circoscrizioni giudiziarie la preferibilità dell’opzione di riferimento al reticolo provinciale è stata fondata su molteplici argomentazioni.

La scelta evita, in primo luogo, di introdurre una ulteriore segmentazione territoriale additiva delle tante altre ripartizioni presenti sul territorio (collegi elettorali, enti locali, aziende sanitarie, etc.).

Pertanto, appare opportuno che i circondari con confini extra o sub-provinciali siano sottoposti ad una significativa revisione non già automaticamente, bensì operando in modo da considerare le esigenze dell’amministrazione in relazione al diverso assetto qualitativo e quantitativo assunto dei carichi di lavoro.

Sotto altro profilo, un importante correttivo al criterio tendenziale della provincializzazione dei circondari interessa i cosiddetti mega-uffici (o tribunali metropolitani).

Al riguardo la richiamata risoluzione del C.s.m. 25 maggio 1994 osserva: «Vi sono in primo luogo alcuni tribunali che si trovano a ridosso di grandi città e, quindi, di mega-uffici le cui dimensioni già da sole ne determinano l’ingovernabilità.

«La proposta su questo punto si articola in due momenti. Il primo. Vi sono centri urbani con un elevatissimo numero di abitanti per i quali è indispensabile ... attribuire al tribunale del capoluogo una competenza limitata al territorio del comune, ricorrendo ad altri tribunali per la copertura del residuo territorio provinciale.

«Ciò vale in particolare per Roma, Napoli, Milano e Torino ...

(34)

«Il secondo momento. Pur con l’indicato accorgimento la dimensione del tribunale rimarrebbe, nei primi quattro casi, eccessiva, al punto da pregiudicarne un efficace funzionamento. Ciò induce a ritenere inevitabile un frazionamento ...».

In proposito, è appena il caso di osservare che vengono proposte ipotesi di suddivisione dei mega-uffici in base ad un criterio territoriale (la metropoli divisa in due o tre parti a seconda della grandezza) ovvero ad uno sdoppiamento funzionale con l’istituzione, a livello di grande città, di due distinti tribunali, l’uno civile e l’altro penale.

Tale ultima soluzione non può ormai destare fondate perplessità se si considera che già oggi in città quali Roma e Napoli gli uffici giudicanti civili e penali sono ubicati in complessi separati, sicchè l’innovazione neppure può reputarsi particolarmente ardita (ad una lettura aggiornata, piuttosto, desta perplessità l’inserimento di Torino tra i grandi centri).

La risoluzione ha altresì individuato alcuni tribunali, ritenuti insopprimibili, in quanto collocati in zone ad alto tasso di criminalità organizzata: tra le sedi infraprovinciali sono stati individuati i tribunali di Locri, Palmi, Lamezia Terme, Marsala, Gela, Nola, Torre Annunziata, Nocera Inferiore, Barcellona Pozzo di Gotto.

Peraltro, allo stato, è ragionevole presumere che la situazione di intensa criminalità nelle aree sopra indicate sia destinata a protrarsi nel tempo e che non possa evolversi positivamente nel breve periodo. Ne deriva che la permanenza degli uffici giudiziari sopra elencati, o almeno di una parte di essi, è del tutto razionale e giustificata. Inoltre, ove in sede di riforma il parametro dell’intensa presenza sul territorio della criminalità organizzata dovesse essere accolto, sarebbe utile la individuazione di criteri oggettivi e precisi di determinazione.

La risoluzione del C.s.m. fornisce, altresì, la definizione dei centri di coordinamento territoriale al fine di meglio precisare l’ubicazione ottimale degli uffici giudiziari. In proposito, si è affermato che si può pensare alla soppressione delle sedi dei tribunali solo in quei centri che, non essendo capoluoghi di provincia, non hanno svolto nuove funzioni di coordinamento territoriale (identificabili, ad esempio, nei livelli di polarizzazione urbana per servizi alle famiglie e soprattutto alle imprese, ma anche con eventuali altri indici). Sicchè - prosegue la delibera - il referente territoriale provinciale non può essere l’unico, occorrendo integrarlo con altri elementi di riferimento.

Il C.s.m. ha, quindi, osservato: «Un nuovo disegno degli uffici giudiziari sul territorio deve essere definito secondo le seguenti linee guida:

«1. il servizio giustizia si svolge tanto meglio quanto migliore è il tessuto connettivo che lo lega con il territorio circostante e la sua realtà socio-economica ;

«2. la presenza di infrastrutture di servizio da un lato migliora il funzionamento della macchina giudiziaria e dall’altro crea le condizioni di stimolo per elevati livelli di elaborazione giudiziaria.

«La coesistenza di questi due criteri giustifica la presenza del Tribunale».

La risoluzione propone, quindi, di individuare quali sedi dei tribunali: i capoluoghi di provincia;

i centri siti in zone ad elevato indice di criminalità organizzata; i centri limitrofi a quelli definiti come tribunali metropolitani; i centri caratterizzati da un’elevata domanda di giustizia o da una particolare intensità dei servizi resi ad imprese e famiglie.

3.4 Il rapporto del Gruppo di studio ministeriale per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie e l’elaborazione del Censis.

Il Gruppo di studio per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, istituito con decreto interministeriale del 3 gennaio 1994, ha di recente approvato il «documento finale»

dell’approfondita trattazione condotta in materia (rimesso al C.s.m. dal Ministero di grazia e giustizia l’8 gennaio 1996), che segue e si raccorda al «rapporto finale» sul medesimo tema d’indagine, licenziato dal Censis (Centro studi investimenti sociali) nel giugno 1995.

(35)

Detti elaborati ipotizzano tre ordini di priorità su cui fondare il riassetto dei circondari giudiziari, ritenendo si debba:

1) aggregare i circondari esistenti sulla base delle affinità ed omogeneità della domanda di giustizia (ad es. livello di densità della popolazione o dei procedimenti penali);

2) aggregare i circondari tenendo conto del riequilibrio del sistema di offerta di giustizia (magistrati, strutture, etc.) nonché di altri elementi fondamentali, quali i livelli di prestazione del sistema (flussi e carichi di lavoro, popolazione per magistrato), l’accessibilità alle sedi giudiziarie sul territorio, le dimensioni delle aree urbane e la presenza di particolari fenomeni di criminalità organizzata in alcune province;

3) aggregare i circondari in base al vincolo geografico, prendendo in considerazione solo gli accorpamenti di circondari appartenenti ad una medesima provincia, al fine di garantire l’accessibilità degli utenti al servizio giustizia sul territorio.

Quanto al punto 1), il criterio guida dell’omogeneità della domanda di giustizia, suggerito per l’aggregazione dei circondari, potrebbe consentire una più efficiente allocazione delle risorse a disposizione.

In sintesi, la riunione di due o più circondari con esigenze giudiziarie qualitativamente e quantitativamente simili, permetterebbe di adottare una soluzione funzionale omogenea più efficiente di quanto potrebbe avvenire nel caso in cui ad accorparsi fossero dei circondari con esigenze peculiari estremamente differenti.

Considerazioni analoghe sono state formulate circa il punto 2), per gli indicatori dell’offerta di giustizia sul territorio determinati dalle risorse umane, tecniche ed organizzative, nonché dai livelli di prestazione del sistema (flussi di lavoro, rapporto popolazione/numero dei magistrati, etc.) e per quei correttivi (accessibilità sul territorio da parte delle utenze, dimensionamento delle aree urbane, presenza di fenomeni di criminalità organizzata) idonei ad incidere sulle prospettate aggregazioni di uffici.

Quanto al punto 3) ed alla mobilità delle utenze sul territorio, si è tenuto conto del fatto che, a fronte di una riduzione delle sedi, corrisponderebbe un diverso sistema di collegamenti del territorio, ovvero dei flussi di spostamento sulle reti infrastutturali esistenti con la necessità di assicurare comunque presidi giudiziari, ad esempio nei tribunali siti nell’arco alpino, dotandoli di idonee attrezzature e risorse.

La risoluzione del C.s.m. del 25 maggio 1994 si limitava, invece, ad individuare i criteri selettivi che dovrebbero sovraintendere alla soppressione di numerosi tribunali, anche se esemplifica alcuni casi nei quali ciò dovrebbe avvenire.

Per altro verso, il documento finale del Gruppo di studio ministeriale prevede l’abolizione di 47 tribunali, puntualmente indicati, sviluppando un processo di riarticolazione di tipo modulare, frazionato in tre fasi graduali, affinché l’intervento complessivo sul territorio giudiziario possa essere congruamente declinato secondo una progressione nei tempi di realizzazione.

La proposta di frazionare in fasi successive l’intervento corrisponde all’intento di diluire nel tempo l’attuazione complessiva delle numerose soppressioni, verificando gli eventuali problemi tecnico-logistici emergenti e proponendo gli opportuni adeguamenti all’azione di riordino durante le fasi applicative.

3.5 Periferia giudiziaria, sedi distaccate e giudice unico.

Un tema incisivo della proposta complessiva di revisione delle circoscrizioni giudiziarie è rappresentato dalle modalità attraverso le quali sopprimere o incorporare gli uffici giudiziari.

Come s’è visto, il Gruppo di studio ministeriale ha indicato la praticabilità di un modulo graduale che eviti di procedere a radicali soppressioni immediate di tutti i tribunali e di sviluppare un intervento attraverso fasi intermedie di accorpamento.

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