• Non ci sono risultati.

Il conflitto di interessi nella gestione e negli investimenti dei fondi pensione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Il conflitto di interessi nella gestione e negli investimenti dei fondi pensione"

Copied!
187
0
0

Testo completo

(1)

Università degli studi di Roma La Sapienza

Facoltà di Economia

TESI DI LAUREA in DIRITTO del MERCATO FINANZIARIO

“Il conflitto di interessi nella gestione e negli investimenti dei fondi pensione”

di Ilaria Taffon

A.A. 1999-2000

(2)

INDICE GENERALE

Introduzione

CAPITOLO PRIMO

IL CONFLITTO D’INTERESSI NELLA RAPPRESENTANZA

1. La rappresentanza nella lettera del Codice Civile

2. L’altruità dell’interesse da perseguire quale presupposto della rappresentanza. Diverse teorie a confronto

3. Riconoscere il conflitto d’interessi: rassegna dottrinaria

4. Il conflitto d’interessi alla luce dell’esperienza giurisprudenziale 5. Il conflitto d’interessi nella rappresentanza legale

6. Effetti del conflitto d’interessi 7. Il contratto con se stesso 8. Rappresentanza senza potere

CAPITOLO SECONDO

FISIONOMIA DEL CONFLITTO D’INTERESSI NELLE SOCIETA’ DI CAPITALI

1. Introduzione

1.1. Ricostruzione storica del fenomeno: conflitto d’interessi consiliare e assembleare nella legislazione anteriore al 1942

1.2. L’interesse sociale: teoria istituzionalistica e teoria contrattualistica

(3)

2. Il conflitto d’interessi in seno al consiglio di amministrazione

2.1. Gli amministratori e la rappresentanza sociale

2.2. Le relazioni tra l’art. 1394 e l’art. 2391 Cod. Civ

2.3. Gli amministratori e l’interesse sociale

2.4. Analisi dell’art. 2391 Cod. Civ 3. Il conflitto d’interessi assembleare

3.1. I soci e l’interesse sociale: il principio maggioritario

3.2. Analisi dell’art. 2373 Cod. Civ.

4. L’interesse sociale ex art. 2441 Cod. Civ.

5. Il conflitto d’interessi nei gruppi di società

CAPITOLO TERZO

IL CONFLITTO D’INTERESSI NELL’INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA

1. Introduzione

2. Il conflitto d’interessi attraverso i successivi provvedimenti di riforma

2.1. La riforma del 1991

2.2. Il decreto Eurosim

2.3. Il Testo Unico della Finanza nel decreto n° 58/1998

2.3.1. La disciplina del conflitto d’interessi nel TUF e nei regolamenti di attuazione

2.3.2. La disciplina del conflitto d’interessi nelle società quotate in borsa ai sensi del TUF

2.3.3. Il conflitto d’interessi nell’esercizio delle deleghe di voto

(4)

CAPITOLO QUARTO

IL CONFLITTO DI INTERESSI NELLA GESTIONE E NEGLI INVESTIMENTI DEI FONDI PENSIONE

1. Introduzione

2. Le regole di condotta del gestore ai sensi del D. M. n° 673/1996 La convenzione di gestione

3. Una panoramica della disciplina regolamentare ex D. M. n° 703/1996 4. Il conflitto di interessi nell’ambito dei fondi pensione: definizione della

fattispecie

5.1. La disciplina del rischio e il conflitto di interessi: gli investimenti

5.2. Il conflitto di interessi ai sensi dell’art. 7 D. M. n° 703/1996:

investimenti nell’ambito di rapporti di gruppo ed in soggetti legati al fondo

5.3. Il conflitto di interessi secondo l’art. 8 D. M. n° 703/1996: altre situazioni rilevanti

5. I fondi pensione aperti 6. Conclusioni critiche

Riferimenti normativi

Rassegna di giurisprudenza

Indice bibliografico

NOTA REDAZIONALE:

Questa tesi si compone di 187 pagine

(5)

INTRODUZIONE

Il presente lavoro trova la sua ragione d’essere nel convincimento che l’istanza fondamentale propria della natura e dell’attività dei fondi pensione è la cura dell’interesse degli aderenti.

E’ necessario, infatti, tenere sempre presenti le finalità che hanno condotto alla creazione del cosiddetto secondo pilastro del sistema previdenziale, quelle di assicurare a coloro che vi aderiscono “più elevati livelli di copertura previdenziale”; vanno, quindi, considerate in quest’ottica tutte le attività dei fondi pensione e degli organismi coinvolti in esse, ed è nel medesimo intento che va letta l’intera disciplina approntata. Così è, ad esempio, per le regole di condotta poste a presidio dell’operato dei soggetti gestori delle risorse del fondo, e per tutte le altre previsioni legislative e regolamentari volte a disciplinare l’azione degli altri soggetti che ruotano attorno alla realtà dei fondi pensione. Nell’intera disciplina è da riconoscersi lo sforzo delle Autorità di non lasciare nulla al caso, onde evitare zone franche; in particolare, la disciplina del conflitto di interessi risultante dal D.M. n° 703/1996 è volta a tutelare l’interesse degli iscritti dei fondi pensione, soprattutto nei casi in cui sia probabile una deviazione dallo stesso, attraverso una tipizzazione della fattispecie.

La nostra attenzione si è, quindi, focalizzata su di un tema oggi più che mai attuale e cruciale per importanza in diversi campi del vivere sociale e dell’attività politica ed economica del nostro Paese. Nonostante l’attualità della fattispecie, sembra, però, di avere a che fare con un’entità sfuggente, dai contorni non ancora ben delineati, tanto frequente nella realtà pratica quanto non sempre agevolmente individuabile; forte è stata, perciò, l’esigenza di un’analisi approfondita del tema del conflitto di interessi al fine di procedere ad una trattazione sistematica dello stesso e di poterlo, per quanto possibile, inquadrare nell’ottica previdenziale. E’ così che per realizzare, almeno in piccola parte, tale obiettivo il nostro studio è cominciato dal primo istituto per il quale il Codice Civile fa riferimento a situazioni di conflitto di interessi, la rappresentanza: infatti, nonostante elemento peculiare di esso sia l’altruità dell’interesse da perseguire, è quasi fisiologica ad ogni gestione di affari o di interessi altrui la possibilità che determinate circostanze conducano a situazioni di contrasto tra gli interessi del rappresentante e quelli del rappresentato. Il legislatore è intervenuto dettando una regola di carattere generale, di cui all’art. 1394 Cod. Civ., e alcune disposizioni specifiche in relazione alla rappresentanza legale, soprattutto in tema di potestà dei genitori e di tutela. La soluzione generale

(6)

consiste nell’annullabilità del contratto concluso in situazione di contrasto o di concorrenza tra l’interesse del rappresentante e quello del rappresentato; inoltre, presumendo il legislatore, iuris et de iure, che in talune circostanze sia sempre ravvisabile un conflitto di interessi tra le due parti, egli ha voluto impedire all’origine il loro verificarsi, sancendo particolari incapacità: si pensi a quella dei rappresentanti come possibili acquirenti dei beni dei soggetti da loro rappresentati sancita attraverso un divieto assoluto di acquisto (art. 1471 Cod. Civ.). In altri casi, il legislatore afferma una presunzione iuris tantum di conflitto d’interessi, come nel caso del contratto con se stesso (art. 1395 Cod. Civ.), superabile con la prova contraria dell’autorizzazione o della predeterminazione.

Particolare rilievo, quale terreno di scontro di interessi differenti, viene attribuito dal legislatore alle società di capitali: in relazione a situazioni conflittuali ravvisabili nell’organizzazione e nell’attività delle società, l’ordinamento ha predisposto una disciplina mirata a seconda che il conflitto si manifesti in seno al consiglio di amministrazione o in seno all’assemblea, ed ha previsto una disciplina differenziata per le società con azioni quotate in borsa.

Il parametro caratterizzante del conflitto di interessi societario consiste nella lesione dell’interesse sociale, la cui definizione non è univoca in dottrina. Al di là dell’adesione all’una o all’altra delle due teorie che si fronteggiano, quella istituzionalistica che privilegia l’interesse dell’impresa in sé, e quella contrattualistica che afferma l’interesse comune dei soci, o ancora, al di là del convincimento che la storica antinomia tra le due sia ormai superata, il fine che l’ordinamento si pone è quello di controllare le deviazioni dell’attività societaria dalla sua propria direzione. Gli strumenti utilizzati a tale scopo consistono nella sanzione di un obbligo di comunicazione, a carico degli amministratori in conflitto, nei confronti degli altri amministratori e del collegio sindacale, circa la situazione conflittuale in cui versino e in un obbligo di astensione dal partecipare alle deliberazioni relative alle operazioni rispetto alle quali si riveli tale loro interesse (art. 2391 Cod. Civ., co. I). In questo modo il legislatore ha voluto creare il terreno più favorevole affinchè l’amministratore adempia al suo compito, quello di agire sempre con il proposito di fare il meglio a vantaggio della società, evitando che nello svolgimento delle attività che gli competono sia turbato da interessi propri. Per quanto concerne il conflitto di interessi assembleare, ciò che risulta inibito è il voto del socio che in una determinata deliberazione ha un interesse in conflitto con quello della società (art. 2373 Cod. Civ., co. I): infatti il voto contribuisce a formare una deliberazione soltanto in quanto finalizzato al raggiungimento dell’interesse comune.

(7)

La problematicità della questione si accentua quando si ha a che fare non più con un’unica grande impresa ma con una pluralità di imprese che esercitano attività economiche unitarie o coordinate tra loro allo scopo di realizzare determinati risultati economici; la difficoltà è, allora, quella di condurre la politica di ampio respiro tipica del gruppo nel rispetto dell’interesse dei componenti del gruppo stesso: non è raro, infatti, che la innegabile contrapposizione tra l’autonomia giuridica delle singole società e l’unicità dell’attività economica conduca a situazioni di contrasto tra l’interesse del gruppo e quello di ciascuna società componente il gruppo stesso. Il problema è, quindi, quello di tracciare il confine oltre il quale l’interesse del raggruppamento non può essere perseguito a danno di quello delle singole società che lo compongono. Acceso è il dibattito in dottrina tra coloro che sostengono la preminenza dell’interesse del gruppo, riconoscendo il connotato di tale realtà proprio nella dialettica tra vantaggi e sacrifici dei singoli membri a favore dell’interesse unitario, coloro che riconoscono l’impermeabilità dell’interesse sociale di ogni singola società all’interesse del gruppo, e coloro che giustificano il perseguimento di quest’ultimo con l’esistenza di vantaggi compensativi che controbilancino il sacrificio subìto da società ad esso appartenenti.

I provvedimenti di riforma succedutisi in questi ultimi dieci anni hanno disegnato un sistema che, anche in materia di regole di condotta degli intermediari finanziari e di soluzioni per i possibili casi di conflitto di interessi, afferma il primato del principio della trasparenza. Nei successivi interventi legislativi si è cercato di sistemare organicamente le disposizioni poste a disciplinare le attività di intermediazione finanziaria e di costitutire un corpus di norme peculiare che si affiancasse coerentemente alle norme di diritto comune, cui frequente in precedenza era il rinvio, ma che allo stesso tempo desse una risposta alle esigenze specifiche della materia.

La prima sistemazione organica dell’attività degli intermediari finanziari e dei mercati viene attuata con la legge n° 1/1991, espressione del convincimento che garanzia dell’ordinato funzionamento del mercato e dello svolgimento delle attività, in presenza di una continua evoluzione del sistema dell’intermediazione, fosse proprio un nucleo di regole di comportamento e di meccanismi di reazione alla inosservanza di esse. Il richiamo ai doveri generali di diligenza, correttezza e professionalità, agli obblighi di informazione e di trasparenza nei confronti dei clienti nonché ad un atteggiamento collaborativo dell’intermediario verso di essi, è attinto dal sistema di conduct of business rules anglosassone, e attualizza l’esigenza fortissima di tutelare gli interessi dei clienti, e di prevenire o eliminare i possibili conflitti di interessi tra intermediari e investitori.

Specificamente la regola adottata per dirimere situazioni di contrasto

(8)

prevede un obbligo di disclosure (comunicazione) al cliente, da parte dell’intermediario, circa la natura e l’estensione del conflitto, da darsi per iscritto; tale comunicazione ha una funzione preventiva, dovendo l’intermediario astenersi dall’operare se non abbia comunicato l’esistenza della situazione conflittuale al cliente e se questi non abbia acconsentito espressamente per iscritto all’effettuazione dell’operazione: si tratta, dunque, di un divieto di operare derogabile se l’intermediario assolve a determinati obblighi verso il cliente. Con il D. Lgs. n° 415/1996, meglio conosciuto come decreto Eurosim, le regole menzionate vengono inserite in un contesto di più ampio respiro: la cura dell’interesse del cliente quale parametro fondamentale di valutazione della diligenza e della correttezza si estende ora al coinvolgimento di interessi della collettività, per quanto eterogenei, al fine di garantire “l’integrità dei mercati” nonché la stabilità, la competitività ed il buon funzionamento del sistema finanziario. Le regole di condotta rivestono interesse generale poiché capaci di influire sul funzionamento dei mercati, infatti la violazione di esse è in grado di produrre forti conseguenze sia sull’esecuzione delle contrattazioni sia sull’immagine di affidabilità degli intemediari agli occhi dei clienti, quali deterrenti o incentivanti dell’investimento. A sua volta l’integrità dei mercati è funzionale all’interesse generale ed anche a quello particolare dei clienti.

L’obbligo di trasparenza è sì richiamato ma con formula di minore intensità rispetto alla disciplina previgente, così come meno rigorose appaiono le disposizioni in tema di conflitti: ciò che viene stabilito è che il rischio di conflitto di interessi debba essere ridotto al minimo, nessuna previsione, invece, di preventiva autorizzazione del cliente per il compimento dell’operazione relativa. Soltanto in sede regolamentare è stata ribadita la regola del divieto di compiere operazioni in conflitto senza il preventivo consenso scritto del cliente.

Il processo di razionalizzazione del settore dell’intermediazione mobiliare e dei mercati finanziari culmina nella redazione del Testo Unico della Finanza, nel D. Lgs. n° 58/1998, in attuazione della delega conferita al Governo dall’art. 8 delle legge comunitaria del 1994. La tutela degli investitori è ancora una volta alla base della previsione di una sana e prudente gestione dei soggetti abilitati e di quella della correttezza e trasparenza dei loro comportamenti: tali norme di condotta sono richiamate specificamente anche in tema di conflitti di interessi, essi devono essere sì ridotti al minimo, ma nel momento in cui si verifichino, gli intermediari dovranno agire “in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”. Ma è soprattutto con riferimento alla gestione dei fondi comuni di investimento che il richiamo alla trasparenza, attraverso un

(9)

costante flusso di informazioni verso i clienti, scansa qualsiasi intervento repressivo: il conflitto di interessi è tenuto sotto controllo non attraverso l’imposizione di divieti ma tramite una adeguata informazione dei clienti ed un equo trattamento degli stessi.

E ancora una volta trasparenza ed informazione sono alla base della disciplina dei fondi pensione, in una sorta di continuazione di intenti rispetto alle menzionate disposizioni in materia finanziaria e, allo stesso tempo, di accentuazione della loro funzione di tutela, nei confronti degli iscritti ai fondi, da eventuali deviazioni dall’interesse degli stessi. Al fine di prevenire eventuali conflitti non occorrono divieti, infatti fondamentale a tale proposito è la predisposizione di un’articolata rete di controlli e di canali informativi. L’impronta liberista spicca soprattutto a livello regolamentare, ma finisce per smentire se stessa nelle fin troppo dettagliate previsioni sul tema.

Gli articoli 7 e 8 del D. M. n° 703/1996 rappresentano il primo esempio di disciplina puntuale delle possibili situazioni di contrasto tra il fondo ed il soggetto gestore, non troviamo una disposizione di carattere generale ma un insieme di norme relative ai diversi rapporti che si instaurano intorno all’affare fondi pensione ed alle diverse operazioni effettuate dal gestore.

Al di là della questione se il risparmio previdenziale debba godere o no di una maggiore tutela rispetto a quello normale, la preoccupazione del legislatore si fonda proprio sulla peculiarità della funzione dei fondi, la funzione previdenziale: essa non può essere tradita o messa a rischio dal perseguimento di interessi che nulla hanno a che vedere con quelli degli aderenti al fondo, né può venire subordinata al sostenimento di scelte di qualsiasi politica industriale. L’effetto propulsivo che i fondi sono destinati a produrre sui mercati finanziari, nonché la figura di investitori istituzionali che sono destinati ad assumere, potrebbero scatenare deviazioni dal già difficile equilibrio di interessi che li caratterizza. E’ per questo motivo che il ricorso ai canoni della trasparenza e dell’informazione non sembra essere sufficiente alla gestione o alla prevenzione di eventuali situazioni conflittuali. Tanto più che la dettagliata casistica contemplata a livello regolamentare rischia di sortire soltanto l’effetto di imbrigliare eccessivamente l’attività dei fondi senza essere risolutiva: le operazioni che il gestore potrebbe compiere non in odore di conflitto di interessi sono talmente poche che nella pratica la sua attività risulta fortemente burocratizzata. Inoltre, nulla dice il decreto su come la Commissione di vigilanza possa esplicare il suo potere di intervento: l’attività di controllo, cui essa presiede, circa il potenziale manifestarsi delle singole fattispecie di conflitto, rappresenta certamente una assoluta novità, poiché la funzione dell’Authority non è limitata ad una attività di vigilanza e di verifica ex post

(10)

sulla correttezza dell’operato e sul rispetto delle regole di comportamento dei soggetti gestori, tuttavia in un contesto di stringenti previsioni anche tale potere della Commissione risulta svuotato, non avendo modo di esplicarsi concretamente.

Una soluzione potrebbe consistere nel fissare soltanto una norma, a carattere generale, che sancisca il divieto di compiere operazioni in conflitto di interessi, prevedendo che sia l’Authority a renderla effettivamente operante grazie ad una capacità di discernimento tra le concrete situazioni: potrebbero, infatti, essere consentite specificamente operazioni che, pur costituendo terreno di scontro di interessi diversi, sul piano pratico risultino convenienti per il fondo.

Soltanto una gestione intelligente delle potenziali conflittualità di interessi rilevabili in un fondo pensione, unitamente ad una equilibrata disciplina del rischio, può contribuire al decollo dei fondi e a quell’effetto trainante dell’intero mercato finanziario che da essi ci si aspetta.

(11)

CAPITOLO I

Il conflitto d’interessi nella rappresentanza

1. La rappresentanza nella lettera del Codice Civile-2. L’altruità dell’interesse da perseguire quale presupposto della rappresentanza. Diverse teorie a confronto-3.

Riconoscere il conflitto d’interessi: rassegna dottrinaria-4. Il conflitto d’interessi alla luce dell’esperienza giurisprudenziale-5. Il conflitto d’interessi nella rappresentanza legale-6. Effetti del conflitto d’interessi-7. Il contratto con se stesso-8. Rappresentanza senza potere.

1. La rappresentanza nella lettera del Codice Civile

L’istituto della rappresentanza offre un prezioso e celere supporto allo svolgimento di relazioni e al compimento di atti nella società moderna.

Nella pratica attuale, sono innumerevoli gli esempi di gestione di affari e di interessi attraverso rappresentanti legali e convenzionali, o a causa della complessità dell’attività svolta, in special modo se a carattere imprenditoriale, o per via dell’incapacità dei soggetti di manifestare di persona la propria volontà; e ricco ne è il Codice Civile: i riferimenti allo strumento della rappresentanza sono presenti ovunque, in tema di potestà dei genitori, di tutela, di curatela fallimentare, in tema di funzionamento e di organizzazione di persone giuridiche. Nonostante tale riconoscimento sociale e legislativo, non è dato trovare nel Codice Civile alcuna definizione di rappresentanza ma, tra le varie norme che dettano le linee generali della disciplina dell’istituto, fondamentale è l’art. 1388 che, nella lettura combinata con l’art. 1394, offre lo spunto di partenza alla nostra riflessione. E’ proprio nell’articolo in questione, l’art. 1388 Cod. Civ., che trova posto l’espressione “nell’ interesse del rappresentato”, chiave di volta della nostra analisi: soltanto dopo averne compreso il significato e la portata è possibile capire cosa sia un CONFLITTO DI INTERESSI. Detto in altro modo, tale fattispecie va esaminata e identificata proprio nell’ambito dell’istituto della rappresentanza; bisogna, infatti, ricordare che mentre sotto il codice del 1865 non esisteva una norma che si occupasse del conflitto d’interessi, il codice attualeprevede una norma generale, almeno per la rappresentanza.

A tale proposito gli artt. 1388 e 1394 costituiscono, nella loro complementarietà, il nostro riferimento normativo: l’art. 1394 Cod. Civ., infatti, sancendo l’annullabilità del contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi con il rappresentato (se tale conflitto era conosciuto o

(12)

riconoscibile dal terzo), formula in modo analitico e negativo il principio espresso in forma sintetica e positiva dall’art. 1388, il quale richiede l’agire del rappresentante “nell’interesse del rappresentato” . Ma anche prima dell’entrata in vigore del Codice Civile del 1942, forte si sviluppava il dibattito in dottrina circa il peso da attribuire, nella rappresentanza, all’interesse del dominus. Anzi, si trattava di un punto cruciale della teoria dell’istituto attuandosi con esso la sostituzione di fronte ai terzi di un soggetto (rappresentante) nell’attività giuridica di un altro (rappresentato o dominus), ed essendo, quindi, elemento qualificante proprio l’altruità dell’interesse da perseguire.

(13)

2. L’altruità dell’interesse da perseguire quale presupposto della rappresentanza. Diverse teorie a confronto

Il rappresentante è titolare di una potestà, quella di spendere il nome altrui (contemplatio domini): essa si risolve nella facoltà di dichiarare che l’atto è compiuto a nome del rappresentato oltre che nel suo interesse, affinché esso possa avere efficacia diretta nella sfera giuridica del dominus ex art.

1388 Cod. Civ.; il rappresentante ha anche il potere di formare la volontà negoziale, eventualmente sulla base delle indicazioni fornite dall’interessato. Trattandosi dell’esercizio di un diritto altrui, tale potere non è libero ma è vincolato al costante perseguimento dell’altrui interesse, con il quale, appunto, il rappresentante non deve mai entrare in conflitto. E’

questo, dunque, un potere-dovere: potere di esercitare il diritto altrui, dovere di esercitarlo avendo sempre come finalità la realizzazione dell’altrui interesse.

Il rappresentante è, quindi, “cooperatore del rappresentato” e la rappresentanza attiene al modo in cui l’incarico affidato dal principale al cooperatore deve essere svolto1: motivo ispiratore della condotta del rappresentante sono la cura e la realizzazione esclusive dell’interesse del principale2; se tale cura viene meno, il conflitto che ne nasce paralizza tutto il rapporto rappresentativo3.

1 Cosi’ PUGLIATTI, S., Il conflitto d’interessi tra principale e rappresentante, in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965, pagg. 40 a 54, secondo il quale la rappresentanza si realizza nella sostituzione di un soggetto ad un altro, al fine di conseguirne lo scopo, nei confronti di una terza persona. In questo atteggiamento il rappresentante è più che un semplice cooperatore, egli è l’alter ego del principale in quanto pone in essere rapporti che vincolano direttamente principale e terzo come se non ci fosse stata alcuna intermediazione.

2 L’HOLLANDER, H., Die gewillkurte stellvertretung, 1910, pag. 8, afferma che: “il compimento del negozio giuridico rappresentativo avviene…nell’interesse del rappresentato”.

L’ASQUINI, A., Conflitto d’interessi tra il socio e la Società nelle deliberazioni di assemblee di società per azioni, in Rivista di diritto commerciale, 1912, II, pagg. 654 a 659, con riferimento alla rappresentanza legale, ribadisce la necessità che la rappresentanza si svolga esclusivamente e rigorosamente nell’interesse dei rappresentati.

Il SOTGIA, S., Nullità di avallo e conflitto d’interessi nella rappresentanza, in Foro italiano, 1933, I, pag. 814, riconosce quale principio ispiratore della rappresentanza quello per cui il conferimento viene effettuato solo nell’interesse di chi la conferisce, cioè il rappresentante deve mirare, col proprio operato, all’interesse esclusivo del rappresentato. Cosi’ anche il COBIANCHI, C.A., Sulla nullità degli atti compiuti dal mandatario nell’interesse proprio, in Foro italiano, 1934, I, pag. 213, secondo il quale: “ la procura deve intendersi conferita al procuratore perché egli agisca nell’interesse del conferente”.

Secondo il PUGLIATTI, S., Abuso di rappresentanza e conflitto d’interessi, in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965, pagg. 268-269 e Il conflitto di interessi…, op. cit., “l’agire nell’interesse del dominus” è un requisito della rappresentanza anche se è su un piano diverso dal requisito dell’ “agire in nome del dominus”: senza la spendita del nome non vi è rappresentanza, senza l’agire nell’interesse del dominus vi è potere rappresentativo ma

(14)

La costruzione teorica del PUGLIATTI si basa proprio sulla convinzione che scopo caratterizzante dell’istituto della rappresentanza siano la realizzazione e la cura dell’interesse esclusivo del rappresentato cosicché tutto l’agire del rappresentante deve conformarsi a questo fine senza che intervenga un suo proprio interesse: agire al fine di perseguire unicamente l’interesse giuridico del rappresentato significa conformarsi alla sua manifestazione di volontà. Il mandato in rem propriam o nell’interesse di un terzo sono ammissibili proprio perché in linea con tale principio; è vero che con questo tipo di mandati anche il mandatario o un terzo realizzano un interesse proprio, ottenendo un vantaggio economico, ma è sempre un interesse del mandante (che può consistere nel mantenimento di una promessa, in un atto di liberalità o nell’adempimento di un’obbligazione precedentemente assunta) a muovere tale vantaggio e a vivificarsi con la creazione di quella situazione giuridica.

Parte della dottrina, guidata dal MINERVINI4, oppone a questa tesi un’opinione contraria, alla luce della lettera del Codice Civile: è vero che in ogni rapporto obbligatorio il debitore cura un interesse del creditore ma ciò non significa che, ad esempio, il mandatario nell’adempiere al suo obbligo di prestazione debba mirare esclusivamente a realizzare l’interesse del suo

esercitato illegittimamente. Cosi’ anche NEPPI, V., La rappresentanza nel diritto privato moderno, Padova, 1930, n° 34, pagg.199-200: “ la cura dell’interesse altrui da parte del rappresentante deve sempre essere presente, in piena luce, alla sua coscienza…, il rappresentante, in quanto tale, non può prefiggersi altro obiettivo nella propria attività”.

Contra HUPKA, Die vollmacht, Leipzig, 1900, pagg. 286-287, secondo cui: “la cosciente cura dell’interesse delle parti nella conclusione di un negozio giuridico non costituisce né un requisito di validità del negozio giuridico come tale né un elemento essenziale della rappresentanza”. Anche secondo il CARRARO, L., Il mandato ad alienare, Padova, 1947, la cura dell’interesse altrui non sarebbe elemento essenziale della rappresentanza, mentre lo sono, per l’imputabilità dell’atto compiuto dal rappresentante nella sfera giuridica del rappresentato, la spendita del suo nome e l’esercizio dell’attività da parte del rappresentante nei limiti dei poteri conferiti. Non si accenna alla cura dell’interesse del rappresentato neanche in SANTORO PASSARELLI, F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1970, e in STOLFI, G., Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961.

3 Il BETTI, E., Conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato e sua influenza sulla obbligazione cambiaria del rappresentato, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1926, XXIV, 2, pagg. 20 a 35, con riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione del 26 Aprile 1924 (relativa alla nullità dell’avallo prestato dal mandatario generale, in nome del suo mandante, per l’emittente di una cambiale all’ordine dello stesso mandatario in nome proprio), afferma che quando la rappresentanza è: “incongrua alla funzione sua, appunto perché non disinteressata”, il conflitto d’interessi sottostante tra rappresentato e rappresentante (che espone il rappresentato al pericolo di veder sopraffatto il proprio interesse da quello del rappresentante) è causa d’invalidità, secondo la Corte, dell’obbligazione del rappresentante.

4 MINERVINI, G., Il conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato nella recente codificazione, in Archivio giuridico, 1946 e Il mandato, la commissione, la spedizione, Torino, 1957.

(15)

mandante; è evidente che il mandatario, nel prestare l’attività dovuta persegue la realizzazione anche di un suo proprio interesse (interesse ad evitare le sanzioni dell’inadempimento e a conseguire un compenso per l’attività svolta). Il rappresentante ha, comunque, un interesse (anche non economico ma di consistenza morale o spirituale, si pensi all’affectio del genitore esercente la potestà) al compimento dell’atto, interesse per lo più potenziato ponendo a suo carico un obbligo di svolgimento (tale, per esempio, la funzione del mandato) dell’attività rappresentativa: si può quindi affermare che la volontà del rappresentante di compiere il negozio rappresentativo è mossa dalla realizzazione di un suo interesse5. Chiaramente una cosa è l’interesse allo svolgimento della attività rappresentativa, altro è l’interesse tutelato dall’esercizio di tale attività;

l’Autore arriva alla conclusione che il dettato dell’art. 1388 Cod. Civ., riferendosi all’agire “nell’interesse del rappresentato”, richiede soltanto che l’operato del rappresentante non sia in conflitto d’interessi col rappresentato.

In altro significato, il rappresentante deve sempre agire nell’interesse del rappresentato nel senso che l’atto posto in essere dal rappresentante sia utiliter coeptum, cioè sia stato utilmente intrapreso; in quest’ottica la nozione rilevante è quella di interesse obiettivo del rappresentato, che spinge all’identificazione dell’agire nell’interesse del rappresentato con l’utilità obiettiva del negozio rappresentativo: l’atto è nell’interesse del rappresentato se in quelle circostanze il dominus, agendo da buon padre di famiglia, l’avrebbe sicuramente in quel modo intrapreso6.

5 Anche secondo TORRENTE, A., In tema di conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato, in Giur. compl. Cass. Civ.,1954, I, pag. 364, il rappresentante non è mai completamente disinteressato; un interesse, se non altro quello di evitare sanzioni per l’inadempimento degli obblighi derivanti dal negozio, c’è sempre! E’ chiaro, pero’, che l’interesse del rappresentante non ha il rilievo che assume l’interesse del rappresentato; il vantaggio, positivo o negativo, che egli ricava è indiretto, sempre subordinato a quello del rappresentato.

Cfr. D’IPPOLITO, S., e LOMEO, N., Il conflitto d’interessi nella rappresentanza, in Vita notarile, 1965, pag. 153, che riscontrano la costante esistenza, nell’istituto della rappresentanza, di un interesse del rappresentante, ma si tratta comunque del normale interesse ad adempiere ad un proprio obbligo.

6 Il MINERVINI, Il conflitto…, op. cit., pag. 137, critica questa impostazione osservando che se l’elemento qualificante del rapporto rappresentativo fosse l’utiliter coeptum, al di fuori della negotiorum gestio, verrebbe meno la ragion d’essere di tutte le altre ipotesi del fenomeno rappresentativo (rappresentanza legale e convenzionale); in particolare verrebbe meno la rappresentanza convenzionale, uno degli strumenti più utili per lo svolgimento dell’attività giuridica privata: spesso infatti accade che il rappresentato voglia che vengano conclusi negozi che con l’interesse obiettivo rilevante sono in netto contrasto.

(16)

3. Riconoscere il conflitto d’interessi: rassegna dottrinaria

I risultati del dibattito di cui sopra sono diversi proprio perché differenti sono le posizioni di partenza e il contesto giuridico all’interno del quale si sono sviluppati.

Il PUGLIATTI7 riconosce una situazione di conflitto, in linea con l’opinione prima espressa, nello sviamento dal fine della rappresentanza (cura e perseguimento esclusivi dell’interesse del rappresentato) dovuto alla presenza di un interesse contrario del rappresentante che tende ad escludere o totalmente o parzialmente quello del rappresentato: si tratta di un vero e proprio impedimento al normale svolgimento del rapporto rappresentativo8. D’interessi in conflitto si può parlare quando essi siano tali da escludersi a vicenda, cioè quando sono sullo stesso piano e vanno in direzioni opposte, ossia sono incompatibili: in sintesi, il conflitto consiste, secondo l’Autore, in una “incompatibilità di forze contrastanti” 9. Poiché il

7 PUGLIATTI, Il conflitto…, op. cit.

8 Secondo SOTGIA, Nullità d’avallo…, op. cit., pag. 814, un conflitto d’interessi è ravvisabile ogni volta che l’operato del rappresentante non corrisponda alla tutela degli interessi del rappresentato ma a quella dell’interesse esclusivo del rappresentante: ciò elimina il presupposto essenziale della rappresentanza, determina uno svuotamento del suo contenuto e ne distrugge la funzione.

TORRENTE, Conflitto…, op. cit., pag. 364, riconosce un conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato laddove l’attività del rappresentante sia posta in essere contro l’interesse del rappresentato provocando un abuso, la deviazione dal fine per cui il potere rappresentativo fu concesso. Ma è insufficiente ad integrare gli estremi del conflitto l’esercizio del potere anche nell’interesse del rappresentante se tale esercizio non si volga contro quello del rappresentato:

occorre sganciare una volta per tutte l’idea del conflitto d’interessi da quella di un rappresentante interessato, non è detto infatti che per non esservi conflitto il rappresentante debba essere completamente disinteressato. Nel caso deciso dal Tribunale di Avellino con sentenza del 13 Maggio 1953, il conflitto d’interessi è stato individuato nella contrapposizione di due interessi contrastanti: quello del rappresentato-venditore, che ha l’interesse ad ottenere dalla vendita il maggior prezzo possibile, e quello del compratore, che mira ad ottenere la cosa con il minor sacrificio pecuniario possibile; nella situazione di specie, il rappresentante mira ad avvantaggiare il compratore a causa di vincoli che a lui lo legano, quindi mira a perseguire un interesse opposto a quello del da lui rappresentato.

9 Scrive il MORTARA, L., in Commentario del Codice e delle leggi di procedura civile, IV ed., II, n° 518, pag. 660: “l’esistenza di un interesse comune o concorrente in confronto di terzi non è caso di conflitto; bisogna che vi sia vera inconciliabilità tra gli interessi dell’uno e quelli dell’altro” (cioè del rappresentante e del rappresentato).

Così anche VENZI, G., in Note a Pacifici-Mazzoni, Istituzioni di diritto civile italiano, VII, p. 2, Firenze, 1925, pagg. 201-202, il quale ribadisce l’attenzione a non confondere il conflitto con la concorrenza d’interessi, riferendosi in particolare al padre che abbia un interesse nell’affare del figlio: affinché si determini l’opposizione degli interessi, occorre che si tratti non di un interesse qualunque ma di un interesse del padre antitetico a quello del figlio, in modo che il vantaggio dell’una parte corrisponda al danno dell’altra.

Anche lo STOLFI, Teoria del negozio…, op. cit., pagg. 550-551, afferma che il conflitto:

“implica un movimento contemporaneo di diritti opposti”.

(17)

rappresentante non cura in modo esclusivo la realizzazione dell’interesse del rappresentato, il conflitto che da tale sviamento scaturisce può risolversi in un pericolo di danno per il rappresentato, cioè l’operato del rappresentante in violazione delle finalità del rapporto rappresentativo può provocare un danno al rappresentato10: generalmente, quindi, nei casi di conflitto si verifica il binomio di effetti opposti pericolo di danno per il rappresentato e vantaggio per il rappresentante11 , anche se ciò non è essenziale al concetto di conflitto (esso, infatti, può verificarsi anche quando non vi sia un vantaggio per il rappresentante o per un terzo, e può non esservi quando, invece, tale vantaggio si realizzi, come nel caso di mandato in rem propriam). Gli interessi in conflitto possono essere immediati, consistere in finalità prossime direttamente connesse al negozio:

in tal caso si parla di conflitto diretto, il quale determina un esercizio illegittimo del potere rappresentativo ed ha come conseguenza un pericolo di danno per il rappresentato, nonché la paralisi di tutto il rapporto rappresentativo. Nel conflitto indiretto, invece, non esiste l’incompatibilità obiettiva ed immediata delle posizioni dei soggetti del rapporto rappresentativo, perciò esso è causa perturbatrice del rapporto soltanto se il

Secondo SOTGIA, Nullità d’avallo…, op. cit., pag. 813, conflitto d’interessi significa possibile annientamento dell’interesse del rappresentato a favore del rappresentante. Esso determina un’attività esplicata totalmente in contrasto con la volontà del rappresentato, perché dettata non dalla procura ma da interessi personali del rappresentante, da sue determinazioni arbitrarie.

La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n° 1057 del 21 Settembre 1963, in Dir. e giur., 1964, pag. 318 e ss., riconosce che il conflitto d’interessi porta ad un abuso dei poteri relativi alla procura, dovuto all’intento del rappresentante di soddisfare, con il contratto, un interesse proprio in contrasto (anche solo potenziale) con l’interesse del rappresentato.

D’IPPOLITO e LOMEO, Conflitto…, op. cit., pagg. 154-155, ravvisano il sorgere di una situazione di pericolo per l’interesse del dominus quando si manifesta un interesse personale del rappresentante, diretto o indiretto, non giustificato dalla natura dell’atto (mandato in rem propriam, ad es.) o da una manifestazione di volontà del rappresentato.

10 PEREGO, Spunti…, op. cit., pag. 1451, ribadisce che non è necessario che si sia verificato un danno, basta che esso sia possibile. Il pericolo di danno sussiste quando il rappresentante può trarre dal negozio che sta per concludere un’utilità personale diretta o indiretta (cioè favorendo altri) a danno del rappresentato.

11 Il NAVARRINI, U., Delle società e delle associazioni commerciali nel Commentario al Codice di Commercio, Milano, 1928, n° 353-bis, pag. 492, afferma che il conflitto d’interessi è da ravvisarsi nella situazione in cui il vantaggio di una parte si risolva necessariamente in una diminuzione di vantaggio per l’altra.

Anche MOSCO, L., Brevi considerazioni in materia di conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato, in Dir. e Giur., 1964, pag. 318 e ss., riconosce che la tutela dell’interesse dell’uno non può avvenire senza il sacrificio dell’altro.

Così anche COSSU, C., La rappresentanza, in Giur. sist. civ. comm., fondata da Bigiavi, W., Torino, 1999, pagg. 2089-2093, che aderisce alla definizione tradizionale di conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato secondo la quale esso si verifica quando il rappresentante persegua finalità in contrasto con quelle del rappresentato talché possa derivare un vantaggio o un’utilità a lui o anche ad un terzo e correlativamente un danno, anche solo potenziale, al rappresentato.

(18)

pericolo di danno ha intensità tale da produrre un ragionevole timore in una persona di buon senso.

Altro elemento di rilievo è l’attualità del conflitto, che indica che il pericolo di danno (e non necessariamente il danno) deve sussistere al momento della conclusione del negozio e risultare da elementi già certi a quel momento, e non da congetture sul futuro che potranno verificarsi oppure no12. Essenziale è anche che il conflitto sia reale, effettivamente esistente al momento della conclusione del negozio, e non apparente, insussistente ad un attento esame della realtà.

La situazione di conflitto si verifica, se ricorrono gli elementi citati, sia nell’ipotesi in cui il rappresentante curi un proprio interesse sia in quella in cui egli curi l’interesse di un terzo, è infatti inconcepibile che l’unico rappresentante possa curare gli interessi di entrambi i soggetti contemporaneamente in modo esclusivo, ma dovrà trascurare o l’uno o l’altro. Anche nel contratto con se stesso (art. 1395 Cod.Civ.) e nella doppia rappresentanza il conflitto è l’unico limite insuperabile.

Il MINERVINI aggiunge, nella sua interpretazione dell’art. 1394 Cod.

Civ., che il legislatore considera viziato soltanto il negozio concluso dal rappresentante contro l’interesse del rappresentato per un interesse proprio (vera espressione di conflitto), e che viceversa non potrà considerarsi viziato il negozio concluso dal rappresentante, sia pure scientemente, contro l’interesse del rappresentato ove non concorra alcun interesse giuridicamente rilevante del rappresentante stesso alla realizzazione del negozio rappresentativo. Ciò che è importante al fine del verificarsi del conflitto è proprio l’opposizione di due interessi contrastanti. Secondo l’Autore due sono gli elementi coesistenti in una situazione di conflitto:

1) il negozio rappresentativo è difforme dall’interesse del rappresentato, e 2) realizza l’interesse del rappresentante. Ne deriva che il negozio rappresentativo è concluso in conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato quando tale negozio sia atto a soddisfare un bisogno del rappresentante e invece, per soddisfare il bisogno del rappresentato si

12 Così anche il MARRACINO, A., in Digesto italiano, voce: Patria potestà, XVIII, I, Milano- Roma-Napoli, 1906-1910, n° 262, pag. 731: “il conflitto deve essere attuale, effettivo e reale non semplicemente ipotetico, eventuale o possibile…(esso può essere) anche futuro, purché prevedibile”.

MOSCO, Brevi considerazioni…, op. cit., pag. 320, afferma che per aversi un conflitto d’interessi, il contrasto tra l’interesse del rappresentante e quello del rappresentato deve sempre essere attuale, solo così l’interesse del rappresentato può essere pregiudicato; se si ammettesse l’idea di un contrasto d’interessi anche solo potenziale, si farebbe riferimento ad un contrasto che può esserci ma che può anche non esserci, in quanto non si troverebbero elementi sufficienti a dimostrare che il rappresentante abbia tutelato un interesse e sacrificato l’altro. Quindi il contrasto deve essere necessariamente sempre attuale, il danno può essere anche solo potenziale (ecco perché si parla di pericolo di danno).

(19)

sarebbe dovuto stipulare un negozio diverso: il conflitto consiste nel divario tra il negozio compiuto e quello che avrebbe dovuto essere compiuto. Tra l’altro si evidenzia, in questa corrente di pensiero, come il legislatore non abbia fatto menzione di alcun “danno” o “pericolo di danno” quali elementi essenziali del concetto esaminato; elementi considerati, invece, fondamentali nel dibattito antecedente all’entrata in vigore del Codice del 1942 per configurare un’ipotesi di conflitto giuridicamente rilevante.

La nozione di conflitto d’interessi, seppur variamente definita in dottrina, viene dunque generalmente ricondotta ad una situazione di contrasto o di concorrenza tra l’interesse del rappresentante e quello del rappresentato. In particolare, alcuni autori tendono ad identificare il conflitto di interessi con l’abuso di rappresentanza, di cui costituirebbe la vera e tipica figura: infatti, il potere di rappresentanza esiste ma se ne abusa in quanto viene utilizzato deviando dal fine per cui era stato concesso, viene, cioè, utilizzato contro l’interesse da tutelare o comunque tenendolo in secondo piano rispetto ad interessi alieni13.

13 PUGLIATTI, Abuso di rappresentanza…, op. cit.

Anche secondo MOSSA, L., Abuso della procura, in Riv. dir. comm., 1935, II, pag. 252 e ss., l’agire del rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato integra gli estremi dell’abuso di rappresentanza: essa esiste come identità esteriore ma devia dal suo fine al servizio dello scopo del rappresentante; il potere esiste ma se ne abusa, se ne fa un esercizio illegittimo rispetto allo scopo per cui fu conferito, un esercizio per fini relativi ad un soggetto diverso da quello nel cui interesse il potere fu concesso.

(20)

4. Il conflitto d’interessi alla luce dell’esperienza giurisprudenziale

Un contributo alla definizione della fattispecie proviene dalla giurisprudenza che talvolta ha ritenuto estremamente significativi, onde riconoscere una situazione di conflitto, dei complessi indiziari, altre volte ha preferito valutare il caso concreto, il negozio rappresentativo posto in essere, anziché ricorrere a costruzioni astratte.

Non sempre il conflitto è palese, spesso risulta da una combinazione di elementi e circostanze di per sé insignificanti, altre volte la presenza di ulteriori elementi non vale ad escludere il conflitto.

Ad esempio, nella vendita effettuata dal rappresentante, la congruità del prezzo non è di per sé elemento decisivo per negare il conflitto d’interessi con il rappresentato, ai sensi dell’art. 1394 Cod. Civ., se risulti comunque accertato il proposito del rappresentante di perseguire con l’atto uno scopo incompatibile con l’interesse reale del rappresentato14. Elementi rivelatori del conflitto, in concorso con altre circostanze, sono, tra gli altri, la comunanza d’interessi tra rappresentante e terzo e la convivenza tra loro, soprattutto se essa sia determinata da rapporti di parentela15, oppure contrasti sul piano personale che abbiano provocato con la stipulazione del contratto da parte del rappresentante una situazione di pericolo per il rappresentato16.

Ai fini dell’individuazione di un conflitto non è sufficiente che il rappresentante e il rappresentato siano entrambi personalmente interessati rispetto al negozio rappresentativo ma occorre che, avuto riguardo al contenuto concreto di esso, tali interessi siano attualmente o potenzialmente contrastanti ed incompatibili tra loro ed il profitto realizzato con il negozio, dall’uno dei due, si risolva o possa risolversi in un pregiudizio per l’altro17. Alle stesse conclusioni arriva il Tribunale di Avellino intravedendo un conflitto tra l’interesse del rappresentato- venditore, quello ad ottenere dalla vendita il maggior prezzo possibile, e quello del rappresentante che, nel caso discusso, mira ad avvantaggiare il compratore (che ha interesse ad ottenere la cosa col minor sacrificio pecuniario possibile) a causa di vincoli che a lui lo legano, quindi a

14 Corte di Cassazione, 31 Ottobre 1961, n° 2512, in Foro it. Rep., 1961, voce: obblig. e contratti, n° 351.

15 Corte di Cassazione, 27 Luglio 1957, n° 3192, in CD-rom Repertorio del Foro italiano, a cura di Zanichelli.

16 Trib. Catania, 30 Dicembre 1989, n° 994, in Giur. Merito, 1990.

17 Corte di Cassazione, 15 Aprile 1959, n° 1125, in CD-rom Repertorio del Foro italiano, a cura di Zanichelli.

(21)

perseguire un interesse opposto a quello del da lui rappresentato18. Nell’altro aspetto considerato dalla sentenza, vendita dei beni del debitore che il creditore faccia per soddisfare un suo credito, non si profila con altrettanta evidenza l’ipotesi del conflitto: il pagamento dei debiti non è contrario all’utilità del rappresentato, egli infatti ha interesse a liberarsi dalla sua obbligazione; creerebbe pregiudizio soltanto se il rappresentante- creditore svendesse i beni ad un prezzo inferiore pur di realizzare il suo credito, in tal caso mancherebbe la naturale tutela dell’interesse del venditore. L’ipotesi del conflitto d’interessi è stata individuata anche nel caso in cui il rappresentante contragga obbligazioni in proprio e le garantisca con ipoteca sui beni del rappresentato19.

18 TORRENTE, Conflitto…, op. cit., pagg. 364 a 366, Trib. Avellino, 13 Maggio 1953, in Giur.

compl. Cass. Civ., 1954, I.

19 App. Cagliari, 27 Maggio 1967, in Foro it., 1968, I, 544.

(22)

5. Il conflitto d’interessi nella rappresentanza legale

La rappresentanza legale ha la funzione di consentire la partecipazione degli incapaci alla vita giuridica: è rappresentanza necessaria nel senso che il rappresentante di persona incapace, di un ufficio di diritto privato o l’organo di una persona giuridica devono agire non in nome proprio ma necessariamente nel nome del rappresentato.

E’ interessante analizzare la disciplina del conflitto d’interessi nella rappresentanza legale con particolare attenzione alle norme sulla minore età20.

A parte limitatissimi casi, il minore d’età è assolutamente incapace di gestire il proprio patrimonio, sono pertanto i genitori esercenti la potestà (art. 316 Cod. Civ., co. I) a sostituirlo quali suoi rappresentanti legali (art.

320 Cod. Civ., co. I) sia per gli atti di ordinaria amministrazione che per quelli straordinari, in quest’ultimo caso è necessaria la preventiva autorizzazione del giudice tutelare, il quale la concede soltanto per

“necessità o utilità evidente”(art. 320, co. III). Il genitore esercente la potestà, essendo rappresentante generale del figlio e amministratore dei suoi beni, deve adempiere al suo compito nell’interesse del minore stesso:

questa espressione ritorna in numerosi articoli del Codice; così nell’art.

316, co.V e VI, in cui si dispone che, in caso di contrasto su questioni di particolare importanza, “il giudice, sentiti i genitori ed il figlio, se maggiore degli anni quattordici, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare” e “se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio”.

L’art. 323 Cod.Civ. e l’art. 1471 Cod. Civ. n° 3, tenendo presente l’eventualità del conflitto d’interessi a causa dell’esercizio della potestà, ne hanno fatto il motivo ispiratore di un divieto in un caso particolare. Il I co.

dell’art. 323 dispone, infatti, che “i genitori esercenti la potestà sui figli non possono, neppure all’asta pubblica, rendersi acquirenti direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti del minore”, l’art. 1471 n° 3 ribadisce tale divieto per “coloro che per legge…amministrano beni altrui, rispetto ai beni medesimi”, la sanzione per la violazione di questo divieto è l’annullabilità di tali atti. La legge presume iuris et de iure, che al verificarsi di tale circostanza, vi sia sempre conflitto d’interessi e sulla base di questa presunzione crea un caso speciale d’incapacità di acquisto per il genitore esercente la potestà; infatti la compravendita si caratterizza per un gioco di due interessi opposti: quello del venditore, che vuole ottenere il prezzo massimo e quello del compratore, che mira ad acquistare alle

20 GAZZONI, F., Manuale di diritto privato, Napoli-Roma, 1990, pag. 127 e ss.

(23)

condizioni più favorevoli, quindi vi è un conflitto d’interessi ogniqualvolta il rappresentante del minore sia anche compratore.

E ancora, l’art. 320 Cod. Civ. all’ultimo comma stabilisce che “se sorge conflitto d’interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa potestà, o tra essi ed i genitori o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale”. Due sono in tal caso le ipotesi: la prima fa riferimento al conflitto tra diversi soggetti rappresentati dalla medesima persona, la seconda al conflitto tra rappresentato e rappresentante. Perché tale disposizione? Per tutelare l’interesse dei rappresentati incapaci, infatti nel primo caso il rappresentante non può curare contemporaneamente due interessi in contrasto, poiché dovrebbe danneggiare l’uno di quanto avrà voluto avvantaggiare l’altro; nel secondo caso, il rappresentante curerebbe un interesse proprio ai danni di quello del rappresentato. In tutti e due i casi la rappresentanza non può svolgersi secondo la sua normale e tipica destinazione: la cura esclusiva dell’interesse del rappresentato.

Il potere rappresentativo del genitore è temporaneamente bloccato perciò occorre procedere alla nomina di un altro rappresentante, il curatore speciale. Anche nel campo di esercizio della tutela possono verificarsi casi di conflitto d’interessi, il Codice li risolve all’art. 347: “se vi è conflitto d’interessi tra minori soggetti alla stessa tutela, il giudice tutelare nomina ai minori un curatore speciale”, quindi se due sono i soggetti alla stessa tutela, per uno rimane la rappresentanza del tutore, per l'altro occorre procedere alla nomina del curatore; e all’art. 360, I e II co., in cui si legge: “il protutore rappresenta il minore nei casi in cui l’interesse di questo è in opposizione con l’interesse del tutore” e “se anche il protutore si trova in opposizione d’interessi col minore, il giudice tutelare nomina un curatore speciale”. Tutore e protutore rappresentano il minore e ne amministrano i beni ma il Codice individua all’art. 378 una serie di atti ad essi vietati in relazione alla possibilità che si verifichi una situazione di conflitto, per cui essi: “non possono, neppure all’asta pubblica, rendersi acquirenti direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti del minore (co.

I). Non possono prendere in locazione i beni del minore senza l’autorizzazione e le cautele fissate dal giudice tutelare (co. II). Il tutore e il protutore non possono neppure diventare cessionari di alcuna ragione o credito verso il minore (co. III)”. Nella stessa direzione vanno le norme di cui agli artt. 394 e 424 Cod. Civ. circa l’emancipazione, la tutela dell’interdetto e la curatela dello inabilitato. Questi casi indicano la strada per rimuovere una situazione di conflitto: la sostituzione del rappresentante in conflitto con altro rappresentante. Ma, come abbiamo visto, vi sono altre norme che pongono veri e propri divieti al compimento di taluni atti da

(24)

parte del rappresentante legale: abbiamo già menzionato l’art. 1471 Cod.

Civ., dobbiamo ricordare gli artt. 2373 e 2391 circa la preclusione del diritto di voto nelle deliberazioni in cui il socio abbia un interesse in conflitto con quello della società o relative ad operazioni nelle quali l’amministratore abbia un interesse in conflitto con quello della società.

(25)

6. Effetti del conflitto d’interessi

Quali gli effetti della situazione di conflitto sul negozio rappresentativo?

Il conflitto d’interessi ha efficacia impeditiva rispetto alla validità del negozio in quanto turba il rapporto rappresentativo, lo distoglie dal suo scopo normale21, ne altera la funzione. Di conseguenza il contratto concluso in conflitto d’interessi (mediante esercizio anormale dei poteri di rappresentanza)22 risulta viziato e quindi annullabile in quanto si è verificato, se accertata l’esistenza del conflitto d’interessi, un vizio del volere: l’atto volitivo non è stato libero poiché il rappresentante si è lasciato influenzare da un interesse estraneo23. Con riferimento alla rappresentanza volontaria è stato aggiunto24 che la fiducia è il presupposto fondamentale di essa, il verificarsi di un conflitto, dunque, fa venire meno tale elemento e determina l’invalidità dell’agire del rappresentante con la conseguenza che ogni obbligazione assunta in nome e per conto del rappresentato nell’interesse esclusivo del rappresentante è viziata per mancanza di potere rappresentativo25.

Lo strumento concesso al rappresentante per reagire alla situazione creata dal contratto concluso in conflitto d’interessi è l’annullamento, al quale si applica la disciplina prevista agli artt. 1441-1442 Cod. Civ.: legittimato all’azione è il solo rappresentato (con esclusione di qualsiasi terzo), il quale ha l’onere di provare l’esistenza degli elementi da cui scaturisce il conflitto e la conoscenza o riconoscibilità di essi da parte del terzo. Tale prova non è necessaria in caso di collusione tra rappresentante e terzo, infatti la conoscenza del conflitto è in re ipsa26.

Da evidenziare i casi previsti dal già menzionato art. 1471 Cod. Civ., in cui la legge ha voluto evitare proprio il sorgere della possibilità di un conflitto tra il dovere e l’interesse in colui che deve gestire il patrimonio altrui,

21 COBIANCHI, Sulla nullità…, op. cit., pag. 213, ritiene debba considerarsi sospeso il mandato e paralizzata la rappresentanza, relativamente all’affare in cui l’interesse del mandante venga a trovarsi in conflitto con quello del mandatario.

22 PUGLIATTI, Il conflitto…, op. cit., afferma che la situazione di conflitto comporta un esercizio illegittimo del potere rappresentativo.

23 Il PUGLIATTI, op. cit., osserva che il conflitto, nel momento della sua manifestazione, elide il potere rappresentativo cosicché il rappresentante, che ha interessi opposti a quelli del rappresentato, si può dire privo del potere di rappresentanza.

24 Secondo PEREGO, Spunti sul conflitto…, op. cit., pag. 1450, il rappresentato è tutelato ex post, se l’atto compiuto è a lui pregiudizievole, ma anche ex ante, quando esista un conflitto d’interessi, vietando al rappresentante di agire in quanto dovrebbe scegliere tra interessi contrastanti. Anche se il rappresentante fosse stato tanto scrupoloso da agire per il meglio nell’interesse del rappresentato, se esiste un conflitto, per il solo fatto della sua esistenza, l’atto è impugnabile.

25 Così SOTGIA, Nullità…, op. cit., pag. 814.

26 Corte di Cassazione, 13 Ottobre 1956, n° 3579, in Giust. Civ., 1957, I, 473.

(26)

sancendo un divieto assoluto di acquisto e creando una particolare incapacità, quella dei rappresentanti come possibili acquirenti dei beni dei soggetti da loro rappresentati. La sanzione relativa alla violazione di tali divieti legali è la nullità per i primi due casi previsti dall’art. 1471 e l’annullabilità per gli ultimi due.

(27)

7. Il contratto con se stesso

Sia la dottrina che la giurisprudenza sono concordi nel ritenere tassativa la previsione dell’art. 1395 Cod. Civ. il quale esclude ogni altro caso di validità del contratto con se stesso al di fuori delle due ipotesi previste:

quando il rappresentato abbia specificamente autorizzato il rappresentante a concluderlo o quando il contenuto del contratto sia determinato onde escludere la possibilità di conflitto d’interessi. E’ proprio nel contratto con se stesso (nelle forme di contratto concluso dal rappresentante con se stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte, la cosiddetta doppia rappresentanza) che il conflitto raggiunge la massima evidenza27, tant’è vero che l’art. 1395 Cod. Civ. conterrebbe, secondo la giurisprudenza, una presunzione iuris tantum di conflitto d’interessi (da cui l’annullabilità) superabile con la prova contraria dell’autorizzazione o della predeterminazione28. Con riferimento all’autorizzazione preventiva, però, la Cassazione29 ha dichiarato che non è sufficiente una generica autorizzazione, data dal rappresentato al rappresentante, a concludere un contratto con se stesso per escludere il conflitto d’interessi, ma occorre che siano anche determinati gli elementi negoziali, ad esempio il prezzo della compravendita, in modo da impedire abusi da parte del rappresentante. Ma è anche vero30 che per escludere il pregiudizio del rappresentato non basta la preventiva fissazione, da parte sua, del prezzo di acquisto o di vendita del bene: infatti il rappresentante non è esentato dall’obbligo di cercare di ottenere, comunque, il prezzo più vantaggioso possibile; tale pericolo di pregiudizio si può escludere, invece, quando il prezzo del bene oggetto della compravendita sia fisso e il rappresentante venda a condizioni standard o quando il prezzo sia autoritativamente imposto. Il rappresentato, per ottenere l’annullamento del contratto concluso dal rappresentante con se stesso, dovrà provare soltanto la possibilità di conflitto e non l’esistenza attuale di esso; la controparte, per respingere l’impugnativa, dovrà o contrastare l’affermazione di un interesse del rappresentante al negozio rappresentativo (art. 1395 Cod. Civ, co. I ) o provare che quest’ultimo fu utiliter coeptum dal rappresentante (art. 2031 Cod.Civ.): dovrà dimostrare, in entrambi i casi, che il negozio non fu posto in essere dal rappresentante

27 PUGLIATTI, S., Contratto con se medesimo, rappresentanza e conflitto d’interessi, in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965. Anche secondo JAEGER, P.G., L’interesse sociale, Milano, 1964, pagg. 7-8 e 209, la fattispecie tipica di conflitto d’interessi è proprio il contratto con se stesso.

28 Corte di Cass., 8 Ottobre 1970, n° 1852, in Foro it., 1970, I, 2736.

29 Corte di Cass., 7 Maggio 1992, n° 5438, in Foro it., 1992, voce: Rappresentanza nei contratti, n° 8.

30 COSSU, Il conflitto…, op. cit.

(28)

in conflitto d’interessi col rappresentato. Quando, pur su autorizzazione preventiva del rappresentato, il contratto concluso dal rappresentante con se stesso realizzi una possibilità di conflitto, esso non è annullabile ex art.

1395 ma lo sarà solo in virtù dell’art. 1394, se affetto da un conflitto attuale: sarà quindi annullabile secondo il principio generale che muove dall’esistenza dei due elementi dell’interesse del rappresentante a realizzare il negozio rappresentativo e della difformità di questo dall’interesse del rappresentato stesso31.

31 MINERVINI, Il conflitto…, op. cit.

(29)

8. Rappresentanza senza potere

Parte della dottrina ha cercato di inquadrare il conflitto d’interessi nella figura del difetto di potere rappresentativo, in realtà le differenze sono nette sia con riferimento a quest’ultima sia relativamente alla figura dell’eccesso di potere 32. Si ravvisa l’ipotesi di difetto quando colui che contrae come rappresentante (cd. falsus procurator) non ha poteri (per l’estinzione del potere rappresentativo ex art. 1396 Cod.Civ. o per la mancanza ab origine della legittimazione rappresentativa), quella di eccesso di potere quando l’attività svolta eccede i limiti delle facoltà conferitegli (caso di insufficienza della legittimazione rappresentativa a coprire l’atto posto in essere)33.

La dottrina ritiene che il contratto concluso dal falsus procurator sia di per sé perfetto, valido e vincolante ma temporaneamente privo di effetti, quindi inefficace e inopponibile alla sfera giuridica del dominus; esso non è né nullo né annullabile in quanto può essere ratificato o sciolto (art. 1339 Cod.

Civ.). La giurisprudenza, alla luce della possibilità della ratifica da parte dello pseudo rappresentato (una sorta di procura a posteriori) del contratto concluso con eccesso o difetto di poteri, esclude non solo l’invalidità ma anche l’inefficacia dell’atto stesso, ritenendo che esso costituisca un elemento di una fattispecie complessa a formazione successiva che si perfeziona soltanto con la ratifica.

32 SOTGIA, Nullità…, op. cit., pag. 814, afferma che la condotta del rappresentante che non tutela l’interesse del rappresentato (conflitto d’interessi) non può essere assimilata ad un eccesso di potere, perché esso presuppone che vi sia un’attività anche solo parzialmente conforme a quanto demandatogli e comunque che essa tuteli l’interesse del dominus; mentre nella situazione di conflitto l’attività del rappresentante è del tutto difforme dalla volontà del rappresentato, al punto che le due volontà uguali e contrarie si annullano e l’interesse del dominus non viene affatto tutelato.

Secondo PUGLIATTI, Abuso…, op. cit., il conflitto d’interessi non può neanche essere paragonato al difetto di poteri perché comunque il primo presuppone esistente il potere stesso.

33 D’IPPOLITO e LOMEO, Il conflitto…, op. cit., tracciano la differenza tra le figure dell’eccesso e del difetto di rappresentanza: eccesso di potere quando il rappresentante va al di là dei poteri conferitigli; difetto di potere quando l’atto concluso dal rappresentante si fonda su un potere inesistente. Nessuna delle due figure può essere riportata a quella del conflitto d’interessi (o abuso di rappresentanza).

Riferimenti

Documenti correlati

Dichiaro di aver ricevuto l’Informativa resami ai sensi degli articoli 13 e 14 del Regolamento UE 679/2016 da Fideuram Vita S.p.A. e prendo atto del trattamento dei miei Dati

Lei potrà ottenere dalla Compagnia la conferma che sia o meno in corso un trattamento dei Suoi Dati Personali e, in tal caso, ottenere l'accesso ai Dati Personali ed alle

Prima dell’adesione, per un’illustrazione completa delle caratteristiche, della contribuzione, dei costi, delle opzioni di investimento e dei relativi rischi del Fondo

Quando mancano tre anni alla presumibile età del pensionamento di vecchiaia, il fondo invia all’aderente anche il documento Informazioni all’avvicinarsi del pensionamento di

La Compagnia informa che i Dati Personali contenuti nella messaggistica riguardante trasferimenti finanziari possono essere forniti, per esclusivi fini di prevenzione e di contrasto

La Banca Depositaria è la banca presso la quale sono depositate fisicamente le somme degli iscritti Oltre a custodire il patrimonio, essa controlla tutte le operazioni disposte

VERSAMENTO CONTROVALORE BUONI PASTO: con l’introduzione dei Buoni Pasto elettronici l’accordo sindacale ha inserito la previsione, in alternativa alla ricezione del

Il Fondo Pensione Medici ha come unico gestore dei montanti accumulati polizze assicurative in gestione separata ramo V con il Gruppo Generali e pertanto, come Fondo,