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Gli amministratori e l’interesse sociale

2. Il conflitto d’interessi in seno al consiglio di amministrazione

2.3. Gli amministratori e l’interesse sociale

Nell’adempimento dei suoi obblighi l’amministratore deve adottare la diligenza (da valutarsi rispetto alla natura dell’attività esercitata, ex art.

1176 Cod. Civ.) del mandatario (art. 2392 Cod. Civ.); la disposizione contenuta in questo articolo risente dell’eco delle legislazioni del 1800 che qualificavano gli amministratori come mandatari della società. Questo richiamo è, però, ormai inteso in senso restrittivo, nel senso cioè di un rinvio non all’intera disciplina del mandato, ma semplicemente alla diligenza richiesta al mandatario (che è il criterio ordinario di diligenza del buon padre di famiglia). Infatti sono almeno due le ragioni per cui l’amministratore non può essere considerato un mandatario: prima di tutto egli non è obbligato a seguire le istruzioni del mandante, in quanto titolare di competenze e di poteri nei quali nessuno, neppure l’assemblea, può dargli ordini84; invece il mandatario deve agire nell’interesse del mandante seguendo le modalità indicate nelle istruzioni impartitegli. Inoltre il mandatario stipula contratti per conto del mandante, infatti il mandato è riferito al compimento di atti giuridici e non all’esecuzione di operazioni materiali o di scelte comportamentali, quali rientrano nell’attività dell’amministratore: egli ha poteri e funzioni che non possono essere paragonati a quelli del mandatario anche se, è vero, normalmente compie anche atti giuridici, ma questo è solo un aspetto secondario (rispetto all’assunzione di scelte imprenditoriali) della sua attività, sì da non poterla qualificare giuridicamente.

L’art. 2391 Cod. Civ., co. I, fa riferimento all’interesse sociale, si deve da questo desumere che esista un dovere dell’amministratore di perseguirlo?

Non poche sono le difficoltà nell’individuare la fonte normativa di tale dovere così da far ritenere a molti Autori che tale norma nel nostro ordinamento non esista affatto e da accettare l’interpretazione della disposizione di cui all’art. 2391 Cod. Civ. secondo cui essa costituisca soltanto un limite negativo all’attività dell’organo amministrativo. Secondo tale impostazione, quindi, l’attività degli amministratori sarebbe un’attività discrezionale, vincolata nel fine ma libera nei mezzi. Ma anche ove si riconosca tale carattere all’attività degli amministratori, grazie all’art. 2391 Cod. Civ. possono essere sanzionati comportamenti contrari all’interesse della società con un congegno tecnico che colpisce condotte facilmente identificabili dal giudice.

84 Invece alcuni autori considerano che la circostanza che spesso la prestazione a carico dell’amministratore non è determinata in ogni suo aspetto sia avvicinabile al caso della

“mancanza di istruzioni del mandante”, per cui l’amministratore nello svolgere la sua attività specifica deve adottare il metro dell’oggettivo interesse sociale, qualora l’assemblea non abbia fissato una direttiva cui egli debba attenersi.

2.4. Analisi dell’art. 2391 Cod. Civ.

La disciplina del conflitto d’interessi in seno al consiglio di amministrazione di società è affidata al contenuto delle norme di cui agli artt. 2391 e 2631 Cod. Civ.; l’art. 2391 con i primi due commi riproduce sostanzialmente la disposizione dell’art. 150 Cod. Co., mentre il terzo comma rappresenta una novità assoluta, seppure sorta per risolvere alcuni problemi cui l’art. 150 di cui sopra aveva dato luogo. Il co. I dispone che :

“L’amministratore, che in una determinata operazione ha, per conto proprio o di terzi, interesse in conflitto con quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale e deve astenersi dal pertecipare alle deliberazioni riguardanti l’operazione stessa”

(l’applicazione di tale norma è estesa alle altre società di capitali grazie agli artt. 2464, 2487 e 2516 Cod. Civ.).

Innanzitutto vi è un preciso riferimento ad una concreta operazione economica85 (ed alle modalità pratiche di essa) rispetto alla quale deve essere valutata l’esistenza dei due interessi in conflitto (personale e sociale)86e rispetto alla quale la ragione del conflitto può trovarsi in un rapporto più o meno immediato87. Onde verificare l’esistenza del conflitto occorre, dunque, riscontrarla con riguardo al concreto oggetto della deliberazione, al suo contenuto effettivo e non sulla base della “esteriore

85 Può essere nell’interesse della società che un’operazione si faccia, non si faccia, o si faccia a determinate condizioni. Così WEILLER, Il conflitto…, op. cit., pag. 42: “Finalmente essa (la società) può non avere alcun interesse a che una determinata operazione si faccia”.

86 MINERVINI, Gli amministratori…, op. cit.

87 FRE’, Della società…, op. cit., riconosce un rapporto immediato tra conflitto e operazione quando, ad es., si ha a che fare con un negozio per il quale l’amministratore è contraente diretto della società. Un rapporto mediato, invece, quando contraente sia, ad es., un’impresa finanziata dall’amministratore, il quale quindi ha interesse, in qualità di finanziatore, che il negozio si concluda. L’amministratore può trovarsi in una situazione di conflitto d’interessi con la società anche quando abbia violato il divieto di concorrenza ex art. 2390 Cod. Civ.; in tal caso si applicano sia questo che l’art. 2391 Cod. Civ. (l’amministratore potrà essere revocato e la società potrà farsi risarcire il danno o rifarsi della perdita subita).

Secondo WEILLER, Il conflitto…, op. cit., pag. 41, il legislatore menziona il termine

“operazione” quale “concezione tecnico-empirica, per indicare un complesso di atti o negozi, che praticamente nel lavoro, formano un’unità”; se il legislatore ha parlato di operazione e non di contratto, come invece nell’art. 1394 Cod. Civ., significa che la previsione dell’art. 2391 Cod.

Civ., co. I, è molto più ampia e tale da riferirsi non solo a contratti ma anche ad atti non contrattuali, la società, infatti, per raggiungere il suo scopo, “esplica un’attività multipla”, che l’A. suddivide in tre categorie: atti tecnici (ad es. lo studio di un impianto), atti organizzativi (ad es. direttive e circolari interne) e atti negoziali o giuridici (ad es. la conclusione di contratti con fornitori, clienti, ecc…). In più ci sono tutti gli atti preparatori delle deliberazioni assembleari, generalmente di competenza degli amministratori.

posizione negoziale dell’amministratore stesso”88. L’espressione “per conto proprio o di terzi”89 è il risultato delle previsioni dei progetti di riforma succedutisi prima del 1942: già gli artt. 201 e 215 Prog. Vivante usavano la formula “per conto proprio o di altri”, in particolare l’art. 201 sostituiva l’inciso “ come rappresentante di altro” dell’art. 150 Cod. Co. Ciò sta ad indicare qual è stata la nuova tendenza legislativa, poi definitivamente codificata nel 1942 all’art. 2391 Cod. Civ.: il riferimento all’interesse dell’amministratore “in proprio o come rappresentante di altro” deve essere inteso in senso ampio, prescindendo, cioè, dalla formale spendita del nome.

E’ stata così riconosciuta la rilevanza dell’interesse particolare non solo nel caso in cui l’amministratore, in una certa operazione con la società, agisca in nome altrui, ma anche nel caso in cui, senza spendere l’altrui nome, agisca per conto e cioè nello specifico interesse di terzi90. La conferma di tale impostazione è, poi, pervenuta dai Progg. D’Amelio del 1925 e Asquini del 1940, in cui, sia per i soci che per gli amministratori, vengono conservati gli incisi dell’agire per conto (artt. 192 e 207 Prog. D’Amelio, artt. 227 e 247 Prog. Asquini). Ciò che il legislatore richiede negli artt.

2391 e 2631 Cod. Civ. (ma anche, come vedremo nell’art. 2373 Cod. Civ.) è la situazione di interessi propria dell’agire per conto e quindi una specifica relazione91 tra il votante ed il terzo, che conduca alla deviazione del risultato dell'attività a favore del terzo senza che sia necessario dimostrare l'esistenza di un conferimento di incarico92. Per delinearsi un conflitto occorre che si instauri una divergenza tra l’interesse della società e l’interesse di cui è portatore l’amministratore; ciò si verifica quando l’amministratore ha interesse che la deliberazione sia orientata in una certa direzione mentre rispondente all’interesse sociale è una deliberazione che si

88 MINERVINI, Sulla tutela dell’interesse sociale…, op. cit. , pag. 321.

89 Invece l’art. 1394 Cod. Civ. non parla di un interesse che il rappresentante possa avere per conto di un terzo.

90 L’interesse è per conto altrui quando si persegua il vantaggio di un’altra persona. E’ anche ammissibile che l’amministratore agisca di propria iniziativa nell’interesse del terzo, in tal caso avrà un proprio interesse al vantaggio del terzo, per un movente psicologico come l’affetto, la gratitudine, la vanità, ecc…Si tratta sempre di una situazione di vincolo dell’amministratore rispetto al terzo, che gli toglie serenità.

91 Cass., 20 Maggio 1954, n° 1625, in Giust. Civ., 1954, pag. 1151: “A far sorgere il conflitto d’interessi fra amministratore e società non basta che da parte dell’amministratore si compia un’operazione da cui la società non possa ricavare utilità o beneficio alcuno, ma occorre che da quella operazione l’amministratore abbia ricavato un’utilità per sé o per altri”.

92 A volte l’interesse proprio dell’amministratore e quello del terzo si muovono congiuntamente:

il WEILLER, Il conflitto…, op. cit., pag. 45, fa l’esempio dell’amministratore che voglia portare a termine un’operazione tra la propria società ed un’altra di cui è socio. In tal caso l’applicabilità dell’art. 2391 Cod. Civ. dipende dall’intensità (numero di azioni) della partecipazione dell’amministratore alla seconda società, da cui dipende la serenità dell’amministratore e, spesso, la direzione del suo interesse.

muova in una direzione differente93. E appunto il legislatore, con la disciplina del conflitto d’interessi consiliare, ha voluto creare il terreno più favorevole affinché l’amministratore adempia sempre al suo compito che è quello di agire sempre con il proposito di fare il meglio a vantaggio della società, per cui, per potersi dedicare fruttuosamente alle attività che gli competono, non deve essere turbato da interessi propri94. Il conflitto, come nell’ipotesi prevista dall’art. 1394 Cod. Civ., deve essere obiettivamente rilevabile95 ed avere una certa importanza96, oltre che reale e non semplicemente potenziale97.

93 Si veda Cass., 25 Giugno 1985, n° 3836, in Rep. giur. it., 1985, voce “obbligazioni e contratti

”, n° 310, secondo cui il conflitto si presenta quando l’amministratore: “anziché tendere alla tutela degli interessi del rappresentato persegua interessi propri, suoi personali o di terzi, di modo che, all’utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante per sé o per il terzo, segua (abuso di rappresentanza in senso stretto) o possa seguire (pericolo di abuso) il danno del rappresentato”. Il caso che l’amministratore abbia interesse che si faccia un’operazione o si faccia a condizioni migliori, è quello più semplice o tipico cui applicare l’art. 2391 Cod. Civ. Si pensi all’amministratore che propone di alienare un immobile della società ad un gruppo di suoi amici quando la società non ha interesse a venderlo; all’amministratore che solleciti la vendita di merci della società ad una ditta in cui egli ha forte partecipazione, mentre la società non ha interesse alla vendita.

94 SALANITRO, N., L’invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione di soc.

per azioni, Milano, 1965, pag. 33, riconosce l’opportunità di valutare “l’insufficienza di diligenza nella gestione mediante l’esistenza, obiettivamente accertabile, di un interesse attuale in contrasto”.

95 Così anche SALANITRO, op. cit. pag. 33 e MINERVINI, Sulla tutela dell’interesse sociale nella disciplina…, op. ult. cit., pag. 321, che aggiunge “alla stregua del criterio dell’uomo medio”.

96 Infatti secondo WEILLER, Il conflitto…, op. cit., pag. 41, non si può e non si deve fare il

“processo alle intenzioni”; sarebbe estremamente pericoloso ravvisare un conflitto senza averne indizi certi, basati su fatti obiettivi che permettano di smascherare l’amministratore interessato.

Tra l’altro, data l’applicabilità di una sanzione penale, è ancora più forte l’esigenza di dare contorni chiari alla vicenda. A tale proposito si veda Cass., 1 Febbraio 1943, n° 252, in Dir.

fall., 1943, II, pag. 9: “l’indagine sulla esistenza di un conflitto d’interessi tra amministratore e società non va posta con riferimento alla esteriore posizione negoziale del rappresentante, ma con riguardo al contenuto del rapporto che si assume menomato della dovuta osservanza degli interessi del rappresentato”. Contra, App. Trieste, 13 Agosto 1962, in Corti Brescia, Venezia e Trieste, 1962, pag. 717, che, in relazione alla distinzione tra conflitto d’interessi e rescissione per lesione, afferma che nel primo caso l’anomalia “ è insita nel fatto stesso dell’assunzione del potere rappresentativo all’infuori dei casi in cui può essere esercitato dal rappresentante” e che

“l’indice esteriore del pregiudizio funge da mero effetto”,

Anche DE MARCHIS, P., Il conflitto d’interessi e il danno ingiusto alla società, in Società, n.

6/1994, pag. 774, non ha dubbi che per individuare un conflitto consiliare devono sussistere

“indici tipici, obiettivamente riconoscibili, idonei a contrapporre l’interesse del singolo a quello della società”.

97 App. Bologna, 12 Luglio 1935, in Foro it. Rep., 1935, voce “società”, n° 382. Invece MINERVINI, op. cit., pag. 321, distingue il conflitto potenziale, quando c’è una divergenza tra gli interessi, da quello attuale cioè il conflitto che si attua con il voto abusivo, in quanto conforme all’interesse del soggetto e difforme dall’interesse della società, ma li ritiene entrambi rilevanti ai fini dell’applicazione della disciplina.

I doveri dell’amministratore il cui interesse confligga con quello sociale, consistono: 1) nel darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale e 2) nell’astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l’operazione stessa. Quanto al primo, il precetto della legge stabilisce che amministratori e sindaci devono avere notizia del conflitto, si tratta, infatti, di un elemento importante per decidere se effettuare o no un’operazione rispetto alla quale un membro del consiglio si trovi in posizione antagonistica con la società98. Quanto al secondo obbligo, il problema che si pone è se il legislatore con l’espressione “astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l’operazione stessa” abbia inteso riferirsi all’obbligo di astensione dal voto o anche dall’intervento: sembra da accogliersi la prima soluzione sia perché la previsione del divieto d’intervento contemplata nei Lavori preparatori (Prog. D’Amelio) non è divenuta norma di legge, sia perché tale divieto non è neanche previsto dall’art. 2372 Cod. Civ. relativamente all’ipotesi di socio interessato99.

98 Dubbi sussistono circa l’opinione del FRE’, Della società per azioni, op. cit., pag. 393, secondo cui l’obbligo d’informazione ricade sull’amministratore che ha un interesse in conflitto con l’oggetto dell’adunanza anche se egli non vi prenda parte.

99Discordi sono le opinioni del FRE’, op. cit., pag. 393 e di CHIAPPETTA, F., La partecipazione al voto e alla discussione dell’amministratore in conflitto d’interessi, in Giur.

comm., I, 1991, pagg. 265-268 e 271. In particolare il FRE’ afferma che l’obbligo di astensione dell’amministratore in conflitto riguarda soltanto l’esercizio del diritto di voto e non anche la partecipazione alla riunione e alla discussione sull’operazione; infatti una volta che agli altri partecipanti sia nota la posizione dell’amministratore stesso, per essi potrebbe rivelarsi comunque utile la conoscenza del suo giudizio circa l’operazione stessa. Secondo l’A. è scontato come, nonostante l’amministratore in conflitto abbia adempiuto a questi due obblighi e quindi la situazione sia chiara a tutti, il consiglio di amministrazione possa ugualmente deliberare il compimento dell’operazione poiche’ conveniente per la società, oppure possa decidere di non darle seguito in quanto, a prescindere dal conflitto, non è conveniente; in quest’ultima ipotesi, se gli amministratori dovessero decidere di attuarla, essi sarebbero responsabili ma non lo sarebbe l’amministratore in conflitto che abbia osservato le disposizioni dell’art. 2391 Cod. Civ., poiché in tal modo ha separato la propria responsabilità da quella degli amministratori. Ma CHIAPPETTA avanza qualche dubbio sulla fondatezza di tale opinione, avendo riguardo all’esegesi della norma ex art. 2391 Cod. Civ. e alla ratio ispiratrice della relativa disciplina. Dal primo punto di vista, sulla base del disposto dell’art. 12, co. I, Preleggi, il canone di interpretazione di questa norma, come delle altre, è dato “dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” e l’art. 2391 Cod. Civ., co. I, parla di “astensione dalla partecipazione alla deliberazione” mentre l’art. 2373, co. I, disciplinante analoga fattispecie con riferimento, però, al socio, impone il “divieto di esercizio del diritto di voto”.

Affinché, inoltre, il CdA funzioni correttamente occorre non solo la sua conoscenza ed informazione circa l'esistenza di un conflitto rispetto ad un componente, ma anche una corretta formazione della volontà dell'organo amministrativo stesso: l'obbligo di astensione ha proprio la finalità di escludere l’amministratore in conflitto dalla determinazione della volontà sociale, e tale determinazione si realizza non solo con il voto ma anche con l’intervento alla discussione, dato che l’amministratore può influenzare l’opinione degli altri membri del consiglio. Allora, partendo dal presupposto che il fenomeno deliberativo si risolve in procedimento che consta dei momenti della votazione e della deliberazione, si può concludere che l’obbligo imposto dall’art.

L’omissione della comunicazione del conflitto non produce conseguenze giuridiche, infatti il legislatore ritiene che l’ignoranza degli altri amministratori non influisca sulla formazione della loro volontà100 , mentre l’abusiva partecipazione alla deliberazione è punita, a prescindere da come l’amministratore voti, e purché fosse consapevole della situazione di conflitto101, con la multa in conformità al co. I dell’art. 2631 Cod. Civ.

Ulteriore effetto dell’inosservanza delle disposizioni citate è l’obbligo, sancito dal co. II dell’art. 2391 Cod. Civ., di risarcimento “delle perdite che siano derivate alla società dal compimento dell’operazione” da parte dell’amministratore inadempiente102; coerentemente, l’abusiva partecipazione alla deliberazione è punita con la multa e con la reclusione fino a tre anni, in caso di “derivazione alla società di un pregiudizio dalla deliberazione” stessa (art. 2631, co. II). Ciò che rileva, anche in tal caso, ai fini dell’applicazione degli artt. 2391, co. II e 2631 Cod. Civ. è lo stato di conoscenza o di ignoranza dell’amministratore sull’esistenza del conflitto d’interessi103 ma non occorre la previsione del pregiudizio, infatti l’amministratore interessato è responsabile anche se al tempo della deliberazione non fu possibile prevedere l’esito dannoso dell’operazione104. Mentre il risultato pregiudizievole di cui all’art. 2631, co. II, può risolversi indifferentemente nell’emergenza di un danno o nel mancato

2391 Cod. civ. non si esaurisce nell’astensione dal voto ma riguarda, a monte, la partecipazione dell’amministratore alla discussione.

100 Non è così per il FRE’, op. cit., pag. 394, che invece riconosce come conseguenza di questo inadempimento la responsabilità dell’amministratore in conflitto, ed anche in caso d’inosservanza parziale delle suddette disposizioni.

101 Così anche LIBONATI, Holding…, op. cit., pag. 360.

102 A tale proposito il Codice del 1942 ha notevolmente modificato la corrispondente norma dell’art. 150 Cod. Co. 1882 limitando la responsabilità per la perdita al solo amministratore che si trova in conflitto d’interessi, mentre prima la responsabilità era estesa a tutti gli altri amministratori (cui fosse stato reso noto il conflitto) che avessero partecipato alla deliberazione quando essa non fosse stata approvata dai sindaci. Attualmente la responsabilità degli altri amministratori è regolata, anche in questo caso, dall’art.2392 Cod. Civ.

103 MINERVINI, op. ult. cit., pag.323.

104 Così MIRTO, P., Il diritto penale delle società, Varese, 1954, pag. 324: “Non richiedendo la legge per la incriminazione del fatto il verificarsi del danno come evento del reato, il dolo si esaurisce nella volontà di prendere parte ad una deliberazione per la quale si avrebbe il dovere di astenersi dall’intervenire”. Cass., 11 Marzo 1966, n° 686, si riferisce invece ad atti negoziali compiuti dall’amministratore per “tornaconto personale” di tale “entità da costituire un pregiudizio effettivo”.

PARODI, C., Forma giuridica e realtà economica: brevi note in margine alla vicenda De Benedetti-Banco Ambrosiano, in Giur. it., 1990, I, pag. 170, individua la ragione che indusse il Tribunale di Milano ad escludere il conflitto d’interessi (peraltro perfettamente riconoscibile da parte di un soggetto nella posizione del De Benedetti) tra il Banco e Calvi nel solo fatto che dai negozi conclusi non sarebbero scaturite direttamente obbligazioni pregiudizievoli per il patrimonio dell’istituto.

conseguimento di un lucro105, invece alcuni autori ritengono che, nel caso previsto dall’art. 2391 Cod. Civ., co. II, la nozione di danno si restringa al danno emergente (in conformità alla lettera della norma- “perdite” ) perciò l’amministratore sarebbe tenuto al risarcimento soltanto in questa ipotesi106; altri sostengono che, coerentemente con le previsioni dell’art. 2631, co. II, Cod. Civ., non si possa restringere la nozione di danno ex art. 2391, co. II, Cod. Civ., spiegando che l’utilizzazione del termine “perdite”, in senso tecnico, storicamente è incerta 107. Estremamente innovativa è la sentenza della Corte di Cassazione n. 12700 del 1993108 con la quale il conflitto d’interessi in seno al consiglio di amministrazione è stato inquadrato in una diversa prospettiva: essa accoglie l’orientamento secondo cui, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2391 Cod. Civ., occorre accertare la sussistenza

conseguimento di un lucro105, invece alcuni autori ritengono che, nel caso previsto dall’art. 2391 Cod. Civ., co. II, la nozione di danno si restringa al danno emergente (in conformità alla lettera della norma- “perdite” ) perciò l’amministratore sarebbe tenuto al risarcimento soltanto in questa ipotesi106; altri sostengono che, coerentemente con le previsioni dell’art. 2631, co. II, Cod. Civ., non si possa restringere la nozione di danno ex art. 2391, co. II, Cod. Civ., spiegando che l’utilizzazione del termine “perdite”, in senso tecnico, storicamente è incerta 107. Estremamente innovativa è la sentenza della Corte di Cassazione n. 12700 del 1993108 con la quale il conflitto d’interessi in seno al consiglio di amministrazione è stato inquadrato in una diversa prospettiva: essa accoglie l’orientamento secondo cui, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2391 Cod. Civ., occorre accertare la sussistenza