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I soci e l’interesse sociale: il principio maggioritario

3. Il conflitto d’interessi assembleare: diritto di voto e interesse sociale

3.1. I soci e l’interesse sociale: il principio maggioritario

La concezione d’interesse sociale sottesa alla disciplina del conflitto d’interessi assembleare e all’esercizio del diritto di voto in assemblea è quella che si richiama all’interesse comune dei soci, in adesione alla teoria contrattualistica, quasi unanimemente condivisa dalla dottrina italiana. Ciò risulta dalla lettura degli artt. 2377 e 2373 Cod. Civ. preposti a regolamentare la materia: il primo nega ai soci assenzienti la legittimazione ad impugnare la deliberazione assembleare e ciò dimostra che il motivo ispiratore della norma non è un interesse superiore, istituzionale, che condurrebbe alla possibilità d’impugnativa anche delle deliberazioni unanimi, ma è l’interesse comune dei soci132; così anche l’art. 2373 Cod.

Civ., nel riferirsi all’interesse sociale cui la deliberazione reca pregiudizio.

Nel nostro ordinamento non esiste una norma che vieti all’azionista di perseguire in assemblea interessi estranei ai fini della società133, il legislatore, infatti, ritiene che non sia umanamente possibile che l’azionista isoli il suo interesse come socio rispetto agli altri interessi che lo muovono e che con la società nulla hanno a che vedere: essi si condizionano vicendevolmente. Occorre, però, che sia fissato il limite alla possibilità di

132 La cui realizzazione determina una proporzionale soddisfazione dell’interesse individuale di ogni socio. Così MENGONI, op. cit. Anche JAEGER, L’interesse…, op. cit., pag. 179, rileva che dal riconoscimento alla società per azioni della natura contrattuale non discende che i soci debbano ritenersi “liberi di servirsi della società stessa in qualunque modo e per qualunque scopo, senza preoccuparsi degli interessi di coloro i quali sono con essi legati dal contratto sociale….La qualifica contrattuale della società indica, invece, che gli interessi dei soci assumono rilevanza nella disciplina e che la disciplina stessa è dettata a tutela di tali interessi; è dunque con riguardo alla protezione di tutti i contraenti, che la libertà di tutti incontra dei limiti”.

133 MIGNOLI, L’interesse…, op. cit., osserva che l’art. 2373 Cod. Civ. fissa un limite al diritto di voto ma non impone quale direzione seguire per realizzare l’interesse sociale, anzi la legge riconosce che il socio sia mosso da interessi extrasociali e lo consente se e finché essi non possano danneggiare la società. Nell’attività deliberativa, infatti, il socio, nell’esprimere il suo voto, è spinto da un interesse proprio da realizzare attraverso lo scopo sociale, nel modo che rechi meno danno o più vantaggio al socio stesso. MICCIO, Interesse…, op. cit., secondo il quale nello scopo sociale il socio trova un limite al perseguimento dei suoi interessi in quanto deve rispettare l’obbligo, assunto con il contratto di società, di cooperare con gli altri soci per raggiungere lo scopo sociale, non deve, cioè, ostacolarne la realizzazione. L’A. riconosce che l’individuo che partecipa ad una società è mosso da un interesse economico che realizza attraverso lo scopo sociale, comune a tutti i soci. Tale interesse è quindi quello che normalmente spinge ad associarsi (altro è l’interesse particolare in contrasto con quello sociale). MENGONI, op. cit., interpreta la norma di cui all’art. 2373 Cod. Civ. come divieto di perseguire interessi non semplicemente extrasociali ma “antisociali” ossia contrari all’interesse comune. JAEGER, L’interesse…, op. cit., pag. 212, afferma che nella fattispecie dell’art. 2373 Cod. Civ.:

“L’interesse sociale non può essere altro che l’interesse di tutti i membri del gruppo sociale (compresi, è inutile dirlo, il socio o i soci cui appartiene l’interesse in conflitto con esso) a che la società non subisca un danno in conseguenza del perseguimento da parte degli azionisti di un interesse extrasociale”.

perseguire, tramite il voto, interessi estranei alla società, che è quello dell’incompatibilità di essi con l’interesse sociale. Si tratta di una sorta di autolimitazione che l’azionista pratica cercando di conciliare il suo interesse particolare con quello comune: tale autolimitazione è proprio la premessa del principio maggioritario. La maggioranza sceglierà il modo di realizzare l’interesse comune più rispondente ai propri interessi particolari, e non secondo quelli della minoranza, ma tali interessi si realizzano in conseguenza della realizzazione dell’interesse comune, e ciò implica che la decisione della maggioranza sia conveniente innanzitutto per l’interesse sociale134. Quando, invece, il vantaggio extrasociale sia realizzato con lesione dell’interesse sociale viene meno il motivo ispiratore del principio maggioritario135, perciò occorre predisporre una serie di cautele affinché esso funzioni correttamente (diritto alla convocazione, diritto di intervento e di voto, ecc…) e che la decisione della maggioranza, così raggiunta, realizzi una proporzionale distribuzione di vantaggi e di svantaggi tra tutti i soci136. L’art. 2373 Cod. Civ. interviene proprio in tale contesto,

134 Che accade se il conflitto si pone tra due interessi qualificabili entrambi come “sociali”, in quanto tutti e due riferibili alla causa del contratto sociale e dei quali sono titolari allo stesso modo tutti gli azionisti? E’ il principio maggioritario a dover dirimere la controversia. Lo JAEGER, op. cit., pagg. 202-203, fa l’esempio della deliberazione che deve approvare il bilancio di una società per azioni: in sede di delibera sorge un contrasto tra due tendenze in assemblea, alcuni soci, infatti, vogliono sospendere la ripartizione degli utili distribuibili per costituire maggiori riserve e potenziare l’impresa, mentre altri insistono per la loro distribuzione integrale sotto forma di dividendi. Alla base di queste due tendenze ci sono interessi diversi e non diverse valutazioni del medesimo interesse: infatti i soci, guidati da considerazioni soggettive, (maggiore o minore necessità di denaro liquido, maggiore o minore attaccamento per le sorti dell’impresa sociale), mirano a realizzare scopi non coincidenti. Ma entrambi gli interessi appartengono a tutti i membri del gruppo sociale e trovano allo stesso modo la loro fonte nel contratto di società: “Nessuno di essi, pertanto, ha titolo per prevalere sull’altro, che non sia la preferenza accordatagli dalla maggioranza”. Solo se i soci dissenzienti riuscissero a dimostrare che i voti tramite i quali è stata approvata la deliberazione degli utili, sono stati ispirati dall’intento di frodare la minoranza, i voti sarebbero invalidi in quanto la maggioranza ha agito sotto la spinta di un motivo illecito.

135 Secondo il MENGONI, Appunti…, op. cit., pag. 434, tutelare l’interesse sociale nelle deliberazioni assembleari significa impedire che un’applicazione meccanica del principio maggioritario falsifichi la volontà sociale e faccia imputare alla collettività una volontà formatasi in seno ad una maggioranza volta a perseguire interessi particolari in conflitto con l’interesse sociale. Ecco dunque che la teoria dei diritti individuali dei soci, dei diritti della minoranza e la disciplina del conflitto d’interessi arginano il potere della maggioranza e fanno da contrappeso al principio maggioritario.

136 ROVELLI, Conflitto d’interessi nelle delibere assembleari: natura ed effetti, in Le Società, n° 9/1992, pag. 1217, afferma che: “Se il potere di maggioranza è correlato alla proporzionale distribuzione di vantaggi e di svantaggi (e su tali basi soltanto si fonda la presunzione di rispondenza all’interesse comune della volontà della maggioranza, presupposta alla assunzione del principio di maggioranza a canone di autoregolazione dei soggetti collettivi), cade il fondamento stesso della assunzione del principio di maggioranza a criterio di organizzazione dei soci per la tutela dell’interesse comune, quando la delibera risulti programmaticamente rivolta a

costituendo, secondo alcuni, l’espressione del principio di parità di trattamento fra gli azionisti sancito nell’art. 42 della II Direttiva CEE, per la quale le legislazioni degli Stati membri “salvaguardano la parità di trattamento degli azionisti che si trovano in situazioni identiche”137.

non realizzare la proporzionale distribuzione fra i soci dei vantaggi e degli svantaggi e, addirittura, a fare dello svantaggio dell’uno il vantaggio dell’altro”.

137 Così ROVELLI, Conflitto d’interessi…, op. cit., pag. 1215, che aggiunge che sulla scia di tale direttiva, accanto alla norma di cui all’art. 2373 Cod. Civ., si trovano regole specifiche come quella contenuta nell’art. 2343-bis Cod. Civ. (autorizzazione all’acquisto da parte della società di elementi di proprietà dei promotori, dei soci o degli amministratori, entro due anni dall’iscrizione) e quella ex art. 2357 Cod. Civ. (acquisto di azioni proprie). Anche MENGONI, op. cit., fa risalire la disciplina del conflitto d’interessi al “principio di parità di trattamento degli azionisti”.

3.2. Analisi dell’art. 2373 Cod. Civ.

La disposizione in esame è molto simile, per quanto concerne i motivi ispiratori, all’art. 1394 Cod. Civ. che prevede che “il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi con il rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era riconoscibile dal terzo”. Quest’ultima norma, lo ricordiamo, va interpretata nel senso che il rappresentante, il quale sia a conoscenza del conflitto intercorrente tra i suoi interessi e quelli del rappresentato rispetto ad un dato negozio, deve astenersi dal concluderlo altrimenti esso è annullabile; analogamente il socio deve astenersi dal voto nelle deliberazioni in cui lui e la società siano portatori di interessi contrastanti. Per entrambe le norme si potrebbe individuare lo stesso motivo ispiratore, il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 Cod. Civ., che vincola l’esercizio di un diritto ad un dato comportamento138; esse sanciscono giuridicamente quella che prima era soltanto una norma morale, come tale affidata alla coscienza del socio.

Recita il co. I dell’art. 2373 Cod. Civ. : “Il diritto di voto non può essere esercitato dal socio nelle deliberazioni in cui egli ha, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società”. Controversa in

138 MICCIO, Interesse…, op. cit., ravvisa, nel contrasto tra la volontà sociale (cui ha contribuito il socio portatore di un interesse contrapposto al risultato economico che la società si propone di conseguire in un certo affare) e gli interessi degli altri soci, una violazione dell’obbligo contrattuale ex art. 1375 Cod. Civ. Anche JAEGER, L’interesse sociale, op. cit., pag. 193, ritiene che il voto ispirato a finalità extrasociali e dannoso sia espresso in violazione del dovere di collaborazione dei votanti, sancito dal più generale principio di buona fede oggettiva. Così GAMBINO, op. cit., secondo il quale la norma di cui all’art. 2373 Cod. Civ. costituisce l’espressione specifica, in tema di società, del principio di buona fede.

Contra FRE’, op. cit.: “ Se la maggioranza prende una deliberazione che, ad un osservatore imparziale appare non conforme agli interessi della società, la ragione di tale comportamento deve ricercarsi nella circostanza che i soci, i quali costituiscono la maggioranza stessa, hanno un interesse proprio che sta in conflitto con quello della società”, quindi il divieto di perseguire, attraverso il voto e a danno degli altri soci, un vantaggio proprio, non deriva direttamente dall’applicazione dell’art. 1375 Cod. Civ. ma dall’art. 2373 Cod. Civ., da cui risulta un nesso funzionale tra procedimento e deliberazione che mette in rilievo gli effetti di questa (potenzialità dannosa) senza ricorrere a introspezioni psicologiche sui motivi del voto. MENGONI, Appunti…, op. cit., pag. 459, riconosce che il contratto di società, come ogni altro contratto, deve essere eseguito secondo il principio della buona fede ma essa non può essere considerata un limite al perseguimento di interessi extrasociali, in quanto stabilisce soltanto il criterio di determinazione del modo della prestazione. Quindi non è riscontrabile un conflitto nell’ipotesi di contrarietà della deliberazione alla buona fede. Tra l’altro, secondo CASSOTTANA, M., L’abuso di potere a danno della minoranza, in Quad. giur. comm., 120/1991, non si può ricollegare la sanzione d’invalidità dell’atto (singola manifestazione di voto o delibera dell’organo collegiale) alla violazione del principio di buona fede, che dà luogo soltanto a responsabilità per inadempimento.

dottrina è stata la questione se l’interesse personale del socio ex art. 2373 Cod. Civ., co. I, dovesse essere connesso ad una posizione di controparte che il socio avesse assunto nei confronti della società o se esso andasse accertato sulla base del concreto contenuto della deliberazione, o ancora, se dovesse essere valutato tipicamente. Da una breve ricostruzione storica si evince che il conflitto d’interessi di cui al suddetto articolo non è riferibile alle sole ipotesi in cui l’azionista si trovi a rivestire la posizione di controparte della società, cioè non è riconducibile alla figura del contratto con se stesso, né lo era sotto l’impero del codice di commercio e nei successivi progetti di riforma. Più compatta è la dottrina nel ritenere che l’interesse personale del socio non vada risolto in un mero atteggiamento psicologico139 ma debba consistere in una posizione obiettiva preesistente alla deliberazione140.Tale interesse è concentrato su un vantaggio particolare, che può consistere in un incremento di utilità o anche nell’evitare un sacrificio che altrimenti il socio dovrebbe sopportare141, ma secondo alcuni142 non è necessario che abbia carattere

139 Secondo GAMBINO, La disciplina …, op. cit., esso dipende: “Da una relazione obiettiva esistente sul piano della realtà esterna”. Così anche MINERVINI, op. cit., pag. 317, non ritiene che il legislatore si sia riferito all’atteggiamento psicologico del soggetto, infatti è difficile ravvisarne l’intento, significherebbe privare la disciplina relativa di ogni pratica portata. Invece secondo FRE’, op.cit., in questa circostanza l’elemento rilevante per il diritto è l’elemento psicologico, che pone i soci in antitesi con la società: “ Si procede dunque per induzione accertando i fatti e giudicando, secondo la comune esperienza, del presumibile rapporto nel quale questi stanno con la volontà o l’intenzionalità delle persone di cui si tratta”.

BEVILACQUA, G., Conflitto d’interessi ed esclusione dal voto in assemblea, in Riv. soc., 1956, ritiene difficile la valutazione dell’antisocialità dell’interesse del socio, tale giudizio, infatti, si potrebbe fondare solo su conoscenze circa la situazione patrimoniale del socio.

140 FRE’, op. cit., parla di : “Interesse proprio del socio in conflitto con quello della società…

effettivo e non semplicemente ipotetico”. MINERVINI, Sulla tutela…, op. cit., pag. 316, afferma che il termine “interesse”, riferito così al socio o all’amministratore come alla società, è usato dal legislatore in senso obiettivo: “Essi possono dirsi avere interesse ad una data deliberazione od operazione se l’adozione o il compimento di questa sia capace di porre in essere una situazione favorevole al soddisfacimento di un loro bisogno, assunta di tale bisogno una nozione improntata al criterio dell’uomo o dell’imprenditore medio, utilmente intrapresa. Il legislatore, qui, non fa riferimento all’interesse in senso subiettivo, che è l’interesse nutrito in concreto dal dato soggetto alla determinata situazione, da lui reputata favorevole al soddisfacimento di un suo bisogno; e non fa riferimento all’intento, all’animus del soggetto”.

141 Così WEILLER, Il conflitto…, op. cit. A tale proposito l’ OERTMANN, esponente della dottrina tedesca, fa l’esempio della deliberazione con cui si provveda all’apertura di una strada adiacente ad un edificio del socio; se le circostanze indichino il pregio dell’edificio nel suo isolamento (si pensi ad una casa di cura), l’interesse del socio sarà quello di evitare il pregiudizio che al bene derivi dall’apertura della via.

142 Così GAMBINO, op. cit., secondo il quale il fatto che l’interesse personale produca, in caso di conflitto, un danno economico alla società, non significa che l’interesse debba necessariamente attenere alla sfera patrimoniale del socio (si pensi alle società a partecipazione pubblica, dove l’interesse particolare dell’ente pubblico non è generalmente rivolto ad un lucro patrimoniale, ma può avere natura politico-sociale). Contra ASCARELLI, Studi…, op. cit., pag.

patrimoniale, può infatti ricomprendere vantaggi non economici che, però, devono sempre essere suscettibili di una valutazione143. L’interesse particolare in questione può essere proprio del socio oppure di un terzo (al pari che nelle previsioni degli artt. 2391 e 2631 Cod. Civ.), ma in questa seconda ipotesi la legge non specifica quale tipo di rapporto debba intercorrere tra il socio ed il terzo144; l’ipotesi più semplice vede il socio come prestanome del terzo, vero proprietario delle azioni, ma ve ne possono essere diverse altre nella pratica145.

175, che ritiene che l’interesse in conflitto con quello della società può avere natura soltanto patrimoniale, irrilevante essendo il conflitto d’interessi non patrimoniali. Analogamente App.

Milano. 6 Maggio 1955, in Foro it., 1955, I, pag. 1544.

143 MINERVINI, op. ult. cit., pag. 326, conclude che la normativa in questione in nessun caso considera rilevante autonomamente la divergenza della data deliberazione dall’interesse sociale:

elemento coessenziale è sempre l’esistenza di un interesse della persona fisica “in conflitto” con l’interesse sociale.

144 Alcuni autori (MINERVINI, op. cit., pagg. 317-318; JAEGER, L’interesse sociale, op. cit., pag. 209) hanno creduto che il riferimento a terzi ( “per conto di terzi” ) indicasse la necessità dell’esistenza di un rapporto di mandato tra il socio ed il terzo, così come si riteneva fosse previsto dall’art. 215 Prog. Vivante 1921 e dal Cod. Co. del 1882, che richiedeva la rappresentanza. In realtà nel Prog. Vivante l’esigenza del rapporto di mandato era riferita alla delega di voto e non alla circostanza di cui trattiamo; l’art. 215 ( “Nessuno può prendere parte per conto proprio o di altri alle deliberazioni che riguardano un proprio interesse particolare o quello del proprio mandante” ) poneva per la prima volta una disciplina del conflitto d’interessi assembleare stabilendo il divieto di voto per il socio interessato, sia che votasse personalmente sia che avesse attribuito ad altri il potere di rappresentanza in assemblea: la formula si riferiva non ad un interesse del terzo espresso dal socio, ma all’interesse del socio manifestato dal suo rappresentante tramite il voto. Attualmente è scomparso nel Codice civile ogni richiamo al mandato e il divieto di voto viene direttamente riferito al socio, concernendo, senza bisogno di ulteriori specificazioni, l’esercizio del voto sia personale che per rappresentanza. Concorda GATTI, S., La rappresentanza del socio nell’assemblea, Milano, 1975, pagg. 69 e ss., sottolineando l’intenzione del legislatore del 1974 (la legge n° 216 è intervenuta a modificare il testo dell’art. 2372 Cod. Civ., prevedendo la possibilità per il socio di farsi rappresentare nell’assemblea, ma temperandola con alcune penetranti limitazioni onde evitare le possibili distorsioni dell’istituto) di attribuire all’espressione “dal socio” una portata più ampia di quella letterale; tale intento risulterebbe da tutto il successivo disposto dell’art. 2373 Cod. Civ. che:

“converge su ipotesi niente affatto peculiari al socio”. Ad una lettura più approfondita, la norma in questione sembra confermare tale conclusione poiché il riferimento è alla “legittimazione” e non alla “titolarità” del voto, quindi l’espressione “dal socio” contemplerebbe tutti i casi di concreto esercizio del potere di voto, sia da parte del socio che da persona da lui diversa (altro socio o persona estranea alla società) cui sia stata dal socio conferita la procura di voto.

L’Autore osserva che dall’applicazione concreta della rappresentanza nel voto, tramite la relativa procura, discende, l’ingresso del rappresentante nell’organizzazione societaria e il suo assoggettamento alle previsioni dell’art. 2373 Cod. Civ. nell’ipotesi in cui questi si trovi in una situazione conflittuale rispetto alla società: “…poiché mercè la procura il delegato diviene organo della società inserendosi nell’apparato organizzativo della stessa, non è possibile disattendere il conflitto di interessi che eventualmente sussista tra i due, perché è insito nella logica organizzatoria, di cui l’art. 2373 Cod. Civ. è espressione, che tra organo sia esso originario o derivato, e persona giuridica non vi sia conflitto”.

145 Ad es. il terzo può aver pagato il socio o avergli promesso un qualche vantaggio affinché voti nel modo a lui conveniente ma a danno della società (FRE’, Della società…, pag. 310).

Quanto al nesso che deve collegare l’interesse particolare a quello sociale al fine di provocare la forma di tutela ex art. 2373 Cod. Civ., co. I, si tratta di un rapporto conflittuale, variamente inteso dalla dottrina: il FRE’fa riferimento ad un conflitto rilevabile obiettivamente sulla base di dati forniti dall’esperienza, è, quindi, necessario individuare fatti esteriori da cui dedurre senza alcun dubbio l’esistenza di un interesse contrastante146. Se a tal fine, infatti, non si usasse la massima prudenza, si rischierebbe di farsi prendere da troppo facili induzioni che potrebbero turbare gravemente lo svolgimento dell’attività sociale. Il MINERVINI147 ritiene che il conflitto d’interessi consista in una semplice divergenza tra gli interessi del socio e

Quanto al nesso che deve collegare l’interesse particolare a quello sociale al fine di provocare la forma di tutela ex art. 2373 Cod. Civ., co. I, si tratta di un rapporto conflittuale, variamente inteso dalla dottrina: il FRE’fa riferimento ad un conflitto rilevabile obiettivamente sulla base di dati forniti dall’esperienza, è, quindi, necessario individuare fatti esteriori da cui dedurre senza alcun dubbio l’esistenza di un interesse contrastante146. Se a tal fine, infatti, non si usasse la massima prudenza, si rischierebbe di farsi prendere da troppo facili induzioni che potrebbero turbare gravemente lo svolgimento dell’attività sociale. Il MINERVINI147 ritiene che il conflitto d’interessi consista in una semplice divergenza tra gli interessi del socio e