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2. Il conflitto d’interessi attraverso i successivi provvedimenti di riforma

2.2. Il decreto Eurosim

Il risultato raggiunto con l’approvazione della legge n° 1/1991, cioè il buon assetto organizzativo dell’ordinamento italiano in linea con quello degli altri paesi europei (non a caso la legge in questione è scaturita da lunghi dibattiti di confronto con le esperienze internazionali più riuscite) e il paragone con la carente e disorganica232 disciplina su cui si reggeva il sistema finanziario italiano prima della riforma (sostanzialmente i pilastri di tale sistema erano la normativa delle borse valori degli anni Dieci e Venti, la legge n° 216/1974, istitutiva della Consob e la legge n° 77/1983 istitutiva dei fondi comuni di investimento mobiliare aperti), hanno contribuito a creare in qualche autore la sensazione che il D. Lgs. 23 Luglio 1996, n° 415, il Decreto Eurosim, sia stato il pretesto per mettere a segno interventi di cui, probabilmente, il legislatore nazionale, da solo, non sarebbe stato capace233 (si pensi, ad esempio, alla previsione della figura criminosa della gestione infedele ex art. 38), al fine di realizzare un più unitario sistema di regole ed eliminare le situazioni meno soddisfacenti e più difficili da gestire. Altri234, invece, ne hanno riconosciuto la necessità a fronte di una normativa, quella del 1991, non ancora scevra da qualche limite protezionistico, limite che suscitò un’ondata di proteste da parte di intermediari e governi degli altri Stati dell’UE, scaturita poi in una procedura formale avviata dalla Commissione UE nei confronti dell’Italia sulla violazione degli artt. 52 e 59 del Trattato di Roma, a seguito della quale l’Italia venne condannata dalla Corte di Giustizia con sentenza del 6 Giugno 1996.

A fare da apripista all’accesso in Italia degli intermediari comunitari, prima dell’emanazione del Decreto Eurosim, sono stati il D. Lgs. n° 481 del 1992

232 VALENTINO, P., Decreto Eurosim: focus sul “big bang” del mercato finanziario italiano, in Le Società, n° 9/1996, pag. 999, ricorda come la legge n° 1/1991 sia intervenuta in un quadro di dissesto legislativo davvero allarmante, in cui molti operatori erano al di fuori di qualsiasi controllo, se non addirittura sconosciuti, in cui non c’era un’attenta e dettagliata disciplina delle regole di condotta, in cui il mercato ufficiale era pressochè “delegittimato”, i controlli inefficaci, ed il sistema sanzionatorio “ridicolo”.

233 Così VALENTINO, Decreto…, op. cit., pag. 999, secondo il quale è come se il recepimento delle direttive comunitarie sia stato “strumentalizzato”.

234 ZITIELLO, L., Decreto Eurosim: la disciplina degli intermediari e delle attività, in Le Società, n° 9/1996, pagg. 1009-1010, ricorda i due limiti protezionistici presenti nella legge 1/1991, di cui all’art. 3, co. I, lett. a), che prevedeva, tra i: “requisiti per il rilascio dell’autorizzazione alla prestazione dei servizi, quello della costituzione di una società con sede legale in Italia”, e di cui al combinato disposto dell’art. 11, co. I: “recante l’obbligo della concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati” e del meccanismo dell’art. 20, co. VIII:

“che imponeva l’intervento dell’organo di vigilanza per il riconoscimento dei mercati regolamentati esteri (e che) finiva per assicurare l’effettiva esecuzione delle negoziazioni esclusivamente nei mercati regolamentati italiani”.

(in recepimento della cd. Seconda direttiva banche, n° 89/646/CEE), poi sostituito dal D. Lgs. 1 Settembre 1993, n° 385, recante il Testo Unico delle norme in materia bancaria e creditizia, e la Direttiva CEE n° 93/22/CEE approvata dal Consiglio delle Comunità europee il 10 Maggio 1993, relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari, modificata poi dalla Direttiva 95/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 Giugno 1995: il primo ha dato attuazione al principio del mutuo riconoscimento ed a quello della licenza unica nel settore bancario, la seconda ha smorzato la disparità di trattamento perpetrata dal TU a favore degli intermediari comunitari di origine bancaria. Fu, quindi, approvata la legge 6 Febbraio 1996, n° 52, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee-legge comunitaria 1994” e, in seguito all’accertamento da parte della Consob della mancata emanazione delle disposizioni di recepimento della Direttiva 93/22/CEE, nonché al fine di fornire alle imprese d’investimento comunitarie già operanti in Italia un quadro delle principali disposizioni da osservare nell’esercizio della loro attività, la Consob ha provveduto ad emettere la comunicazione n°

DAL/RM/96004383 del 15 Maggio 1996. Infine, dopo un lungo confronto tra organi di vigilanza ed associazioni di categoria, il Governo ha emanato il testo elaborato dalla “Commissione Draghi” con il D. Lgs. 23 Luglio 1996, n° 415, meglio conosciuto come Decreto Eurosim.

Tale provvedimento ha completamente riordinato l’attività di intermediazione e l’organizzazione dei mercati mobiliari, abrogando quasi totalmente le precedenti disposizioni con un meccanismo piuttosto articolato di cui all’art. 66 del Decreto stesso235. Si tratta di un atto che ha apportato forti innovazioni nel campo delle misure cautelari e delle sanzioni amministrative236, nella disciplina della crisi degli intermediari, nella normativa in tema di mercati semplicemente abbozzata dalla legge n°

1/1991 e completata dal presente decreto al fine di eliminare la “distonia organizzativa tra regole e mercato”237. Non si parla più di valori mobiliari ma di strumenti finanziari , non più di attività di intermediazione ma di servizi di investimento: accanto a quelli tradizionali (cd. operativi) previsti dalla legge n° 1/1991, ma in un’ottica di riduzione numerica, sono stati

235 Al co. I si dispone che alcune norme della legge n° 1/1991 rimangano in vigore fino all’emanazione della normativa secondaria o fino al compimento delle procedure di adeguamento previste dal decreto stesso; al co. II si prevede l’abrogazione di tutte le altre disposizioni della legge SIM, ad eccezione di quelle contenute negli artt. 4, co. II e 9, co. da 12 a 16, negli artt. 7.4 e 19.2, nell’art. 10.3, nel 20, co. 9 e 10, nell’art. 21.

236 Si veda MOLE’, M., e FANTOLA, M.T., Decreto Eurosim: le sanzioni amministrative, in Le Società, n° 9/1996, pag. 1050 e ss.

237 VALENTINO, Decreto…, op. cit., pag. 1000.

introdotti servizi “accessori” ed altri definiti, come nel ’91, “connessi e strumentali”. Nei servizi d’investimento operativi il decreto ha ribadito la ormai acquisita bipartizione tra negoziazione e gestione, annoverando nella prima quei servizi svolti per conto terzi o per conto proprio sia in fase di esordio sul mercato (collocamento) che di successiva contrattazione (negoziazione vera e propria); ad essi ha affiancato le attività di ricezione e trasmissione degli ordini e di mediazione (classificati nella disciplina del 1991 come “raccolta ordini”). Vera novità è il passaggio dell’attività di consulenza da riservata ad accessoria e l’eliminazione dell’attività di sollecitazione del pubblico risparmio fuori sede dal novero di quelle riservate, nonché il suo assorbimento in quella di collocamento. Il decreto ha, inoltre, ampliato il numero di soggetti ammessi all’esercizio dei servizi d’investimento, prevedendone, però, in modo più adeguato i requisiti di ingresso, ispirato dall’obiettivo di non discriminare tra operatori italiani e operatori comunitari: alle banche italiane è stato consentito l’esercizio di attività prima ad esse precluse, quale la negoziazione nei mercati ufficiali, alle SIM sono stati concessi spazi di azione più ampi, anche se non particolarmente rilevanti (si pensi alla locazione di cassette di sicurezza).

L’ampliamento della sfera di operatività di tali soggetti ha fortemente esteso l’area delle conflittualità rilevanti, soprattutto laddove gli interessi siano di gruppi: ciò viene affrontato con la previsione di requisiti di idoneità e di onorabilità anche in capo ai soci delle imprese di investimento, e di provvedimenti autorizzatori per l’acquisizione di partecipazioni nelle imprese di investimento stesse, come realizzato per le banche; in questo modo viene superato il regime del 1991, articolato in obblighi informativi sugli assetti proprietari e protocolli di autonomia, peraltro poco efficaci per la tutela dei clienti delle SIM rispetto a conflittualità immanenti nell’ambito del gruppo.

Sotto il profilo che ci interessa, le novità introdotte con questo decreto non riguardano tanto modifiche nei comportamenti delle imprese di investimento quanto nelle finalità cui la loro condotta deve ispirarsi: infatti il decreto fa riferimento ad obiettivi quali l’integrità dei mercati, l’equo trattamento tra clienti, l’efficienza nello svolgimento dei servizi di investimento. La cura dell’interesse del cliente (parte contraente debole) quale parametro fondamentale di valutazione della diligenza e della correttezza, di cui già all’art. 6 della legge n° 1/1991, si estende ora al coinvolgimento di interessi della collettività, per quanto eterogenei, al fine di garantire “l’integrità dei mercati”238nonché la stabilità, la competitività

238 Alcuni hanno osservato come tale decreto, e l’art. 17 lo dimostra, sia il decreto degli

“standards”, d’accordo ALPA, G., Decreto Eurosim: la tutela dei consumatori, in Le Società, n° 9/1996, pag. 1066, e ALPA, G., - GAGGERO, P., I contratti di investimento, in Giur. sist.

ed il buon funzionamento del sistema finanziario; si moltiplicano le prospettive dalle quali guardare alla disciplina dei servizi di investimento:

dagli interessi particolari all’interesse generale, dalla tutela diretta alla tutela indiretta dell’interesse dell’investitore. La diligenza, la correttezza e la trasparenza traducono canoni di comportamento239 che non si esauriscono nell’ambito del singolo rapporto né assumono rilievo soltanto in relazione all’interesse particolare del singolo cliente: in questa direzione è sensibile la differenza rispetto alla disciplina previgente, in cui tali canoni di condotta erano più che altro funzionali alla tutela diretta del singolo interesse240. Con la nuova normativa, la stabilità e le regole di condotta non sono più argomenti separati, estranei, ma viene creato un collegamento tra la disciplina dei mercati, delle attività, dei soggetti e del rapporto negoziale, che impone un allargamento della prospettiva d’indagine alle interrelazioni tra tutti questi elementi. Le regole di condotta, come messo in risalto dall’art. 17 del Decreto Eurosim241, che unifica due disposizioni della direttiva 93/22 (secondo la quale le imprese devono comportarsi “in modo leale ed equo” e “con la competenza, l’impegno e la diligenza necessari”), rivestono interesse generale poiché influiscono sul funzionamento dei mercati, per le disfunzioni che la loro violazione è in grado di produrre sia sull’esecuzione delle contrattazioni sia sull’immagine di affidabilità degli intermediari agli occhi del pubblico degli investitori, quali deterrenti o incentivanti dell’investimento. D’altra parte l’integrità dei mercati è funzionale, a sua volta, all’interesse generale ed anche a quello particolare dei clienti242.

L’art. 17 del Decreto Eurosim detta i criteri generali di comportamento cui sono tenute le imprese di investimento e le banche nello svolgimento dei

dir. civ. e comm., fondata da Bigiavi, W., I contratti in generale, III, agg. ‘91-’98, Torino, 1999, pag. 1230.

239 Si tratta di indicazioni contenute nel Libro Verde comunitario sulla tutela del consumatore, presentato dalla Commissione il 22 Maggio 1996, ad integrazione delle disposizioni contenute nelle direttive sui servizi di investimento e assolte in gran parte dalla disciplina di recepimento.

240 ALPA e GAGGERO, I contratti…, op. cit., pag. 1238: “La previsione di regole di comportamento, nel quadro della legge sulle SIM, era sì configurata quale elemento di un organico disegno di disciplina dell’intermediazione mobiliare, ma in funzione della tutela del contraente dell’intermediario”.

241 MIOLA, M., PISCITELLI, P., Art. 17, in L’Eurosim, Commentario a cura di CAMPOBASSO, G.F., Milano, 1997, pag. 121, rileva come in quest’ottica i principi di diligenza e correttezza, andranno valutati rispetto ad interessi generali e non del singolo rapporto tra intermediario e cliente; ciò sta a significare che: “Ciò che risulta diligente e corretto rispetto a quest’ultimo, potrebbe non esserlo in un’ottica che considera un numero estremamente ampio di operazioni dello stesso tipo, con il risultato di pervenire comunque ad un ampliamento potenziale delle violazioni che possono essere accertate dagli organi di vigilanza”.

242 Nel Decreto Eurosim si restringe la tutela diretta degli investitori e si moltiplicano le forme di tutela indiretta.

servizi previsti dall’art. 1, commi III e IV. Il comma I, lett. a), recita:

“(Nella prestazione dei servizi previsti dal presente decreto le imprese d’investimento e le banche devono:) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”.

Manca il riferimento alla professionalità, come invece nella legge n°

1/1991, poiché superfluo, in quanto la diligenza è intesa quale diligenza del buon professionista. Quanto alla trasparenza, si ritiene riferita a tutte le fasi di svolgimento dei servizi, promozione, conclusione ed esecuzione del contratto, e consistente nell’erogazione di informazioni complete, obiettive e adeguate al tipo di rapporto o di servizio. Tale disposizione risulta, perciò, così come le altre contenute nei commi I e II, più semplice ed essenziale rispetto alla corrispondente previsione di cui all’art. 6 legge n°

1/1991, anche se non muta l’impostazione di fondo di integrare i principi codicistici in tema di adempimento delle obbligazioni (soprattutto agli artt.

1175-1176 Cod. Civ.) con altri criteri di condotta professionale che devono presiedere all’attività degli intermediari, la cui fissazione trova motivo d’essere nel fatto che non sempre gli intermediari operano assumendo la veste di parti del contratto perciò, in questi casi, non sono assoggettabili agli obblighi propri dei contraenti. Come detto, però, risulta nell’articolo in esame un significativo ampliamento della tutela rispetto all’art. 6, co. I, legge n° 1/1991, nell’ottica di una forte interazione tra interesse particolare dell’investitore, stabilità dell’impresa e corretto funzionamento dei mercati.

Rimane pur sempre, in alcune disposizioni: “il vincolo di destinazione della disciplina dell’impresa alla tutela (dell’interesse) dell’investitore”243, come accade per le regole di organizzazione dell’impresa di investimento nello svolgimento dei servizi: l’art. 17, co. I, lett. c) del decreto n° 415/1996 stabilisce che è dovere delle imprese in questione: “organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti d’interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”. In questa disposizione le regole di organizzazione (contenute inoltre nelle lett. d) ed e) dell’art. 17) sono espressamente poste in relazione all’interesse dei clienti dell’intermediario244, ma appaiono complessivamente meno rigorose che nella disciplina previgente: anche la legge n° 1/1991 non prevedeva un divieto assoluto di operare per l’intermediario in conflitto d’interessi, però contemplava un significativo

243 Così ALPA e GAGGERO, I contratti…, op. cit., pag. 1244.

244 Il riferimento non solo a regole di comportamento ma anche a regole di organizzazione interna dell’intermediario testimoniano, comunque, la centralità della problematica del conflitto d’interessi nell’ambito della disciplina dei servizi di investimento, tali regole vengono infatti utilizzate in funzione strumentale alla prevenzione del sorgere di situazioni conflittuali (si pensi alle diverse tecniche di separazione interna tra le varie attività dell’intermediario polifunzionale, cd. chinese walls).

obbligo di disclosure e la necessaria autorizzazione del cliente; invece, con il presente decreto sembra essersi ampliata molto l’ammissibilità se non addirittura l’incentivazione delle operazioni in conflitto, poiché viene stabilito soltanto che il rischio di conflitto debba essere ridotto al minimo245; l’obbligo di trasparenza è sì richiamato, in una sorta di continuazione ideale dell’art. 6, lett. g), legge n° 1/1991, ma con formula di minore intensità e alquanto vaga circa le modalità concrete di attuazione della prescrizione: esso, comunque, sembra richiamare il principio di correttezza di cui alla lett. a) dell’art. 17, infatti più un comportamento è trasparente, nel senso che è volto a mettere in evidenza i rischi dell’operazione, ad evitare sollecitazioni indebitee ad assicurare l’intellegibilità delle clausole, più è corretto246; non è previsto alcun onere di conseguire la preventiva autorizzazione del cliente per il compimento dell’operazione in conflitto d’interessi, e, infine, stupisce che il riferimento all’equo trattamento247 dei clienti (che sembra richiamarsi alle regole di

245 La direttiva recepita prevede all’art. 10….. che l’impresa di investimento: “sia strutturata e organizzata in modo tale da ridurre al minimo il rischio che gli interessi dei clienti siano lesi dai conflitti d’interessi tra l’impresa e i suoi clienti e tra singoli clienti” e che: “le modalità di tale organizzazione nel caso di costituzione di una succursale non possono contrastare con le norme di comportamento prescritte dallo Stato membro ospitante in materia di conflitto d’interessi”

(art. 10, 5° punto). Ciò si collega con la competenza, attribuita allo Stato membro ospitante, di obbligare l’impresa d’investimento a: “sforzarsi di evitare i conflitti d’interessi e, qualora ciò non sia possibile, a provvedere a che i suoi clienti siano trattati in modo equo” (art. 11, co. I, 6°

punto). Anche il legislatore italiano si è limitato ad enunciare l’obiettivo di ridurre il più possibile il rischio di conflitto d’interessi, modificando la estesa disciplina prudenziale prevista dalla legge n° 1/1991 che prevedeva una minuziosa separazione tra le varie attività dell’impresa d’investimento; essa, infatti, pregiudicava fortemente la capacità concorrenziale delle imprese italiane, le quali, anche operando in altri Stati, sarebbero state costrette a continuare ad osservare regole più gravose, se non contrastanti con le regole di condotta del Paese ospite. Il nostro legislatore (che la direttiva ha lasciato libero, come quelli degli altri Stati, di individuare gli strumenti più idonei all’abbattimento del rischio di conflitto d’interessi) ha, quindi, rinunciato ad introdurre qualsiasi principio di separazione ed ha, soltanto, ribadito l’impegno massimo per la riduzione del rischio di conflitto e previsto i criteri di riferimento della condotta dell’impresa nei confronti del cliente, nel caso esso si verifichi.

246 La regola della trasparenza sembra richiamare la più penetrante disciplina relativa alla trasparenza delle condizioni contrattuali di cui agli artt. 115 e ss. del TU bancario, ma la sua previsione permette, al di là dell’applicazione analogica, l’introduzione di obblighi più specifici in sede regolamentare, dato che le regole sulla trasparenza bancaria sono applicabili, in relazione ai servizi d’investimento, soltanto alle banche e non alle imprese di investimento.

247 Secondo MIOLA, PISCITELLI, Art. 17, in L’ Eurosim, op. cit., pag. 120, il criterio di equità, menzionato alla lett. c) dell’art. 17, non è da intendere: “come esigenza di parità di trattamento in senso assoluto” da parte dell’intermediario, infatti il decreto si conforma all’art. 11, ult. co., della direttiva 93/22/CEE nel prevedere la: “differenziazione delle modalità di comportamento a seconda che si tratti di clienti che siano investitori professionali o meno, affidando alla normativa secondaria l’attuazione di questa scelta”. Quindi,la differenzizione di trattamento si giustifica in base alla diversa qualifica dei clienti, in tal caso non risulterà violata l’equità; se, invece, la differenziazione risulta arbitraria la violazione dell’equità che ne deriva sarà da riportarsi alla violazione della più generale clausola della correttezza.

condotta che nel sistema previgente imponevano il rispetto di modalità temporali nell’esecuzione dei rapporti contrattuali, al fine di prevenire situazioni conflittuali) sia stato introdotto soltanto nella parte dedicata all’organizzazione e non sia stato inteso quale norma fondamentale dei rapporti negoziali248.

Il contenuto del divieto di conflitto d’interessi è stato, poi, più puntualmente precisato in sede regolamentare confermando le disposizioni di cui all’art. 4 del regolamento n° 8850/1994 circa il divieto di compiere operazioni in conflitto d’interessi se non previa autorizzazione scritta del cliente e il divieto, pure previsto dal regolamento suddetto, di stipulare contratti o svolgere servizi di investimento con clienti che si avvalgano di procuratori o incaricati che siano amministratori, sindaci, dipendenti, collaboratori o promotori finanziari degli intermediari stessi. Tale normativa ha anche consentito di risolvere le precedenti incompatibilità tra la regola del cosiddetto “consenso informato” e la separazione organizzativa (art. 9, co. II, lett. h), legge n° 1/1991), poiché una forte separazione interna dell’impresa rende difficile la percezione delle situazioni di conflitto d’interessi intercorrente tra le varie attività svolte e rende, quindi, difficoltoso l’adempimento dell’obbligo di informazione del cliente. Sembra, inoltre, rientrare nella previsione della fattispecie del conflitto d’interessi, il divieto per l’intermediario di consigliare o di effettuare operazioni di frequenza non necessaria o di portata eccessiva in relazione al cliente (art. 6, lett. g), legge n° 1/1991), costituenti ipotesi tipiche di contrasto tra l’interesse dell’intermediario e quello del cliente.

Il D. Lgs. 415/1996 tratta dei criteri di condotta oltre che sotto il profilo delle modalità di svolgimento dei servizi, anche da quello della vigilanza regolamentare: l’art. 25, infatti, disciplina la ripartizione della potestà regolamentare tra la Banca d’Italia e la Consob secondo il criterio delle finalità in un’ottica di snellimento Del procedimento normativo; quanto alle competenze della Consob, al comma II, lett. b), si legge che: “(La Consob, sentita la Banca d’Italia, disciplina con regolamento) il comportamento da osservare nei rapporti con la clientela, con particolare riguardo alle misure da adottare per ridurre al minimo il rischio di conflitto d’interesse anche attraverso la regolamentazione dei flussi informativi tra i diversi settori dell’organizzazione aziendale”. La normativa regolamentare interviene, perciò, a fissare disposizioni di completamento e di specificazione dei criteri di condotta contenuti nell’articolo in esame attingendo sia ai principi

Il D. Lgs. 415/1996 tratta dei criteri di condotta oltre che sotto il profilo delle modalità di svolgimento dei servizi, anche da quello della vigilanza regolamentare: l’art. 25, infatti, disciplina la ripartizione della potestà regolamentare tra la Banca d’Italia e la Consob secondo il criterio delle finalità in un’ottica di snellimento Del procedimento normativo; quanto alle competenze della Consob, al comma II, lett. b), si legge che: “(La Consob, sentita la Banca d’Italia, disciplina con regolamento) il comportamento da osservare nei rapporti con la clientela, con particolare riguardo alle misure da adottare per ridurre al minimo il rischio di conflitto d’interesse anche attraverso la regolamentazione dei flussi informativi tra i diversi settori dell’organizzazione aziendale”. La normativa regolamentare interviene, perciò, a fissare disposizioni di completamento e di specificazione dei criteri di condotta contenuti nell’articolo in esame attingendo sia ai principi