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La disciplina del conflitto d’interessi nel TUF e nei regolamenti di attuazione

2. Il conflitto d’interessi attraverso i successivi provvedimenti di riforma

2.3. Il Testo Unico della finanza nel decreto n° 58/1998

2.3.1. La disciplina del conflitto d’interessi nel TUF e nei regolamenti di attuazione

La parte seconda del TUF (artt. 5 a 60) è dedicata alla “disciplina degli intermediari” e detta, al titolo I, “disposizioni generali” per i “soggetti abilitati”, cioè tutti i soggetti, quali “le imprese di investimento, le società di gestione del risparmio, le Sicav nonché gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’art. 107 del TUF bancario e le banche autorizzate all’esercizio dei servizi d’investimento”, ai quali sono indirizzate tali disposizioni generali; ma non tutti i soggetti abilitati devono considerarsi intermediari, a tale categoria appartengono soltanto le SIM, le SGR e le Sicav, mentre ne sono escluse sia le altre imprese di investimento (comunitarie ed extracomunitarie) sia le banche ed i soggetti finanziari abilitati.

All’art. 5, co. I, si legge: “La vigilanza sulle attività disciplinate dalla presente parte ha per scopo la trasparenza e la correttezza dei comportamenti e la sana e prudente gestione dei soggetti abilitati, avendo riguardo alla tutela degli investitori ed alla stabilità, alla competitività ed al buon funzionamento del sistema finanziario”, contenuto che sembra ricalcare sostanzialmente quanto già indicato nell’art. 5 del TU bancario, ma che, effettivamente, inserisce alcune modifiche in relazione alla realtà in cui operano i soggetti interessati. Già in questi articoli l’obiettivo della sana e prudente gestione dei soggetti vigilati è funzionale al raggiungimento di altri obiettivi255, tra i quali la tutela degli investitori.

Tale vigilanza è ripartita per funzioni tra la Banca d’Italia e la Consob: la Banca d’Italia deve vigilare: “per quanto riguarda il contenimento del rischio e la stabilità patrimoniale”, la Consob: “per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti”, ma indispensabile è il coordinamento fra i controlli sia per l’efficienza degli stessi che per evitare la loro sovrapposizione ed oneri ingiustificati per gli operatori; di conseguenza, anche il potere regolamentare deve essere esercitato con il

255 DE LORENZO, M., Art.5, comma 1, in Commentario al D. Lgs. 24 Febbraio 1998, n° 58, a cura di RABITTI BEDOGNI, C., Milano, 1998, pag. 75, afferma che: “…il principio di sana e prudente gestione non rappresenta di per sé un vero e proprio obiettivo, bensì uno strumento, funzionale al raggiungimento degli altri obiettivi summenzionati”.

concorso di entrambe le autorità, pur sempre nel rispetto delle competenze di ciascuna.

All’art. 6, co. II, lett. b), è sancito il potere regolamentare della Consob quanto al: “comportamento da osservare nei rapporti con gli investitori, anche tenuto conto dell’esigenza di ridurre al minimo i conflitti d’interessi…”, con il quale il TUF dimostra continuità d’intenti rispetto al D. Lgs. n° 415/1996 circa la disciplina dei servizi d’investimento, ciò che è dimostrato, infatti, dal titolo II (artt. 18 a 30) quale parte del testo che presenta il minor numero di novità nei confronti dell’ordinamento previgente: così come nel Decreto Eurosim il comportamento dell’intermediario deve essere ispirato a: “diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati” [art. 21, co. I, lett. a)], ribadendo, in tal modo, quella connessione tra interesse particolare e interesse generale al corretto funzionamento dei mercati da cui deriva che la tutela del primo si realizza soltanto attraverso la garanzia dell’integrità del secondo. Tale norma si pone sulla scia delle norme degli artt. 6 della legge n° 1/1991 e 17 del D. Lgs. n° 415/1996 nell’enunciare le clausole generali alla base dello svolgimento dei servizi, ma omette, rispetto alla disciplina del 1991 e come in quella del 1996, il riferimento alla professionalità (art. 1176 Cod. Civ., co. II): secondo alcuni, infatti, la diligenza richiesta nello svolgimento dei servizi di investimento “si risolverebbe nella professionalità” poiché l’intermediario dovrebbe eseguire una prestazione consistente in attività che richiedono esperienza e tecnicismo, andando ben oltre la generica diligenza256.

Le regole di condotta richiamate dall’art. 21 TUF, cioè la diligenza, la correttezza e la trasparenza, unitamente all’obbligo di fornire una costante e adeguata informazione al cliente, sono da vedersi in un contesto più ampio, volto, attraverso la regolamentazione, ad eliminare i conflitti d’interessi latenti tra intermediari e investitori. Il campo di applicazione di tali regole, di cui già nel Decreto Eurosim, risulta ampliato dall’art. 21 del TUF, in considerazione della continua evoluzione dei servizi finanziari e dei mezzi di comunicazione che porta inevitabilmente con sé problematiche nuove cui il legislatore deve prontamente porre un rimedio: ecco, quindi, che l’articolo in questione prevede l’obbligo di rispettare le regole di condotta

256 Osserva RABITTI BEDOGNI, C., Art. 21, comma 1, lett. a) e b), in Commentario al D. Lgs.

24 Febbraio 1998, n° 58, a cura dello stesso Autore, Milano, 1998, pag. 172, che: “la professionalità (di cui all’art. 1176, co. II), pertanto, altro non sarebbe che un predicato della diligenza e ciò in relazione alla natura dell’attività esercitata. Essa tende ad assommare e racchiudere il rispetto di quel patrimonio di esperienze tecniche e competenze che è proprio del settore di attività considerato. La diligenza professionale è dunque sinonimo di perizia e la sua mancanza può provocare un giudizio di responsabilità”.

enunciate per tutti “i soggetti abilitati” e autorizzati alla prestazione di servizi di investimento257.

Il tema del conflitto d’interessi è affrontato, nella lett. c) del co. I dell’art.

21258, nell’ottica dell’immanenza di situazioni conflittuali nella prestazione di servizi di investimento degli odierni intermediari, a causa della molteplicità di funzioni ad essi riconosciuta. Si legge, infatti, che: “Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono…organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti d’interesse e, in situazioni di conflitto agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”.

Quanto ai soggetti autorizzati alla gestione collettiva del risparmio (titolo III), quindi le società di gestione del risparmio e le Sicav, il problema del conflitto d’interessi si pone con la stessa importanza di quello analizzato con riferimento all’esercizio di altre attività di intermediazione mobiliare o creditizia, in quanto anche l’attività di gestione deve essere svolta per conto e nell’interesse dei risparmiatori259: si estendono anche a questa attività le norme generali di condotta degli intermediari, quindi l’obbligo di agire con diligenza nell’interesse dei risparmiatori e di evitare che gli interessi di alcuni di essi siano perseguiti a scapito di quelli di altri o che gli interessi dell’intermediario o del gruppo di appartenenza vengano anteposti a quelli della clientela. Sono quindi valide le regole generali che disciplinano le ipotesi di conflitto d’interessi ex art. 21, co. I, lett.c)260; l’art. 40, che detta

257 RECINE, F., Art. 21, comma 1, lett. c), d), e), in Commentario al D. Lgs. 24 Febbraio 1998, n° 58, a cura di RABITTI BEDOGNI, C., Milano, 1998, pag. 181, ricorda che le Sicav, seppure soggetti abilitati, hanno come oggetto esclusivo: “l’investimento collettivo del patrimonio raccolto”, perciò non sono ad esse applicabili i criteri generali previsti dalla norma in questione.

258 Il cui contenuto è stato diffusamente commentato da RABITTI BEDOGNI, op. cit., pag. 169.

259 TONELLI, La società…, op. cit., pag. 88, si esprime sul tema in questo modo: “Di fronte alla nuova figura di gestore unico che il legislatore ora consente alle società di gestione del risparmio di assumere, è ovvia l’osservazione che essa provoca un accrescimento del rischio per l’intermediario di trovarsi in situazione di conflitto d’interessi. D’altra parte è inevitabile che l’ampliamento dell’operatività di chi agisce istituzionalmente nell’interesse altrui vada, di regola, di pari passo con l’intensificarsi di vicende in cui gli interessi coinvolti possono essere tra loro contrastanti. Né si può ribattere a tale osservazione che, in effetti, essendo consentito alle società di gestione del risparmio di offrire, accanto al servizio di gestione collettiva del risparmio, soltanto quello di gestione di portafogli di investimento per conto terzi, il rischio del conflitto d’interessi non ne viene incrementato. Questo è senz’altro vero per ciò che concerne il rischio del verificarsi di situazioni di conflitto d’interessi collegate con la posizione dell’intermediario: questa situazione, in realtà, non si verifica a carico della società di gestione del risparmio, che limita il suo intervento nel settore delrisparmio gestito, sì che le ipotesi di conflitto d’interessi che possono prospettarsi per le sim, le banche e le altre imprese di investimento abilitate alla prestazione (di tutti o alcuni) dei servizi agli investimenti di cui all’art. 1, co. V, sono impossibili da verificarsi, in fatto innanzitutto”.

260 SODA, A.P., Art. 33, in Commentario al D. Lgs. del 24 Febbraio 1998, n° 58, a cura di RABITTI BEDOGNI, C., Milano, 1998, pag. 280, osserva che: “sicuramente più avvertita è nel

regole di comportamento per la gestione di fondi comuni d’investimento [“diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei partecipanti ai fondi”, lett. a)], si applica anche alle società di gestione del risparmio, essendo, poi, affidato alla potestà regolamentare della Consob il coordinamento tra tali norme e quelle previste dall’art. 21 in tema di servizio di gestione individuale da esse prestato. Quanto alla trasparenza, il principio è sancito nell’interesse dei partecipanti ai fondi sia nella fase iniziale dell’offerta di quote di fondi comuni sia nella fase successiva all’investimento”261; quanto alla diligenza ed alla correttezza si tratta di principi che non sono affatto nuovi per il nostro ordinamento giuridico (artt. 1175-1176 Cod. Civ.) bensì assumono una portata differente in materia di intermediari finanziari: infatti la diligenza richiesta al gestore non può certo valutarsi alla stregua dell’uomo medio, ma soltanto con riguardo al contenuto tecnico-professionale dell’attività svolta262. Ma è soprattutto con riguardo al principio di correttezza che emerge la problematica del conflitto d’interessi: infatti esso consiste proprio nel rispetto delle norme poste a salvaguardia degli interessi dell’investitore e dell’integrità dei mercati.

Occorrono quindi regole che mantengano sotto controllo i conflitti d’interessi attraverso l’imposizione non di divieti ma di un adeguato flusso di informazioni verso i clienti (in questo si realizza la trasparenza) e di un equo trattamento di essi263.

La disposizione di cui all’art. 40 richiama la legislazione francese sul tema, essa rappresenta: “la prima disciplina in ambito comunitario del gestore unico”264, ed i principi già sanciti nella legge n° 77/1983 (art. 3, co.II), nella

TU l’esigenza di isolare l’attività gestoria, soprattutto quella collettiva, dall’esercizio di altre attività di intermediazione”.

261 Così ZIZZI, A., Art. 40, in Commentario al D. Lgs. del 24 Febbraio 1998, n° 58, a cura di RABITTI BEDOGNI, C., Milano, 1998, infatti tale principio si risolve nell’erogazione chiara e completa di informazioni all’investitore, prima e funzionalmente alla sottoscrizione, e nella comunicazione periodica all’investitore circa la contabilità del fondo sottoscritto e gli eventi successivi alla sottoscrizione riguardanti il fondo stesso.

262 Secondo ZIZZI, op. cit., è per questo che manca il richiamo al criterio della professionalità, poiché ricompreso in quello della diligenza.

263 Secondo RECINE, Art. 21, co. 1, lett. c), d), e), in Commentario…, op. cit., pag.183: “tale criterio non s’identifica tanto con un obbligo di parità di trattamento ma piuttosto sembra richiamare quel principio di equità menzionato come integrativo delle obbligazioni che derivano dal contratto alle parti dall’art. 1374 Cod. Civ.”

264 Così ZIZZI, Art. 40, in Commentario…, op. cit., che ricorda come la disciplina francese (l.

n° 96/597) imposti organicamente le materie della: “correttezza, (dei) conflitti d’interessi, (della) tutela degli investitori e (della) salvaguardia del mercato”. In essa è previsto che il gestore deve esercitare la sua attività ispirandosi ai principi di lealtà, equità, diligenza e professionalità in vista della realizzazione dell’interesse dell’investitore, è in quest’ottica che egli deve evitare i conflitti d’interessi e, se ciò non sia possibile, garantire ai propri clienti un equo trattamento. Il legislatore francese ha demandato alla COB (Commission des opèrations de

legge n°344/1993 (art. 8, co. VI) e nella legge n° 86/1994 (art. 12, co. VI), riguardo all’autonomia ed alla distinzione del patrimonio di ciascun fondo rispetto al patrimonio della società di gestione del risparmio ed a quello di ogni partecipante al fondo stesso e rispetto ad ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società. Ma si tratta, comunque, di una delle novità più importanti del TUF poiché ha il merito di introdurre una disciplina organica della condotta dei gestori collettivi al passo con l’introduzione del cd.

“gestore unico” cioè della società di gestione del risparmio che può prestare sia il servizio di gestione collettiva sia quello su base individuale, rimandando al potere regolamentare dell’Organo di Vigilanza la specificazione delle regole di comportamento che gli intermediari dovranno osservare nei rapporti con gli investitori al fine di ridurre il più possibile i conflitti d’interessi e garantire che la gestione del risparmio su base individuale si svolga secondo le specifiche esigenze dei singoli clienti, mentre quella su base collettiva rispetti gli obiettivi di investimento degli OICR [art. 6, co. II, lett. b), TUF].

Anche i commi II e III dell’art. 40 si muovono nel contesto delle regole di condotta nell’esercizio del diritto di voto relativo agli stumenti finanziari di pertinenza dei fondi gestiti: spetta alla SGR l’esercizio di tale diritto265, ma mentre una parte della dottrina sostiene che l’ordinamento può non affrontare il problema del comportamento che il gestore deve tenere nell’esprimere il voto, essendo il mercato l’unico giudice della condotta del gestore, altra parte abbraccia un orientamento senz’altro più restrittivo che impone al gestore una determinata condotta in sede assembleare266;

bourse) il compito di specificare in concreto le regole di condotta per le società che gestiscono portafogli per conto terzi (abilitate, quindi, sia alla gestione collettiva che a quella individuale), ed essa ha provveduto con regolamento n° 96/03 del 17 Dicembre 1996; il problema del conflitto d’interessi è stato affrontato introducendo l’obbligo per il gestore: “di adottare un’organizzazione tale da ridurne i rischi e stabilendo al contempo che le funzioni suscettibili di entrare in conflitto siano tenute rigidamente separate ed indipendenti” e prevedendo anche il divieto per il gestore: “di accettare l’incarico di gestione del patrimonio del soggetto promotore o depositario dell’organismo”. In particolare, un’influenza della legislazione transalpina si ritrova nel citato art. 40, co. I, lett. b).

265 L’art. 40, co. II, recita: “Le SGR provvedono, nell’interesse dei partecipanti, all’esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari di pertinenza dei fondi gestiti, salvo diversa disposizione di legge”, ma non introduce novità rispetto alla disciplina previgente, di cui all’art.

4, co. I, l. n° 77/1983 nella formulazione introdotta con il D. Lgs. n° 83/1992, che comprendeva, tra gli obblighi derivanti dall’attività di gestione nell’interesse altrui, l’esercizio dei diritti, anche di voto, collegati ai titoli in cui il fondo veniva investito.

266 COSTI, R., Risparmio gestito e governo societario, op. cit., pag. 313, osserva che, se si parte dalla prospettiva che gli investitori istituzionali devono necessariamente essere soci di minoranza nelle società i cui titoli hanno in portafoglio, pur avendo dimensione sufficiente per svolgere attività di monitoraggio della gestione imprenditoriale, il problema del loro ruolo nell’ambito del governo societario si riconduce al rispetto della correttezza del loro comportamento al fine di assicurare che tale attività di monitoraggio non sia svolta

all’interno di questo filone di pensiero, alcuni ritengono che il voto del fondo non debba mai essere esercitato contro la maggioranza, per cui il gestore dissenziente non dovrebbe far altro che alienare le proprie partecipazioni, altri sostengono, invece, che il fondo abbia sempre l’obbligo di votare267. Con riferimento, invece, alle situazioni conflittuali dovute all’impossibilità per il gestore di conciliare la lealtà cui è tenuto verso i partecipanti al fondo con quella dovuta alla società, si tratta del problema dello stato di conflitto d’interessi in cui il gestore può trovarsi di fronte alla società emittente i titoli (interesse dei partecipanti in conflitto con quello della società emittente), in tal caso intervengono le norme codicistiche già analizzate, in particolare l’art. 2373 Cod. Civ. che contempla un obbligo di astensione268. Tali norme non sembrano smentite da quella specifica introdotta dal TUF all’art. 40, co. II, in base al quale la società di gestione del risparmio: “provvede, nell’interesse dei partecipanti, all’esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari di

nell’interesse proprio ma in quello dei partecipanti al fondo, i quali in definitiva sopportano il rischio dell’investimento azionario. Occorrono norme, di diritto societario o di disciplina degli investitori istituzionali, che promuovano la funzione di monitoraggio di tali investimenti [in questo senso sono gli artt. 140 (sulla riserva agli investitori istituzionali della sollecitazione delle deleghe di voto) e 210 TUF (sulla rimozione del divieto per le banche di ricevere deleghe per l’esercizio del diritto di voto)] e che scoraggino condotte rivolte al loro interesse proprio e non a quello dei risparmiatori. Non bisogna dimenticare che l’investitore istituzionale gestisce il patrimonio affidato alle sue cure nell’interesse e per conto di altri, nel caso del fondo comune d’investimento mobiliare la società di gestione agisce nell’interesse e per conto dei partecipanti, usando diligenza, trasparenza e correttezza. Quindi,l’esercizio di tutti i poteri che all’investitore istituzionale derivano: “dallo status di socio cessa di essere libero per diventare vincolato all’adempimento della funzione che l’investitore deve svolgere”, anche la sua discrezionalità tecnica cessa di essere insindacabile se violi le regole di diligenza e correttezza. Qual’è pertanto l’atteggiamento che il gestore deve assumere con riferimento al diritto di voto? Non potendo stabilirsi a priori se il gestore debba o no intervenire in assemblea, e se debba votare a favore o contro o piuttosto astenersi, egli dovrà decidere, secondo le regole di diligenza e correttezza, quale sia il comportamento più opportuno nell’interesse dei partecipanti e comportarsi di conseguenza.

267 ZIZZI, op. cit., non condivide l’affermazione che il fondo abbia sempre l’obbligo di votare:

esso non è previsto affatto dal legislatore, il quale si è semplicemente limitato a specificare a chi spetti tale diritto. E’, invece, il riferimento ai principi di cui alla lett. a), co. I, art. 40, a dover determinare in capo al gestore il convincimento di votare o no, di esprimere il voto in un senso o nell’altro, il suo comportamento, anche in questo caso, deve essere ispirato dal perseguimento dell’interesse dei partecipanti al fondo.

268 COSTI, Risparmio gestito…, op. cit., pag. 323, considera il caso in cui: “il gestore abbia partecipazioni di dimensioni diverse in società in conflitto (tra loro) e il suo interesse nell’una sia più forte di quello che egli ha alla valorizzazione dell’altra”. La salvaguardia degli interessi dei partecipanti, in questo caso, potrebbe quindi portarlo a “sacrificare” l’interesse della società:

è chiaro che in tal caso si è in presenza di una situazione di conflitto d’interessi ai sensi dell’art.

2373 Cod. Civ., e pertanto il gestore è tenuto a comportarsi secondo quanto ivi stabilito, cioè ad astenersi dal voto, con pregiudizio dell’interesse dei partecipanti, proprio per il vincolo che l’ordinamento societario pone al perseguimento dello stesso.

pertinenza dei fondi gestiti, salvo diversa disposizione di legge (deroga, quest’ultima, che: “probabilmente si riferisce ai fondi pensione, ma che, ad esempio, esonera dal voto anche nell’ipotesi prevista dall’art. 2373 Cod.

Civ.)269. Queste regole di condotta valgono anche nell’ipotesi in cui una società di gestione abbia istituito un fondo e ne abbia convenzionalmente affidato (purchè previsto dal regolamento) la gestione ad altra società di gestione, in tal caso il diritto di voto compete a quest’ultima (co. III), anche se i diritti dei partecipanti sussistono in capo alla prima. Anche rispetto al diritto di voto occorre, comunque, tenere conto dell’ampliamento della sfera di operatività riconosciuto dal TUF alle società di gestione del risparmio: infatti a tale intermediario è consentito assumere la qualità di committente, di soggetto che promuove la sollecitazione delle deleghe di voto, relativamente ai titoli nel portafoglio della società di gestione, cioè rientranti nel suo patrimonio in senso stretto, e a quelli: “di pertinenza dei fondi comuni per conto dei quali (essa) esercita il diritto di voto” (art. 139, co. II). L’ampiezza delle attività consentite non può non riflettersi sulle possibilità che si verifichino situazioni di conflitto d’interessi: la SGR può essere committente270 o intermediario271 nell’attività di sollecitazione delle deleghe di voto, ma può essere contemporaneamente l’uno e l’altro272, e

269Così COSTI, op. cit., pag. 323, che ravvisa in tale norma il riferimento alla doverosità caratterizzante l’esercizio del voto come tutti gli altri diritti del socio, pur non escludendo affatto che in particolari circostanze il gestore debba non intervenire all’assemblea anziché intervenire a votare: “Anche se, a dire il vero, non si sentiva troppo l’esigenza di una norma che

269Così COSTI, op. cit., pag. 323, che ravvisa in tale norma il riferimento alla doverosità caratterizzante l’esercizio del voto come tutti gli altri diritti del socio, pur non escludendo affatto che in particolari circostanze il gestore debba non intervenire all’assemblea anziché intervenire a votare: “Anche se, a dire il vero, non si sentiva troppo l’esigenza di una norma che