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Rivista di storia economica. A.01 (1936) n.4, Dicembre

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(1)

iR ùdata, A l

£CÒ*lÙ4n ic d r

difetta da Jluigi Einaudi

Direzione: Via lamarmora, 60 - Torino. Amministrazione: G iulio Einaudi editore, Via Arcivescovado, 7 - Torino — Abbonamento annuo per I' Italia l. 40. Estero l. 50. Un numero L. 12.

Anno I - Numero

4 - Dicembre 1936 -

XV

Luigi Einaudi : L'alto di nascita del secondo impero bri­

tannico. Con una nota su! regime di concessione delle terre p u b b lic h e ... Pag. 269

Achille Loria-, Intorno alla funzione della moneta im­

maginaria Icon osservazioni di luigi Einaudi) . . » 299

Bruno Foà : Pellegrino Rossi e la teoria soggettiva del

v a l o r e ... » 309 NOTE E RASSEGNE:

Mario Einaudi : Di una interpretazione puramente eco­

nomica del lib e r a lis m o ... » 317

Mario De Bernardi: Il mercato di borsa in Italia nel 1935 » 321

Luigi Einaudi : Il liberalismo economico dei pubblicisti

lombardi del rin a s c im e n to ... » 323 --- Di talune « opera omnia > di economisti . . . » 327

Riccardo Bachi: Sulla circolazione internazionale dei

metalli preziosi. - Una espressione molto rigida della teoria quantitativa della moneta. - Una allu­ sione di Cavour al duopolio. - La ripercussione dello scoppio di una crisi sulla circolazione della moneta bancaria secondo Cavour. - Una raffigura­

zione meccanica del movimento economico. . . » 331

Luigi Einaudi: Tema per gli storici dell’economia . . » 338 TRA RIVISTE ED ARCHIVI:

(2)

L

nialism o. L ’autore connette con il rapporto d i Lord Durham la data d i nascita d el­ l’attuale cosidetto « impero britannico ». Certo è che lo studio d i quel rapporto è in­ dispensabile per chi voglia rispondere alle dom ande: chi deve decidere sugli affari d elle colon ie: t m etropolitani od i coloni? com e si devono concedere le terre pubbli­ che n elle colon ie: a chi è disposto a pagarne il prezzo od a chi ha benem erenze m ili­ tari, politiche od altre? com e deve essere regolala l'im m igrazione? ecc. ecc.

Intorno alle funzioni possibili d ella m oneta immaginaria prima d ell’ ’800 — m a potrebbe intendersi anche oggi — discutono cortesem ente Achille Loria e Luigi Einaudi.

D i Pellegrino Rossi, l’econom ista e uom o d i stato caduto vittima d ell’odio d i parte mentre tentava, presidente d el consiglio d ei m inistri d i Pio IX , d i trasform are lo stato pontificio, ricorre il centenario d ell’inzio d i insegnamento al C ollegio d i Fran­ cia. Che cosa è rimasto vivo d i lui? Pii) che non si credesse dai critici venuti subito dopo d i lui. Bruno Foà dim ostra che qu elle d i Rossi per più d i un verso si riallacciano a m odernissim e teorie.

Particolarm ente ricca la rubrica d elle rassegne: nelle quali si illustra da Mario Einaudi un’erronea tesi storica d el Laskì intorno al liberalism o, si insiste da Mario D e Bernardi sull'importanza d elle rilevazioni d ei mercati d i borsa, si riesumano da Riccardo Bachi da libri od articoli dim enticati form ulazioni d i problem i vivi anche oggi. V ive e fresch e sopratuttto le pagine d i Cam illo d i Cavour.

Il direttore d ella rivista discorre anch’eg li d i quello che fu in realtà il liberali­ sm o (in Lom bardia nella prim a m età d ell” 80 0 ), d i edizioni recenti d i List, Panta­ lo n i e B aron e; e propone un tem a agli studiosi d i storia econom ica.

Antonio Fossati chiude il fascicolo, elencando g li articoli relativi alla storia econom ica dopo l’inizio d el '700.

(3)

I "rovesci,, altrui

Coloro che nei giornali quotidiani hanno ufficio d i recensori devono essersi fermati da­ vanti alla mole del libro che il generale di Corpo d'Armata Ambrogio Bollali ha pubbli­ calo pei tipi della Casa Editrice Einaudi di Torino.

Si tratta di 703 pagine, con caratteri chia­ ri, ma piuttosto minuti, finito di stampare il 25 febbraio dell’anno X IVcentesimo gior­ no dell’assedio economiconello stabilimento tipografico dei fratelli Stianti in San Casciano Val di Pesa (Firenze). Eppure un libro che è dedicalo ad ¡¡lustrare « / rovesci più caratte­ ristici degli eserciti nella guerra mondiale »

è sommamente invitante, specie per noi italia­ ni che, avendo avuto un rovescio durante la guerra, vi dovremmosecondo taluni amici d'olire A lperimanere inchiodali come ad una condanna senza revisione.

Bisognaed è un dovere per chi si oc­ cupa di questioni militaribisogna leggere il libro del generale Bollati, libro che si può definire classico e definitivo in materia. È un libro di verità severa e documentatissima

libro che dei? essere costati gravi fatiche all’au­

torelibro che dimostra come qualmente

tutti gli esercitiessendo guidati e formali d i uominihanno avuto giornate nere e qualche volta lunghe settimane.

Vedete a pagina 93 come può accadere che reparti di truppe vittoriosequali erano quelle tedesche nella battaglia dei Laghi

Ma-surisi facciano prendere dal panico, dan­

dosi a fuga sfrenata, perchè qualcuno aveva gridato « Vengono i russi », ed erano.... effet­ ti vomente russi, ma prigionieri! A pagina 105 è narralo il panico collettivo verificatosi dopo l'evacuazione d i Lemberg in ben due Corpi d ’Armata dell’esercito austro-ungarico, con dis­ soluzione di intere unità, sparatorie fra reparti e reparti e suicidio di due generali. A pagina 122 così parla ] off re dopo il fallito tentativo d i offensiva verso il Belgio. « La giornata del 23 agosto ha posto definitivamente termine al­ l'offensiva francese nel Belgio. Le preoccu­ pazioni che già nutrivo negli ultimi giorni a riguardo del valore delle truppe francesi per,

l ’attacco in campo aperto sono state conferma­ te dai fatti. I nostri Corpi d'Armata, nono­ stante la preponderanza numerica che il Co­ mando aveva procurato, non hanno dimostra­ lo in campo aperto l'energia offensiva che avremmo dovuto attenderci in relazione ai suc­ cessi iniziali. N oi siamo ormai costretti alla difensiva.... ». In data 5 settembre 1914, ] offre dirama l'ordine del giorno numero 32, nel quale si avverte che il « Comando dispone di sezioni dietro la linea di combattimento col compito di opporsi ad ogni movimento di ri­ tirata non ordinala, facendo uso delle armi, se necessario ». / rovesci iniziali dei francesi, oltre che dalla resa di tutte le piazze forti di frontiera con oltre centomila prigionieri e cen­ tinaia di cannoni, sono illustrati da queste ci­ fre. Furono, nelle prime settimane della guer­ ra, silurati 2 comandanti d i Armata, 10 di Corpo d'Armata, 42 comandanti di Divisione, cioè un terzo dei comandanti d i Grandi Uni­ tà, « per ragioni di carattere, mancanza di fiducia nel successo, insufficienza professiona­ le » (parole della relazione ufficiale francese sulla battaglia della Marna). Viene la batta­ glia della Marna, e la ritirata tedesca, riti­ rata che si svolse in ordine, malgrado ¡neonve­ nienti inevitabili che si possono leggere a pa­ gina 168. Fu quella della Marna un'autentica vittoria francese? Fu un rovescio tedesco? Se ne discute da vent'anni. Fu una ritirata dei tedeschi, cioè un insuccesso, come le stesse relazioni tedesche ammettono, ricercandone le cause, fra cui la mancanza d’accordo fra i comandanti di Armala, l'insufficiente mentalità operativa di tutti i comandanti d'Armata e

importantissimo — le condizioni di salute di

vari capi, come Moltke, Bùlow, Hausen, Heu-tsch, Lanenstein. Dove si vede che la pre­ stanza fisica dei comandanti è uno degli ele­ menti della vittoria!

L’anno 1914, primo delta guerra mondiale, si chiude col rovescio tremendo dell’esercito turco di Enver, che in una battaglia contro i russi perdette quasi tutti gli effettivi della III Armata. I dettagli si trovano a pagina 200, e vi si legge anche che « ogni accenno o noti­ zia pubblica del disastro fu rigorosamente vie­ tata ».

(4)

d i Jlu ig i E in a u d i

Un volume in 8° grande di pagine 423. I. 30.

Avevamo già letto su

Riforma sociale,

negli anni

1933-35

i saggi che

ora compaiono raccolti in un volume di

420

dense pagine

( Lu i g i Ei n a u d i,

Nuovi saggi,

To r i n o, Ei n a u d i

editore, L.

30) .

Qualcuno di questi

saggi, anzi, aveva suscitato al suo primo apparire un certo scalpore. Vi

fu chi volle negare al loro autore, per i suoi risaputi legami politici col

vecchio regime, il diritto a m etter bocca nelle cose corporative. S ’era,

allora, in piena euforia corporativistica, e s’attendeva dagli econom isti

della nuova scuola un verbo, che ancóra non è venuto. Alquanto de­

luso da quelli, il fascista riapre le vecchie (di tre anni) pagine, e quasi

si sorprende nel trovarle ancora attu ali, là dove ta n t’altre sono irri­

m ediabilm ente ingiallite, corrose da questo tempo veloce. « Trincee

economiche e Corporativismo » (Dicem bre

1933

) ; « L a corporazione

aperta » (Aprile

1934

) : problemi di oggi.

T u ttav ia questo non è affatto un

mea culpa. (Felix culpa,

semmai

fosse). Qualche troppo affrettato «econom ista» corporativo ha dato,

come suol dirsi in gergo sportivo,

forfait.

Il gruppo di punta s’è al­

quanto assottigliato: poco male. T u tte le selezioni operano così. Giun­

gono i più giovani a rincalzo. È perchè noi abbiam o m olta fiducia

in essi — e in mezzo ad essi noi viviamo — che non abbiam o proprio

nessuno scrupolo a m etter loro in mano questo libro dell’Einaudi. La

loro robustezza politica non può essere neppure scalfita dalle sottili

insidie d’un ragionam ento scientifico, anche se non ortodosso al

100

% .

T u ttav ia — sono m ortificato di dover costringere questo giudizio in

fondo alla colonna e in tre parole — è doveroso riconoscere in Luigi

Einaudi l’obiettiv ità dell’uomo di studio. Per questo la sua opera ci

interessa e per questo ci serve.

/ . m . fi. in C R I T I C A F A N C IK T A

/A

Y

^

\

(5)

£etàs del 4eààa,

della, HuMia,

di Mi. H . C&am&evtaùt

Un volume in 8° di pagine 200 della collezione PROBLEMI CONTEMPORANEI. L. 15.

.... pagine dense ed agili che ritraggono con una ricca documentazione

l ’immane tragedia di un popolo di

160

milioni oppresso dalla più bru­

tale e sparuta oligarchia.

A . B r a c c a t e c i ne L A C I V I L T À C A T T O L I C A

A bituati a sopportare libri come quello ultim o così strom bazzato di

Gide, è davvero con infinita soddisfazione che ci siamo messi a leggere

l ’opera di W. H. Chamberlin che reca sulla prima pagina la signifi­

cativa dedica: «A Sonia, moglie, compagna e collaboratrice durante

m olti anni vissuti in Russia ». E cco finalm ente un galantuom o, ci

siamo detti, che prima ha visto sul serio che cosa avviene in quel pa­

radiso infernale, e poi s’è messo a scrivere. E , arrivati alla duecente-

sima fitta pagina dell’opera, con coscienza possiamo dire di non aver

sciupato il nostro tempo. L ’autore è un giornalista am ericano che è

stato in Russia dal

1922

al

1934

, che ha una moglie russa di nascita,

é lui stesso parla e scrive russo. Chi vuol sapere che cosa sia veram ente

la Russia di oggi, legga quest’opera, tan to più che l ’A., sim patizzante

com unista nel

1922

, non è diventato oggi un profeta che preannunzia

la fine dei Sovieti per la prim avera o l’autunno prossimi, ma si lim ita

a riferire quello che ha osservato, ed esprime un solo desiderio: che

un po’ di dubbio e di scetticism o entrino nell’animo dei capi.

O reste M osca ne I L P O P O L O D I R O M A

Uno dei libri più chiari e più a tti a illustrare questo periodo del bol­

scevismo.

U go D 'A n d re a ne L A « T A R P I

P oten te libro.

(6)

j

tendile

UdiidHd*

'Rò&vdo- 'Uetnellotii

Un volume in 8° di pagine 294 della Collezione PROBLEMI CONTEMPORANEI. L. 15.

Col libro del Trem elloni il problema tessile resta, a dir così, nazio­

nalizzato, vivificato; e sem bra il prologo più convincente ed opportuno

per il Convegno-Mostra di Forlì.

P O P O L O » ’ I T A L I A

II] libro è un contributo modello a un genere di letteratu ra che scar­

seggia in Ita lia e di cui tan to più si sente il bisogno quanto più la stessa

partecipazione delle categorie alla vista dello stato esige un alto li­

vello generale della coscienza tecnica del Paese.

A . F a b e t j su R A I O N

Con stile vivace e rara com petenza il Trem elloni ha posto sotto gli

occhi del lettore, con larga citazione di statistiche, la storia dell’ in­

dustria tessile italiana.

E r t t f i l o D 'A lb e r g o nel M O L E

Dobbiam o esser grati all’ autore di averci offerto, con o biettiv ità

pari alla com petenza, e con in telletto d’amore, un profilo senza la­

cune.

R E G I M E F A S C I A T A

U na delle più interessanti ed utili nuove pubblicazioni.

F R A N K F U R T E R I E I T U N U

(7)

OfiaMiUd' UiumUìO'

deità Uefuiitiica IR

a m lm i

di llHUlOA “SoMmi

Un volume in 8 ° di pagine 302 della BIBLIOTECA DI CULTURA STORICA. L. 20.

B el libro veram ente quello in cui Ivanoe Bonom i tra tta delle vicende

del Trium virato mazziniano, ch ’ebbe per tragico sfondo l’atm osfera

marziale e rivoluzionaria di Rom a del ’

49

. Libro agile, lineare,

corretto, elegante, nitido nel disporre i fa tti in logica e cronologica

successione, collegandoli, secondo l’ultim e norme e le più nuove ten­

denze, direttam ente od indirettam ente, largam ente sempre al gran

concerto europeo.

L ’ O M N E H V A T O R E R O M A N O

Epopea la quale, anche in una narrazione sobria, m isurata, tu tt' al­

tro che m agniloquente quale quella del Bonom i, non perde nulla del

suo fascino e della sua em otività.

M E R I D I A N O D I R O M A

Pagine ricche di quell’ interesse derivante dal senso di [verità e di

v ita immesso nelle vicende del passato.

P i e t r o S ilv a ne 11« L A V O R O

O ttim o libro, in cui il Bonom i ha rifatto la narrazione degli avve­

nim enti non solo in base ai più recenti accertam enti storici, ma te ­

nendo presente il valore e il senso spirituale di questa gloriosa pagina

del nostro risorgimento.

S a lv a to r e S o l a t i ne L A R A N N E G N A I T A L I A N A

Libro che è una sintesi poderosa e viva dell’immane dram m a e della

grande figura che n ’è lo sfondo e il centro ideale. È un libro sereno,

dei migliori che sul risorgimento siano sta ti scritti in questi anni....

A conoscere Mazzini e la storia nostra in uno dei suoi più a lti m om enti,

è una guida sicura. Di quelle che oggi più che mai si sente il bisogno

di avere.

(8)

C o h u n U c ia ie

I t a lia n a

S I 1 1 . A Bf O

Fondata nel 1894 - Capitale 700 m ilioni interam ente versato

180 FILIA LI IN ITA LIA - 4 FIL IA L I E 14 BANCHE A FFILIA TE ALL’ESTERO - COR­

RISPO N D EN TI IN T U T T O IL M ON DO

T U T T E LE O PERAZION I E T U T T I I SERVIZI D I BANCA ALLE M IG LIO RI

CO N D IZIO N I

Gratuitamente, a richiesta, il Vade Mecum d el risparm iatore aggiornato e interessante

periodico quindicinale

//'

/

(9)

L ’atto di nascita del secondo impero

britannico.

( Con una nota sul regime di concessione delle terre pubbliche).

1

. — Che le riviste storiche possano ignorare talune consuetudini im­

poste ordinariamente dall’ufficio di contribuire all’avanzamento «della scienza

e di riassumere i contributi di tempo in tempo offerti dagli studiosi a quel­

l’avanzamento medesimo, sembra logicamente derivare dalla necessità, in

cui esse versano, di dar notizia delle cose passate. Uno dei mezzi all’uopo

convenienti è il ricordo, quasi fossero or ora venuti alla luce, di libri da

tempo pubblicati, i quali abbiano avuto parte nel creare storia. Il caso, che

è tanta parte delle letture che si fanno dagli uomini, mi condusse di questi

mesi a trar giù dallo scaffale, dove da assai anni se ne stava, un libro famo­

sissimo ai tempi suoi e ricordato anche oggi da quanti si occupano 'di cose

coloniali. Il caso fu probabilmente guidato dall’interesse, oggi rinnovato in

Italia e fuori, per i problemi attinenti alle colonie. Cominciatolo a leggere,

andai sino in fondo.

2

. — In verità il libro che qui, dopo quasi un secolo,

6

Ì recensisce è

un rapporto ufficiale, singolare nella bibliografia dei documenti parlamen­

tari e governativi non solo per il nuovo avvio dato ai rapporti fra madrepa­

tria e colonie ma per la colorita e franca prosa nella quale esso è steso.

Tutti sanno che la formazione storica conosciuta comunemente sotto il

nome di « Impero britannico » è tutta diversa dall’impero dello stesso nome

19. I.

(10)

venuto meno colla ribellione delle tredici colonie nord-americane (

1

). Del

nuovo impero inglese non conosciamo la data di morte, la quale può essere

lontanissima o vicinissima a norma dell’attitudine dei ceti dirigenti britannici

a resistere alle numerose forze disgregatrici che nuovamente lo minacciano;

ma conosciamo con sicurezza la data di nascita: il 31 gennaio 1839, quando

Lord Durham poneva la firma di chiusura al rapporto da lui presentato alla

regina Vittoria, da poco

(20

giugno 1837) salita al trono. Se, fra il 1783 ed

il 1839 continuarono ad esistere colonie inglesi, non esisteva un impero

britannico; ed il legame fra la madrepatria e le singole colonie era quello

di un padre dolorosamente convinto che i figli, da lui curati e cresciuti, ad

uno ad uno si distaccheranno, lasciandolo solo nella casa avita. Quanti

decenni o secoli durerà ancora il secondo impero? Supererà il capo

delle tempeste del primo secolo di vita? Alla domanda, storicamente, si

può rispondere solo studiando le origini, il crescere ed il mutarsi della

(1) Il primo impero britannico morì il 3 settembre 1783, data del trattato definitivo (i pre­ liminari erano stati firmati il 30 novembre 1782) di Parigi, il quale consacrava la indipendenza degli Stati Uniti d'America dalla corona britannica. Un primissimo impero britannico avanti lettera potrebbe essere considerato quello che l’ Inghilterra ebbe sulla Francia medievale e cul­ minò nel sacrificio di Giovanna d'Arco; ma per essere tanto lontano da noi, se ne può fare astrazione.

La distinzione fra i successivi imperi britannici è, naturalmente, arbitraria, come quella

fra i vari evi storici, antico medievale e moderno. Lo Zimmern, ad esempio (in Empire

bri-tannique et s o d iti des nations, Paris, 1930) ne conta tre; il primo dei quali, suppergiù corrispondente al mio, sarebbe finito nel 1776, all'epoca della rivolta delle tredici colonie ame­ ricane; il secondo avrebbe durato dal 1776 sino alla fine della grande guerra; ed il terzo, caratterizzato dal sorgere della comunità britannica delle nazioni, sarebbe cominciato verso il 1921. Dalle cose dette nel testo è chiarita la ragione di non accettare siffatta pcriodologia. Tra il 1783 al 1839 non visse un impero, ma una collezione di colonie più o meno affezionate od avverse alla madrepatria. Il nuovo o secondo impero nacque quando sorse nel 1839 un’idea capace di creare una nuova figura di stato. L'attuale comunità britannica delle nazioni è l'attuazione, più chiara ed ampia, dell'idea medesima. Lo Zimmern parla di apogeo del secondo impero all'epoca della grande guerra. Si ebbe allora l'apogeo od invece al momento del discorso di giubileo di Giorgio V , quando questi proclamò la morte del potere del parla­ mento britannico sull’impero e rivendicò a se la potestà suprema, come simbolo dell'unione degli stati della corona britannica divenuti uguali ed indipendenti?

In verità re e statisti dichiarano le idee che taluni pochi pensatori hanno tratto dalla visione del mondo reale: Lord Durham nel 1839 proclama l'uguale diritto dei cittadini britan­ nici a governarsi da sè dovunque si trovino; Lionel Curtis, dopo essere stato parte grande nel

consigliare l'estensione del diritto ai vinti boeri, redige nel 1914 The Project o f a Common­

wealth e nel 1917 pubblica il libro fondamentale della formazione storica divenuta adulta:

The Commonwealth o f Nations - An Inquiry im o thè nature o f citizenship in thè Brilish Empire, and imo thè mutuai relations o f thè severa! communities thereof (London, Macmillan, 1917).

Il quadro più vivo e compiuto di ciò che è oggi la comunità britannica delle nazioni è T he

New Brilish Empire, del professore di Harvard W . Y . Elliot, (Mac-Graw-Hill Book Co. New Y ork, 1932). I documenti principali importanti in materia vi si leggono in appendice.

Come è controversa la distinzione tra i due o tre imperi, così può essere impugnata la mia determinazione della data di nascita al 31 gennaio 1839. Probabilmente i più riterranno esagerata l'importanza data al rapporto di Lord Durham. Richiamo, per giustificarmi, il diritto di precedenza, asserito sopra, al momento in cui l'idea fu espressa dal pensatore (che nel caso attuale era anche un uomo politico) sul momento in cui l'idea ¿ fatta propria ed attuata dall» statista. Si intende che l'idea ha diritto di precedenza quando essa è capace di ^ssere tradotta,

in atto e prima o poi l'attuazione abbia luogo. / ,

\

(11)

L'ATTO DI NASCITA DEL SECONDO IMPERO BRITANNICO 271

nuova formazione storica, la quale reca in se stessa le ragioni del suo

futuro giganteggiare, ovvero della sua decadenza e rovina ultima. Posse­

diamo, circostanza unica, più che rara, negli accadimenti di tale peso nella

storia del mondo, l’atto ragionato di nascita dell’impero del quale si vor­

rebbe presagire l’avvenire ed è il rapporto di Lord Durham (

2

).

3. — John George Lambton, primo conte di Durham, nacque nel 1792,

un anno dopo la divisione dell’antica provincia di Quebec nelle due del

Canadà superiore ed inferiore e morì, quarantottenne appena, nel 1840, un

anno innanzi alla riunione, da lui raccomandata, delle due provincie. Fu

genero di un primo ministro, Lord Grey, famoso per la legge di riforma

elettorale del 1832, suocero di Lord Elgin, che introdusse di fatto il governo

parlamentare nel Canadà e nonno del segretario di stato alle colonie, il

quale diede uguale forma di governo al Transvaal ed allo stato di Orange.

Lord del sigillo privato nel gabinetto Grey, ambasciatore per. due anni in

Russia, governatore generale del Canadà per cinque mesi, Lord Durham

non tenne tuttavia gran luogo nella vita pubblica del suo paese. Aristocra­

tico d’indole, di pronto imperioso temperamento, intollerante di contraddi­

zioni e di vincoli, egli, pur appartenendo 'all’ala radicale del partito libe­

rale, sentiva, a differenza di Riccardo Cobden, la grandezza dell’impero

britannico ed ebbe col suo rapporto parte grande nel ricrearlo. Altri disse

che quell’impero, sin dalla prima fase, nacque e grandeggiò in virtù del

caso; ed è certo singolare la sorte di un libro, scritto in ubbidienza al van­

gelo radico-liberale, notoriamente propenso allo scioglimento dei vincoli

fra madrepatria e colonie, il quale, dopo averlo fatto risorgere, assicura per

un secolo la continuazione dell’impero.

4. — L’accoglienza che il rapporto ebbe nelle provincie canadesi fu

pessima. A tacere dal rimprovero mossogli dalla camera rappresentativa

dell’alto Canadà di aver tratto le sue impressioni personali su quella pro­

vincia da un breve viaggio di diporto sul fiume S. Lorenzo e sul Lago

On-(2) La recensione è condotta non sui libri azzurri pubblicati per ordine della Camera dei

comuni d a ll'll febbraio al 12 giugno 1839, ma sulla ristampa che ne fece in tre volumi Sir

C. P. Lucas, professore all'università di Oxford, con tipi della Oxford's Clarcndon Press

nel 1912, col titolo Lord Durham's Report on thè Affairs of Brilish North America. Il primo

(12)

tario, da una fugace visita idi quattro giorni alle cascate del Niagara e da

ventiquattro ore di ospitalità in casa del governatore provinciale in Toronto,

il tono del rapporto irritò ugualmente francesi ed inglesi. I primi per il

giudizio sprezzante manifestato da Lord Durham sulle loro attitudini poli­

tiche ed i secondi per talune caustiche offensive osservazioni sul metodo

tenuto nello spendere il denaro dei contribuenti in opere pubbliche.

5.

— Occasione alla missione di Lord Durham era stata l ’aperta ribel­

lione scoppiata nel 1835 nel basso Canadà contro il governo metropolitano

ad opera di uomini persuasi di lottare per la libertà contro la tirannìa, per la

instaurazione di un governo responsabile, alla maniera inglese, verso un par­

lamento eletto e per il compiuto controllo del pubblico denaro da parte

della rappresentanza popolare. T ra i ribelli, accanto ad una maggioranza

di francesi del basso Canadà, si trovarono non pochi inglesi dell’una e del-

, l'altra provincia. A guardarla da lontano, la contesa pareva essere tra due

credi politici, tra i difensori dell’esistente tipo di governo responsabile uni­

camente verso la madrepatria, scelto dal governatore inglese al disopra dei

partiti locali e controllato dalla rappresentanza popolare solo per quel che

toccava il maneggio del denaro pubblico, ed i fautori della creazione di un

governo che essendo, a somiglianza del governo metropolitano, l ’emanazione

della camera elettiva, continuasse in carica solo fino a quando fosse sorretto

dalla fiducia della maggioranza parlamentare.

« Io pensavo » — scrive Lord Durham — « si trattasse di una contesa fra il popolo desideroso di vedere estesi i diritti popolari ed il governo preoccupato, dal canto suo, di conservare i poteri reputati necessari al mantenimento dell’ordine » ( » . 15).

La vittoria dei

whigs

sui

tories,

la legge di riforma del sistema eletto­

rale e la estensione del suffragio avevano fatto trionfare nella madrepa­

tria le idee favorevoli alla instaurazione del sistema parlamentare di go­

verno -nelle colonie; e Lord Durham era partito da Londra col programma

di far trionfare queste idee. Invece, egli si trovò, inaspettatamente, dinanzi

ad una lotta di razze.

« Io mi attendevo di assistere ad una contesa fra governo e popolo, e trovai due nazioni guerreggianti in seno al medesimo stato; trovai una lotta non di principii ma di razze » (II, 16).

Le due parti negano in verità di condurre una lotta di razza: i franco-

canadesi, maggioranza nel basso Canadà, affermano di lottare per la con­

quista del diritto del popolo a governarsi da sè, ed accusano il governo di

essere mancipio di una piccola combriccola idi funzionari co rro ttag li inglesi

i

(13)

L’ATTO DI NASCITA DEL SECONDO IMPERO BRITANNICO 273

¿ridano alla slealtà dei francesi, che accusano di repubblicanesimo e di tra­

dimento verso la madrepatria. Che le due razze siano destinate a rimaner

per sempre nemiche, appare invece certissimo al nuovo governatore:

« è quasi impossibile concepire discendenti di taluna delle grandi nazioni europee più dissimili l’uno dall'altro per carattere e temperamento, più profonda­ mente separati dal linguaggio, dalle leggi, dai modi di vita o posti in circostanze meglio adatte a partorire vicendevole diffidenza, gelosia ed odio » (II, 27).

6

.

— Lord Durham, profondamente imbevuto dall'idea di autogoverno

del ipopolo per il popolo e dei sentimenti di generazioni di uomini politici,

i quali in due secoli di battaglie politiche talora cruente avevano ridotto la

monarchia ad un simbolo, guarda con mal celata ripugnanza al tipo di co­

lonizzazione franco-canadese:

« Le istituzioni francesi, del tempo in cui la Francia colonizzò il Canadà, erano, tra tutte quelle dominanti in Europa, le meglio adatte a comprimere la intel­ ligenza e la libertà della grande maggioranza della popolazione. Il dispotismo cen­ tralizzato, male organizzato, immobile e schiacciante della Francia gravò sul colono franco-canadese. Non soltanto egli non ebbe voce nel governo della provincia o nella scelta dei governanti; ma non gli si consentì neppure di associarsi ai vicini per attendere a quegli affari municipali, che l’autorità centrale trascurava col pre­ testo di occuparsene » (II, 27-28).

La onnipresente amministrazione di tipo colbertiano, la ingerenza sta­

tale negli affari economici privati, la influenza della chiesa cattolica provve­

duta di benefici e ricca di ordini monastici proprietari di terreni, la organiz­

zazione terriera fondata sulla gerarchia feudale, dal signore investito dal

re ai minori vassalli e coloni e servi, non suscitavano alcuna eco di simpatia

nell’animo dell’aristocratico radicale, sospettoso dello stato e credente nella

virtù dell’iniziativa individuale e dell’autogoverno. I franco-canadesi gli

dovettero sembrare un curioso popolo forse non cattivo, ma incorreggibil­

mente negato ad ogni progresso:

(14)

del governo britannico ha lasciato la massa della popolazione priva di quelle istitu­ zioni che ne avrebbero cresciuta la libertà e la civiltà. Ai franco-canadesi non si diedero quella educazione e quegli istituti di auto-governo locale i quali avrebbero assimilato il loro carattere e il loro costume, nelle maniere più semplici, a quelli dell'impero di cui erano divenuti parte; perciò ancora oggi essi formano una società vecchia e stazionaria in un mondo nuovo e progressivo. Nelle cose essenziali essi sono sempre francesi; sebbene francesi sotto ogni riguardo diversi dai francesi di oggi e rassomiglianti piuttosto ai francesi provinciali dell'antico regim e» (II, 31).

7. — Accanto alla collettività franco-canadese, tuttora stabilmente di­

stinta in « signori » della terra, di cui l'alto dominio (seigneuries) dava

ad essi il diritto di riscuotere taluni redditi, che la consuetudine vietava di

aumentare, in contadini, detti

habitans,

veri proprietari della terra, stata

concessa loro dai signori, in professionisti e preti, tratti dai cadetti dei si­

gnori e dai più istruiti fra i contadini e da uno scarso numero di salariati,

era a poco a poco cresciuta nel basso Canadà una minoranza di coloni in­

glesi, i quali coprivano quasi tutte le cariche pubbliche, negate sospettosa­

mente ai franco-canadesi, esercitavano industrie e commerci, ed acquista­

vano talvolta terre nelle antiche signorie ma per lo più appoderavano terre

vacanti ai margini del territorio colonizzato. Nonostante l’apparenza feu­

dale, i signori, i professionisti, il clero ed i contadini franco-canadesi erano

legati da vincoli di tradizionale affettuosa famigliarità. L’ossequio alle avite

maniere di cultura e di vita vietava disuguaglianze di fortuna e di senti­

menti. Più isriolti e liberi, i coloni inglesi introducevano nuovi metodi di

cultura, nuove industrie, accaparravano commerci, diventando, senza privi­

legi, a poco a poco più ricchi dei loro vicini.

8

. — Lord Durham, il quale vedeva il mondo sotto la specie di sciami

di cadetti usciti da famiglie di uomini liberi ed uguali della madrepatria per

colonizzare terre nuove e diffondere l'idea dell’impero britannico, osservava

con disgusto il saldo nucleo franco-canadese rimasto ad occupare, attorno a

Quebec, il centro vitale delle provincie rimaste nel nuovo mondo sotto

l’egida della corona inglese. Sebbene dotato, a suo parere, di qualità sim­

patiche, fervido di fede religiosa, laborioso e nel complesso leale verso la

corona britannica, il curioso relitto canadese dell’antico regime francese gli

appariva anacronistico per lingua, per attaccamento ad istituzioni antiquate,

per costume gregario, per mancanza delle qualità di iniziativa individuale

economica e di attitudine a governarsi da se stessi nelle cose di interesse lo­

cale le quali agli occhi di un imperialista radicale del 1830 erano quasi

connaturate all’uomo vero. La coabitazione di due popoli così diversi sul

medesimo territorio gli sembrò assurda: due lingue, due letterature note,

\

i

(15)

LA TT O D I NASCITA DEL SECONDO IMPERO BRITANNICO 275

ciascuna, ad uno dei due popoli ed ignorate o disprezzate dall’altro; raris­

simi i matrimoni misti; tra i due popoli incomprensione, sospetto, mancanza

di relazioni sociali; nonostante (’ampiezza del territorio occupabile e la

mancanza di veri attriti economici, lotta politica acerba tra i francesi, più

raffinati e colti, migliori maneggiatori della penna e della parola nei gior­

nali e nelle camere legislative, epperciò critici acerbissimi di ogni idea e

di ogni proposito venuti dall’altra parte, acerbi sovratutto in quanto, per

essere tenuti lontani dalle cariche pubbliche, avevano unico sfogo nella

critica; e gli inglesi, più attivi, energici, pratici, insofferenti della mera loqua­

cità e desiderosi di costruire porti, strade, canali, che l’ostruzionismo della

camera elettiva a maggioranza francese frastornava e prorogava. Il distacco

fra le due razze impediva ogni progresso che dovesse trovare consenso o

impulso nella legge. La giustizia era guasta, i giurì a maggioranza inglese

condannando sempre la parte francese e quelli francesi assicurando l’impu­

nità ad ogni costo ai propri connazionali. Ambi i gruppi, sebbene in fondo

devoti al sovrano, dall’odio reciproco erano portati a guardare allo straniero

per aiuto alla causa propria: franco-canadesi e inglesi sperando ambedue

di trovare negli Stati Uniti, i primi la possibilità di fondare, dentro la con­

federazione, uno stato di lingua francese, ed i secondi quella scioltezza di

movimenti e quell’iautogoverno <~he la ostinatezza franco-canadese vietava di

conquistare in patria.

(16)

dar addosso al governo, al quale si faceva colpa dei limiti che, per senso

di giustizia, poneva alle sopraffazioni dell'una parte sull’altra.

10

. — Togliere di mezzo la doppia nazionalità delle provincie cana­

desi sembrò dunque a Lord Durham la essenziale esigenza di ogni riforma

duratura nei sistemi di governo delle provincie nord-americane rimaste sog­

gette alla corona britannica:

« N o n ho dubbio intorno alla nazionalità la quale deve dominare nel basso Canada. Essa deve essere quella propria dell'impero britannico, della maggioranza della popolazione dell’America britannica, della grande razza la quale in un non lungo lasso di tempo dominerà in tutto il continente nord-americano. Senza che il mutamento debba essere cosi rapido e duro da urtare i sentimenti e scemare il be­ nessere della presente generazione, primo e fermo proposito del governo britannico dovrà tuttavia d’or innanzi essere quello di radicare nel basso Canadà una popola­ zione inglese, con leggi e lingua inglese, e di affidarne il governo ad un parlamento decisamente inglese. Si obbietterà che dura è la sorte che si vuole riservare cosi al popolo conquistato; che i francesi erano un tempo tutto e sono ancora oggi il grosso della popolazione del basso Canadà; che gli inglesi sono nuovi venuti, i quali non hanno diritto di chiedere la fine della nazionalità di un popolo, in mezzo al quale essi sono stati condotti unicamente da desiderio di guadagno. Si può obbiettare che, se i francesi non sono cosi inciviliti, cosi energici o cosi atti a far denaro come i popoli che li circondano, essi sono amabili virtuosi e contenti e, possedendo tutti i fattori essenziali della prosperità materiale, non debbono essere spregiati o maltrat­ tati solo perchè si contentano di quel che posseggono, senza emulare lo spirito di accumulazione da cui i loro vicini inglesi sono tormentati. Essi, dopotutto, ereditarono la loro nazionalità e non debbono essere troppo severamente puniti perchè hanno sognato di conservare sulle lontane rive del S. Lorenzo e di trasmettere ai loro discendenti il linguaggio, le maniere e le istituzioni della grande nazione, la quale per due secoli fu guida spirituale del continente europeo. Se il contrasto fra le due razze è insanabile, giustizia impone che la minoranza debba acquietarsi alla supre­ mazia dei più antichi e numerosi abitanti della provincia, senza pretendere di imporre le proprie istituzioni ed usanze alla maggioranza » (II, 288-89).

11

. — L’errore proprio di questo ragionamento, osserva Lord Durham,

è <ii guardare solo al presente. Oggi (1839) indubitamente i francesi sono

i più. Che cosa accadrà tuttavia domani? L'uomo di stato deve fondare le

sue decisioni non sui dati di fatto momentanei, ma su una larga visione

dell’avvenire:

« Il vero problema è quale delle due razze sia destinata a convertire le desertiche ma ricche ed ampie regioni le quali circondano i relativamente piccoli e chiusi distretti abitati dai franco-canadesi in un paese popoloso e fiorente. Se il risultato deve essere ottenuto, nei domini britannici come nel resto del Nord-America, con un ritmo più rapido di quello consentito dall'incremento normale della popola­

c i

(17)

L’ATTO D I NASCITA DEL SECONDO IMPERO BRITANNICO 277 zione, solo mezzo adatto è l'immigrazione dalle isole britanniche o dagli Stati Uniti, uniche contrade le quali abbiano fornito o siano capaci di fornire coloni in numero rilevante al Canadà.... L'interno dei domini britannici dovrà essere in breve popolato da una popolazione inglese ogni anno sempre più prevalente numericamente su quella francese. £ giusto che la prosperità di questa grande maggioranza e di questo vasto territorio debba per sempre od anche solo temporaneamente trovare impedi­ mento nella barriera artificiale che le leggi e la civiltà arretrate di una parte del basso Canadà porrebbero fra i territori non occupati e l'oceano? Si può supporre che la popolazione si rassegnerebbe mai a tanto sacrificio dei proprii interessi ? » (II, 290).

I coloni di schiatta inglese, più ricchi, più energici, più istruiti dei

franco-canadesi, sicuri del loro futuro predominio numerico, certi di essere

il solo sostegno del governo metropolitano, fiduciosi, ove si decidessero a

separarsi, in un’ accoglienza simpatica nel seno della grande confedera­

zione nord-americana di razza anglo-sassone non tollererebbero mai ostacoli

artificiali al loro trionfo definitivo.

« I franco-canadesi sono l'ultimo resto di una antica colonizzazione, destinato ad essere ognora più isolato nel seno di un mondo anglosassone. Qualunque cosa accada, qualunque governo si affermi in avvenire, britannico od americano, nessuna luce di speranza brilla per la loro nazionalità » (II, 291).

Vano sperare in un rivolgimento storico; ozioso immaginare che

« v i sia una qualche porzione del continente nord americano in cui la razza inglese non penetri, e una volta penetrata non predomini. Il problema è unicamente di tempo e di modo; si tratta solo di sapere se il piccolo gruppo di francesi che ora abita il basso Canadà debba diventare inglese, sotto l ’egida di un governo atto a proteggerlo o se il processo storico possa trascinarsi sino a quando, divenuti più numerosi, i francesi debbano subire, sotto i rudi colpi di rivali senza freno, Tanni- chilamento di una nazionalità rafforzata ed inasprita dalla sua tenacia medesima »

(II, 291-292).

La fusione delle due razze, anzi la scomparsa del nucleo francese nella

massa della popolazione inglese è augurabile per le classi francesi alte, alle

quali oggi non è consentito, dalle diversità di linguaggio e di costumi, l'ac­

cesso alle professioni ed alle cariche più elevate; ed ancor più per le classi

umili, le quali aumentando rapidamente di numero — i franco-canadesi da

(18)

essi sono costretti ad accattare dalla Francia libri ormai divenuti stranieri

e inintelligibili per essi, e ad affidare a pubblicisti di ventura venuti dalla

Francia il compito di mantenere ed infiammare sentimenti a cui essi sono

estranei. L'assimilazione dei franco-canadesi agli inglesi è fatale ed è già

iniziata. E dovere degli uomini di governo della madrepatria renderla più

agevole e rapida:

« In ogni programma che voglia adottarsi per il futuro governo del basso Canadà, primo oggetto dovrebbe essere di fare di esso una provincia inglese; ed all'uopo il potere non dovrebbe esser affidato ad altri che a uomini di estrazione britannica.... Nello stato d'animo in cui oggi si trovano i franco-canadesi, affidare ad essi il governo compiuto della provincia, vorrebbe dire soltanto dare incoraggia­ mento alla ribellione. Il basso Canadà deve essere governato ora e dovrà essere governato domani da inglesi » (II, 296).

12

. — Perchè il libro il quale conchiudeva alla necessità dell’assimila-

zione e voleva dare il governo del paese esclusivamente agli uomini di

razza inglese ebbe l’effetto opposto? Perchè la bilancia storica la quale

nel 1839 pareva, a chi 'leggesse le pagine idi Lord Durham, pendere a fa­

vore della creazione di un impero simile all’impero romano d’occidente,

romano e latino per lingua, costumi, istituzioni, letteratura, prese un avvio

tutto diverso, sicché quel che oggi isi conosce col nome di impero britannico

è una comunità di nazioni diverse per lingua e costumi, l'una dall’altra in­

dipendenti e legate tra loro solo dal vincolo sottilissimo ideale della per­

sona del re, il che vai quanto dire dalla libera volontà di rimanere unite?

Quale è la lontana origine della dichiarazione dello statuto di Westminster

del

1931

, seguito alle risoluzioni della conferenza imperiale del

1926

, la

quale definisce madrepatria e domini britannici « comunità autonome entro

l’impero britannico, uguali in diritto, in verun modo subordinate l ’una al­

l’altra sotto qualsivoglia aspetto dei loro affari interni od esterni, sebbene

unite dalla comune fedeltà verso la corona e liberamente associate quali

parte della comunità britannica delle nazioni ? ». Come si giunse ad una

formazione politica così priva di logica formale, ad un impero che non è

un impero, ad una federazione, alla quale mancano gli organi federali, ad

un corpo privo di cervello; e come accade che questa entità indefinibile ab­

bia tuttavia una vita?

13

. — Il paradossale contrasto fra la premessa: «distruzione della

razza francese » ed il risultato: « convivenza pacifica delle due razze e delle

razze e delle due lingue », si risolve riflettendo al mezzo che Lord Durham

reputò solo adatto per raggiungere lo scopo. Il metodo di forza era per lui

J

(19)

L’ATTO DI NASCITA DEL SECONDO IMPERO BRITANNICO 279

inconcepibile. Nè il governo metropolitano, nè un governo di minoranza

inglese potevano sperare di « costringere » i franco-canadesi all’abiura della

loro lingua, dei loro costumi e della loro nazionalità. La violenza avrebbe

scavato più a fondo l’abisso tra i due popoli. Se si volevano elevare i franco­

canadesi al livello degli inglesi, era necessario attribuire ad essi tutti i di­

ritti che si reputavano connaturati colla qualità di inglese, iprincipalissimo

quello di governarsi da se stessi.

14.

— Lord Durham risolveva così con un taglio netto un problema

che rendeva perplessi i maggiori uomini di stato dell’epoca sua. Poco prima,

nel marzo 1837, Lord John Russell aveva esposto chiarissimamente alla Ca­

mera dei comuni le conseguenze della concessione alle colonie della facoltà

di governarsi da sè medesime. Durante un dibattito intorno alla petizione

della Camera elettiva del basso Canadà, affinchè in avvenire il governatore

della provincia dovesse scegliere i membri del gabinetto (potere esecutivo)

tra persone godenti la fiducia della camera elettiva medesima, Lord John

Russell aveva osservato:

« La proposta è a parer mio affatto incompatibile con le relazioni fra la madre­ patria e la colonia.... La norma della costituzione la quale richiede che i ministri della corona siano responsabili verso il parlamento e debbano dimettersi se non godono la fiducia di questo, è osservabile solo nel parlamento imperiale.... nella capitale dell’ impero » (I, 143-144).

Più tardi, in un dispaccio del 14 ottobre 1839, il Russell ricordava che

la corona britannica agisce esclusivamente su parere del gabinetto. Ma i

gabinetti non possono essere due, l’uno nella madrepatria e l ’altro nella

colonia.

«P u ò un gabinetto coloniale consigliare la corona britannica? Evidentemente no, perchè la Corona ha altri consiglieri, per le stesse funzioni e con autorità più alta. Può accadere che il governatore della corona riceva istruzioni dalla regina e con­ temporaneamente dal suo gabinetto coloniale in tutto contrastanti le une con le altre. Se egli ubbidisce alle istruzioni che vengono dall' Inghilterra, non si può parlare di governo responsabile verso la camera elettiva coloniale; se invece deve seguire l’avviso del suo gabinetto, egli non dipende più dalla corona inglese, ma è un sovrano indi- pendente » (I, 145).

(20)

parlare di colonia ma di stato indipendente. Comewall Lewis scrivendo nel

1841 il celebre

Essay on the government o f dependencies

concludeva:

« Se ¡1 governo del paese dominante governa sostanzialmente la colonia (de­ pendency), questa non può sostanzialmente essere governata dal corpo rappresenta­ tivo ; e viceversa se la colonia è sostanzialmente governata dal corpo rappresentativo, essa non può essere sostanzialmente governata dal governo del paese dominante. Una colonia che si governa da sé è una contraddizione in termini » (ed. 1891, pag. 289).

15. — Lord Durham superò la contraddizione, perchè vide che il pro­

blema vero non era di corona, di governo, di madrepatria e di colonie e

neppure di impero. Egli era un tipico imperialista radicale. Imperialista,

aveva l’orgoglio della missione britannica nel mondo, ed era persuaso che il

cittadino, fosse egli franco-canadese od anglo-sassone, vivente nelle colonie

dovesse sentirsi innalzato « nel ricordare le glorie della storia britannica e

nel contemplare i segni visibili della sua potenza presente e della sua ci­

viltà ». Democratico radicale, era persuaso che non gli inglesi fossero fatti

per l ’impero, ma 'l’impero doveva servire a formare gli inglesi e fosse accet­

tabile solo in quanto esso si dimostrasse strumento per elevare il cittadino

anzi l ’uomo inglese. Alcune parti del suo rapporto sono illuminanti. Come

saremo giudicati, noi uomini della madrepatria, nel giorno deprecato che le

colonie canadesi dovessero rompere i vincoli con l ’Inghilterra?

« Se nei decreti invisibili della sapienza la quale governa il mondo è scritto die queste contrade non debbano rimanere per sempre parte dell’impero, il nostro onore sarà salvo se in quel giorno non si potrà dire che esse siano le sole contrade americane nelle quali la razza anglosassone si sia dimostrata incapace a governarsi da sè.... Se noi non vogliamo che [il Canadà sia invincibilmente attratto dal suo grande vicino, gli Stati Uniti] noi dobbiamo creare una nazionalità propria per il colono nord americano; noi dobbiamo elevare queste piccole provincie al livello di una società fornita di ideali di importanza nazionale; noi dobbiamo far vivere i ca­ nadesi in un paese, che essi aspirino a non vedere assorbito da uno stato più potente.... Il governo responsabile di un vasto paese.... innalzerà e soddisferà le speranze dei suoi uomini più capaci ed ambiziosi. Essi non guarderanno più con invidia e meraviglia alla grande arena pubblica della vicina confederazione, ma vedranno i mezzi di soddisfare ogni loro legittima aspirazione giungendo alle alte cariche della magistratura e del governo della loro unione » (II, 310-313).

16. — Ai suoi occhi dunque 'la contraddizione fra il concetto di colonia

e quello di governo responsabile non esiste. Che cosa vale una colonia, in se

stessa ed ai fini dell’impero, se non valgono i suoi cittadini? Il contrasto fra

stato e cittadino si risolveva grazie all’inettitudine ingenua dell’uomo poli­

tico a vederlo. Lo stato è il cittadino, è l’uomo medesimo vivente in so­

cietà. Come può un radicale vittoriano immaginare

governato

<t

/

(21)

LA TT O DI NASCITA DEL SECONDO IMPERO BRITANNICO 281

altrimenti che dai suoi cittadini? Ben è vero, egli ha conosciuto popoli

governati diversamente: da sovrani assoluti da gabinetti responsabili solo

verso il sovrano. Ma quelli, sembra sentirgli dire con un lieve sorriso di

sprezzo sulle labbra, non sono uomini; o sono uomini di altra razza, al più

relitti di epoche scomparse e destinati a scomparire. Il vero uomo non può

governarsi se non da se medesimo, alla maniera britannica. A due passi dal

Canadá, prospera una grande società di cui Lord Durham è ammiratore, la

confederazione degli Stati Uniti, la quale si governa in maniera assai di­

versa da quella che a lui sembra propria dell’uomo, nella quale il gabi­

netto non è tratto dalle camere rappresentative e non è responsabile verso

di queste, ma verso il presidente. Tanto spontanea è la sua incapacità a

concepire il governo se non sotto la specie britannica che egli arriva curio­

samente ad addurre l’esempio degli Stati Uniti a sostegno della sua tesi. Che

importa se il gabinetto sia l’organo esclusivo del presidente e non si dimetta

in seguito al voto contrario del parlamento, se il presidente ad ogni quattro

anni può essere mutato dal ipopolo? V i è un solo modo di porre termine allo

stato di malcontento delle colonie canadesi ed è di lasciarle governarsi da

se medesime:

(22)

ranza parlamentare, il suo fato è immediatamente deciso; e sembrerebbe così strano tentar di governare per mezzo di un gabinetto di minoranza come sarebbe di sanzio­ nare leggi alle quali la maggioranza fosse contraria.... Se i parlamenti coloniali hanno così spesso rifiutato fondi ai governi, se hanno così spesso angustiato i ministri con ingiusti e duri atti di accusa ciò accade perchè non era possibile cacciar via una ammi­ nistrazione impopolare con lo strumento pacifico del voto di sfiducia, sempre stato all’uopo bastevole nella madrepatria » (II, 277-279).

17.

— Il 'riassunto fin qui condotto del rapporto di Lord Durham di­

mostra che il secondo odierno impero britannico nacque per accidente

fortuito.

L’autore del rapporto del 1838:

aveva constatato uno stato di malessere

nei rapporti tra le colonie

nord americane e la madrepatria, malessere culminato in aperta ribellione,

repressa colla forza delle armi e seguita da esemplari condanne;

aveva immaginato 'che causa del malessere fosse il diniego ai coloni

del diritto a governar se stessi.

I parlamenti elettivi locali godevano del di­

ritto di rifiutare le imposte, di respingere le proposte di legge presentate dal

potere esecutivo e di accusare i ministri dinanzi alle corti di giustizia; ma

i ministri erano nominati dal governatore, ossia erano responsabili verso il

governo della madrepatria;

la visione della realtà lo aveva però persuaso che questa era la mani­

festazione esterna di un male più profondo,

e cioè del

contrasto insanabile

fra la razza dei vinti francesi e quella dei dominanti inglesi.

I vinti, sebbene

privi di ogni speranza di riscossa per aiuto dei connazionali — la Francia,

in fondo all’animo repubblicana laica e democratica anche dopo la restau­

razione, si era del tutto dimenticata della vecchia colonia canadese monar­

chica e feudale — si sentivano nel basso Canada numericamente i più forti

e si servivano della maggioranza parlamentare per rifiutare il voto al bi­

lancio e rendere irta di difficoltà gravissime e quasi impossibile l ’opera di

governo. Lo zelo più ardente dei ministri e dei governatori a prò del bene

comune non bastava a salvarli dalle ire dei vinti, anzi era atto a rinfo­

colarle;

unica via di uscita la distruzione della razza vinta;

ossia la sua pro­

gressiva e rapida assimilazione da parte dei vincitori;

ma

poiché l’assimilazione doveva essere il frutto della volontaria

adesione dei vinti,

e poiché questa sarebbe certamente stata data se l’odio

contro i vincitori non fosse stato artificialmente mantenuto in vita dai più

colti tra i vinti, inaspriti detentori della maggioranza nella carpera elettiva

(23)

L’ATTO DI NASCITA DEL SECONDO IMPERO BRITANNICO 283

del basso Canada, era necessario che la maggioranza fosse trasferita ai

vincitori;

e

questi ne avevano il diritto,

se la maggioranza deve spettare a

coloro i quali, per le loro qualità di intrapendenza, di iniziativa, di espan­

sione territoriale e di attitudine all’autogoverno, sono destinati a sopravan­

zare col tempo il piccolo nucleo dei vinti, chiuso in un territorio ristretto,

non espansivo e mortificato da costumi ilingua religione antiquati;

perciò

si allarghi il territorio della colonia;

si fondano nuovamente

le due provincie del basso Canada (con maggioranza francese) e dell'alto

Canadá (con maggioranza inglese); e si preveda e si prepari la federazione

fra tutte le colonie britanniche del Nord America, cosi da fondare un nuovo

grande stato, atto ad emulale i vicini Stati Uniti e a soddisfare l’ambizione

più alta dei suoi figli migliori. Francesi ed inglesi insieme fusi, ridotti ad

unità di lingua e di istituzioni, dimenticheranno gli odi passati;

alla nuova provincia allargata ed al futuro stato nazionale canadese

si

attribuiscano però tutti

(

3

)

i diritti di autogoverno proprii dei cittadini

britannici.

Non vi è pericolo in ciò, poiché la maggioranza dei cittadini

sarà, nel nuovo stato, di estrazione inglese, epperciò atta ai compiti del­

l’uomo «politico. Non vi è modo di negare quei diritti, poiché si negherebbe

ad essi la qualità medesima di uomini. Ed a che prò fondare un impero, se

questo non dovesse essere composto di uomini propriamente detti?

18. — Le osservazioni e condizioni elencate muovevano

(a)

dal pro­

posito di creare il ‘nuovo impero e (¿ ) dalla convinzione dichiarata che fosse

perciò necessario far scomparire la razza vinta, attraverso (r) lo strumento

dell’autogoverno concesso a vincitori e vinti in una provincia con maggio­

ranza di vincitori.

Forse nella storia del mondo non accadde mai che «un proposito

(a)

si

attuasse così compiutamente, colla negazione più assoluta della condizione

(b)

all’uopo posta come necessaria.

19. — Per impero britannico qui si intende, nel periodo storico consi­

derato (1839-19? ?), esclusivamente l ’insieme dei cinque stati — Regno unito

della Gran Brettagna e dell’Irlanda del Nord, Canadá, Sud Africa, Austra­

(24)

lia e Nuova Zelanda (4 ) — i quali, indipendenti l'uno dall’altro, ricono­

scono nella Corona britannica l'unico vincolo tra essi esistente. Lo Stato

libero d'Irlanda si muove in un limbo incerto, nel quale sfumano gli antichi

costrittivi e nascono nuovi vincoli volontari coll’impero. Altri territori sono

amministrati da qualcuno dei governi dei cinque stati, la maggior parte

della Gran Brettagna, ma taluni dal Sud Africa e dall’Australia; sono

abitati per lo <più da uomini di colore e non partecipano pienamente alla

vita delle nazioni componenti, con parità di diritti, l ’impero.

L'impero, cosi definito, nacque dall’attuazione del sistema di autogo­

verno, che era l ’essenza del rapporto di Lord Durham, e l ’attuazione rese

inutile l ’awerarsi della condizione

(b)

della distruzione della razza vinta.

20

.

— Lord Durham è il vero fondatore del nuovo impero inglese,

perchè nonostante errasse nella analisi della connessione fra male e rime­

dio, vide esattamente l ’uno e l ’altro. Il male era la guerra delle due razze

dei vinti e dei vincitori; il rimedio era la concessione dell’autogoverno al

paese nel quale la guerra durava. Lord Durham sperava che il rimedio fosse

adatto a guarire il male, perchè atto a fare scomparire i vinti senza vio­

lenza. Il rimedio guarì il male per la ragione opposta: i vinti francesi, dive­

nuti cittadini pieni al paro dei vincitori, fom iti del diritto la governare,

insieme con i vincitori, la cosa comune, dimostrarono di possedere o di essere

capaci d i acquistare quelle stesse qualità di intraprendenza, di iniziativa, di

espansività, di attitudine a governarsi da sè, che Lord Durham a torto

immaginava peculiari alla razza vincitrice. È curioso come l’uomo, il quale

aveva così efficacemente descritto la incapacità di due popoli a compren­

dersi mutuamente quando essi parlano due linguaggi diversi e l’uno non

intende la lingua dell’altro

« è difficile concepire la perversità delle quotidiane consaputamente false pre­ sentazioni del pensiero altrui e di grossolani errori i quali hanno corso nel popolo; sicché tutti vivono in un mondo di equivoci, che pongono ogni parte contro l’altra non solo in conseguenza di diversi sentimenti ma dalla genuina credenza in fatti presentati in modo interamente cotradditorio » (II, 41).

(4) Non è compreso nell' impero, per la sua irrilevanza e la sua provvisoria rinuncia allo stato di autogoverno, il dominio di Terranova; e vi si comprende con accezione particolare l'Irlanda del sud, .perchè di fatto il governo D e Vaierà concepisce in modo tutto suo il vincolo con la Corona. Profondamente significativo è però il fatto che l'abdicazione di Edoardo V ili ab­ bia provocato in Irlanda una, non chiesta, dichiarazione di volontà di rimanere nel seno della Comunità britannica delle nazioni. Potrà essere compresa la federazione indiana quando, fra qualche anno, sia chiuso nell'India il periodo di attuazione del sistema di autogoverno, già sanzionato e iniziato, il quale deve metterla'a paro degli altri stati sovrani della comunità

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