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Rivista di storia economica. A.02 (1937) n.4, Dicembre

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(1)

IfimdtO' Al Mótàcu

difetta da Hui^i Einaudi

Direzione: Via Lamarmora, 60 - Torino. Amministrazione: Giulio Einaudi editore. Via Arcivescovado, 7 - Torino — Abbonamento annuo per l'Italia l. 40. Estero l. 50. Un numero L. 12.

Anno II - Numero 4 - Dicembre 1937 - XVI

Ettore d e c o tti: Le leggi matrimoniali di Augusto. . . Pag. 297 Oskar Morgenstern : La introduzione e la abolizione

del controllo dei cambi esteri in Austria (1931-19341,

con avvertenza introduttiva di Luigi Einaudi . . » 312

NOTE E RASSEGNE :

Francesco A. Répaci : Gli scambi economici internazio­ nali nell'ultimo s e c o l o ... Luigi Einaudi: Le società italiane per azioni nell'ultimo

quarto di s e c o l o ... Mario De Bernardi e L. E. : A p p u n ti...

RECENSIONI di Bibliografìe economiche di I. Massie e e di J. H. Hollander, di volumi della Nuova Collana di economisti e di un volume del Carteggio Verri IL. E . ) ... » 371

TRA RIVISTE ED ARCHIVI:

Gino Luzzatto : Storia economica innanzi al 700 •• . « 378 » 344

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L

a seconda annata della rivista si chiude con un manipolo d i studi, d i cui l’interesse d i narrazione storica d i fatti passati è cresciuto dalla luce che se ne può trarre per l’interpretazione dei fatti presenti.

Quali furono la giustificazione e g li scopi della legislazione matrimo­ niale augustea? Ettore Ciccotti conclude che quelle leggi non avevano tanto lo scopo d i crescere la popolazione, che nulla fa supporre fosse in quel tempo seriamente diminuita o minacciata, quanto piuttosto intenti poli­ tico-sociali d i rafforzamento della fam iglia, d i tutela delle classi dirigenti romane, d i lotta contro il mal costume. Solo in seguito la legge Papia Pop-

paea incoraggiò la figliolanza, sovratutto con la comminatoria d i pene fiscali

in caso di mancanza d i figli. Ma il carattere fiscale provocò le frod i e scemò l’efficacia della legge moralizzatrice.

N ella storia monetaria moderna non vi è forse episodio più interessante d ell’esperienza austriaca dal 1931 al 1934: esperienza la quale va dalla libertà alla istituzione del controllo dei cambi e da questo al ritorno alla libera contrattazione. L ’interesse sta sovratutto in ciò che l’Austria percorse l’intiero ciclo senza attendere accordi internazionali monetari. L ’esperienza fu coronata da quel meritato successo che g li economisti austriaci avevano predetto, inspirandosi ai classici, i quali sempre insegnarono che a far cosa vantaggiosa al paese non occorre chiedere il permesso d i nessuno.

I l Morgensten ha scritto qui una pagina veramente superba d i storia contemporanea.

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pubblicata dalla loro associazione. Se la seconda segue, m igliorandola, la via tracciata dalle precedenti edizioni, la prima è cosa affatto nuova e me­ ritava d i essere additata particolarmente ai lettori.

Alcuni suggestivi appunti di Mario De Bernardi, una nota linguistica a proposito d i autarchia, le recensioni e la rubrica d i Gino Luzzatto tra ri­ viste ed archivi chiudono il fascicolo.

JU h M M H U ’

LUIGI EINAUDI

M I T I E P A R A D O S S I

DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

Un volume in 8° della Collezione " Problemi Contemporanei „ l. 15

£ un libro d i vivacissima critica contro le parole che paiono corpo e sono

ombre che il vento agita e travolge; ma prima hanno sconvolto la pubblica finanza. Quasi tutte queste parole hanno origine oltremontana; e l’autore le critica ricorrendo alla sapienza della dottrina e della pratica nostra italiana.

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ju t u t d M h le ^

P. E. SANTANGELO

MASSIMO D’AZEGLIO

P O L IT IC O E M O R A L IS T A

, Un volume in 8° di 302 pagine della " Biblioteca di Cultura Storica „

l. 20

Massimo d’A zeglio non ha mai disgiunto la sua attività d i uomo politico, fra i più notevoli d el nostro Risorgimento, dalla missione d i educatore morale della nazione a età si sentiva portato. I l Santangelo, in un’esposi­ zione documentata e pur vivace, ha cercato d i tratteggiarne l’esistenza di uomo pubblico, senza mai disgiungere i due aspetti, che s’inverano a vi­ cenda.

Nessuna biografia d ell’Azeglio ne fa intendere meglio l’importanza

singo-' “s,

lare nella storia del nostro paese.

\

(5)

jU n t n iM H l*

DUFF COOPER

T A L L E Y R A N D

Un volume in 8° dello " Biblioteca di Cultura Storica „

L. 25

Il primo Lord d ell’Ammiragliato è anche un fine scrittore e uno storico acuto. Queste doti erano indispensabili per avvicinarsi alla figura enigma­ tica di Talleyrand senza cadere nei fa cili effetti della trivialità romanzata.

i l t i f a dei qiMhfr

J.

HUIZINGA

D E L L ’ U N I V E R S I T À D I L E ID A

L A

C R I S I

DELLA

C

I

V

I

L

T

À

Un volume in 8° di lóO pagine della Collezione " Saggi „ L. 12

bellissimo libro.

L V I O I N A L V A T O H E I i l i (• Lavoro > - 11 dicembre 1937).

saggio di uno storico sensibile e profondo.

(6)

OLIVETTI PORTATILE

%

E i n d i s p e n s a b i l e che alla

chiarezza del pensiero c o r ­

risponda la chiarezza degli

scribi che lo esprimono. Gli

studiosi, perciò, non scrivono

p i ù a m a n o : essi u s a n o

l a O l i v e t t i P o r t a t i l e .

ING. C. OLIVETTI « C. S. A. IVREA

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T S a n c a

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Italian a

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ih U H iM h ie

-ETTORE CICCOTTI

P R O F I L O

DI

A U G U S T O

Un volume in 8° di circo 150 pogine dello Collezione "S oggi,,

L. 12

La persona e l’opera d i Augusto; quella che si usa chiamare la sua « costi­ tuzione » ; la sua autobiografia epigrafica conosciuta sotto il nome d i Mo­

numento Ancirano: tutto questo, e quanto concerne la fin e della Repub­

blica, ha avuto ampia trattazione nelle più note storie universali e romane, e anche in notevoli m onografie italiane e straniere, vecchie e nuove. Ciò non ostante, la rinnovata attenzione per la vita e i problem i politici di Augusto, che accompagna la celebrazione d el bimillenario augustèo, ha indotto il d ecotti ad accettare di svolgere per un pubblico più vasto g li argomenti, già da lu i prospettati, anni addietro, in form a erudita nel Dizio­

nario epigrafico di antichità romane d i Ettore D e Ruggiero. N el profilo

ch’egli ha tracciato, la figura d i Augusto non è mai disgiunta dal quadro del suo tempo, e la narrazione, chiara e obiettiva perchè sempre in accordo con le fonti, nulla trascura che abbia un sostanziale interesse storico. In poco spazio il d ecotti ha dato non solo un agile riassunto degli avveni­ menti d i un’età turbinosa, ma anche la loro valutazione critica, maturata a ll’infuori d ’ogni preconcetto. ^ ^

V

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L e leggi matrimoniali di Augusto.

I . Ri n n o v a t o i n t e r e s s e d e l l'a r g o m e n t o.

Dato l'interesse sempre maggiore che si sente dovunque per i pro­ blemi demografici, e, ora, anche per tutto quanto riguarda Augusto, spe­ cialmente nel ricorrere del bimillenario augusteo, è naturale si ritorni su’ suoi provvedimenti che ne hanno fatto, in questo argomento, — se è per­ messa l’espressione anacronistica — un « antimalthusiano » avanti lettera. Infatti la « lex Julia de maritandis ordinibus » generalmente attri­ buita all’anno 18 a. C. (736 a. u. c.) e la « lex Papia Poppaea » rogata nel 762/9 d. C. certamente per impulso dell’imperatore e in relazione alla precedente — per tacere di altre incerte prospettate dall’indagine eru­ dita — sono sempre richiamate come provvedimenti più antichi inspirati e diretti all’incremento della popolazione.

E, se si ricorre allo scrittore che, a prescindere dagli accenni di storici e da’ testi giuridici che ne riferiscono dommaticamente le norme, più dif­ fusamente ne tratta, a Dione Cassio, i motivi demografici vi sono assai nettamente rilevati e messi in luce.

Dione Cassio (LV I, I) nel tramandare due discorsi che Augusto avrebbe tenuto distintamente e successivamente a’ celibi e agli ammogliati, riferisce in bell’ordine — e si potrebbe dire con tutte le regole della reto­ rica — gli argomenti che per ragioni di ordine pubblico e privato suggeri­ scono anzi impongono a ciascuno di aver moglie e figliuoli. Ma nessuno veramente, prescindendo anche dall’uso degli storici antichi di rifoggiare

21. II.

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298 Et t o r e a c c o r r i

a modo loro i discorsi, vorrà ritenere autentici nella forma riportata quei discorsi ove si evocano perfino Romolo e il ratto delle Sabine ed Ersilia a disdegno e in onta a’ celibi del tempo.

Dione Cassio scriveva nella prima metà del secolo I I I d. C , a distanza

quindi di più che due secoli da quegli avvenimenti; e, come è da ritenere, insieme a tutto ciò che aveva potuto raccogliere di tradizionale, riferiva il modo come a lui si prospettava la questione secondo il suo criterio e in relazione alle condizioni del suo tempo, ove poteva essere più sensibile, se anche meno curata, l’oligantropia progressiva del decadente impero.

Può, dunque, non essere fuori di luogo indagare se non siano stati anche altri o preferenziali motivi a suggerire quella parte della legisla­ zione augustea considerata pure in rapporto col resto dell’attività legisla­ tiva dell’uomo e del tempo.

I I . La l e g i s l a z i o n e m a t r i m o n i a l e a u g u s t e a.

Quella che si chiama « legislazione matrimoniale augustea » avrebbe compreso, secondo alcuni eruditi, anche altre leggi oltre la « lex de maritan- dis ordinibus » e la « Papia Poppaea » ; ma di esse, come si è detto, non si hanno particolari, anzi ne è incerta l’esistenza.

La stessa « lex Julia de maritandis ordinibus » del 18 a. C. e la « Papia Poppaea » del 9 d. C. non sono note nel loro testo, bensì da notizie di sto­ rici e giuristi, i quali, talvolta, nel corso del tempo, finirono col menzionarle come un sol corpo e in modo che non sempre se ne possono sceverare di­ stintamente alcune modalità e disposizioni. Ma ne’ tratti più generali e caratteristici se ne è potuta tracciare la figura distinta.

La « lex Julia d. m. o. » impose l’obbligo del matrimonio a’ capaci di procreazione che, pel sesso virile, erano compresi tra i venticinque e i ses­ santanni, e pel sesso femminile tra i venti e i cinquant’anni, sotto pena d’incorrere nell’incapacità di ereditare per testamento — tranne che da’ più prossimi parenti ed affini — ne’ rapporti di diritto privato, e di essere postergati a’ coniugati in rapporti di diritto pubblico. E la penalità colpiva pure i vedovi e le vedove, anche se non si rimaritassero in un termine che oscillò tra sei mesi a due anni.

N el quadro generale di queste disposizioni che riconoscevano il ma­ trimonio tra « ingenui » e liberti, accordavano privilegi ed esenzioni a’ coniugati e si proponevano di agevolare i matrimoni prescindendo

all’oc-/

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LE LEGGI MATRIMONIALI DI AUGUSTO 299

correnza da consensi di tutori e dichiarando nulli condizioni e giuramenti, imposti o assunti, di celibato; trovavano posto i divieti di matrimonio de’ senatori, e della loro prole maschile e femminile sino a’ pronipoti, con liberti, con attori e con attrici di teatro e rispettivi figli; e, in genere, per tutti g l’« ingenui i divieti » di coniugio con prostitute, mezzane, adultere colte in flagranza e donne altrimenti per mestiere o costume discreditate. E a questa legge era associata l'altra di pari data che estendeva e rendeva più severe le pene per infedeltà coniugale e per altre violazioni dell’inte­ grità e del pudore sessuale (lex Ju lia de adulteriti).

Ma nella « lex Julia de m. o. » non si accennava tuttavia all’obbligo di prole o alle conseguenze dell’averne o mancarne.

La « lex Papia Poppaea » del 9 d. C., riassumendo la « lex Julia d. m. o. » anche nella sancita invalidità della « condicio coelibatus » e della « indicta viduitas », se non fu essa, come da taluno si ritiene, a indurle per la prima volta, completava ed estendeva la prima legge con disposizioni analoghe e complementari, ma sopratutto includendo l’obbligo della prole.

Per essa i « jura maritorum » avevano valore anche per i fidanzati, purché il matrimonio avesse luogo tra due anni. Ma l’incapacità di eredi­ tare de’ celibi era estesa anche agli « orbi », i coniugati privi di prole, con l’attenuazione che gli « orbi » perdevano solo la metà del lascito, non l’intero. E si rifermavano per i padri i privilegi nel conferimento di cariche e incarichi ( jus fasciutti sumendorum, scelta preferenziale nel governo delle provincie ecc.): privilegi che, al pari di altri, dovevano poi venir frodati con l’adozione di figli indi emancipati ecc. (Tacit. Attuai. 15, 19). E si ave­ vano esenzioni da « munera » personali (se non sono d’introduzione poste­ riore); esenzioni dalla « tutela mulierum » per le madri di tre figli, e dal diritto di patronato se liberte: favore peraltro quest’ultimo che si fa pure risalire alla prima legge.

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300 Et t o r e

accorri

relativa casistica determinata da inevitabili lacune di leggi a confronto delle realtà della vita, o da concessioni in parte anche inevitabili e dagli espe­ dienti con cui si reagiva agli artifizii della legge e all'intervento dell'erario che si prospettava nel fondo.

Conseguenze e modalità che, qui non è il caso, per l'indole di questo scritto, di trattare diffusamente e particolarmente; ma che si richiameranno in appresso, in quanto occorrano o giovino a chiarire, dal punto di vista demografico, gli intenti, il valore e gli effetti di quella legislazione.

I I I . Mo t i v i e f i n i d e l l a l e g i s l a z i o n e m a t r i m o n i a l e a u g u s t e a.

Date queste disposizioni di legge, così riassuntivamente riferite, pos­ sono emergerne, circa i motivi e il carattere generale che poi ebbero a riflettersi sulle conseguenze, due quesiti:

1° Aveva interesse, e quale, Augusto all’incremento generale della popolazione?

2° E quali effetti potevano avere, ed ebbero, quelle leggi, su tale incremento o su’ fini più particolari che le suscitarono?

• I fini che hanno sempre spinto o in parte spingono a volere l’incre- raento della popolazione in generale, possono essere o d’interesse militare o di interesse economico come nell’epoca del mercantilismo.

Fini militari non si presentano come probabili ed attendibili per Au­ gusto. Le guerre civili avevano evidentemente portata una distruzione di vite, sia per i conflitti armati come per lo sfogo delle ire civili.

Un tardo commento di Cr u q u i u s (16 2 1) al carmen saeculare di Ora- zio calcola ad 80.000 gli individui periti nel corso delle guerre civili se­ guite alla morte di Cesare.

Ora, quale che possa essere — ed è ben poco — il valore statistico da attribuirsi a questa cifra presuntiva ed approssimativa, non avvalorata da dati positivi o di autorità, la perdita non poteva essere difficile a colmare; e poteva in qualche modo essersi compensata già nel corso di ventisei anni, quasi il periodo di una generazione.

Per Augusto poi — come è espressamente rilevato anche dal Momm- sen — « niente lo distingueva più recisamente dall’uomo (Cesare) di cui portava il nome e di cui era erede come la sua refrattarietà ad un’ulteriore estensione dell’impero ». Dopo Azio Augusto aveva ridotto a diciotto le

cin-/ •

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LE LEGGI MATRIMONIALI DI AUGUSTO 301

ancora nell’836/23 d. C. Un papiro, recentemente scoverto con la men­ zione di una X II legione (8 a. C.) ha dato luogo a contestazioni sulla prima cifra del Mommsen. In ogni modo l’effettivo di tutte le truppe, che ascese posteriormente a un massimo di duecentocinquantamila uomini e allora forse a centocinquantamila, reclutati in tutta Italia e poi con l'esten­ dersi della cittadinanza anche nelle provincie con un servizio permanente protratto a 16 e indi a 25 anni, aveva bisogno di una reintegrazione annua molto limitata.

Per uno Stato, dunque, che in un ambito più ristretto, secondo i dati di Polybio rettificati, aveva potuto avere sotto le armi nel III e IV secolo 777.000 uomini; e poi, con Mario, assunto il reclutamento volontario de’ « capite censi », aveva reso gradualmente professionale l’esercito ; non po­ teva suscitare preoccupazioni di carattere militare anche un decremento demografico maggiore di quello eventualmente prospettato dalle guerre civili. Poiché il reclutamento di ufficiali e sottufficiali avveniva in una cer­ chia più ristretta della cittadinanza, per un tempo corrispondente agli abi­ litati alle magistrature, si sarebbe potuto verificare una deficienza. Ma que­ sto bisogno — che in appresso fu sempre più attenuato dall’assunzione di non italici — era numericamente limitato. E, in ogni caso, poteva riferirsi solo ad una classe della cittadinanza che avrebbe dovuto sopperirvi.

Il censimento del 28 a. C ., fatto a distanza di 41 anni dal precedente (69 a. C. 900.000) aveva dato il risultato di 4.063.000 censiti: un aumento ingente pur dopo solo pochi anni dalla fine delle guerre civili.

Questa cifra, in relazione alla popolazione complessiva e a’ residenti in Italia, è interpretata in maniera varia, secondo che la si riferisca oppur no a un sesso e ad adulti, in modo da dare per l’Italia una popolazione di 7 oppure di 14 milioni: calcolo soggettivo la cui attendibilità vacilla per la stessa discrepanza de’ risultati. In ogni modo era tale da escludere preoc­ cupazioni demografiche. E vi era pure da tener conto della colonizzazione avvenuta su larga base e promettente di incrementi demografici.

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302 Et t o r e a c c o r r i

a’ vari coefficienti personali della vita economica. I sussidiati delle leggi frumentarie del periodo repubblicano, portati da Cesare alla metà e che sotto Augusto erano risaliti sporadicamente a 320.000, dovevano spingere ad occuparsi per vivere quanti erano stati espunti dalle liste di assistenza pubblica. E non è mentre si trovava eccessivo il loro numero che si poteva pensare ad accrescere con impulso artificiale il complesso della popola­ zione specie cittadina.

Anche dal punto di vista finanziario, e mentre si provvedeva su tut- t’altra base che un testatico alla costruzione di una finanza rispondente alle nuove maggiori esigenze, non vi era alcun interesse a moltiplicare, sia per ragione demografica come per ragione fiscale, la popolazione.

Altri moventi ed altri scopi, politici e morali, aveva la lex Julia, quali possono già indursi dallo stesso titolo « de maritandis ordinibus ».

E che quella legislazione avesse scopi e prospettive di carattere poli­ tico sociale anziché demografico, lo mostra anche il genere di premi e di sanzioni a cui si era ricorso: premi e sanzioni che, se non esclusivamente, in maniera più che prevalente potevano riguardare la classe abbiente e superiore piuttosto che la generalità degli abitanti.

I premi infatti riguardavano prelazioni e agevolezze nella carriera politica certo riservata ad un numero circoscritto di persone e, in genere, di classe superiore, mentre le sanzioni concernevano in massima il regime successorio. E quale poteva essere mai la percentuale degli abbienti e so­ pratutto di possessori fondiari in quel periodo? Anche non volendo pren­ dere alla lettera la nota valutazione per cui all’inizio dell’ultimo secolo della repubblica il tribuno Marcio Filippo (Cic. D e off. II, 2 1, 73) riduceva a 2000 le persone « quae res haberent » in Roma, era quello un momento della storia in cui la crescente concentrazione della proprietà, le confische, le incertezze della vita ne dovevano avere notevolmente stremato il nu­ mero. Per i plebei — volendo intendere non tecnicamente con questo nome la gente comune — il privilegio di certe vesti e de’ posti privilegiati agli spettacoli doveva aver un valore molto relativo: la stessa esenzione da’ « munera » non doveva per quel tempo essere di un valore assai rilevante. Importanza per i liberti poteva avere il riconosciuto diritto di coniugio con gli ingenui e quanto riguardava i diritti di patronato. Ma parecchie di queste cose potevano avere solo fino ad un certo punto valore. E il con­ cubinato che, mentre aveva avuto un suo riconoscimento legale, assicurava per certuni e molte volte i vantaggi di una vita familiare senza i vincoli del regolare matrimonio poteva distogliere da questo. .)

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LE LEGGI MATRIMONIALI DI AUGUSTO 303

L’enorme estensione del dominio e l’affluire di mez2Ì straordinaria­ mente cospicui alla capitale divenuta una cosmopoli, vi avevano suscitato allettative e seduzioni a cui il mondo soggetto forniva anche agevolezze e strumenti con le sue etere tentatrici e con gli artifici e gli amminicoli della seduzione e del lusso. Onde nuove condizioni di vita che minavano la semplicità dell’antico costume e scalzavano molte volte le basi tradizio­ nali della famiglia, tanto da suscitare sin dalla fine del III secolo e nel II la severa reazione di Catone il censore.

Quali fossero le insidie e i danni creati alla famiglia da questa nuova condizione di cose, lo mostrano, oltre a notizie storiche e aneddotiche, le commedie di Plauto e Terenzio che, pur essendo una riduzione ed un adat­ tamento di originali greci, mostravano con lo stesso loro successo teatrale la rispondenza al nuovo ambiente romano.

Del quadro della corruzione generale, specie sessuale, hanno potuto, secondo alcuni, esagerarsi le linee e caricarsi le tinte: notizie storiche e testimonianze epigrafiche mostrano che non mancavano generose e non rare eccezioni. Ma nel complesso non ne viene alterato il carattere del quadro.

La passione e fin la moda de’ facili amori ha un’eco profonda nella lirica del primo secolo a. C., di cui è lievito ed argomento; e la condizione e il genere di vita delle donne emergono anche da tutti gli altri scritti po­ litici, giuridici, narrativi del tempo.

Le nuove condizioni e le nuove abitudini, mentre rendevano più co­ stosa la pacifica e modesta vita coniugale di una volta, creavano altre diffi­ coltà e toglievano attrattiva al matrimonio, rotto spesso e troppo facil­ mente da troppi divorzi a cui anche Augusto volle e forse cercò invano mettere un freno. Ed è significativo il discorso tante volte citato di Metello Numidico (Geli. I, 6), col quale, mentre si inculcava il matrimonio, non si cessava di considerarlo come un malanno inevitabile e quindi solo il meno peggio de’ mali.

Il lungo periodo tanto agitato e travagliato delle guerre civili, ove passioni, cupidigie, nequizie, viltà insidiavano con tutto il resto la vita e l’organismo familiare, ne avevano accelerata e intensificata la crisi.

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304

E

ttore

accorri

famiglia. Il disagio e il malessere di questa vita sociale e morale pertur­ bata, come gli intenti e le illusioni della politica augustea del fronteg­ giarli, hanno un’eco profonda e una espressione eloquente nelle odi di Orazio: di varia intonazione nel periodo precedente e susseguente alla le­ gislazione augustea. Ma, se, come nel Carmen saeculare, l’«augenda su- boles » vi ha qualche riflesso, è invece l'intento moralistico e sociale della morigerata vita familiare che vi prevale. Del resto, il poeta nei suoi 58 anni di vita, se pur più temperato di altri, non aveva rinunziato a’ piaceri della vita extra matrimonale e non si era sopratutto curato di assicurarsi una prole.

Augusto aveva inizialmente cercato con la sua completa legislazione sul lusso e sulla lussuria di fronteggiare il mal costume. Ma, ad eliminare o a ridurre gli illeciti rapporti sessuali, più che la repressione, difficile ne­ gli accertamenti come nelle punizioni, giovava la prevenzione; e nessuna prevenzione doveva sembrare più naturale ed efficace del matrimonio che assicurava un corretto sfogo all’incontenibile istinto naturale e al tempo stesso deviava le allettative e le occasioni di rapporti illeciti con le cure vigili e i freni della vita familiare.

Così la « Lex Julia de maritandis ordinibus » con le sue sanzioni come con i suoi favori mirava esclusivamente al matrimonio. Che questo dovesse o potesse avere come conseguenza la prole, è naturale. M a la « Lex Julia » non se ne occupa, come farà invece — e per motivi che saranno spiegati — una legge alquanto posteriore, la legge « Papia et Poppaea ».

La « lex Julia d. m. o. » esordiva anche con un divieto per i senatori e discendenti, quindi per tutto l’ordine senatorio, di unirsi in matrimonio non solo con «qu i artem ludicram faciunt» ma anche con liberti; divieto spiegato e giustificato da ragioni politiche e del tempo, ma che, come li­ mitazione della libera scelta, era sempre una restrizione; e mostra come l’intento della legge, anziché demografico, era moralistico sociale, coor­ dinato o subordinato, dove occorresse, a criteri politici.

Con ciò non si esclude, anzi va rilevato, l’interesse di assicurare una continuità a quella parte della classe senatoria superstite che l’autocrazia poteva voler conservare, sia per non far perdere alla cittadinanza romana tutto il suo carattere tradizionale, sia per averne una cooperazione alla quale, per un certo tempo e da molti, si è voluto attribuire la funzione di * base iniziale dell’impero come « diarchia ». E sotto questo aspetto, ma solo sotto questo, si potrebbe parlare di un intento, per quanto accessorio

e limitato, demografico. . \

^ |

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LE LEGGI MATRIMONIALI DI AUGUSTO 305

IV. La « l e x Pa p i a e t Po p p a e a » d e l 762/9 d. C.

Fu la lex Papia et 'Poppaea del 762/9 d. C , che prese in considera­ zione la figliolanza. Ma non risulta che l’abbiano determinata motivi e preoccupazioni demografici. Non può avervi influito nemmeno la guerra dalmatico-pannonica per quanto aspra, bensì motivi di altro genere. Pre­ valente forse quello che, obbligando la legge a rimaritarsi entro un dato termine il vedovo e la vedova — ciò che non sempre era facile, specie per la vedova, dato il disfavore che avevano nel costume le seconde nozze — oc­ correva tener conto dell’aggravio che, intanto, era costituito spesso dalla figliolanza del precedente matrimonio. E giovava pure prendere in con­ siderazione la esistente o mancante figliolanza per gli scopi fiscali che non avevano avuto poca parte nella « lex Julia d. m. o. » e più ne ebbero in seguito con la sua integrazione nella lex Papia, come se ne accenna ap­ presso a proposito de’ « caduca ».

Come si è accennato, dato che la lex Julia toccava solo i celibi, e, in punto di fatto, tra i celibi prevalentemente una classe della cittadinanza, e in questa stessa classe gli abbienti e loro eventuali eredi; veniva ad essere limitato il numero di quelli che cadevano sotto la sua sanzione.

Con l’estenderne l’azione mediante la « lex Papia Poppea » anche agli orbi, cioè a quelli che non avevano figli, non solo si riparava a una ingiustizia verso i vedovi, e più specialmente le vedove aventi figli, come oggi si direbbe, « a carico », ma si aumentava ed estendeva il numero di quelli che cadevano sotto la sanzione indicata come « lex caducarla », di grande interesse per la nuova finanza imperiale.

La nuova costituzione dell’impero aveva bisogno di grandi mezzi per i congegni amministrativi che andava a creare in sostituzione o sviluppo dell’ordinamento precedente; per le opere pubbliche che aveva in vista e compiva; per l’atteggiamento da assumere di fronte alle provincie; per la assistenza pubblica; per le colonizzazioni in quanto non bastavano le con­ fische; per lo sviluppato sistema militare a base di eserciti permanenti e per tutto l’insieme della vita delle corti imperiali.

A tal uopo già con la consolidata egemonia di Augusto furono isti­ tuite imposte ed aggravate tasse anche con destinazioni speciali e ammi­ nistrazioni e casse distinte, con specializzazioni di servizi a cui sopperivano « l’aerarium militare » ed il « fiscus », il tesoro del sovrano.

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E

ttore

accorri

anziché alle persone, non includevano quell’impronta di servitù che si so­ leva annettere all'imposta diretta sulla persona e sulla proprietà fondiaria. E così se ne ebbero sotto forma percentuale sulle vendite e sulle ma­ nomissioni di schiavi e sulle successioni; la quale ultima, divenendo pra­ ticamente senza sembrarlo un surrogato dell’imposta fondiaria, era appli­ cata fino a Caracalla soltanto a’ cittadini romani.

Secondo Dione Cassio (LV , 13) Augusto nel 4 a. C. avrebbe fatto, limitatamente all’Italia, un censimento (oggi da più lati contestato) de’ cittadini aventi un patrimonio di 200.000 sesterzi, che doveva servire per l’assunzione di senatori ma che sarà poi servito anche per scopi fiscali.

Il fisco e l’erario si vennero specialmente arricchendo per devoluzioni di beni di condannati e per confische: una risorsa che perciò si tendeva a sviluppare a misura che l’autocrazia s’inaspriva. A ll’estensione di que­ sto demanio portavano un notevole contributo i «caduca» sotto gli au­ spici delle leggi matrimoniali, divenendone un accessorio in via di acqui­ starvi una posizione predominante, sino a perpetuarsi anche quando, nel resto, lo scopo e la funzione di quelle leggi si venivano sempre più oscu­ rando, se non pure obliterando.

V. I « CADUCA ». IL « J U S LIBERORUM ». I « DELATORES » .

Le disposizioni testamentarie dettate a favore di persone che poi non vollero raccogliere la liberalità o non potettero raccoglierla perchè morte prima dell’apertura del testamento (ante apertas tabulas) si chiamavano « caduca » come decadute e quindi prive di effetti. E, a simiglianza, si chia­ mavano « in causa caduci » le disposizioni fatte a favore di persone morte prima del testatore o prive di effetto per il venir meno delle condizioni sotto cui erano state dettate.

L ’invalidità delle disposizioni a titolo universale, facendo decadere tutto il testamento, portava senz’altro alla successione degli eredi legittimi. M a l’invalidità delle disposizioni a titolo particolare si risolveva — per il « jus adcrescendi » — a favore di coeredi e collegatarii che subentra­ vano così anche nel diritto alla parte resa caduca. Sorta con la nuova le­ gislazione, l’incapacità del « coelebs » — sia celibe che non coniugato nelle forme e ne’ termini della « lex Julia d. m. o. » — la parte che non poteva raccogliersi dal chiamato si devolveva all’erario. La « lex Papia Poppaea » estendendo l'incapacità all’« orbus », al coniugato privo di figli, la rese parziale riducendo la perdita alla metà del lascito. Ma,

contemporanea-./ /

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LE LEGGI MATRIMONIALI DI AUGUSTO 307

mente, la « lex Papia Poppaea » nell'estendere agli « orbi » la incapacità, ne dovette limitare il rigore con un certo numero di eccezioni (personae

exceptué)-, «cognati et affines », vedovo e fidanzati ne’ termini assegnati

per maritarsi o rimaritarsi, « viri et uxores » reciprocamente eredi per un decimo (decimarti) etc.: tutta una casistica quindi, che qui non è il caso di specificare ulteriormente, bastando l’accenno per i fini di questo scritto.

E vi s’introdusse anche la cosiddetta « vindicado caducorum » a fa­ vore de’ « patres » compresi nel testamento e a cui pro veniva stabilita una preferenza in confronto dell’erario.

Tutte queste eccezioni, complicate dalla varietà de’ casi e dalle più sottili interpretazioni, rendevano anche più aggrovigliata la materia ere­ ditaria per se stessa non semplice, esasperando le molestie iniziali degl’in­ teressati, anche pel contrasto attuale o potenziale con la cassa pubblica. La quale sotto l’impulso de’ crescenti bisogni e con l’importanza che ve­ nivano sempre più acquistando tali cespiti di varia provenienza (bon a v a ­ can tia, e r e p to r ia: perdita per inosservanza di doveri pubblici) diveniva

ognora più vigile ed anche avida e rapace.

Le rigorose formalità cui era stata sottoposta l’apertura de’ testamenti, come condizione della loro validità per garantire l’imposta sulle successioni, costituivano anche un controllo per la « lex caducaría ». Ma, ciò non ba­ stando a supplire alle mancate denunzie, si era dato impulso a regolari de­ nunzie di « delatores » cointeressati per una devoluzione a favor loro di una percentuale de « caduca » così recuperati. E non c’è bisogno di rilevare di quanti inconvenienti materiali e morali ciò fosse cagione.

Come accade, dovunque e comunque una legge diviene incerta e vessa­ toria, si cercò ovviare alle sue conseguenze sia con le frodi, sia con le ec­ cezioni e i privilegi. Tale fu il « jus liberorum » che creava la condizione e posizione di padre anche a chi non era tale: una concessione prima del senato e poi del principe, derisa pure da scrittori del tempo ma sempre più diffusa, che minava, oltre che negli effetti più comuni, più ancora nella forza morale la legge e rendeva più esasperata la fiscalità spinta a rifarsi sulla generalità de’ contribuenti di quanto perdeva a causa de’ privilegiati.

V I . Vi c e n d e, e f f e t t i e d e p i l o g o.

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306 Et t o r e

accorri

di Orazio nel IV libro delle Odi, che se ne raggiungesse con più numerosi matrimoni e un più moralizzato ambiente familiare quello che era stato il primo vero e concreto scopo della legge e che doveva costituire, precon­ cetto o no, la premessa di ogni ulteriore effetto demografico.

Lo stesso Dione Cassio tiene a notare che i due autori putativi della « lex Papia Poppaea » non avevano moglie. E, se anche ciò dovesse attri­ buirsi, come pur non è presumibile, al fatto del non trovarsi essi compresi ne’ limiti di età prescritti dalle leggi (25-60), resta sempre che Orazio, l ’apologeta di Augusto e delle sue leggi, morì celibe all’età di cinquant’otto anni.

Ma, per la continuità e gli effetti di questa legislazione già sotto T i­ berio è sintomatico il caso raccontato da Tacito (Ann. II, 37): « M . Hor- talo era stato indotto da Augusto, mediante l’elargizione di un milione di sesterzi (circa duecentomila lire italiane), a prender moglie per non fare estinguere la prosapia illustre dell’oratore Ortensio di cui era nepote. Ri­ masto dopo qualche tempo in bisogno e con i figli da sostenere, si presentò alla Curia con la sua quadruplice prole, e pietosamente implorando ora la statua di Ortensio, ora lo stesso imperatore, parlò così : « Padri coscritti, questi, di cui vedete il numero e l’età tenera, io non l’ebbi di mia sponta­ nea volontà ma per incitamento del principe; e così i miei maggiori potet­ tero avere de’ posteri. Giacché io, che per mutate condizioni di tempo non avrei potuto esser ricco, nè procurarmi favore di popolo, nè forza di elo­ quenza, prerogative della nostra gente; ne avevo abbastanza se il poco che avevo non mi facesse venir meno al decoro e non mi mettesse a carico di che sia. Per comando dell’imperatore presi moglie. Ecco ora la stirpe di tanti consoli, di tanti dittatori! E non richiamo ciò per dispetto, a fin di male, ma per conciliarmi la misericordia. Conseguiranno, mentre tu prospe­ rerai, o Cesare, gli onori che tu ti sarai degnato conferir loro: intanto sottrai alla miseria i pronipoti di Ortensio, allievi del Divo Augusto!» » Ma la stessa buona disposizione del Senato fu d’incitamento a Tiberio per oppor- visi, esprimendosi così: « S e quanti son poveri cominciassero a venir qui a chieder denaro per i loro figliuoli, ciascuno di loro non si sentirebbe mai pago e lo Stato andrebbe in rovina. E perciò veramente non si è mai am­ messo da’ maggiori di spostare i termini, uscire dal soggetto e invece di ra­ gioni allegare un comune vantaggio in modo da avvantaggiare gli affari privati, le nostre aziende familiari, con discapito del Senato e de’ sovrani, sia che consentano l’elargizione, sia che la ricusino. Poiché qui non si tratta di' preghiera, bensì di una sollecitazione improvvisa e intempeitiva, sorta

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LE LEGGI MATRIMONIALI DI AUGUSTO 309

mentre il Senato era convocato per altro, premendo col numero e l’età de’ propri figli sulla condiscendenza del Senato perchè facesse alla sua volta pressione su me a danno dell’erario che si dovrà poi reintegrare con male- fidi se per acquistare favore noi lo esauriamo. O Hortalo, il Divo Augusto ti dette del danaro ma non per obbligo, nè a patto di dovertelo sempre dare. Altrimenti languirà il proprio spirito d’iniziativa e si fomenterà l ’iner­ zia se nessuno riporrà in sè ogni speranza e preveggenza, e tutti, sicuri, sa­ ranno in attesa di altri aiuti, ignavi per sè, di peso a noi ». Queste cose ed altre dello stesso genere, benché udite con assenso da quelli per cui è co­ stume lodare tutte le cose, oneste o no, de’ principi, altri molti le accolsero con silenzio o con occulti mormorii. D i che fu impressionato Tiberio e dopo aver un po’ taciuto disse di aver egli voluto rispondere a Hortalo: del re­ sto se il Senato credesse, darebbe a ciascuno de’ figli maschi di lui duecento sesterzi. « Gli altri ringraziarono : Hortalo tacque o per timidità o per re­ sto di dignità dell’avito lignaggio anche tra le presenti angustie. N è dopo ciò Tiberio ebbe compassione, benché la casata di Ortensio cadesse sempre più in vergognosa miseria ».

Altrove lo stesso Tacito (Ann. Ili, 25) dice, in occasione di una seduta del Senato tenuta sei anni dopo la morte di Augusto (773/20 d. C ) : « S i trattò poi di temperare la legge Papia Poppaea, che Augusto, nella sua vec­ chiezza, aveva sancita per avvalorare le pene de’ celibi e impinguare l ’era­ rio. N è con ciò erano cresciuti i matrimonii e gli allevamenti de’ figli, pre­ valendo invece la sterilità (orbitai). Cresceva in cambio la moltitudine de' danneggiati, essendo messa a soqquadro ogni cosa per le suggestioni de’ delatori, in modo che, come prima per i malefizii, si soffriva ora per le leggi. Il che spinge a trattare ulteriormente e più a fondo de’ principii di diritto e de’ modi per cui si venne a questa infinita moltitudine e varietà di leggi ».

Il censo fatto sotto Claudio (43 d. C.) dette come risultato 5.984.072 cittadini, con una eccedenza di oltre un milione sul precedente. Ma oltre ad ogni altra disputa non se ne può valutare l ’incremento, non conoscen­ dosi, come occorrerebbe, con precisione i metodi e le modalità del censi­ mento e quanti fossero i nuovi cittadini ivi compresi. N è del posteriore ed ultimo censimento, quello di Vespasiano (74 d. C.) si conoscono le cifre.

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310 ETTORE CÍCCOTTl

veniva perdendo sempre più importanza politica col consolidarsi dell'auto­ crazia, lo scadimento del Senato e la burocratizzazione dell’amministra­ zione.

Ma non perciò vennero abrogate le leggi Julia e Papia Poppaea sem­ pre meno distinte nella menzione che ne vien fatta e nell’applicazione.

Le conservava quella forza d’inerzia che mantiene, più o meno sche­ maticamente, certe leggi e certi usi, anche quando ne è venuta meno la ra­ gione determinante; e quindi il revocarle importerebbe qualcosa di più si­ gnificativo del riconoscimento di un errore e della desuetudine. Ma sopra­ tutto le manteneva in vita, sia pure spettralmente, lo scopo fiscale già messo fortemente in rilievo da Tacito (augendo aerario)\ e che, in massima de­ terminante nella « Papia Poppaea », era divenuto sempre più prevalente, come avviene spesso in questo genere di leggi ; ove le esenzioni privilegiate ' sempre più numerose, le frodi per eluderne le sanzioni ne facevano sempre

più esulare lo spirito.

Ma bisognava che col Cristianesimo il celibato potesse guardarsi da un diverso punto di vista per cessare di mantenerne una legale punibilità; mentre anche finanziariamente il fiscalismo si rifaceva ampiamente in altri modi dell’apporto di questo genere di « caduca ».

Onorio e Theodosio II ponevano indirettamente fine all’istituto (4 set­ tembre 410 d. C.) con una concessione universale del « jus liberorum » (omnibus concedimus) che annullava quindi la legge.

Giustiniano nell’abrogare (1 giugno 534) la legislazione caducaría, ne sgombrava le ultime tracce.

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LE LEGGI MATRIMONIALI DI AUGUSTO 311

il credere che il genere umano potesse accrescersi intenzionalmente e con provvedimenti particolari, mentre la natura ha per provvidenza divina di­ struzione od incremento. E così dette al popolo una legge per cui celibi e senza figli si trovassero a pari condizione con gli altri. Sancì anzi che quanti vivessero in verginità e continenza, godessero di alcuni privilegi, dando loro, sia maschi sia femine, libera facoltà di far testamento se anche im­ puberi, contro gli usi vigenti in tutto l’Impero romano. Giacché ritenne che potessero giustamente valutare ogni cosa e disporre quelli di cui unica oc­ cupazione e passione era l’attendere assiduamente al culto di Dio e allo studio della filosofìa. E fu per la stessa ragione che gli antichi Romani det­ tero facoltà alle vergini vestali di poter fare testamento. E fu anche prova della massima reverenza che il principe aveva verso la religione il dare a tutti i chierici e dovunque con legge speciale l’immunità; e permise a’ liti­ ganti di deferire il giudizio a’ vescovi se non volessero adire i giudici civili ».

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L a introduzione e la abolizione del con­

trollo dei cambi esteri in A ustria

(

1931

-

1934

).

La memoria del Dr. Oskar Morgenstern, professore nella Università di Vienna, direttore dell’ Istituto austriaco per gli studi sui cicli economici e redattore della « Zeitschrift für Nationalökonomie », fu già pubblicata nel quaderno dell'ottobre 1937 di « International Conciliation » bollettino mensile della Fondazione Carnegie. Ma l'autore volle integrare per la nostra rivista quello studio con nuove considerazioni, si da raddoppiarne la mole e farne cosa praticamente nuova. Di che gli sono grato, perchè mi ha consentito di offrire ai lettori della rivista una scrittura che reputo modello di quel che dovrebbe essere la narrazione storico-critica degli avvenimenti economici. Non monta che i fatti studiati dal Morgenstern, riferendosi ad anni vicini a noi ( 1931-1934), siano storia recente. Il me­ todo è uguale per tempi antichi e per tempi moderni. La difficoltà di appurare i fatti è talvolta, non sempre, più grande per epoche remote che per quelle attuali; ma per amendue le epoche teoria e storia falliscono me­

desimamente per difetto del criterio di interpretazione dei fatti.

Il difetto ha nome comunemente di « oggettività ». La quale è virtù stupenda, finché lo studioso restando sulla soglia della storia, è occupato ancora nella constatazione dei fatti. Nessuna cura è superflua per giun­ gere a conoscere esattamente i fatti, tutti i fatti rilevanti. Naturalmente, è impossibile scegliere i pochi fatti rilevanti tra i milioni ydj Sfatti accaduti

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IL CONTROLLO DEI CAMBI ESTERI IN AUSTRIA 313

se non si è armati di un qualche strumento di scelta, ossia di una ipotesi 0 teoria o premessa; ma si può ammettere che lo studioso conosca parec­ chie teorie o premesse o ipotesi e colla loro scorta imparzialmente appuri 1 fatti i quali potranno poi essere interpretati al lume di quelle teorie. Non si può certo far rendere molto ad una ipotesi di scarsa consistenza logica; ed i fatti trascelti sulla base di essa avranno un significato dubbio. Lo studioso, mero ricercatore di fatti, non ci ha colpa. Egli non vuole essere uno storico pieno; è quel che gli storici di professione chiamano, a quanto parmi capire, un « filologo » ; ed il suo compito, degnissimo, è esaurito quando ha accertato i fatti, li ha sottoposti al vaglio della critica per separare i certi dai falsi e dai semplicemente verosimili, li ha esposti nella loro sequenza cronologica ed ha messo il lettore in condizione di poter capire quel che è accaduto.

Qui comincia il bello. I lettori hanno la brutta abitudine di voler capire i racconti che ad essi si fanno. Vogliono una spiegazione. Non basta raccontare che nel tal anno vennero al pettine certi nodi in Austria, una certa banca, la Credit Anstalt, si trovò in imbarazzi, il governo ritenne opportuno o necessario intervenire, e, non bastando sussidi o moratorie, dovette vincolare il movimento dei capitali fra l'Austria ed i paesi esteri ed alla fine decidersi ad istituire il monopolio dei cambi esteri, con le sue naturali conseguenze della limitazione alle importazioni, dei contin­ gentamenti e della distribuzione delle divise d’autorità. Questa è la solita filastrocca degli avvenimenti che si sono succeduti in tutti i paesi nei quali si è cominciato dal poco, dal pochissimo di un salvataggio bancario e si è finiti coll’assoggettamento totale dell’economia del paese ai dettami di ima autorità centrale.

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314 LUIGI EINAUDI

quei paesi nacquero guai e o si lasciò andare la moneta alla deriva od i cambi dovettero essere controllati, forse in modo diverso dal monopolio governativo, con ingerenze statali d’altro tipo: fondi di stabilizzazione, manovre bancarie sapienti, di cui non si vede ancora il termine.

N el saggio del Morgenstern è notabile sovratutto la pacata descrizione dell’esperienza di un paese il quale, fattosi persuaso di quel tale stato di necessità o fato o comandamento di dio, introdusse il monopolio statale dei cambi; ma poi, fattosi ugualmente persuaso delle dimostrazioni e dei dati raccolti divulgati spiegati dagli economisti, lo abolì e ritornò alla libertà dei cambi. V i ritornò, notisi bene, senza preoccuparsi di quel che avrebbero fatto gli altri stati, senza stipulare nessun trattato monetario con nessuno; vi ritornò spontaneamente, da solo, correndo tutti i rischi di quel ritorno. L’Austria abolì il controllo dei cambi fidandosi delle dimostrazioni di certi poveri visionari chiamati economisti, i quali assicuravano il governo del proprio paese che in conseguenza del gran salto non sarebbe successo nulla die non fosse di vantaggio al paese stesso. Da che mondo è mondo, quando gli economisti tentarono di dimostrare che una certa cosa, se è vantaggiosa, si può fare senza preoccuparsi menomamente di quel che faranno gli altri stati; quando predicarono, ad esempio, tra il 1840 ed il 1860, che un paese poteva abolire per conto suo i dazi doganali protettivi, aprendo le proprie frontiere alla inondazione dei prodotti esteri, senza informarsi preventi­ vamente di quel che avrebbero fatto gli altri stati, rassegnato a vedersi sbattere in faccia con maggiore fracasso le porte straniere dinnanzi alle proprie esportazioni, quasi sempre i disgraziati ebbero la peggio. Ci volle il miracolo di tre economisti al governo: Sir Robert Peel, Napoleone III (fantastico uomo, ma uomo colto) e Camillo di Cavour, perchè una volta tanto si facesse qualcosa con o senza accordi preventivi internazionali, cogliendo momenti di crisi, di disavanzi e di gravi preoccupazioni per osare riforme liberatrici in apparenza rischiosissime.

Siccome, tra gli avvenimenti verosimili non ha frequentemente luogo il caso di economisti i quali siano anche, per accidente, uomini di governo, gli stati seguono invece il consiglio della prudenza: nelle faccende che toccano i rapporti internazionali, innanzi di decidersi ad una azione ri­ schiosa cercano di premunirsi con trattati od accordi contro il pericolo di essere lasciati soli. Del che si vede oggi un esempio calzante nelle cose monetarie; nessuno dei paesi decidendosi a far nulla prima di sapere che cosa siano disposti a fare gli altri, frattanto, lo squilibrio 9 l ’incertezza

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IL CONTROLLO DEI CAMBI ESTERI IN AUSTRIA 315

che travagliano il mondo si aggravano e periodicamente provocano e pro­ vocheranno a ripetizione ognor più frequente crisi di interruzione e di collasso nell'attività economica. L ’accordo tripartito fra l ’ Inghilterra, gli Stati Uniti e la Francia non ha impedito che il franco francese andasse alla deriva; non impedisce il perpetuarsi di sospetti di sopraffazione fra dollaro e sterlina; non vieta le pazze fughe dei capitali impauriti (la cosi­ detta hot money) di qua e di là dell'Atlantico; eccita a provvedimenti di difesa .contro l’importazione dei capitali stranieri, un tempo desideratis­ simi ed oggi, non senza qualche ragione, più che la peste bubbonica temu­ tissimi. N ell’attesa di un accordo che verrà in un futuro non si sa quanto lontano, il mondo resta diviso fra coloro che hanno paura di ricevere in casa l’oro fuggiasco e paesi i quali sarebbero disposti ad utilizzarlo, ma non possono, perchè i capitalisti non hanno fiducia nella loro stabilità politica ed economica.

L ’esempio dell'Austria dimostra che il problema monetario è per gran parte — io sono convinto che esso è tale intieramente, ma voglio lasciare, per scrupolo scientifico, un margine al dubbio — un affare interno. Gli altri stati, il mondo esteriore, i finanzieri internazionali, la speculazione delle grandi borse, bianche nere rosse o gialle, non c’entrano. Se lo stato, per conto suo, ha il bilancio in ordine, se non ricorre all’istituto di emis­ sione per anticipazioni in biglietti; se le banche ordinarie fanno il loro mestiere di banca e non quello, ben diverso, di speculatori in terreni case azioni; se, facendo altri mestieri, la loro ricostruzione ha luogo a spese esclusive degli azionisti e dei depositanti; se la banca di emissione fa bene il suo unico mestiere che è quello di far buon governo dei biglietti, rifiu­ tandosi ad emetterne nè più nè meno di quei tanti che l’esperienza insegna potersi rimborsare a vista alla pari dei cambi in moneta metallica; se essa non oppone nessuna difficoltà a chi, senza dirne le ragioni, chiede il cambio in oro dei biglietti; perchè la pari dei cambi dovrebbe essere perduta? perchè il paese dovrebbe rimanere privo di quella quantità di riserva aurea che gli è bisognevole? Se sono soddisfatte le poche ovvie notissime condi­ zioni all’uopo richieste e sopra elencate o se, essendo esse state violate, si ha cura di ristabilirle gradualmente, sono fantasmi privi di ogni consi­ stenza logica i timori di non poter pagare le merci acquistate all’estero, di rimanere privi di divise pregiate, di veder uscire tutto l’oro ecc. ecc.

Il pericolo esiste solo quando si violino alcune delle condizioni ri­

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316 LUIGI EINAUDI

Suppongasi che in un dato paese il biglietto si cambi in oro alla pari dei cambi — 4 scellini austriaci contro 1 dollaro — ; e ciò accada quando la Banca di emissione ha emesso 1 miliardo di scellini carta e contro questo suo debito, unica partita, per ipotesi, al passivo del suo bilancio, possiede ed iscrive nell’attivo del bilancio una riserva di 400 milioni di scellini-oro ed un portafoglio di 600 milioni di scellini-carta per sconti commerciali, anticipazioni, titoli, ecc. Suppongasi che la bilancia dei pagamenti risulti in un dato anno sfavorevole al paese; sicché occorra pagare all’estero un saldo di 100 milioni di scellini-oro (1). I debitori dei 100 milioni, posseg­ gono gli scellini-carta richiesti al pagamento e li recano all’istituto di emis­ sione chiedendo il controvalore-oro.

Se l’ istituto li dà e ritira i 100 milioni-carta, non succede niente per quanto ha tratto al mantenimento della pari dei cambi. L ’istituto il quale prima possedeva 400 milioni di riserva aurea e 600 milioni di portafoglio contro 1000 milioni di debito per biglietti emessi, ora possiede 300 riserva più 600 portafoglio contro 900 debito per biglietti; ed è, per conto suo, in una botte di ferro. 11 paese si trova un po’ allo stretto, dovendo prov­ vedere al giro degli affari con 900 milioni soli di biglietti. Ma è uno stretto salutare, il quale obbliga i nazionali a meditare sulle cose loro: se il raccolto è stato cattivo e si dovettero spedire all’estero 100 milioni per comprarsi il pane, quegli stessi 100 milioni non si possono usare ad altro scopo; se si vollero acquistare materie prime in copia per la speranza di lavorarle e guadagnarci su, non si possono quegli stessi 100 milioni impiegare per costruire case, consumar panettoni e far viaggi di piacere. Occorre restringersi da qualche parte; ed occorre che i prezzi interni di qualche merce o di molte merci ribassino alquanto per mancanza del nume­ rario occorrente all’acquisto. Ed ecco aperta la via al riequilibramento: un po’ per volta, spinte sponte, i prezzi interni ribassando, ed aumentando un po’ i prezzi esteri per l’afflusso all’estero di quei tali 100 milioni spediti

(1) Le cause della esistenza di un saldo passivo possono essere varie: un raccolto sfa­ vorevole, importazione insolita di materie prime per sviluppo industriale, aumento relativo dei prezzi delle merci di importazione in confronto a quelle di esportazione e simili. Escludo soltanto la causa : « fuga di capitali » che anche Morgenstern esclude. La tecnica delle fughe è materia per ora oscura; ed i mezzi di riequilibramento adoperati in tempi recenti sono an­ cora malsicuri, una più lunga esperienza sembrando necessaria innanzi si possa dir qualcosa di fermo intorno ai fondi all’uopo creati in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Francia ed in Italia. Nè, temo, la esperienza potrà insegnar molto quando non si parta dalla premessa che la « fuga » non è un fatto « primo », a cui occorra o sia possibile trovare un rimedio auto­ nomo. Essa è un fatto secondario; ed importa sovratutto, se non forse esclusivamente, far ces­ sare le cause psicologiche o patologiche di shducia dalle quali la fuga derivi^ Cessate quelle,

cessa la conseguenza. / j '

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fuori, la convenienza ad acquistare all’estero e quindi ad importare scemerà, e crescerà la convenienza di esportare le merci nazionali divenute relati­ vamente a buon mercato. A poco a poco, un po’ dell’oro mandato via ritornerà; un po’ diminuirà la domanda degli sconti per il minore interesse a produrre merci ribassate di prezzo; sicché, dopo qualche tempo, il bilancio dell’istituto di emissione segnerà: all'attivo 380 milioni di scellini-oro più 580 milioni di portafoglio, totale 960 milioni, ed al passivo 960 milioni di biglietti in circolazione. La banca è sempre nella solita botte di ferro ed il paese, digerito il fabbisogno straordinario di merce estera, si è messo su un piede di lavoro solido.

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318 LUIGI EINAUDI

languono. Se la bilancia dei pagamenti era ieri passiva, non c’è ragione oggi vada a posto o diventi attiva. Nell'anno nuovo bisognerà mandare all’estero altri 100 o 50 o 20 milioni di scellini-oro per saldare i conti. Si impongono nuove iniezioni di carta per sostenere il mercato. Il paese è avviato fatal­ mente al corso forzoso, al controllo dei cambi, all’aumento dei costi, ossia — trattasi di sinonimi — all’abbassamento del tenor di vita della popola­ zione. Tutti parlano del problema dell’oro; nascono fughe; si farneticano cause misteriose. Non c’è nessun mistero. Si è voluto fare il passo più lungo della gamba; ed il risultato non muta da secoli: fa d’uopo battere sulla pubblica piazza il sedere sulla pietra dei decotti.

Il Morgenstern dimostra che le difficoltà monetarie austriache nasce­ vano dalla contraddizione insanabile fra la pretesa di tenere lo scellino- carta ad un valore ufficiale in peso d’oro (o in divise estere) superiore a quello che era il suo vero valore di mercato e quella di importare, produrre ed esportare come se l’unità monetaria fosse liberamente negoziabile al suo valore effettivo di mercato.

Se di scellini-carta ce ne sono tanti che 6 di essi equivalgono effettiva­ mente in libera negoziazione, ad ipotesi, ad 1 dollaro-oro — supponiamo che esista, come un tempo esisteva, il dollaro-oro — è vano fissare legal­ mente il rapporto a 4 scellini contro 1 dollaro. Chi fissò il rapporto al livello più favorevole è certo animato da ottimi sentimenti; ma se il sen­ timento urta con la logica, questa finisce col prevalere. La fissazione del livello 4 invece che 6 non muta i prezzi forestieri delle merci importate ed esportate. Se l’unità di merce valeva 1 dollaro-oro, il prezzo rimane 1 sia che il cambio austriaco sia 4 o 6. Quindi l’importatore che acquista Trinità di merce al prezzo di 1 dollaro-oro e può sdebitarsi versando 4 scel­ lini austriaci all’ Istituto di emissione o dei cambi, il quale penserà lui a versare il dollaro, ha interesse ad importare molta merce, perchè la può vendere all’interno al prezzo conveniente di soli 4 scellini. L ’ Istituto cambi è fastidito da domande di dollari ed offerte di scellini per quantità crescenti ed impreviste. Inversamente, l’esportatore dalla merce venduta all’estero ricava pur sempre 1 dollaro; ma quando egli lo reca all’ Istituto cambi, come la legge gli impone di fare, riceve solo 4 scellini. Pochi, egli pensa; e non coprono i costi o non lasciano margine. Perciò egli non esporta o esporta sempre meno. L’ Istituto cambi deve risolvere il problema della quadratura del circolo; contro i pochi dollari che riceve per merci esportate dovrebbe dare molti dollari per merci importate. Naturalrrieqte, T Istituto

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si difende, come può: chiama a raccolta gli industriali ed i commercianti e dice: ecco i miei pochi dollari; bisogna razionarli e ripartirli equamente fra voi. E quelli rissano e si accoltellano, con grave scandalo del Dott. Kienboch, il governatore dell’ Istituto di emissione di cui parla Morgen- stern. Peggio: le merci, contingentate, si rarefanno sul mercato interno e rincarano. Chi non riuscì a procurarsi, per contingente legale, i dollari utili a comperare materie prime, cerca di procurarseli sottomano da chi ne ha ricevuti troppi o preferisce lavorar oggi meno di quanto facesse nell’anno (suppongasi 1929 o 1930) che servì di base alla ripartizione della esistente provvista di cambi. Il prezzo corrente, risaputo ufficiosamente, ma ignorato ufficialmente, del dollaro utile a comprare all’estero lana, cotone, pelli, ferro, carbone sale da 4 scellini a 6, ad 8, forse a 10 scellini. Le materie prime estere aumentano di prezzo e, per simpatia, fanno altret­ tanto quelle nazionali. I costi di produzione salgono; e gli esportatori diventano sempre meno capaci ad esportare prodotti finiti su quei benedetti mercati esteri, su cui essi si ostinano a valere l dollaro; che, portato agli sportelli dell’ Istituto cambi, è mutato nei soliti 4 scellini. G li esportatori si lagnano di non poter vendere; l’ Istituto preme perchè si venda. La via di uscita si trova o con premi di esportazione o consentendo all’esportatore di tener per sè tutti o parte dei dollari ottenuti dalle vendite all’estero e di venderli a trattative private a 6, a 8 ed a 10 scellini l’uno.

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320 LUIGI EINAUDI

In sostanza, l’ufficio degli economisti viennesi fu unicamente quello di ripetere con infinite varianti la dimostrazione della verità elementare che l’unico cambio stabile è quello corrispondente alla realtà dei fatti; ed i fatti sono i costi e i prezzi quali vengono fuori dalle contrattazioni degli interessati in un mercato nel quale si fanno molte contrattazioni. Non fu agevole cosa appurare i fatti atti a persuadere l’opinione pubblica, della quale il dott. Kienbòch, governatore dell’ Istituto di emissione, giustamente voleva avere il consenso prima di decidersi a quella abolizione del controllo dei cambi della cui convenienza egli era arciconvinto. In un paese a cambi controllati quali sono invero i prezzi effettivi? Come si calcolano? Come si conoscono e si apprezzano, accanto ai prezzi palesi, i premi pubblici e privati, i sovraprezzi di valuta estera, l’incidenza media dei dollari acqui­ stati privatamente ad alto prezzo sul costo medio delle materie prime? Batti e ribatti, il giovane direttore dell’Istituto per le ricerche sulla congiuntura ed ai suoi colleghi economisti riuscirono finalmente a trascinare con sè l’opi­ nione pubblica, a mettere in chiaro e ridurre al nulla i vuoti sofismi con i quali si alimentano i pazzi terrori del volgo in materia monetaria. Ed è sin­ golare l’omaggio che il teorico tributa al pratico per la lentezza, la pru­ denza, gli avvedimenti accorti con cui il pratico governatore dell’Istituto di emissione riuscì a mascherare, mentre procedeva innanzi sulla via della libertà dei cambi, il proposito di abolire interamente il controllo. Il Mor- genstern è teorico valoroso anche perchè vede che al teorico non giova pretendere l’attuazione immediata e piena della libertà astratta. Il teorico, il quale abbia tali sciocche pretese, non è un vero teorico; è un dottrinario, il quale non sa che i fattori dell’azione sono infiniti, e che l ’arte del politico sta nel cogliere il momento per raggiungere il voluto scopo senza suscitare difficoltà dovute agli imponderabili, ognuno dei quali non vale logicamente nulla, ma tutti insieme possono far miseramente naufragare l ’impresa più bella, ove non si sappia farne giusto conto, passando oltre solo quando il peso maggiore dell’imponderabile è dalla parte del riformatore.

La insistenza del Morgenstern nell’affermare che gli economisti deb­ bono adempiere al dovere di illuminare ma non debbono presumere di ve­ dere tradotti subito e intieramente in atto i loro insegnamenti, si accom­ pagna alla prudenza con la quale egli raccomanda l’esempio austriaco alla

imitazione altrui. Sì, l’esempio gli pare imitabile; ma le circostanze possono essere in altri paesi diverse e possono sconsigliare l’esperimento od almeno suggerire modalità diverse di applicazione. Egli stesso addita^ una circo­ stanza che capitò in buon punto a favorire l’esperimento successivo : i prezzi

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IL CONTROLLO DEI CAMBI ESTERI IN AUSTRIA 321

mondiali ribassarono quando si lasciò svalutare lo scellino; e perciò i prezzi austriaci, i quali avrebbero dovuto crescere, rimasero fortunatamente fermi, sicché il popolo quasi non si accorse del mutamento. Sarebbero altrettanto fortunati gli altri paesi se volessero ritentare l’esperimento?

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