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Rivista di storia economica. A.03 (1938) n.4, Dicembre

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difetta da Jluigi Einaudi

Direzione: Via lamarmora, 60 - Torino. Amministrazione: G iulio Einaudi editore. Via Arcivescovado, 7 - Torino — Abbonamento annuo per l'Italia L. 40. Estero L. 50. Un numero L. 12.

Anno III - Numero 4 - Dicembre 1938 - XVII

Giovanni Lorenzoni : Il podere famigliare nell'Alto Adige da Maria Teresa ad o g g i... Pag. 281 Luigi Einaudi : l'unità del podere e la storia catastale

delle f a m i g l i e ...» 303 NOTE E RASSEGNE:

Aldo Maulino: Intorno a un teorico del materialismo

s to r ic o ...» 331 Luigi Einaudi: Di una disputa fra Maffeo Panlaleoni

e Giovanni M o n te m a rtin i...» 335 » » Di due investimenti di capitale nel tempo

dal 1863 al 1937 » 339

» » Volumi in o n o r e ... » 342 » » Ancora a proposito di edizioni e di

alcuni libri editi da Giuseppe Laterza in Bari . . » 349 Mario De Bernardi : Appunti iPer l'ottima terminologia) » 354 RECENSIONI :

L. E. : su libri di Serafino Ricci, Alfred Doren, Florence Elder, Fausto N icolini, Cassa di Risparmio di Bo­

logna, Nuova collana di economisti, Gaëtan Pirou » 357 TRA RIVISTE ED ARCHIVI:

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on accade spesso che nella medesima rivista due collaboratori si trovino senza farlo apposta a sostenere tesi opposte. Giovanni Lorenzoni e Luigi Einaudi sono tuttavia accomunati dal punto di partenza, uguale per amendue: l’osservazione condotta per lunghi anni ad occhi aperti di quel che accade nel mondo rurale in cui vivono non breve parte dell’anno. Da quel che egli osservò nell’Alto Adige Giovanni Lorenzoni trasse motivo di reputare l’istituto del « rnaso chiuso », o podere conservato intatto nella medesima famiglia dalla legge e dalla consuetudine, fondamento di sta­ bilità sociale e di progresso agricolo. Da quel che vide nelle colline pie­ montesi Luigi Einaudi argomentò invece ai pericoli dei vincoli posti dalle leggi al frazionamento della terra ed al libero suo trapasso. 1 due colla­ boratori non sanno, scrivendo lontanissimi l’uno dall’altro, del contrasto che nello stesso fascicolo si manifesterà tra le loro tesi; epperciò il con­ trasto è più spontaneo e suggestivo. E vero contrasto? Sia lecito al compi­ latore della rivista dubitarne. Le due tesi riflettono situazioni e tradizioni diverse. Il Lorenzoni non vuole invero trasportare senz’altro il suo ma­ gnifico « rnaso chiuso » nelle altre regioni d'Italia e ne affida la estensione alla persuasione ed all’esperienza. N è l’ Einaudi nega i vantaggi del mettere forzosamente in monte le terre troppo frammentate ; ma vuole che l’opera aell'' ammontamelo sia compiuta nei casi e nei luoghi ad essa adatti.

La rubrica delle Note e Rassegne vuole, a proposito di libri, porre problemi od indicare soluzioni. A proposito di Antonio Labriola, Aldo Mautino ripropone il problema del valore scientifico degli scritti degli uomini forniti di viva passione politica; ed a proposito di terminologia

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minazioni date alla storia della scienza e dei fatti economici; il titolo me­ desimo della nostra rivista sembrandogli tollerabile solo per ragione pratica di brevità. Le altre note richiamano spunti di dibattiti o risultati di ricerche qui auspicate. Paiono particolarmente notabili le risposte che il Capodaglio diede al quesito: quale fu in passato il rendimento del capitale? Nei due casi accuratamente studiati, il rendimento netto effettivo appare quel che razionalmente potevasi supporre e cioè tendente a dimensioni evanescenti.

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N I C C O L Ò TONINI A M K O

D I A R I O I I T I H O

A CURA DI RAFFAELE CIAMPINI

SECONDA EDIZIONE AUMENTATA L . 25

A dire il vero, questo è un libro fortunato. Dopo soli nove mesi si ristampa, interamente riveduto dal solerte Ciampini; e proprio al momento della nuova edizione questi ha la meritata ventura di scoprire pagine e pagine inedite, da aggiungere a un’opera certo unica nella nostra letteratura, documento psicologico d’ineguagliabile immediatezza.

G E R T R U D E I T E I N

A U T O B I O G R A F I A

D I

A L I C E T O K U A S

TRADUZIONE DI CESARE PAVESE

li. 20

Memorie d’una grande scrittrice americana, che ha voluto veder rifran­ gersi la propria esistenza attraverso la petulante bonomia della sua segre­ taria, supposta autrice di questo veridico libro. Tutto quello che Gertrude Stein non avrebbe potuto dire in persona prima su di se, sugli scrittori del nostro tempo, sui grandi pittori (da Matisse a Picasso) che le sono stati vicini più d’ogni altro, è narrato invece in terza persona, con un im­ pagabile finto distacco che non esclude l’affettuosità e la poesia.

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P I C C O L A S T O R I A

D E L L A HATEI HATI CA

TRADUZIONE DI S. CASAVECCHIA

In broHHiira: li. 2 0

R ile g a to in te la a ra n c io n e : li. 2 5

Le sue straordinarie doti di perspicuo espositore d'ogni più arduo argo­ mento matematico dovevano per forza indurre il Colerus a cimentarsi con un’esposizione sintetica dello sviluppo delle conoscenze matematiche dal­ l’antichità ai giorni nostri. Il libro è riuscito superiore ad ogni aspettazione. In esso l’arte di graduare sapientemente le difficoltà procede di pari passo

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A I I E L ,

O D E L L A T I M I D E Z Z A

TRADUZIONE DI MARIO F. CANELLA

li. 13

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A. C. P I G O U

C A P I T A L I S M O

E

S O C I A L I S M O

CRITICA DEI DUE SISTEMI

TRADUZIONE DI GIORGIO BORSA

L. 12

Non c’è bisogno di presentare il professor Pigou ai lettori di questa rivista. Tutte le sue doti di espositore, di critico, di polemista si manifestano in questo saggio, che serve innanzi tutto a richiamare alla realtà dei fatti i semplicisti e i miracolisti dell’economia. Avremmo forse potuto intitolarlo ciò che è vivo e ciò che è morto del capitalismo.

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Il podere famigliare nell* Alto Adige

da M aria Teresa ad oggi.

Percorrendo le finitime provincie di Trento, (Trentino), e di Bolzano (Alto Adige), geograficamente ed agrariamente molto simili, non si può non rimanere colpiti dalla loro profonda diversità sociale, la quale si ri­ specchia in modo particolare nel diverso tipo di insediamenti, nella distri­ buzione della proprietà fondiaria, nell’organizzazione dell’azienda agricola, nel diverso tenor di vita, e nel movimento della popolazione.

Nel Trentino prevale il sistema delle abitazioni accentrate in villaggi • compatti, dai quali i contadini si dipartono ogni giorno per lavorare nei

campi, nell’Alto Adige invece predominano le abitazioni disperse collocate nel centro di poderi situati sugli altipiani o sulle pendici coltivabili, o nel fondo valle. Villaggi esistono naturalmente anche qui, ma servono soprat­ tutto di sede al municipio, alla chiesa, alla scuola, a tutti gli uffici statali e comunali, agli artigiani ed ai negozianti o a qualche ricco proprietario. E normalmente ogni casa è isolata dalle altre da un piccolo orto. La popo­ lazione rurale abita fuori, nei masi o poderi alpestri, spesse volte distanti varie ore di cammino dal centro amministrativo del comune. Le aziende sono qui pertanto per la più gran parte riunite in uno solo o al massimo in due o tre complessi di terra lavorabile, completati da altre superfici di carattere silvo-pastorale in parte di proprietà privata, più spesso vicinale o comunale, che si trovano alla periferia di quelle o sulle altitudini maggiori.

Parallelamente varia l’unità aziendale media, che nel Trentino è poco

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282 GIOVANNI LO RENZO NI più di un terzo di quella dell’Alto Adige. Per di più nel Trentino la pro­ prietà del terreno lavorabile è oltremodo frazionata e dispersa ai quattro venti. Nell’Alto Adige invece fondi isolati e dispersi li troviamo solo nelle vicinanze immediate dei centri maggiori: per il rimanente prevale di gran lunga il podere organico, sul quale risiedono contadini « autonomi ».

Se dalla forma esterna passiamo al contenuto ci accorgiamo subito che, generalmente parlando, le condizioni dei contadini nell’Alto Adige sono sen­ sibilmente migliori di quelle dei contadini del Trentino (quando si eccet­ tuino le plaghe frutticole della Val di Non). Ne fanno fede le case assai più ampie e più belle ed il tenor di vita superiore. Inoltre la popolazione dal 1921 ad oggi è sensibilmente aumentata nell’Alto Adige, passando da una densità di 33 abitanti per km. 2 nel 1921 a 42.8 abitanti nel 1936; diminuita invece nel Trentino passando da 62 ab. per km. 2 nel 1921 a 58 abitanti nel 1936.

Le ragioni di questo diverso stato di cose sono naturalmente molteplici; ma per quanto riguarda l’insediamento, la distribuzione ed organizzazione della proprietà fondiaria la causa determinante è indubbiamente il diverso regime ereditario vigente già di diritto, ora di fatto nell’Alto Adige.

In quasi tutta questa regione (ad eccezione di qualche tratto fra Silan- dro e Curon in Val Venosta) troviamo in vigore sin dai più antichi tempi quelle costumanze ereditarie che sembrano essere una caratteristica della maggior parte delle schiatte germaniche ossia il sistema in forza del quale il fondo famigliare si trasmette indiviso preferibilmente in linea maschile ad uno solo dei discendenti (di primogenito in primogenito o di ultimoge­ nito in ultimogenito) venendo tacitati in danaro i coeredi, ma con tratta­ mento di favore all’assuntore del fondo.

Tale costumanza trovò una prima sistemazione giuridica già sotto Ma­ ria Teresa colla patente contro il frazionamento dei fondi dellTl agosto 1770, seguita dalla patente di Francesco II del 9 ottobre 1795 sulla succes­ sione ereditaria dei contadini, rinnovata e rinforzata da un editto del 17 lu­ glio 1850. Queste leggi (applicate solo alla parte tedesca della allor detta contea principesca del Tirolo) rispondevano così bene alle condizioni obbiet­ tive del paese ed alle tradizioni familiari contadine da rimanere in vigore anche quando sopravvenne l’ondata liberale del 1868 che permetteva alle provincie austriache ove esistessero disposizioni vincolistiche di liberarsene. Non solo il Tirolo non ne fece alcun uso, ma accettò con premura la legge

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definitiva sui masi chiusi emanata il 12 giugno 1900 dalla provincia del Tiralo in esecuzione di una legge di carattere generale (1) del f aprile 1889.

Tanto la patente di Maria Teresa, quanto quella di Francesco II e la più recente legge provinciale del 1900 tendono al medesimo scopo e cioè:

a) a limitare la libertà del proprietario di disporre del maso onde evi­ tarne un frazionamento antieconomico e;

b) a trasmettere nella famiglia il podere famigliare o maso (Hof). La legge provinciale del 12 giugno 1900 (modificata parzialmente con una aggiunta pari data e con un’altra del 26 gennaio 1928) considera maso chiuso (2): «ogni possesso agricolo provveduto di una casa di abitazione che si trovi iscritto nella sezione dei masi chiusi del libro catastale comu­ nale » (art. 1). La iscrizione in detta sezione avviene: a) ipso jure quando si tratti di possessi agrari i quali siano stati iscritti come masi chiusi già nell'antico catasto del 1787, purché risultino tuttora forniti di case d'abi­ tazione e in grado di mantenere la famiglia che li esercisce; b) su domanda del proprietario, la quale verrà accolta « quando non esistano rilevanti obiezioni di natura economica o colturale contro la riunione di vari fondi in un maso chiuso e purché la rendita media del maso da fondarsi sia sufficiente a mantenere una famiglia di almeno 5 persone senza superare il quintuplo di tale rendita (art. 3). Non si possono introdurre modifica­ zioni nella composizione, e nella estensione dei masi chiusi (incluse le loro pertinenze), senza il permesso dell'autorità competente, (art. 2) che deve ispirarsi ai superiori interessi dell'agricoltura salvaguardando l'orga­ nicità dell'azienda.

Di regola è vietata la riunione di due o di più masi chiusi in uno solo. In via eccezionale può venir accordata l’autorizzazione di riunire due masi quando uno di loro non sia sufficiente a mantenere una famiglia di cinque persone e purché non si sorpassi mai l’estensione massima di cui all’art. 3 e non ne derivino danni economici o colturali (art. 4). Si vuole con ciò evitare l’accentramento della proprietà e creare un forte ceto medio con­ tadino.

(1) L'ex-Austria soleva per certe materie emanare delle direttive generali valevoli per tutto l'impero, lasciando alle provincie di adattarle nei dettagli alle condizioni specifiche delle varie regioni. Esse venivano chiamate leggi-cornice (Rahmengesetze).

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284 GIOVANNI LO RENZO NI È ammesso il distacco di parti di un maso chiuso purché questo rimanga in grado di mantenere una famiglia di almeno cinque persone e non si ab­ biano a temere rilevanti danni economici o colturali. Il distacco potrà inoltre venire autorizzato quando alla parte ceduta ne venga sostituita un’altra di ugual valore per l'economia del maso. Si può altresì porre la condizione che le aree cedute vengano a far parte di un podere del compratore. Se esso non fosse un maso chiuso, ma potesse diventar tale in seguito alle opera­ zioni di cui sopra, si può far dipendere il permesso dalla trasformazione di detto podere in maso chiuso (art. 5).

Accanto al maso chiuso vi possono essere altri fondi che non ne fanno parte, chiamati fondi vaganti (walzende Grundstücke). Di essi il proprieta­ rio può di regola disporre a suo piacimento (art. 8) purché non ne conse­ guano eccessivi frazionamenti. Con questa e con la precedente disposizione si vuol garantire una certa mobilità al mercato fondiario.

Molto importanti sono gli articoli relativi alla successione ereditaria del maso. L’art. 15 dispone che se vi sono più coeredi il maso assieme alle sue pertinenze ed aU'inventario debba passare indiviso ad una sola persona cioè all’Anerbe (erede privilegiato).

Se i coeredi sono fratelli e sorelle e se l’erede chiamato ad assumere il maso come pur tutti od alcuni dei coeredi o i loro rappresentanti legali ne facciano proposta, si può differire la divisione. In questo caso il maso deve aggiudicarsi ai rispettivi fratelli e sorelle come proprietà comune sotto ri­ serva che l’erede chiamato ad assumerlo potrà in ogni tempo far valere que­ sto suo diritto (art. 16).

L’assuntore del maso viene stabilito secondo il diritto e l’ordine della successione legittima. Nel caso vi siano più coeredi ed in mancanza di un accordo si deve scegliere l’assuntore del maso secondo queste norme : 1) I pa­ renti più vicini hanno precedenza sui più lontani. Fra parenti di uguale grado sono da preferire i maschi alle femmine. E fra i parenti maschi di uguale grado ha la precedenza il più anziano. Se sono della stessa età (gemelli) de­ cide la sorte. Però in ogni caso i discendenti di figli premorti hanno la pre­ cedenza sui discendenti di figlie premorte. Se il figlio maschio che sarebbe secondo quanto precede designato alla successione si sposa rimanendo sul fondo e muore prima del proprietario del fondo lasciando un figlio maschio, se questi è in vita alla morte dell’ereditando, spetta a lui di succedergli nella proprietà del maso. 2) I figli naturali hanno la precedenza sugli adottivi, i legittimi sugli illegittimi; i legittimati sono uguagliati ai legittimi. 3) Se l’ereditando muore senza lasciare figli e se il maso gli era pervenuto in tutto

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o in massima parte per eredità dall’uno e dall’altro dei suoi genitori gli succedono i più prossimi parenti del genitore da cui ebbe in eredità il maso. 4) Non possono assumere il maso: a) gli interdetti; b) chi appaia incapace di amministrare il maso per difetti fisici o mentali; c) chi abbia una manifesta tendenza alla dissipazione; d) chi per esigenze della professione che esercita sia impedito di soggiornare sul fondo e di amministrarlo personalmente; e) gli assenti da oltre due anni che non abbiano fatto conoscere la loro dimora e del ritorno tempestivo dei quali ci sia motivo di dubitare. In tutti questi casi succede colui cui sarebbe pervenuto il fondo se gli esclusi non fossero esistiti. 5) Se l’erede designato quale assuntore del fondo (Anerbe) fosse alla morte dell’ereditando già proprietario di un maso, deve venir posposto agli altri coeredi, salvo che non preferisca lasciare al prossimo coe­ rede il proprio maso ed assumere il nuovo alle condizioni di cui all’art. 19. Tale articolo, che è decisivo per l’esistenza dell’istituto del maso chiuso e di tutti i regimi basati sul vincolismo famigliare, dispone che : « qualora l’ereditando non abbia nulla stabilito circa il prezzo di assunzione del maso, e non si giunga ad un accordo fra coeredi, spetta al giudice di determinarne il valore secondo il suo equo parere, ma in modo che l’assuntore del fondo possa vivere bene. La decisione del giudice dev’essere preceduta da una stima peritale e dal parere del sindaco. La stima deve tener adeguato conto del valore di reddito effettivo del fondo. L’inventario deve pure venir stimato, non però separatamente, ma insieme alla totalità del maso ». In altre parole si vuole che la stima risulti inferiore al valore di mercato del fondo per non schiacciare sotto i debiti l’assuntore del maso.

Se i coeredi non si accordano circa il tasso dell’interesse e il pagamento delle quote da parte dell’assuntore del fondo, spetta al giudice pronun­ ciarsi in proposito. « In ogni caso però deve venir accordato all’assuntore del fondo dietro sua domanda un termine di tre anni per assolvere i suoi impegni verso i coeredi » (art. 21).

Se dell’eredità faranno parte diversi masi chiusi, e vi sono diversi eredi, ciascuno di essi è chiamato all’assunzione di un maso nell’ordine pre­ veduto dalla legge, rimanendo ad ognuno, entro il proprio ordine di suc­ cessione, libera la scelta fra i vari masi. Questo provvedimento si ripete se vi sono più masi che eredi.

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286 GIOVANNI LO RENZO NI La legittima è salvaguardata a norma dei §§ 765 e 766 del codice civile. Essa deve venir commisurata sulla base del valore del fondo calco­ lato secondo l'art. 19. Ma tale valore non potrà mai venir fissato in un importo inferiore a quello preso a base per il pagamento allo stato del­ l’imposta sul trasferimento di patrimoni (art. 25). Non deve considerarsi quale decurtazione della parte legittima la disposizione testamentaria in forza della quale le quote ereditarie possono diventare esigibili solo alla maggiore età dei coeredi, rimanendo frattanto l'assuntore del fondo obbli­ gato a dare ai coeredi una conveniente educazione e se necessario a mante­ nerli. Si può altresì pattuire che i fratelli e le sorelle dell’erede preferito possano, divenuti vecchi, ritornare nella ex-casa paterna per passarvi in pace gli ultimi anni. Ma non pare che di questa facoltà si sia fatto grande uso.

Ciò premesso e sempre salva l’integrità del maso, questo può essere dal suo proprietario venduto o ceduto per atti tra vivi o mortis causa ma come un tutto e senza perdere la qualità di maso chiuso, quindi solo a chi si sottoponga alle condizioni per esso indicate, ossia praticamente solo a coltivatori diretti.

L’autorità di prima istanza è costituita da una commissione comunale dei masi che si compone di un funzionario dell’amministrazione dell’in­ terno, di un delegato del comune e di un rappresentante del consorzio agra­ rio distrettuale eletti per tre anni dal consiglio comunale o dalla giunta del consorzio. Ove questo manchi « subentra come terzo membro della commis­ sione per i masi il capocomune (sindaco) o il suo sostituto » (art. 9). In se­ conda istanza decide una commissione provinciale per i masi.

Questo sistema, valevole nelle sue linee principali non solo per il Ti- rolo tedesco, ma per tutte le provincie di lingua tedesca dell’ex Austria, tro­ vava il suo equivalente nell’Anerbenrecht vigente in quattro quinti della Germania prenazista e nell’istituto norvegese dell’Odal (3).

Leggi o costumanze ereditarie basate su principi analoghi trovammo nella Svizzera tedesca, nel centro e nell’Occidente della Boemia, nella

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provincia tedesca di Posen ora passata alla Polonia, in una parte dell’Olanda; in alcune regioni montuose della Francia, già prima della recente riforma, in Svezia ove esisteva fino al 1863 il cosidetto Bòrdsrecht parzialmente rista­ bilito nel 1926, in Danimarca ove c'è piena libertà di testare con la pratica conseguenza che nelle campagne i poderi passano generalmente indivisi di padre in figlio e similmente nella Gran Bretagna dove c’è pure illimitata libertà di testare senza nemmeno la riserva, ma dove in caso di morte ab intestato il fondo passa al primogenito; ecc.

Contro il sistema vincolistico si sono elevate molte critiche così come contro quello che ammette una illimitata divisibilità dei fondi. Ma per quanto riguarda la provincia di Bolzano alla quale noi in questo scritto vo­ gliamo limitarci, il sistema vincolistico non ha portato, credo, altro che bene. Lo prova già il fatto che pur essendo stato introdotto in quella provincia il nostro codice civile già nel 1929 e quindi abolite le leggi vincolistiche, le antiche usanze non furono affatto abbandonate e il trapasso dei fondi avviene generalmente (per testamento o per accordo fra coeredi) di primo­ genito in primogenito; con tacitazione dei coeredi secondo le condizioni dell’antico Hofrecht suddescritto. Solo in famiglie ove sia penetrata la discordia si fa uso della facoltà di chiedere ab-intestato la divisione in natura, e in quote parti uguali, o, altrimenti, il pagamento della legittima sulla base del valore di mercato del podere, o la vendita di questo per divi­ derne il prezzo. Né affermo ciò a caso, ma sulle basi d’una inchiesta da me fatta negli ultimi tre o quattro anni in quasi tutte le vallate dell’Alto Adige. Tutte le volte poi che una divisione nei termini e per i motivi anzidetti fosse avvenuta era una iattura. La famiglia contadina di disgregava, e si assisteva o ad una proletarizzazione dei suoi membri i quali disponendo di particelle di terreno insufficienti a mantenerli dovevano occuparsi come giornalieri o come operai ecc.; o ad un assorbimento della proprietà coltivatrice da parte di elementi capitalistici, in particolar modo da parte di ricchi nego­ zianti o macellai locali, o di albergatori, o in qualche caso (raro però nel­ l’Alto Adige) di professionisti o di signori immigrati.

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288 GIOVANNI LO RENZO NI Essa contava infatti nel 1931 una popolazione presente di 269.610 abitanti, cresciuta nel 1936, a 303.306, adunque di 33.696 unità. Di queste quasi esattamente 12.000 andavano a beneficio del capoluogo e rap­ presentavano in massima parte popolazione immigrata, ma le rimanenti si distribuivano un po' su tutti i paesi. Su 92 comuni solo 13 segnalavano una lieve diminuzione, e cioè di soli 817 abitanti, dei quali 282 a Caldaro gra­ vemente colpita dalla crisi del vino, e 163 a Chiusa.

Tutt’altro il quadro nella provincia di Trento. Questa nel 1931 aveva una popolazione presente di 389.185 abitanti diminuiti nel 1936 a 384.610, con una perdita dunque di 4575 unità. Su 127 comuni ben 86 avevano visto diminuire la loro popolazione: in uno era rimasta stazionaria; negli altri 40 era lievemente aumentata. Solo nel capoluogo l'aumento fu note­

vole e cioè di 1793 unità, ma sempre di quasi sette volte minore di quello di Bolzano. Fuori del capoluogo segnano un aumento i centri turistici (Arco, Cavalese, Canazei, Coredo, Primiero, Tiarno ecc.) quello industriale di Ro­ vereto o i paesi frutticoli della Valle di Non (Cles, Tassullo, Denno, Livo). In altre parole mentre la provincia di Bolzano aumenta in un solo lustro la sua popolazione presente del 12,50 per cento; quella di Trento vede dimi­ nuire la sua deU’1.2 °/o. Fra il 1921 ed il 1931 lo scarto fu anche maggiore, come risulta dalle cifre della densità già citate.

Se spingiamo il confronto più in là contrapponendo l’Alto Adige alle più elevate regioni alpine del Piemonte, della Lombardia e del Veneto (Cadore, Comelico, Friuli) il quadro che ne risulta è ancor più doloroso. Interi gruppi di casolari sono qui abbandonati. Si vedono case scoperchiate, cadute in rovina, come se fosse passato un terremoto; villaggi interi vanno totalmente spopolandosi, la terra non rende più. Rarissimi i proprietari au­ tonomi. La quasi totalità dei contadini sono proprietari di piccolissime su- perfici o di strette striscie di terreno disperse ai quattro venti. I pascoli ed i boschi, non radicati sopra un’unità agraria organica, come accade nell’Alto Adige vengono soverchiamente sfruttati da una popolazione povera, e de­ gradano. Cosicché ci si domanda: perché dunque non si ricorre anche qui al vincolismo famigliare? E la domanda che mi sono tante volte posta; e che tante volte ho posta ai miei amici del Trentino.

« Noi riconosciamo » essi rispondevano « i vantaggi del sistema del maso chiuso, ma dubitiamo che possa venir applicato ai nostri montanari, perché ne ferirebbe troppo profondamente il principio da essi ritenuto unico giusto e morale (salvo circostanze speciali), di trattare ugualmente, od al­ meno non troppo disparatamente i propri figli ». Né diversamente mi

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aveva risposto la maggioranza degli interrogati in tutti gli altri comparti- menti italiani, né diversamente mi risposero, egregi colleghi con cui mi fossi in recenti congressi o in private conversazioni intrattenuto.

Che fare dunque? Adagiarsi nella tradizione può essere comodo, ma non sempre saggio. Rispettare il sentimento popolare sta bene, ma se si reputa che esso noccia alla totalità si deve tentare di cambiarlo. La cosa non è impossibile, perché vi sono già nel nostro paese delle zone ove si cerca per quanto lo consentono le disposizioni del nostro codice di salva­ guardare l'unità culturale, mantenendo il più a lungo possibile il podere nella famiglia (4): e perché sempre più chiara diventa nel nostro popolo la co­ scienza degli inconvenienti ai quali il sistema della libera divisibilità può condurre e di regola, almeno in montagna, conduce.

Generalizzare è certamente errato (5). La forma non può tutto ed essa può venir diversamente usata dal soggetto che se ne vale. Ma pare indubi­ tato che il sistema della libera divisibilità conduca all'una o all’altra di queste conseguenze:

a) o ad una frammentazione della proprietà e conseguente disper­ sione dei fondi talmente eccessive da privare la proprietà stessa del suo vero contenuto e da convertire il contadino in proletario.

b) od al mantenimento di una relativa unità fondiaria, ma a prezzo di sacrifici eccessivi da parte dell’erede assuntore, che debba tacitare in da­ naro i coeredi sulla base del valore di mercato del fondo.

Tutte e due ne portano poi con sé una terza :

c) di costringere l’agricoltore ad un’opera di Sisifo, eternamente rin- novantesi.

E valga il vero. Possegga, poniamo, un contadino un bel podere ed abbia quel numero di figli che è normale nel nostro paese non ancor gua­ sto dalla propaganda neo-malthusiana : diciamo dai quattro ai sei figli fra maschi e femmine. Tale contadino sa che quel podere, in quella tal forma morirà con lui: sarà diviso per lo meno fra i maschi che dovranno in un

(4) Fra queste zone merita particolare e lodevole menzione il Cuneese e L. Einaudi che lo conosce bene lo deve aver avuto in mente quando in qualcuno dei suoi saggi dimostra come un buono ed intelligente padre di famiglia possa ovviare agli inconvenienti lamentati, senza bi­ sogno di emanare leggi eccezionali. Le nostre proposte non tendono che a spingere ulterior­ mente i contadini su questa via.

(5) Le quattro pagine seguenti sono riprodotte da un libro dello scrivente di prossima pubblicazione (G. Lorenzoni, La lolla per la terra e l'ascesa del contadino italiano nel dopo­ guerra. Relazione finale dell'inchiesta sulla formazione postbellica di piccola proprietà colti­

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290 GIOVANNI LO RENZO NI modo o nell’altro versare alle femmine la legittima. Se poi si accordano a che il podere sia assunto da uno solo, graverà su costui un peso immane. Dovrà ipotecarlo per ottenere il danaro con cui pagare i coeredi. Ma con­ tadino indebitato è mezzo rovinato. E ad ogni modo per allontanare la cata­ strofe dovrà sottoporsi per tutta la vita ad un lavoro logorante. E se non regge deve andarsene. Altri della sua stessa classe prenderà il suo posto; oppure la sua terra passerà ai « signori ». Comunque nel caso più favore­ vole, alla sua morte la situazione si ripresenterà com’era alla scomparsa del suo proprio genitore. Che se questi, in previsione di tali conseguenze, si sia sforzato ,a prezzo di duro lavoro e di sacrifici di allargare il suo pos­ sedimento per lasciare più terra ai suoi figlioli, le conseguenze non saranno che ritardate. Riuscito nel suo intento, quando suonerà la sua ultima ora suonerà con essa quella del suo podere che verrà diviso fra i figli, i quali come Sisifo spingeranno di nuovo (se avranno salde reni) il sasso in alto; donde terminata con la loro fatica la vita, il sasso rotolerà di nuovo in basso, in attesa che altri lo respinga in alto e così via senza fine (6).

Cosicché pesa sul contadino questa triste prospettiva che per quanto egli faccia mai giungerà ad una sistemazione stabile per sé e per la sua famiglia, venendo sempre respinto, presto o tardi, al punto di partenza.

Egli accetta, è vero, tutto ciò con antica rassegnazione ed ha malgrado ciò le sue ore radiose; ed è forse anche bello questo suo sforzo eroico verso una mèta non raggiungibile, come può sembrar generoso che tutti i figli siano trattati alla stessa stregua e tutti dividano il medesimo destino o lo affron­ tino da un comune punto di partenza: ma perché debbono i nostri conta­ dini piccoli proprietari, fiore della classe agraria, condurre una tal vita, minacciata sempre di sfociare nella proletarizzazione? E quale posizione nello stato potrà prendere una classe, che, pur rappresentando la massima garanzia per il mantenimento della pace e dell’ordine sociali, non è essa

(6) A quale punto morboso possa giungere questo esasperato ed esasperante desiderio di uguaglianza lo mostra questo episodio che del resto c tutt'altro che unico. Essendomi re­ cato tre o quattro anni fa nel Monte Amiata dalle mura meridionali del paese di Monte Giovi (presso Casteldelpiano) il perito agrario del luogo mi fece vedere un piccolo prato sotto­ stante, sul quale erano 5 olivi con chioma piuttosto ampia che quasi si toccavano. « La proprie­ taria testé defunta », il cortese informatore mi disse, « lasciò le sue terre in parti uguali ai suoi cinque figlioli. Ebbene tutti e cinque vollero dividere in 5 natte anche questo fondo, anche que­ sto prato, e quindi ognuno dei cinque olivi ha diverso padrone ». Ma ciò è vero anche dei ca­ stagni. Due sorelle ereditarono mezzo castagno ciascuna! Giuseppe Giacosa che conosce molto bene la valle d'Aosta scriveva : « Chi possiede ha per lo più il poco avere sminuzzato in altret­ tanti campi lunghi e larghi talora come l'ombra che manda il corpo del padrone nell'ora del tramonto : ed è gente di piccola statura. Tali campi sono disseminati qua e là, rubati alle frane, al pruneto, alla roccia e circondati spesso da luoghi incolti e deserti ». G. Tassinari (in Ri­

composizione dei fondi, Piacenza, 1924) riporta esempi eloquenti. A. St. Denis ventidue ettari

erano divisi in 315 appezzamenti; a Fenis 200 are erano divisi in 29 appezzamenti, ecc.

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stessa inai sicura di rimanere sul gradino duramente conquistato? e che per tutta la vita sarà assillata da cure materiali?

Come condannare i contadini francesi se essi per evitare questa con­ seguenza limitano artificialmente le nascite a. due figli, sistema, che, se non corretto dalla immigrazione, porterebbe al dimezzamento della popolazione

francese entro 50 anni?

E chi ci garantisce che anche da noi non si addivenga col tempo a tale infausta situazione?

Ben diverso il quadro nelle regioni ove viene praticato il sistema della trasmissione indivisa del fondo senza gravare l’assuntore oltre il limite sopportabile dal fondo stesso. Qui nessuno, che sappia amministrare il po­ dere da buon padre di famiglia, deve temere di vederlo smembrato e la sua famiglia decadere dal rango autonomo a quello particellare o proletario. Qui si forma una classe ben salda e ferma, veramente indipendente, gelosa cu­ stode della tradizione e delle glorie famigliar! e, per riflesso di quelle pae­ sane e nazionali. Qui non sono da temere le tremende lotte per la suc­ cessione che tante volte hanno insanguinate le zolle; qui nel mutevole corso degli eventi la cellula fondamentale di ogni società, la famiglia, ri­ mane incrollata ed incrollabile, il passato continua nel presente e si pro­ lunga nell'avvenire. Qui il podere avito, la « corte » od Hof resta la rocca nella quale anche i figli cadetti possono trovare rifugio materiale e morale nei momenti di bisogno o di sconforto. Fra la terra e l’uomo qui non v’è legame effimero, ma saldo e continuo; l'uomo, maritandosi con essa, ag­ giunge il nome della terra al suo ed i vicini lo chiamano con quello più sovente che con questo. Qui si forma una vera aristocrazia popolare basata sulla laboriosità e sull’onestà, indistruttibile finché queste doti non vengano meno. Qui aspro e difficile può essere il lavoro, ma non mai fatto invano: spinto una volta il sasso sulla cima, non rotola più ineluttabilmente in basso e non si deve ricominciare da capo. Gioia quindi e sicurezza e di­ gnità in tal lavoro. Qui non agisce un egoismo individualistico; ma se mai il sacro egoismo famigliare. Il capo del podere autonomo si sente vera­ mente capo, e tratta da pari a pari anche i membri delle cosidette classi superiori. Egli si sente investito d’un feudo non conferitogli però da un « signore » ma dai suoi propri anche lontani antenati, quasi a dire da Dio. Qui si forma una mentalità d’uomo dominatore non di uomo schiavo (7).

(20)

nel-292 GIOVANNI LORENZONI « Tutto ciò sta bene », obbietterà qualcuno e l’obbiezione ha indubbio valore, «m a i figli cadetti? ». Ebbene chi ha visto funzionare nella realtà i due sistemi può, credo, asserire che la posizione di questi nel sistema del maso chiuso non è tanto cattiva, come parrebbe di primo acchito. A prima vista si, sembra preferibile la situazione di colui che ha diritto di avere intera od in natura la sua parte. Ma se questa è piccola egli la venderà e cesserà di essere agricoltore; o la terrà, ma stenterà tutta la vita per conser­ varla od allargarla, finché alla sua morte i suoi figli la spezzeranno, avvi­ cinandosi ulteriormente verso la proletarizzazione.

Col sistema del maso chiuso almeno uno dei figli sta bene, sta bene la classe contadina come tale, la quale ha una sua propria dignità, un suo proprio rango nello stato: il contadino proprietario, è un, se pur minuscolo, re di Yvetot. I fratelli cadetti trovano appoggio in lui, nella solidarietà e

l'agosto del 1934. Fra i molti esempi, che tutti press'a poco si equivalgono, rileverò quello della famiglia Bolten di Misingen nello Schaumburg-Lippe, la quale da almeno settecento anni dimorava e dimora sullo stesso fondo. Era un'occasione festiva e tre generazioni vennero in­ contro agli invitati : la nonna di 78 anni, ma ancora vispa ed arzilla nel suo vestito di seta nera, con un po' di rossetto sulle guancie, perchè diceva « non voglio mostrare un cadavere agli ospiti », poi il proprietario: il Bauer, con la sua moglie vestita del magnifico costume lo­

cale, che si trasmette rinnovandolo di generazione in generazione, e la figlia ventitreenne, rag­ giante di salute, dagli occhi neri, vestita in un costume anche più ricco di quello materno: con un'antica collana di ambra del valore di più di duemila lire, i fermagli di argento sbal­ zato, orecchini d'oro. La famiglia possedeva in proprio trentadue ettari e manteneva cinque ca­ valli, quindici mucche, un toro, dieci vitelli e ventisette maiali da ingrasso. Il lavoro oltre che dai famigliar! veniva fornito da tre salariati fissi e da due domestiche; ed occasionalmente da avventizi. Ci fecero vedere la casa ad un solo piano completo ma con un alto tetto aguzzo, sotto il quale si trovavano distribuiti in due o tre piani i magazzini, la guardaroba e le camere della servitù. Si entrava in un atrio nel quale penetravano pure i carri per scaricare i raccolti. D i fronte vi erano la cucina ed i locali rustici che poi si prolungavano con le stalle in un'ala verticale al corpo principale; a destra ed a sinistra le camere d'abitazione con due salotti muniti di poltrone di cuoio. In un angolo isolato a cinquanta metri circa dalla casa un piccolo chalet intonacato di bianco, modesto, ma pulitissimo. « Cos'è questa casetta?» chiesi alla signorina. « E il Leibzucht o Alteriteli, rispose, ossia la casetta ove abiteranno i nostri genitori quando si ritireranno dal lavoro ». « Come Laerte » dissi quasi tra me. E la signorina sorrisc- accondiscendendo. « Ma allora lei conosce l'Odissea? ». « Ne ho qualche reminiscenza dal liceo ». «A llora lei non fa la contadina?». « O h , sì, signore. Guardi le mie m ani». Erano piccole ben fatte, ma callose come di chi lavora anche manualmente.

Sorprendendo questi « Bauer in giorni di lavoro lo spettacolo è ancora più interes­ sante. Capitai una volta in una di queste aziende, vicino ad Hamm, mentre si stavano vuotando e pulendo le stalle dei maiali. Vi erano adibite tre giovani ragazze dai piedi scalzi e le vesti succinte. Il padrone mi fece poi entrare nella camera da ricevimento comodamente mobigliata c con un bel pianoforte. «C hi Io suona?» chiesi. « U na di quelle mie figliole che Lei vide ora pulire la stalla ».

Il contadino vestfaliano e della bassa Sassonia è a vero dire forse unico al mondo. Gli si avvicina il contadino olandese, e un poco pure quello danese. Ma anche in altre parti della Germania (in tutte quelle dove da tempo vige il sistema dell'erede preferito) cosi come in alcune regioni francesi, negli Stati Uniti, nella Svezia e nella Norvegia, incontriamo un tipo non molto dissimile, che ho voluto e voglio qui ricordare qui per dimostrare che cosa possa veramente essere un coltivatore autonomo in condizioni favorevoli di ambiente e con tradi­ zione ed ordinamento giuridici adatti. Perchè non si potrebbe sognare qualcosa di simile anche per i nostri contadini?.

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nel buon nome della famiglia e della stirpe, purché, beninteso, la famiglia sia ciò che in tale sistema suole essere: una fortezza, una unità morale, una entità superiore agli individui che la compongono.

Appoggiati su di essa con l’esperienza acquistata, con l’educazione ri­ cevuta, e con il piccolo capitale loro dovuto dall’assuntore del fondo i cadetti trovano non troppo difficilmente occupazione in altre attività eco- miche od in impieghi pubblici o privati; od, alla peggio, rimangono a lavo­ rare presso il loro fratello maggiore.

Certo, la possibilità di collocarsi non è solo in funzione di detti fat­ tori: ma altresì della situazione generale politica ed economica del paese, della capacità di assorbimento delle sue industrie, del possesso di colonie di popolamento, ed infine dall'esistenza di una buona legge sulla coloniz­ zazione interna che procuri terra ai figli cadetti dei contadini, più di ogni altro meritevoli di averla.

Il contrasto fra i due sistemi è in realtà contrasto di due mentalità. Esso non si risolve col far trionfare o col ribattere obbiezioni di carattere contingente che possono valere o non valere secondo gli ambienti e secondo gli uomini cui si applicano.

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294 GIOVANNI LO RENZO NI

Specchietto ». 1.

NATI VIVI PER MILLE ABITANTI (8).

1. Provincia di Bolzano. Anno Zona 1 (Putteria) Zona 11 (Gardena) Zona 111 (Sarentino) Z o o . IV (A li. V e n a ti.) Zona V (Medio liarco) Zona VI (Media Venoata) Zona VII B ino Iiarco (Bolzano) Zona V ili (Merano) 1 9 3 1 2 8 .8 2 7 .0 2 7 .4 2 7 .0 2 2 .0 2 7 .7 2 1 .3 18.3 1 9 3 2 2 7 .7 2 3 .9 2 9 .1 2 6 .6 2 3 .3 2 8 .3 2 1 .4 1 7 .6 1 9 3 3 2 6 .3 2 5 .6 2 9 .1 2 5 .7 1 9 .8 2 4 .2 1 9 .6 17.1 1 9 3 4 2 5 .5 2 3 .9 2 3 .7 2 5 .3 2 0 .4 2 2 .6 18 .7 1 5 .8 1 9 3 5 2 6 .0 2 2 .8 2 2 .2 2 3 .0 1 8 .0 2 3 .1 1 9 .4 1 6 .8 • 9 3 6 2 4 .1 2 3 .0 2 2 .4 2 2 .4 1 9 .7 22.1 1 9 .7 15 .4 1 9 3 7 2 4 .5 2 3 .0 2 6 .0 2 1 .4 2 2 .7 2 2 .4 2 0 .2 17.1 2. Provincia di Trento. Anno Zona IX (Rovereto) Zone X (Rive) Zona X I (Trento) Zona XII (Tione) Zone XIII (Borio) Z o o . IV (Clet) Zoom X V (Cevalete) 1 9 3 1 2 1 .7 2 0 .0 1 9 .9 2 0 .4 1 9 .4 2 1 .7 2 2 .3 1 9 3 2 2 0 .1 1 9 .0 19.1 1 8 .7 1 9 .8 2 2 .0 2 0 .9 1 9 3 3 2 0 .8 2 0 .1 1 8 .5 1 8 .8 19.1 2 1 .1 2 0 .0 1 9 3 4 2 1 .1 1 8 .6 1 8 .3 1 8 .7 1 8 .8 2 2 .2 2 0 .2 1 9 3 5 2 1 .8 1 8 .6 1 9 .0 19.1 1 8 .3 2 1 .6 1 9 .6 1 9 3 6 2 0 .0 1 8 .1 1 8 .3 2 0 .1 1 7 .7 1 9 .8 1 8 .9 1 9 3 7 2 0 .5 1 8 .2 1 9 .7 1 8 .3 1 8 .4 21 .1 1 8 .5

(8) Debbo le cifre della natalità per zone agrarie alla cortesia della Scuola di statistica presso la R. Università di Firenze.

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Facciamo ora seguire la denominazione esatta delle zone indicando per ciascheduna di esse: 1. La popolazione totale al 1936; 2. il grado di ruralità espresso dalla percentuale della popolazione agricola sulla totale (secondo il censimento del 1936) e 3. l’aumento (-{-) o la diminuzione (—) della popolazione totale nella media annuale del quinquennio 1931-1936.

Specchietto ». 2.

Z O N E Popolazione totale | Censimento 1936 Percentuale della Popolar, agrìcola Aumento ( + ) o di­minuzione (—) nella media annua 1931 -36 1. Provincia di Bolzano. i Pusteria, e alto I s a r c o ... 63.894 57.9 + 1.439 Val d' Ega e G a rd e g n a ... 19.665 50.7 + 200 S a r e n t i n o ... 8.610 68.4 + 196 Alta Val Venosta e P a s s iria ... 26.058 57.1 + 634 Media vaile I s a r c o ... 22.821 42.6 + 357 Media Val Venosta e Media Passiria . . 27.036 63.2 + 562 Bassa Valle Isarco (B o lz a n o )... 66.952 25.4 + 2.469 Val d’Adige fra Bronzolo e Lagundo

(M e ra n o )... 68.270

. . 35.9

1

+ 883 Provincia in com plesso... 303.306 44.5 + 6.739

2. Provincia di Trento. R o v e re to ... 66.262 47.4 — 63 R i v a ... T r e n t o ... T i o n e ... B o rg o ... C l e s ... C a v a le se ... Provincia di Trento in complesso . . .

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296 GIOVANNI LORENZONl Quest’altro specchietto può dare un’ulteriore idea della profonda di­ versità demografica fra le due province di Bolzano e di Trento a tutto favore della prima:

1. Provincia di Bolzano.

Specchietto ». 3.

1931 1932 193? 1934 1935 1936 1937 Numero dei matrimoni per 1000 abitanti 5.6 5.0 4.9 5.4 5.2 6.1 6.7 N ati vivi per 1000 abitanti... 2 39 23.6 22.4 21.7 21.9 22.3 23.0 Morti per 1000 abit. (esclusi i nati morti) 14.7 13.8 13.8 136 13.5 13.4 14.4 Eccedenza dei nati sui m o r t i... 9.2 9.8 8.6 8.1 8.4 8.9 8.6 Nati morti per 1000 n a s c ite ... — 24.8 15.6 18.0 20.1 17.3 23.1 Illegittimi per 1000 n a s c ite ... — 130.8 128.4 127.0 119.7 126.0 120.0

2. Provincia di Trento.

1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 Numero dei matrimoni per 1000 abitanti 5.3 5.1 5.4 5.9 5.4 6.1 7.3 Nati vivi per 1000 abitanti... 20.7 20.0 19.6 19.6 19.7 18.6 19.2 Morti per 1000 abit. (esclusi i nati morti) 15.1 15.5 15.0 13.5 14.4 15.2 14.7 Eccedenza dei nati sui m o r t i ... 5.6 4.5 4.6 6.1 5.3 3.4 4.5 Nati morti per 1000 n a s c ite ... — 26.5 24.3 23.0 26.0 26.1 27.8 Illegittimi per 1000 n a s c i t e ... — 45.5 45.1 47.0 49.8 48.7 41.8

Dagli specchietti precedenti vediamo dunque:

1) che la natalità (specchietto N. 1) è costantemente superiore nel­ l’Alto Adige che nel Trentino per quanto lo scarto in qualche zona vada

negli ultimi anni riducendosi. Confrontando particolarmente due distretti consimili e finitimi vale a dire le valli d’Ega e di Gardena nell’Alto Adige, con il distretto di Cavalese nel Trentino, vediamo che lo scarto è di 4.7 punti nel 1931; di 3.0 nel 32; di 5.6 nel 33; di 3.7 nel 34, di 3.2 nel 35, di 4.1 nel 36, di 4.5 nel 37. Assai somiglianti sono pure la zona VI nell’Alto Adige (Media Venosta e M. Passiria) ed il finitimo ex-distretto di Cles; an­ che qui, malgrado questo distretto sia fra i più fortunati includendo le zone

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frutticole della Val di Non, lo scarto è sensibile sebbene molto variabile. Esso ammonta nei vari anni a 6.0; 6.3; 3.1; 0.4; 1.5; 2.3; 0.9. Altre zone con­ finanti e consimili sono quella del Basso Isarco con Bolzano, e quella di Trento ed anche in essa la natalità altoatesina è superiore alla trentina. Nel complesso della provincia (9) lo scarto è di 3.2 per il 1931, di 3.6 per il 32, di 2.8 per il 33, di 2.1 per il 34, di 2.2 per il 35 di 3.7 per il 36 e di 3.8 per il 37. Non vogliamo però con tutto ciò dire che la maggior natalità dipenda esclusivamente dal sistema del maso chiuso: troppi fattori entrano in gioco in questa materia, ma ne affermiamo solamente la importanza prevalente.

2) Che la mortalità (specchietto N. 3) è sempre più alta nel Tren­ tino che nell’Alto Adige con uno scarto variante, nei diversi anni, da uno a due punti; che la eccedenza dei nati vivi sui morti è quindi superiore nel­ l’Alto Adige che nel Trentino. Altro indizio significante è la assai più alta percentuale dei nati morti nel Trentino che non nell’Alto Adige, malgrado le nascite illegittime siano tre volte più frequenti in questo che in quello. Ed un indizio non trascurabile è pure, che, quantunque i matrimoni per 1000 abitanti siano (sebbene lievemente) più frequenti nel Trentino che nel­ l’Alto Adige la natalità del primo è, come vedemmo, notevolmente inferiore a quella del secondo.

3) Lo specchietto N. 2 riassume la situazione mostrando la media di aumento o diminuzione annua della popolazione. Nell’Alto Adige le cifre sono sempre positive, nel Trentino sempre negative, ad eccezione della zona di Trento che segna un aumento di 221 abitanti all’anno; ma ad essa corrisponde l’aumento della zona di Bolzano che è più che decuplo di quella di Trento in rapporto alla sua maggiore industrializzazione; e perciò della assai più forte immigrazione.

Notevolmente più alta è altresì la composizione media della famiglia nell’alto Adige che nel Trentino. Limitandoci all’esame di zone simili e con­ tigue vediamo che nell’ex circondario di Cavalese il numero medio dei com­ ponenti le famiglie naturali il cui capo era un conducente terreni propri avevano in media (cens. 1931) 4,5 componenti. Nelle zone altoatesine con­ finanti con la Val di Fiemme ed agrariamente ad essa del tutto simili, e cioè nelle valli d’ Ego e di Gardena, tale media saliva a ben 5,8 e nella non lon­ tana Pusteria e Badia pure a 5,8. Nell’ex-circondario di Cles la media (c. s.)

(9) Seguiamo qui i dati nella natalità contenuti negli annuari statistici 1933-1938 da noi riprodotti nello specchietto n. 3.

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298 GIOVANNI LORENZONI era di 4,8 componenti; ma nella contigua valle d’ Ultimo, nella media Val Venosta e nella Passiria essa saliva a 6,1 componenti.

Altra obbiezione che si fa al sistema del maso chiuso o in genere del vincolismo familiare è che esso sarebbe nocivo al progresso agricolo. L’af­ fermazione parci priva di fondamento e non confermata dall’osservazione dei fatti. In realtà progresso agricolo vi può essere tanto nell’uno che nel­ l’altro sistema. L’inchiesta sulla formazione postbellica di piccola proprietà coltivatrice istituita dall’ I. N. >E. A. nel 1930 e di cui fu affidata la dire­ zione tecnica allo scrivente che ne riassunse i risultati in un volume di prossima pubblicazione ha mostrato di quali miracoli pur in regime di libera divisibilità siano stati capaci i nostri contadini divenuti piccoli proprietari, ansiosi di strappare da un terreno povero o mal tenuto, ma sempre pagato caro, un prodotto che li compensasse almeno del lavoro spe­ sovi. C’è anzi chi afferma — così L. Brentano (Agrarpolitik 1897 voi. I, pp. 101 e segg.) — che solo in tal regime e sotto la conseguente pressione di alti prezzi della terra si possono ottenere bonificazioni di terreni poveri ed un passaggio di proprietà dalle mani della borghesia ai contadini. Sol­ tanto questi infatti posson offrire prezzi così elevati da invogliare i bor­ ghesi a vendere, perchè solo essi possono contentarsi del puro compenso di lavoro rinunciando all’interesse del capitale d’acquisto. L’autore citato nega che ci si possa attendere uguale sforzo dal proprietario di un maso chiuso. Facendo suo il ragionamento premesso all’editto del Re di Prussia del 14 set­ tembre 1811 egli sostiene che un tale proprietario non impiegherà molto danaro in miglioramenti perchè temerà di sottrarlo ai figli cadetti a tutto vantaggio del primogenito. Ma questo ragionamento ci sembra così debole

da non valer la pena di ribatterlo.

Più consistente sembraci l’obbiezione che l’assuntore del fondo, do­ vendo tacitare in danaro i coeredi, si trovi a corto di capitale da impiegare in miglioramenti fondiari. E così accadrebbe in realtà se egli dovesse assu­ mere il fondo secondo il valore di mercato; ma, come abbiamo visto, nel sistema del maso chiuso non è il valore di mercato che si pone a base del calcolo bensì quello di reddito stimato in maniera « che l’assuntore del fondo possa mantenersi bene ». Inoltre è questo un argomento a doppio taglio giac­ ché in regime di libera commerciabilità chi acquista terreni a prezzi di mercato, deve pagare, specie per piccole superfici, prezzi altissimi, e si priva perciò, per questo verso, di capitali.

A noi pare (e l’esperienza credo che ci dia ragione) che nel sistema

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del maso chiuso nulla si opponga a mantenere in buone condizioni i beni vincolati. Si aggiunga che l'assuntore del fondo può normalmente contare sulla collaborazione cordiale e sicura di quei suoi fratelli e sorelle che in attesa di una definitiva sistemazione dimorano (talvolta per tutta la vita) sul fondo. Bisogna aver conosciuto davvicino tali ambienti per vedere con quale disciplinata e volonterosa armonia si svolgano le cose.

Ma vi è un'altra considerazione da fare, la quale parmi decisiva in fa­ vore del sistema più o men chiuso. Esso preserva l’unità culturale. Al pari del classico podere toscano, marchigiano, romagnolo, umbro ecc. il « maso » costituisce una bella unità organica equilibrata in tutte le sue parti suscet­ tibile di assestamenti, ma non mai condannata a smembramenti o muti­ lazioni arbitrarie. La forza che tiene unito il podere toscano è l’interesse combinato del proprietario e del suo mezzadro. Ma se il mezzadro diven­ tasse proprietario, tale unità, nove volte su dieci, verrebbe alla sua morte distrutta. Il sistema chiuso al pari della mezzadria la preserva a tutto van­ taggio dell’economia familiare e nazionale. Chi è avversario del sistema chiuso dovrebbe esserlo anche della nostra mezzadria.

Un pericolo però c’è, ed è quello di una artificiosa fissità nell’ampiezza dell’azienda; ma la legislazione austriaca sul maso chiuso la preveniva per­ mettendo variazioni nella composizione del maso, previa autorizzazione dell’ufficio competente. Quella della Germania prenazista ammetteva e fa­ voriva la colonizzazione dall’ « interno » del maso (« votn Hofe aus ») ossia la divisione in due o più blocchi di un solo Hof, col progressivo inten­ sificarsi dell’agricoltura: sistema che fu accolto in pieno dalla recente legi­ slazione sull’ Erbhof. Basta del resto percorrere i territori del maso chiuso per vedere che non è stazionario e che, aumentando il rendimento, dove prima v’era un solo maso ve ne sono ora due o tre.

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300 GIOVANNI LORENZONl stante che negli altri, maggiore pertanto è la sua domanda di prodotti in­ dustriali e migliori le prospettive per l'artigiano locale.

Le possibilità poi per i figli cadetti di trovare collocamento entro il maso familiare o in altri come garzoni o coadiuvatori permanenti sono assai maggiori di quelle che ordinariamente si pensi. Cresciuti alla disciplinata scuola familiare partecipando fin da piccini a tutti i lavori dell’azienda sono ottimi lavoratori e molto ricercati e non pochi finiscono collo sposare con­ tadine ereditiere (10).

Gli inconvenienti di un eccessivo frazionamento della proprietà e della dispersione dei fondi si fa, del resto, dovunque sempre più sentire ed anche il progetto definitivo del libro III del nuovo codice civile italiano ne tiene conto in quanto all’art. 265 dispone che « quando dell'eredità faccia parte un’azienda agricola, industriale o commerciale formante un’entità econo­ mica indivisibile essa va attribuita ad un coerede che sia disposto ad accet­ tarne l’attribuzione e sia ritenuto idoneo ad assumerne l’esercizio ». Se- nonchè questo articolo non intacca il principio fondamentale del nostro C. C. del trattamento di uguaglianza fra coeredi cosicché l’assuntore del fondo dovrebbe tacitarli (sia pure entro tre anni) sulla base di una stima fatta da terzi accettata dai coeredi, o in mancanza fissata dall’autorità giu­ diziaria secondo il principio che « l’ineguaglianza in natura delle quote ere­ ditarie si compensa con un equivalente in danaro ». Per di più la parte di­ sponibile è stata ridotta nel progetto da metà ad un terzo, cosicché il ca­ rico dell’assuntore del fondo risulta accresciuto. Come potrà egli soppor­ tarlo? Se un padre lascia 4 figli ed un podere autonomo ritenuto indivisi­ bile, del valore, poniamo di 120.000 lire, chi dei figli sarà disposto ad accol­ larselo se debba caricarsi di un onere di sessantamila lire a favore dei suoi fratelli, da pagarsi entro anni tre, corrispondendo frattanto gli interessi sull’intera somma?

Che fare, dunque, ripetiamo? La mia impressione è che in queste cose bisogna andare molto cauti. Il contrasto fra i due sistemi è il contrasto

(10) Nota il ministro della giustizia francese Rcynaud sottoponendo il 17 giugno 1938 alla firma del presidente della repubblica un decreto modificante il regime successorio in senso vincolistico scriveva : « Le morcellement continu des propriétés qui résulte de l'application des règles de notre regime successoria! aboùtit trop souvent à des conséquences desastreuses au point de vue économique, notamment en ce qui concerne les domaines ruraux. La división

des hiritages ruraux apparàìt en efjet somme une des causes de la désafjection des campagnes et de la lenteur du prò grès dans l’organisalion ratio nelle des méthodes de culture ». Non si

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fra due mentalità. Tutto dipende dalla concezione che si ha della famiglia e attraverso la famiglia della concezione che si ha della propria classe e della sua posizione nello stato. Il sistema vincolistico funziona bene e be­ nissimo se gli individui pongano la famiglia al di sopra di loro stessi, se abbiano la religione della tradizione, se « sentano » per così dire il focolare domestico tramandato dai padri posseduto ed amministrato da uno solo, ma ove tutti in determinati casi possono trovare rifugio, dopo averne ri­ cevuto appoggio morale e materiale. Se tale concezione manca è inutile raccomandare il vincolismo familiare. A questo proposito rimane sempre vera la frase del grande Le Play che il regime vincolistico « n’est fécond que cjuand la vertu se transmet avec le privilège de la naissance ». Egli non era però favorevole alla « conservation forcée » come quella che ora vige in Germania, ma ad una « libérté testamentaire complétée par une coutume ab-intéstat tendant surtout à fonder la vie privée sur le travail et la vertu ». (La réforme sociale, II, eh. §§ 19 et 22).

Noi andiamo un pochino più in là di Le Play e chiediamo che sia bensì mantenuta in ogni caso la libertà di testare (salvo la legittima) ma che in caso di morte ad intestato intervenga non la « coutume » ma la legge intesa a regolare la successione in modo simile a quello che abbiamo visto valere ab antiquo nel Tiralo tedesco, regolata da Maria Teresa e dalla legge più recente del 1900, ora decaduta de iure ma normalmente seguita de facto.

Anzi ci basterebbe una attenuazione di detto sistema. Sia cioè libero ad ogni proprietario coltivatore diretto di un'azienda autonoma chiederne la iscrizione in un ruolo dei masi o poderi chiusi (o familiari che dir si vo­ gliano), in forza di che, morendo ab intestato debba succedergli il figlio maggiore od altro designato da lui o in mancanza dal tribunale, purché possegga la qualità di buon contadino, accollandogli la tacitazione dei coe­ redi dopo aver stimato il fondo secondo il suo valore di reddito e dedotta a suo favore una quota parte, in modo che non debba venir soffocato dai debiti.

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pre-302 GIOVANNI LO RENZO NI feribile all’altro. Per le aziende sorte in seguito a colonizzazione compiuta con l’aiuto finanziario dello stato, si dovrebbe, invece, escludere, fino a pa­ gamento integrale delle quote di ammortamento, la libertà di testare, ed applicare in suo luogo il sistema chiuso come per le regioni alpine.

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L'unità del podere e la storia cata­

stale delle famiglie.

1. — Il progetto per la riforma del codice civile tocca notabili pro­ blemi riguardanti interessi ed istituti economici. Se una rassegna compiuta delle soluzioni accolte sarebbe estranea ai fini della rivista, l’esperienza del passato può tuttavia consentirci non di rispondere ma di meditare sul que­ sito: i nuovi istituti trovano suffragio di consenso in quel che accadde dianzi? Qui si vuol offrire soltanto un minimo spunto di meditazione, perchè la esperienza per lo più è frammentaria locale e limitata nel tempo, laddove la riforma di un documento solenne esige possibilità di esperienza su tutto il territorio dello stato e per lungo tratto di tempo.

2. — È nobile per fermo il proposito degli estensori di favorire la saldezza e l’incremento della famiglia; proposito che li persuade ad affer­ mare con particolare vigore il carattere famigliare ed indivisibile del patri­ monio del capo di essa e ad elevare perciò la quota di legittima o riserva. Laddove il codice civile vigente riserva ai figli una porzione legittima uguale alla metà dei beni del testatore, se questi morendo lascia figli, qualunque sia il numero dei figli, il progetto definitivo di riforma (art. 80 del libro terzo) riserva la metà del patrimonio del genitore, se questi lascia un figlio solo e due terzi, se i figli siano due o più.

La elevazione della quota di riserva dalla metà ai due terzi quando i figli siano più di uno sembra fondata sul concetto della preminenza della famiglia sull’individuo. Il padre di famiglia è quasi reputato mero

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304 LUIGI EINAUDI sore pro-tempore del patrimonio famigliare, da lui trasmesso ai figli, i quali già, nella continuità delle generazioni, partecipavano al possesso. Perciò la volontà di lui è atta a disporre liberamente soltanto della minor parte del patrimonio, sia a favore di talun prescelto tra i figli, sia a vantaggio di estranei. Si mira così a rinsaldare il vincolo famigliare, viemaggiormente legando il genitore a tutti i figli medesimamente e questi a lui.

3. — Giova al medesimo scopo altresì l’istituto dell’indivisibilità del­ l’azienda ossia dell’impresa, come propriamente essa è detta in linguaggio economico. Dice in proposito l’art. 123 del terzo libro nel progetto definitivo:

« Quando dell’eredità faccia parte un’azienda agricola, industriale o commerciale formante un’entità economica indivisibile, essa va attribuita ad un coerede che sia disposto ad accettarne l’attribuzione c sia ritenuto idoneo ad assumerne l'esercizio.

« Nel caso che siano più i coeredi, i quali aspirino a conseguire l’attribuzione, decide l'autorità giudiziaria con riguardo alle condizioni ed attitudini personali. L'au­ torità giudiziaria può anche decidere che l'azienda sia attribuita a due o più fra i coeredi, i quali intendano di esercitarla in comune.

« Gli altri coeredi, salvo che nell'eredità vi siano altri beni mobili ed immobili per mezzo dei quali possono essere soddisfatti in tutto o in parte delle rispettive quote, e salva la facoltà dell'assegnatario o degli assegnatari di soddisfare le loro quote in danaro, debbono attendere per essere integralmente soddisfatti un termine non maggiore di un triennio, durante il quale l ’assegnatario o gli assegnatari sono tenuti a pagare ai coeredi l'interesse legale della somma corrispondente al valore delle loro quote o della parte residua di esse e a fornir garanzie idonee, quando siano richieste dagli stessi coeredi.

« Nel caso di opposizione di uno o più coeredi alla domanda di attribuzione, l'autorità giudiziaria decide se si debba far luogo all'attribuzione stessa ovvero al­ l'alienazione dell’azienda ».

Sembra potersi dedurre dal contesto che, ove manchi il coerede dis­ posto ad accettare l’attribuzione, idoneo ad assumere l’esercizio dell’impresa indivisibile e pronto a sobbarcarsi all’onere di pagare entro tre anni le quote in danaro spettanti ai coeredi — tempo che il guardasigilli ritenne di non potere crescere da tre a cinque anni per non recare « eccessivo pre­ giudizio agli interessi dei non assegnatari » —, nè i coeredi siano pronti od atti all’esercizio in comune, l’impresa indivisibile debba essere alienata.

Dal concetto della preminenza dell’istituto famigliare sulla volontà paterna (riduzione della quota disponibile dalla metà al terzo) si passa così a quello della conservazione dell’ente economico (impresa) creato dal genitore, anche contro la volontà disgregatrice dei figli. L’impresa, ossia l’opera del genitore, deve essere salva, quale scoglio fermo contro l’urto

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delle contrastanti passioni o volontà dei figli. Siano preferiti il figlio od i figli disposti od atti a continuare l’opera di coloro che nel tempo li precedet­ tero; e gli altri escano dalla casa paterna recando sulle spalle il sacco del denaro contante.

4. — Un passo innanzi nell'affermazione della unità patrimoniale è compiuto quando, pur se il frazionamento dei beni componenti il patri­ monio sia tecnicamente possibile, si pongono limiti ad esso. Dice l'art. 264 del medesimo libro terzo:

« Nel formare le porzioni, si deve evitare di frazionare i fabbricati ed i fondi rustici in modo da recar pregiudizio alla ragione della pubblica economia c del­ l'igiene ».

L’impresa — nonostante la diversità delle parole adoperate, i fabbri­ cati ed i fondi rustici sono un’impresa vera e propria anche quando siano ridotti al minimo — non potrebbe essere frazionata senza che ne scemi la produttività. Se v’ha pregiudizio alla pubblica economia, è vietato il fra­ zionamento anche se voluto dagli interessati.

Il divieto, qui generico, è più energicamente affermato, per i fondi rustici, nell’art. 30 del progetto della commissione reale per il secondo libro:

« La pubblica autorità può, nell’interesse dell'agricoltura e dell'economia nazio­ nale, vietare che un fondo soggetto a cultura o suscettibile di coltivazione e già ridotto ad una estensione pari o prossima alla minima unità culturale, venga ulteriormente frazionato in guisa da rendere impossibile la razionale coltura di una delle varie parti risultanti dal frazionamento.

« Il modo e i limiti di esercizio di tale facoltà sono stabiliti da leggi speciali ».

Il relatore della commissione reale così chiarisce (pp. 27-28) le ragioni della proposta:

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