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Rivista di storia economica. A.07 (1942) n.3-4, Settembre-Dicembre

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(1)

RIVISTA

DI S T O R I A

ECONOMICA

D I R E T T A DA LUIGI E I N A U D I

G I U L I O E I N A U D I E D I T O R E • T O R I N O

Anno VII - N. 3-4 - Settembre-Dicembre 1942-XXI Spedizione in abbonamento postale

(2)

OPERE DI LUIGI EINAUDI

Sono in programma por ora quattro torio, i etti volum i compariranno man mano

cbo saranno pronti :

I. - SCRITTI D I ECONOMIA B D I FINANZA

1. Saggi sul risparmio e l’imposta, 1941. Un voi. in-8° di pp. XI-423, L. 50. 2. La terra e l'imposta (di imminente pubblicazione).

3. L’ottima imposta.

4l Miti e paradossi della giustizia tributaria, 1940. Un voi. in-8° di pp. VII- 308, L. 21.

5-6. Saggi teorici diversi.

II. - SCRITTI STORICI

Saranno raccolti in questa serie scritti, sparsi in riviste e pubblicazioni acca­ demiche, intorno alla storia della scienza e dei fatti economici.

III. - LE CRONACHE ECONOMICHE ITALIANE

i |

Saranno raccolti in questa serie, distribuiti per ordine cronologico di mate­ ria, gli articoli pubblicati in riviste e in giornali (principalmente nel «Corriere della Sera», dal 1900 al 1925) su problemi di attualità. Sarà quasi una storia ed un commento giorno per giorno dei principali avvenimenti economici italiani per un lungo tratto di tempo. N on essendo pensabile, a causa della gran mole, ima pubblicazione compiuta, saranno esclusi gli articoli di mero riassunto o dove si ripetano cose già dette altrove.

(3)

RIVISTA DI STORIA ECONOMICA

Direzione: Via Lamarmora, 80 (già 60) (1), Torino.Amministrazione: Giulio Einaudi editore. Via Mario Gioda, 1, Torino.Abbott, annuo per l'Italia L. 70. Estero L. 100. Un numero L. 20

DIRETTA DA LUIGI EINAUDI

Direzione: Via Latnarmora, 80 (già 60) (1), Torino.Amministrazione: Giulio Einaudi editore. Via Mario Gioda, 1, Torino.Abbott, annuo per l'Italia L. 70. Estero L. 100. Un numero L. 20

SOMMARIO DEL X. 3-4 . NETTEM BKE-DICEM BRR 1942

Benedetto Croce

:

Come si debba concepire la pura storiogra­

fia e c o n o m ic a

...

Pag. 97

Pasquale Jannaccone: Una lettera di Malthus a Sismondi.

»

103

Guido Rossetti: Galiani e la teoria dei gradi fintili di utilità.

»

112

Luigi Eina udi: D ell’uomo, fine o mezzo, e dei beni d ’ozio.

»

117

C. A. Vianello

:

Il debito pubblico dello Stato di Milano. (Il

monte di Santa Teresa e il Banco di Sant’Ambrogio) . .

»

131

Note e rassegne.

Carlo Pagni: Problemi dell’industria laniera italiana nelle

pagine d i un p r a t i c o

...

»

140

Luigi Eina udi: Schemi meccanici e realtà economica

. . .

»

145

Raimondo Collino Pansa: Editti e statuti piemontesi riguar­

danti l’arte dei concia pelli e dei coriari ?

... »

150

Recensioni. •

R., F. M., V. A. M.:

su libri di Erich Schneider, J. Lejeune,

U. K. Elicks, B. ]a r a m ilio

... »

154

Tra ti vis le etl archivi.

F.

Pagliari: Storia delle dottrine eco n o m ich e

... »

158

(1) Essendo la sede di Torino, a causa delle note circostanze, divenuta inabitabile, si prega di inviare tutto ciò che attiene alla direzione (manoscritti, libri, riviste in cambio) al

(4)

J n ossequio ad una disposizione ministeriale, il presente quaderno della rivista comprende i due numeri d i settembre e dicembre, i quali dovevano ancora essere pubblicati durante il 1942. N ell’anno venturo la periodicità della rivista invece che trimestrale diverrà semestrale in due quaderni di primavera e d’autunno.

Sulla maniera di concepire la pura storiografia economica si intrattiene

Benedetto Croce, in una vigorosa difesa dell’unità della storia; di una

storia nella quale gli elementi politici, economici ed etici sono tra d i loro compenetrati e fusi e se un qualche elemento ha preponderanza quello è il fattore morale, al quale gli altri sono subordinati. Una esistenza autonoma è propria solo della storia della tecnica, delle varie tecniche, sia quelle meccaniche, come quelle fisiche o naturali o matematiche od anche econo­ miche e giuridiche, le quali possono essere studiate da specialisti distinti per le varie competenze.

Intorno ad una lettera di Malthus a Sismondi, finora sconosciuta e che egli primamente dà alla luce

,

Pasquale Jannaccone, accademico d ’Ita­

lia, intesse un elegante ricamo di note erudite, nelle quali gli accenni nu­ merosi ad uomini ed a problemi sono chiariti e ricollocati nell’ambiente di idee e di discussioni del tempo, fecondo per il progresso della scienza economica, nella quale si scambiavano lettere uomini come Rjcardo, Mal­ thus, Gian Battista Say, Sismondi e Mac Culloch.

Il colonnello Guido Rossetti illustra il contributo di anticipazione

che quel prodigioso giovane ventenne il quale aveva nome Ferdinando Galliani diede alla teoria del grado finale di utilità. Il Direttore della rivista prende lo spunto da un libro recente per combattere la tesi che sot­ topone l’uomo a forze trascendenti dette produzione o capitale, facendolo diventare mezzo ad un fine puramente tecnico e dimostra che la economia ha invece significato solo in quanto sia mezzo per liberare l’uomo dalla necessità della fatica inutile per la conquista dei beni fondamentali. Sul debito pubblico dello Stato di Milano e la formazione dei due Monti di Santa Teresa e d i Sant’Ambrogio,

C. A.

Vianello raccoglie notizie pre­

ziose da fonti archivistiche ; mentre Carlo Pagni prende occasione dalla

dipartita di un insigne industriale della lana per ricordare i problemi più importanti di quell’industria nei tempi recenti.

Chiudono il fascicolo le consuete rubriche d i

Recensioni

e

Tra riviste

ed archivi.

(5)

N O V I T À E I N A U D I

WERNER JAEGER

D E M O S T E N E

L i r e 3 0

Dopo una vita di studio dedicata alla cultura greca del IV secolo a. C. il grande filologo e storico traccia in questo nitido libro un’avvincente e

moderna valutazione di Demostene oratore e politico.

CARLO P1SACANE

SAGGIO SULLA RIVOLUZIONE

L i r e 2 5

Un uomo d ’azione che, in tempi di liberalismo politico, combattè e mori per un ideale collettivista.

CARLO CATTANEO

CONSIDERAZIONI

SULLE COSE D’ITALIA NEL 1848

L i r e 3 5

Pagine di incandescento attualità e di grande interesse storico. In modo particolare desterà interesse o meraviglia una pressoché ignorata, avvin­ cente narrazione delle Cinque Giornate di cui Carlo Cattaneo fu il grande

protagonista.

MADAME DE REMUSAT

MEMORIE

L i r e 6 0

Queste celebri Memorie di una dama di corte di Napoleone ci traspor­ tano tra le quinte di quel mondo c lo giudicano con tu tta la malizia e la

finezza che l’epoca burrascosa potè insegnare a una donna.

(6)

La Olivelli M. 40 per alitelo è la macchina che meglio si pre­ sia dove il lavoro à gravoso e continuò come nei Ministeri, nel Pubblici Uffici, nelle Banche, negli Uffici Proiessionali.

P IC A - e l it e - I T A L I C O - IT A L IC O GRANDE

MEDIO ROMANO-ROMANO GRANDE-

OROATO

n ian o -M y u v t'L o - e l i t e i m p e r i a l e- perla

MIKRON — IMPERIAL - STAMPATELLO P I CCOL O

(7)

COME SI DEBBA CONCEPIRE LA

PURA STORIOGRAFIA ECONOMICA.

Anche la storia economica può essere trattata, ed è stata trattata, come una cronaca o come un’ordinata classificazione di intimamente slegate notizie di fatto; ma il quesito che qui si ripropone è come debba essere trattata in quanto vera e propria storia che abbia — posto che l’abbia — un suo proprio originale prin­ cipio, il quale come ne regga e guidi l’andamento, così porga il criterio per giu­ dicarla e intenderla.

La prima e più ovvia risposta che si ode dare a tal quesito è, che essa debba trattarsi in riferimento alla storia della civiltà che ne forma il centro e le fornisce il criterio : il che sembra affatto plausibile perché in questo modo la si appoggia alla salda struttura di quella e ne vien chiusa in linee ben determinate. Ma poi, se si riflette che « civiltà » vuol dire vita etica o vita morale, e che civiltà e vita etica e vita morale, o anche vita religiosa intera e attiva, non in altro ha la sua materia e non di altro compone il suo corpo e non altrimenti assume la propria concre­ tezza se non traducendosi in atti economici (intendendo questa parola nell’ampio e rigoroso senso che il suo uso filosofico richiede, e perciò comprendendovi non solo la produzione di ciò che si designa empiricamente come di beni materiali o di ricchezza, ma anche ogni sorta di servigi o di opere, come i provvedimenti del­ l’amministrazione, le transazioni politiche, le soluzioni belliche, e tante e tante altre cose che hanno la medesima sostanziale qualità delle prime), ci si avvede che con ciò si è definita non la storia economica, ma la storia morale. Le insistenti raccomandazioni che si sono fatte nei tempi nostri, e che ancot oggi si ripetono, a non trascurare nella storia della civiltà i fatti economici, non importano altro che una raccomandata integrazione di quei fatti economici che prima erano soli o privilegiatamente considerati, mercé di altri che più o meno si trascuravano e che sono del pari necessari per conseguire una maggiore concretezza storica. E com­ porre di questi elementi integrativi trattazioni speciali che diano loro risalto e ne inculchino, particolareggiandola, la conoscenza, ha certamente giustificazione e uti­ lità didascalica o accademica che si dica, ma non è solvere argumentum, risolvere

III, 7.

(8)

98 BENEDETTO CROCE il quesito della possibilità o meno di una propria e originale storia econo­ mica (1).

Vero è che la storia morale è stata sovente concepita in modo unilaterale e astratto, come tale che non sia huius mundi e trascenda i fatti e la storia stessa e li giudichi dall'alto, da essi distaccata, e la condanni in parte o in tutto; senon- ché cotesta non è poi storia morale, ma, come con esatta differenziazione è stata segnata e screditata, moralistica; e la nera tristezza c il disperato pessimismo che l'avvolgono, ne mostrano la nullità storica. Vero è, nel verso opposto, che per salvarsi da siffatta immagine di morte che è la storia moralistica, e talvolta anche per ¡scuotere la troppo grave autorità della storia morale, che è storia della ci­ viltà, si è concepita una storia di bisogni e di soddisfazione di bisogni, in quanto bruti bisogni, e di brute passioni e sfogamenti di passioni, di forze covanti nel basso ed esplodenti e baccheggianti con sé stesse; ma con ciò non ci si è, come s’immagina, affrancati dalla storia etica e morale e religiosa c della civiltà, ma sol­ tanto la si è capovolta, mettendo al centro quello che è alla periferia e della pe­ riferia facendo il centro, al centro il corpo, e alla periferia, come dal corpo di­ pendente, l'anima : al modo stesso che dell'ateismo è stato detto che è una forma capovolta di teismo. Cotesta storia, in effetto, ha ideali, che non sono meno ideali perché siano controideali; conosce combattimenti e sacrifici e dedizioni per questi controideali; e, se idoleggia la barbarie, non può tenerla del tutto esente dall’idea della vichiana « barbarie generosa », che l'intima necessità della civiltà agita e travaglia, e costringe, in ultimo, a sfociare nella civiltà; e nel resto è aberrante e fa sentire in ogni parte il carattere di aberrazione, di capovolgimento, di contradittorietà, che è nel suo enunciato.

La verità non si può restaurare se non tornando al concetto integrale della storia etica, morale, religiosa, della civiltà, la quale, per garantirla contro la du­ plice opposta perversione che si è detto, dell’insipido e pur velenoso ultraspiritua­ lismo e del coltivato bestialismo, della storia moralistica e della storia ciecamente attivistica, io proposi di denominare « storia etico-politica », o, come potrebbe dirsi, del pari, « storia etico-economica », con una denominazione che ha fatto presa ed è ora largamente adoprata, perché, com’è da credere, rispondeva a un’esigenza critica. La denominazione ha un colorito polemico, come si vede da questa spiegazione che se ne offre (ma la filosofia è sempre, dal più al meno, polemica), ed è stilisticamente enfatica (ma si può far di meno, neH’esprimersi efficace, di qualche enfasi?), sicché, per i buoni intenditori, o per i già persuasi, si può o si potrà risostituire con quella semplice di « storia etica » o di alcuno dei suoi vari sinonimi ; ma, per intanto, mi par che giovi mantenerla. Tanto più mi pare, in quanto con essa si dà rilievo alla riprova che la storia porge della verità teorica e dell’esigenza pratica, onde i pro­ blemi dell'economia — compresi quelli delle grandi crisi economiche e politiche ora

(1) Sotto l’aspetto puramente didattico mi pare che sia considerato il problema nella recente Introduzione allo studio della storia economica di A. Fanfani (Milano, Giuffrè, 1941), molto pregevole, d'altra parte, come critica della storia economica e di ogni altra storia, na­ turalisticamente concepita, e con ciò stesso negata come storia, la quale è sempre spiritualità e volontà. Si veda a illustrazione e conferma anche il manuale dello stesso autore: Storia econo­

mica: dalla crisi dell'Impero romano al principio del secolo X V l ll , (M ilano, Principato, 1940).

/

(9)

COME SI DEBBA CONCEPIRE LA PURA STORIOGRAFIA ECONOMICA 99

in corso, — sono da considerare e trattare strettamente congiunti coi problemi mo­ rali, e perciò nell'etica si addita il loro centro (2).

Nelle odierne controversie si è in qualche modo, se non m’inganno, affacciato altresì il pensiero che oggetto proprio della storia economica, in quanto distinta da quella etica, sia il « benessere umano » (3). Ma si può disgiungere il « ben essere » dal « ben vivere » c dal « ben fare », e pensarne l'equilibrio come « umano » senza pensarlo con ciò stesso come «equilibrio m orale»? E, fatta rientrare, com’è irrecu­ sabile, nella cerchia dei bisogni umani l'azione morale, si può impedire a questa di prendere il posto centrale e direttivo che le viene di diritto? Non si vorrà, certa­ mente, intendere il benessere nel mero significato del senso di piacere, di voluptas, che sormonti quello di dolore, perché questa indivisibile contrazione ed espansione di dolore e piacere è l'aspetto generico di ogni sorta di vita e, come generico c in­ divisibile, come la definizione stessa del vivere, non è oggetto di storia. Per mio conto, sempre che nei miei lavori di storia mi sono incontrato in coteste domande e nelle congiunte dispute se un popolo o una società, o magari un singolo uomo, siano stati felici o infelici (laddove è giuocoforza che siano stati sempre felici e in­ felici in uno), le ho francamente negate e rigettate come insussistenti e inconsistenti. Ma nella storia etico-politica, se si afferma e conferma nella sua concretezza e determinatezza la storia morale dell'umanità che è di uomini e non di angeliche essenze senza corpi, non perciò si dissolve e risolve appieno la storia economica pro­ priamente detta. In quella storia, l'azione morale si svolge tutt’insicme in alleanza e in lotta con l'azione variamente economica o utilitaria, a volta a volta strumento che le si porge per la sua attuazione e ostacolo che le si rizza contro e che deve su­ perare. Si suole sovente chiamare il tumultuare delle passioni e forze utilitarie, a fronte dell'azione morale, l’elemento « irrazionale » della storia. Ma, senza porre divieto all’uso di tale parola o metafora, bisogna guardarsi dal concetto che essa sug­ gerisce dell'intervento nel corso storico di un elemento eterogeneo, straniero all’uomo e alla sua azione intellettiva e morale, a cui si dia quell'epiteto di « irrazionale ». In fondo, se ci si pensa, d’irrazionale non può esserci altro al mondo che la disat­ tenzione o l’arbitrio onde si assevera l'irrazionale come una forza che dall'esterno prema sullo spirito dell'uomo e lo sconvolga; cioè non v’ha che l'irrazionale illo­ gico e irreale, di cui la logica fuga il fantasma. L’irrazionale, di cui si parla nel caso dell’impulso utilitario e dell’economia (come se ne parla o se n’è parlato in quello della poesia e in altri parecchi), è tanto poco irrazionale che, senza di esso, senza la materia e il peso della materia che esso in quel rapporto rappresenta, la forma che si vuol chiamare razionale non sarebbe, e perciò, facendo esso parte del­ l’unico processo del reale, deve essere dotato di una sua intrinseca e peculiare ra­ zionalità e forma, serviente all’altra e pur ribelle, come è stato sempre il rapporto del padrone col servo, al quale ultimo, appunto per questa sua capacità e di appor­ tare l’opera sua e di ribellarsi, non è lecito negare la personalità umana. Ora la pe-(2) Come fa ora I'Einaudi nello scritto di cui non ¡sfuggirà la grande importanza, Eco­

nomia di concorrenza e capitalismo storico. La terza via tra ì secoli X V I I I e X I X (in Rivista di storia economica, V II, n. 2, giugno 1942, pp. 49-72): a proposito del libro del Ropke, D ie Gesellschaftskrisis der Gegenwart (Erlenbach-Zurich, 1942).

(10)

too BENEDETTO CROCE culiare e propria razionalità della utilitarietà ed economicità, o, come dicono i filo­ sofi, del « momento economico », giustifica l’esigenza di una particolare e distinta storiografia economica nella sua purezza ed autonomia.

E questa qualità di storiografia non è rimasta una mera esigenza o un desiderio in aria, ed esiste in effetto e si può trovarla, non già nella storia etico-politica, nella quale l'economia è inclusa e superata, ma nella sfera di quelle indagini, disquisi­ zioni e trattazioni riguardanti la storia dei ritrovati, ossia dei mezzi per un fine, che, per sé preso, non è né morale né immorale, ma semplicemente un fine voluto, e in quanto tale unicamente utilitario, edonistico, economico o, come altrimenti si voglia chiamare ciò che è finalistico, zweckniàssig : in quella storia che ha preso i spontaneamente il nome di « storia della tecnica ». Non senza intimi motivi l’eco- nomistico e materialistico Carlo Marx fu dei primi ad invocare, richiamandosi in questo proposito alla Scienza nuova, una storia della tecnica (1); ma non si avvide che questa storia era la vera storia economica, e non già l’altra, da lui costruita; la quale, per materialistica e appassionata e tendenziosa e mitologica e metafisica che fosse, pure abbracciava tutto l’uomo nel suo faticoso perpetuo travaglio per la civiltà a ogni istante conquistata e ad ogni istante rimessa in questione, ancorché egli la semplificasse nei tre stadi della schiavitù, del servaggio e del salariato, e la facesse definitivamente e felicemente conchiudere e finire con un salto dal « regno della necessità » al « regno della libertà », dalla terra bagnata di sudore, di lacrime e di sangue, al paradiso del comunismo.

« Tecnica » : la parola che più risuona ai nostri giorni e che è oggetto delle maggiori ambizioni, delle maggiori speranze e dei maggiori vanti, e, congiunta- mente, di non infrequenti terrori, d’imprecazioni e di deprecazioni, giacché essa, grande cooperatrice di civiltà per un verso, si dimostra per l’altro soverchiatrice ti­ rannica e soffocatrice di civiltà e di quei « valori», come li si chiama, in cui l’uomo ripone il più alto pregio, dell’intransigente abito morale, del delicato senso arti­ stico, dell’attento culto del vero, dello scrupoloso uso della parola. Ed è cosi e così ’ dev’essere, perché la tecnica è tecnica e perciò è amorale, atta a piegarsi all’azione morale, atta a contrastarla, prestandole pure in questo stesso contrasto servigio col farle acuire il suo sforzo e rendere più inventivo il suo vigore. È puerile recitare inventive o lamentele contro la tecnica e stare ad almanaccare sul modo in cui si possa scemarne, infrenarne o scongiurarne la virtù demoniaca, e abolirla o vietarne i ritrovati pericolosi, laddove si tratta unicamente di rinsaldare e potenziare la forza etica, che non si lasci sommergere nella sempre crescente nuova produzione di mezzi adatti che quella inventa e offre, e se ne valga per estendere e rendere più intensa l'opera sua. £ puerile risognare il sogno idilliaco della vita semplice e rustica, che è di tutti i tempi, e più radicalmente fu sognato dal Rousseau e dagli altri del sette­ cento con la loro sensiblerie ammirativa pel bon sauvage e col mito dell’età edenica, anteriore alla civiltà corruttrice, la quale era poi realmente quella paleolitica o neo­ litica o bronzea, delle caverne e delle terremare, dell 'homo sempre jaber, quando si fecero le prime e fondamentali invenzioni tecniche, piene di avvenire, che soprav­ vivono ancora o tornano perfezionate nelle nostre; quando (per dirla col Vico) si

(4) Dai Kaphal (quarta ediz., Hamburg, 1880), I, 335-36 ». , '

(11)

COME SI DEBBA CONCEPIRE LA PURA STORIOGRAFIA ECONOMICA 101 compiè quel grande avanzamento che fu il passaggio dalla carne arrostita alla carne bollita, cioè l’invenzione tecnica della pentola. La puerilità sta dunque in questo, che, invece di volgersi al vero segno che si è detto, si penserebbe di togliere a que­ sto vero segno la condizione del suo attuarsi, sottraendogli non solo lo strumento ma la materia dell’esser suo : di cavarsi l'occhio e tagliarsi la mano e buttarla via se, come dice il Sermone della montagna, scandalizai, invece di purificare l’animo per­ ché non scandalizzi, giusta l'altro detto àe\Y omnia manda mundis ; e, in conclu­ sione, di scacciare, vituperandolo, come si è visto, irrazionale, un modo necessario di razionalità. D'altronde, il corso della storia conferma che la forza etica ha sem­ pre, quali che siano gli ostacoli sortile contro e le apparenti transitorie sconfitte, ottenuto vittoria e dominio sulle altre che Ja fronteggiavano, e per questo c'è un mondo civile, e per questo, si potrebbe aggiungere, c’è un cosmo col suo ordine che sormonta il disordine e con esso la minacciante, ma invano, disgregazione. La mera e brutale tecnica non ha mai fondato e sostenuto le umane società, il cui per­ petuo fondamento è etico e religioso, sicché essa, con la loro presenza ed esistenza, al pari dei cieli stellati, enarrati! gloriati! Dei.

Piuttosto, tornando su quel che ho detto altra volta (5), e che di sopra ho accennato di volo, giova rendersi conto dell'estensione e comprensione del concetto di tecnica, e delle svariatissime specificazioni e corrispondenti storiografie che ne derivano. L'immaginazione, a quella parola, corre subito al caso dell’industria che foggia oggetti d’uso, congegni, macchine, ogni sorta di beni diretti e strumentali. Ma tecnica è altresì quella da cui l’industria è sorretta, la scienza fisica e naturale, e tecnica sublime la matematica, che dà alla scienza struttura ed efficacia, le quali l'una con l’altra lavorano a solidificare, classificare e misurare la natura, che è vivente nell’in­ tuizione del poeta e nella meditazione del filosofo, e la riducono a cose materiali che l’uomo maneggia. E tecniche sono anche le cosiddette scienze morali, dell’eco­ nomia e del diritto, della politica e della guerra, della grammatica c delle arti belle, e via discorrendo, che intrinsecamente sono o generano precettistiche. Si suol discu­ tere se fra i fatti economici siano da includere le teorie della scienza economica; e la risposta affermativa non è dubbia, quando si tratti di teorie di carattere scienti­ fico e perciò già di lor natura pratiche (sistemi mercantilistici, liberistici, protezio­ nistici, razionalizzanti, comunistici, e via), mettendo da parte quelle che sono spe­ culazioni filosofiche o filosofie dell’economia (della politica, della guerra, e via), le quali, appartenendo alla storia della filosofia, hanno con la storia economica un rap­ porto non diretto né immediato come le altre, ossia d’intrinseca identità, ma solo mediato e lontano. Parti di tecnica si discernono (per non parlare della magìa) per­ fino nelle religioni, sia nelle antiche che delle forze della natura facevano dèi e gli dèi adopravano per ottenere il beneficio di quelle o la protezione contro quelle, e si valevano dell’istituto della « divinazione » ; sia nella religione cattolica coi suoi santi, patroni dell’agricoltura o della navigazione, e delle altre umane faccende, me­ stieri e necessità, verso i quali altresì si svolge una tecnica di preghiere e di offerte, per renderseli propizi.

E, non diversamente da ogni altra storiografia, che non sia semplice cronaca

(12)

102 BENEDETTO CROCE o raccolta erudita di notizie e documenti, ma genuina indagine e pensiero storico, anche quella della tecnica ha il suo serio motivo nello stimolo delle situazioni in cui di volta in volta l'uomo si trova e per uscire dalle quali si muove a escogitare nuovi mezzi che valgano a correggere e potenziare quelli che già possiede e che gli si dimostrano inadeguati ai nuovi fini che egli si propone: così come le indagini e le storie della poesia sono mosse dal bisogno di meglio interpretare, per rievocarle e farle proprie, le opere poetiche del passato; e le storie della filosofia, dal bisogno di nuova luce nei concetti, per ripigliare e lavorare e portar più oltre i fili che fu­ rono lavorati dai precedenti pensatori; e quelle della civiltà, dal bisogno d’intuire e d’intendere le forze che sono in giuoco nel mondo e apportarvi la propria e nuova, che da questa conoscenza sarà fecondata. Sono le storie della tecnica storie da spe­ cialisti, secondo le varie specificazioni del lavoro umano, mosse da speciali ordini d'interessi, diversamente dalle storie ricordate di sopra che nascono dal bisogno di promuovere la comune ed universale umanità della poesia, del pensiero, della vita morale; e agli specialisti s’indirizzano, e gli specialisti di un ramo di esse rispettano l'autorità di quelli degli altri, dichiarandosi volentieri incompetenti fuori della loro speciale competenza, laddove la medesima restrizione e rinunzia non ha luogo nelle tre anz'idette, perché vita morale, vita del pensiero, vita della filosofia si spiegano l’una con l’altra e sono reciprocamente indispensabili, ma le storie delle tecniche si ' richiamano tra loro solo in qualche particolare o per acridens, e sulla massima ge­ nerica che tutto è buono da sapere e può esser giovevole dove meno si aspetta. Una | storia unitaria che si tenti delle varie tecniche, e che perciò risalga all’universale attitudine umana al lavoro e di questa procuri d’indagare la varia sorte che ebbe nelle varie età come lavoro schiavo o servo o libero, e accompagnato ora dall’asce­ tico disprezzo per la produzione economica, ora dalla lirica esaltazione della sua importanza e dignità, e simili, non sarebbe più storia della tecnica, essendo già tra- | passata al piano superiore di una storia delle forze etiche, tra le quali è la forza del lavoro umano; e, in effetto, essa è inclusa, in più o meno larga misura, nelle trattazioni che si hanno della storia della civiltà.

(13)

U N A L E T T E R A D I M A L T H U S A

S I S M O N D I .

La lettera che qui pubblico e commento è, ch'io sappia, inedita. L'autografo appartiene alla « Raccolta Sismondi » della Biblioteca comunale di Pescia : lettere ed altre scritture conservate nella villa di Vaichiusa, che fu di Sismondi, poi acqui­ state dalla Cassa di Risparmio di Pescia e donate alla Biblioteca di quella città. Da questa « Raccolta » la cortesia del bibliotecario dottor Carlo Magnani, che viva­ mente ringrazio, mi ha consentito di trarre un gruppo di lettere di economisti, che andrò a mano a mano pubblicando, a complemento di un mio saggio sul Sismondi.

Di Malthus questa è l’unica lettera che la « Raccolta » contenga ; né lettere di Sismondi a lui si trovano nei tre volumi dell’Epistolario del ginevrino, editi a cura del prof. Carlo Pellegrini (i). Eppure, la corrispondenza fra i due economisti, che avevano parecchi interessi intellettuali e conoscenze personali comuni, fu cer­ tamente più nudrita: l'attesta questa lettera stessa che risponde ad una precedente di Sismondi e chiede altre risposte.

Per collocare questioni e persone, cui nella lettera si allude, al loro punto esatto nel tempo e nella loro giusta luce, conviene ricordare che

nel 1817 Ricardo aveva pubblicato la prima edizione dei Principies of Po­

liticai economy and taxation\

nel 1819 Sismondi la prima edizione dei Nouveaux Principes d ’ Economìe

politique ;

nel 1817 e '19 Say la terza e la quarta edizione, ampliate, del Traite d’Eco-

notnie politique e le note alla traduzione francese dei Principies di Ricardo fatta da

F. S. Constancio;

nel 1820 Malthus la prima edizione dei Principies of politicai Economy e Say le cinque Lettres à Mr. Malthus sur différents su jets d'Economie politique, no-

tamment sur les causes de la stagflation gènèrale du commerce.

Da queste opere ebbero impulso le quattro correnti del pensiero economico che, nei primi decenni dell’ottocento, si dipartirono dalla comune fonte smithiana.

(14)

104 PASQUALE JANNACCONE

Meglio che nelle loro pagine stesse, dove hanno già ricevuta la compostezza quasi impersonale di argomentazioni scientifiche, le discussioni che quelle opere suscita­ rono si leggono nella corrispondenza dei loro autori, dove ancora serbano i segni caratteristici della mentalità di ciascuno e la rivelatrice spontaneità delle espressioni immediate. La Correspondance di Say (2); le molte lettere di Ricardo a Malthus, a Me Culloch, a Trower (3); quelle da lungo tempo attese di Malthus a Ricardo, delle quali Keynes ci ha rivelato qualche brano (4), sono fonti vive per la cono­ scenza della formazione del pensiero economico moderno, alle quali qualche con­ tributo aggiungeranno questa ed alcune delle altre lettere della « Raccolta » sismon- diana.

A Monsr

Monsr Simonde de Sismondi Genève (Suisse).

Dear Sir

E. I. Coll. March 12*h 1821.

If you knew the inveterate habits of indolence which frequently overcome my best intentions towards my correspondents and how much, in consequence, I am in arrear to my friends in Paris, America and the East Indies, at this moment I might perhaps indulge some hope of forgiveness for my delay in answering your very kind communications. As it is, I must appear to you quite inexcusable, and I have only to throw myself on your mercy for pardon. I at first waited for an opportunity of sending a letter to Geneva by a friend, and I have often observed that, when the opportunity does not readily occur, there is no knowing how long such a plea for indolence may last.

I can assure you most sincerely that your letter gave me great pleasure. I t was very gratifying to me to find that you thought me on the whole successful in my controversy with Mr. Ricardo, and that the points on which you differed from me were fewer than I had supposed. I was aware however from the conversation I had the pleasure of having with you at Sir lames Mackintosh's that there were many parts of the subject on which we should not disagree, and on that account perhaps I was the more surprised at some observations which I found in your work on the subject of population. But you have explained the source of them. So many misconceptions have been in circulation respecting what I have said in my work on population, that without carefully referring to it, it is very easy to receive impressions that it contains opinions and doctrines that are not to be found in it.

I have lately been attacked, after a delay of twenty years, by my old antagonist Mr. Godwin; but it is a very poor and feeble performance, and the only semblance of an argument in it is founded upon a miscalculation.

(2) Nel volume Mélanges el Correspond ance che forma il quinto tomo del Cours Compiel

d ’Economie politique pratique (Bruxelles, Dumont, 1833) oppure in Oeuvres diverses di J.

B. Say (Paris, Guillaumin, 1848).

(3) Letters of David Ricardo to T. R. Malthus, edited by J. Bonar (Oxford, Clarendon Press, 1887). Letters of. D. R. to John Ramsay Me Culloch, edited by J. H. Hollander (Publi­ cations of the American Economic Association, N ew York, McMillan, 1895). Letters of D. R.

to Hutches Trower and others, edited by J. Bonar and J. H. Hollander (Oxford, Clarendon

Press, 1899).

(4) Le lettere di Malthus a Ricardo dovevano essere pubblicate insieme con la edizione completa delle opere di Ricardo promossa dalla Royal Economie Society di Londra e curata da Piero Sraffa. A lam i brani di esse si leggono nel saggio su Malthus di J. M. Keynes, Essays

in Biography, London, McMillan, 1933. \

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UNA LETTERA DI MALTHUS A SISMONDl 105

The Edinburgh Review has so entirely adopted Mr. Ricardo's system of Political Eco­ nomy that it is probable neither you nor I shall be noticed in it. I know indeed that a review of your work was written and sent, but it appears to have been rejected through the influence of the gentleman who is the principal writer in the department of Political Economy, and who is known to have adopted fully and entirely all Mr. Ricardo's view's. The article however which you have so ably controverted in the sheet you were so good as to send me was written by another convert of the name of Torrens.

In general however I should say that though Mr. Ricardo's doctrines have certainly captivated some very able men, they are not spr(eading) (5) very much among the great body of political Eco(nomists) and I am inclined to think that many of them will not stand the tests of examination and experience.

You will be rather pleased to hear that he has altered his opinions on the subject of the effect of machinery on the labouring classes of society, and in a new edition which he is about to publish of his work, will I believe go so far as to say that it may not only fort a time, but permanently injure the labourer, although it may increase the neat produce. This is going quite as far or perhaps a little farther than I should go, but the view he takes of the subject is somewhat different. I am glad to hear that you are preparing a new edition. I am engaged in a similar occupation. I hope you are right respecting the effects of the equal division of landed property among children, as it seems to be the tendency of Europe at present. It may be excusable in an Englishman to be prejudiced in favour of a different system of pro­ perty which for so long a time has appeared to be productive of favourable results. There is one part of the economy of Italy which I cannot understand. How docs it happen that so many farms are let at half produce, when the difference of their fertility must be very great. The half of the produce which migth be easily paid from a rich soil, I should think impossible to be paid from a poor soil.

I am sorry you are not likely to settle in Paris, as I should have had a better chance of seeing you. Believe me, dear Sir, with great respect and exteem

Truly yours, T . R. Malthus.

E. I. Coll. (6), 12 marzo 1821. Caro Signore,

Se voi conosceste le inveterate abitudini d'indolenza che spesso sopraffanno le mie migliori intenzioni verso i miei corrispondenti, e quanto, in conseguenza, io sia in arretrato coi miei amici di Parigi, di America e delle Indie Orientali, potrei forse in questo momento permettermi qualche speranza di essere perdonato del ri­ tardo a rispondere alle vostre gentilissime comunicazioni. Allo stato delle cose, debbo sembrarvi proprio inescusabile e non posso che rimettermi alla vostra misericordia

(5) Al margine della metà del foglio una macchia di ceralacca nera oblitera quasi com­ pletamente due parole. Credo che quella del rigo superiore debba leggersi spreading-, quella del rigo inferiore è ovviamente economisti.

(6) Si legga East India College. La Compagnia delle Indie Orientali aveva fondato nel 1805 a Hailebury, presso Herford, un istituto (college) per la preparazione dei suoi fun­ zionari. 1 giovani vi ricevevano, in due anni di corso, una istruzione generale sul tipo di quella di Oxford e Cambridge ed una istruzione specializzata per le funzioni coloniali. Dal 1805 alla sua morte (1834) Malthus vi fu professore di storia e di economia politica (cfr. Bonar, Malthus

and bis tiwrk, London, McMillan, 1885, p. 417). Nelle prime righe della lettera si accenna

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106 PASQUALE JANNACCONE per essere assolto. Aspettai dapprima un’occasione per mandarvi una lettera a G i­ nevra per mezzo di un amico; ed ho spesso osservato che, quando l'occasione non si presenta prontamente, non si sa più quanto tempo potrà durare quella tal scusa dell'indolenza.

Posso assicurarvi con la massima sincerità che la vostra lettera mi arrecò un grande piacere. Fui molto soddisfatto di apprendere che voi mi consideravate, in com­ plesso, vittorioso nella mia controversia col signor Ricardo (7) e che i punti sui quali voi dissentivate da me erano meno numerosi di quanto io avessi supposto (8). Sapevo, tuttavia, dalla conversazione ch’ebbi il piacere di avere con voi in casa di Sir James Mackintosh (9), che vi erano molte parti della materia nelle quali noi non avremmo dovuto discordare, e forse per questa ragione fui tanto più sorpreso di alcune osservazioni, che trovai nella vostra opera, sul tema della popolazione (10).

(7) La lettera di Sismondi, alla quale Malthus ora risponde, conteneva probabilmente un giudizio complessivo sui Principles editi nel 1820. La « controversia con Ricardo », quindi, non allude ad una particolare questione ma a tutt'i punti sui quali i due economisti inglesi disputavano: natura e misura del valore, principio della domanda e dell'offerta, natura e pro­ gresso della rendita, condizioni che determinano i salari e i profitti, cause che agiscono sul­ l'aumento della ricchezza nazionale, limiti alla produzione ed al consumo, formazione ed im­ piego del risparmio. Come si legge nell'ultima pagina dell'Introduzione ai Principles, Malthus volle deliberatamente sottoporre al giudizio del pubblico le opposte opinioni sue e di Ricardo.

(8) I dissensi fra Malthus e Sismondi concernevano in particolare la rendita fondiaria, cui Sismondi attribuiva prevalentemente il carattere di un prezzo di monopolio; il movimento della popolazione e le relazioni fra reddito e consumi. Su quest'ultimo punto Malthus scriveva: « Sono d'accordo con Sismondi in alcuni dei suoi principi relativi al consumo ed alla domanda, ma non credo esatto il suo modo di vedere sulla formazione del reddito nazionale dal quale dipende ogni aumento di consumo e di domanda; e non posso proprio consentire nei timori ch'egli esprime intorno aU'impiego delle macchine, ed ancor meno nell'opinione ch'egli professa relativamente alla necessità di una frequente ingerenza del governo per proteggere individui e classi dagli effetti della concorrenza ». ( Principles, 2nd edit, book II, chap. I, sect. 6). D'altra parte, Sismondi non conveniva nella « conclusion un peu étrange » di Malthus che, per as­ sorbire gli eccessi di produzione e prevenire le crisi generali, fosse opportuno stimolare i con­ sumi improduttivi dei ricchi e dei governi (cfr. Bilance Jes consornmations aree les productions, in Etudes d'Economie politique, J, p. 63). Quanto alla popolazione, si veda la nota 10.

(9) Giacomo Mackintosh (1765-1832), dopo avere studiato medicina, divenne avvocato, pubblicista ed uomo politico di grande attività e rinomanza. Scrisse opere sulla rivoluzione inglese e sulla francese; fu membro della Camera dei Comuni dal 1813 e dal 1818 al 1824 professore di D iritto e politica generale all'East India College. Egli era quindi collega di Ricardo in Parlamento e di Malthus a Hailebury; dippiù era cognato di Sismondi, avendo questi sposato nel 1819 Miss Jessie Alien, sorella della seconda moglie di Mackintosh. Il pezzo più importante, dal punto di vista storico-politico, dell'Epistolario di Sismondi è forse la lettera scritta il 29 aprile 1815 (pochi giorni prima del suo famoso colloquio con Napoleone) a Mackintosh per indurlo a muovere l'opinione del pubblico e del governo inglese contro la ripresa della guerra e per convincerlo che alla causa dell'Europa, della libertà e della civiltà avrebbe più giovato un Bonaparte ravveduto che un incorreggibile Borbone. A Mackintosh Sismondi raccomandò Santorre Santarosa quando il profugo piemontese fu costretto ad ab­ bandonare anche la Francia, (si veda nell'Epistolario la lettera a Santorre Santarosa dell’l l ot­ tobre 1822). Fu Mackintosh che presentò Sismondi a Ricardo nel 1819 (cfr. Letters to Me Cul- loch, 7 aprile 1819).

(10) Sismondi era stato forse il primo a scorgere nella dottrina malthusiana una con­ fusione fra l’accrescimento virtuale e l'accrescimento reale della popolazione (cfr. Nouveaux

Principes, livre V II, chap. Ili) ed a collegare le variazioni della popolazione non a quelle

delle sussistenze in genere ma a quelle del reddito di ciascuna classe sociale. In proposito Malthus osserva : « riguardo alla popolazione, egli ha compreso male la mia opera più di quanto potessi aspettarmi da uno scrittore cosi abile e distinto. Egli dice che il mio ragionamento è completamente sofistico perché io ho comparato l’accrescimento virtuale della popolazione con l’ac­ crescimento reale degli alimenti. Ma certamente io ho comparato l'accrescimento virtuale

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UNA LETTERA DI MALTHUS A SlSMONDl 107 Ma voi avete spiegato quale ne sia la fonte. Sono tanti i malintesi che circolano su ciò che io ho detto nella mia opera sulla popolazione che, se si tralascia di riferirsi accuratamente ad essa, è molto facile riportare l’impressione ch’essa con­ tenga opinioni e dottrine che non vi si trovano.

Recentemente sono stato attaccato, dopo un indugio di venti anni, dal mio antico antagonista, il signor Godwin; ma il suo attacco è molto stentato e debole e l'unica parvenza di argomento che contiene è fondata su di un errore di calcolo (11).

La Rivista di Edimburgo ha adottato così interamente il sistema ricardiano di Economia politica che è probabile che non farà menzione né di voi né di me. So, infatti, che una recensione della vostra opera fu scritta e le fu mandata, ma sem­ bra che sia stata respinta per l'influenza di colui che ne è il principale collaboratore nel ramo dell'economia politica e che ha, com’è noto, adottato completamente e interamente tutte le opinioni del signor Ricardo (12). L'articolo, però, che voi dell'una con raccrescimcnto virtuale degli altri, e l'accrescimento re.de di quella con l'ac­ crescimento reale di questi; c la maggior parte del mio libro si occupa di quest'ultima comparazione. In pratica poi, il signor Sismondi va molto più lontano di quanto vada 10 stesso con le sue apprensioni di una popolazione sovrabbondante, e propone di re­ primerla con ogni sorta di strani mezzi. Io non ho mai raccomandato, e mai raccomanderò, altri mezzi fuori di quelli di spiegare alle classi lavoratrici in qual modo un aumento troppo grande del loro numero influisca sui loro interessi, e di rimuovere od attenuare le leggi positive die tendono a scoraggiare le abitudini di prudenza e di previdenza » ( Principles,

¡oc. cit.). Sismondi, a sua volta, scrisse in seguito : « colgo con sollecitudine questa occasione

per esprimere il mio rincrescimento di aver giudicato, nella mia prima edizione, l'opera di Malthus intorno alla popolazione sulla prima edizione sua, mentre l'autore aveva svolti, chiariti e rettificati i suoi principi in edizioni posteriori che io non conosceva. Mi rimprovero eziandio di non avere abbastanza detto quanto ammiri la penetrazione, quanto ami il carat­ tere da lui sviluppato in tutte le sue opere » (cfr. N u o vi Principi, seconda edizione, in Bibl. dcll’tEconomista, serie prima, voi. VII, p. 767).

(11) Com'è noto, la prima redazione dell'Essay on Populalion di Malthus (1793) mi­ rava a confutare le idee sulla perfettibilità dell'uomo e sulla felicità sociale espresse da W illiam Godwin nella sua opera Politicai Justice (1793) ed in alcuni dei saggi raccolti sotto 11 titolo The Enquirer (1797). Godwin aveva allora accolte benevolmente le critiche di Malthus mentre aveva aspramente replicato a quelle di Samuele Parr e di Giacomo Mackintosh (cfr. Bonar, op. cit., p. 355 e segg.). Ma, ventanni più tardi, quando l'opera di Malthus era già diventata famosa mentre il nome di Godwin era ormai quasi dimenticato, questi pubblicò:

O f population : an enquìry concerning thè power of increate in thè numbers of mankìnd, heing an answer lo Ai. Malthus’essay on that subject (London, 1820). Questo è l'attacco

cui Malthus allude scrivendo a Sismondi. L’opera ebbe scarsissimo successo (cfr. Bonar,

op. e ¡oc. eh. e le molte testimonianze contro di essa in Lelters of David Ricardo to R. T. Malthus, p. 198, 206-7; lo Hulches Trower, p. 145, 165, 173). Un articolo di aspra critica nella Edinburgh Review (luglio 1821) fu da molti, e dallo stesso Ricardo, attribuito a Malthus, da altri a Sir James Mackintosh; ma entrambi ne disconobbero la paternità, l'uno in una lettera a Ricardo, l’altro in una lettera a Godwin.

(12) Malthus era stato per molti anni collaboratore della Edinburgh' Review sin dalla sua fondazione nel 1802. L'altro grande organo della cultura e della politica inglese, la

Quarterly Review, era stato fondato nel 1809 e d a principio si dimostrò ostile a Malthus.

M a nel 1818 la situazione cambiò: la Quarterly, che già aveva mitigata la sua avversione, accolse le idee di M althus; mentre nella Edinburgh cominciò a scrivere McCulloch, il quale vi divenne l’arbitro delle dottrine e delle questioni economiche. Malthus diede allora la propria collaborazione alla Quarterly (cfr. Bonar, op. cit., p. 285 e 364). II primo articolo pubblicato da McCulloch nella Edinburgh Review (giugno 1818) fu un fervido elogio dei

Principles di Ricardo, di cui questi molto si Compiacque (cfr. lettera di Ricardo a Malthus

del 20 agosto 1818 e lettera a McCulloch del 22 dello stesso mese). Una breve recensione dei Principles di Malthus fu scritta da McCulloch nello Scotsman dell'aprile 1820 (lettera di Ricardo a Malthus del 4 maggio 1820). Malthus si aspettava qualche attacco nella Edin­

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108 PASQUALE JAN SACCONE avete cosi abilmente ribattuto nell’opuscolo che aveste la bontà di mandarmi, fu scritto da un altro convertito di nome Torrens (13). In generale, tuttavia, io direi che, benché le dottrine del signor Ricardo abbiano sedotto alcuni uomini di vaglia, esse non sono largamente (diffuse) (14) nella grande massa degli economisti poli­ tici, ed inclino a pensare che molte di esse non reggeranno alle prove della cri­ tica e dell’esperienza (15).

così lo rassicura in una lettera del 4 settembre dello stesso anno « non so che altro sia stato scritto contro di voi da McCulloch o da Torrens, né so che essi si propongano di farlo ».

(13) La Edinburgh Review aveva pubblicato nell'ottobre 1819 un articolo « S ui pro­ getti del sig.. Owen per alleviare la miseria della Nazione ». (O n Air. Owen's pi.un far

relìeting thè national diuresi). Sismondi vi aveva veduto un attacco della scuola ricardiana

contro di lui, ed avea replicato con un saggio intitolato: «;Esame della questione: il potere di consumare cresce sempre nella società col potere di produrre?», pubblicato negli Au-

nales de Législation et de Jurisprudence (poi Annalcs de Législation et d'Economie politique)

che appunto nel 1820 avevano iniziata la loro breve vita a Ginevra sotto la direzione di Pellegrino Rossi. « L'articolo della Edinburgh Review — scriveva Sismondi — è parti­ colarmente destinato a combattere la mia proposizione che l'autore dichiara fondamental­ mente erronea ed a dimostrare che il potere di consumare si accresce necessariamente con ogni accrescimento del potere di produrre.... Mi sento onorato dell'attenzione che uno studioso, d i cui ignoro il nome, ed un celebre giornale hanno rivolta alle mie opinioni » ecc. Il saggio negli Annales è verosimilmente l'opuscolo che Sismondi aveva mandato a Malthus, il quale ora gli rivela che l’autore dell'articolo nella Edinburgh Review era Torrens. Come mai Sismondi, ripubblicando il saggio col titolo Examen d'une réjulation des Nouveaux

Principes d' Economie politique publiée dans la Revue d' Edinburgh par un disciple de Air. Ricardo (contenuto negli Eclaircissements rélatijs à la balance des consommations avec les produclions, nella seconda edizione dei Nouveaux Principes, 1827) vi aggiunge una nota

che dice: « h o poi saputo (l'autore) essere McCulloch che si può oggimai riguardare come il capo della scuola fondata da R icardo»? (cfr. anche Biblioteca dell'Economista, serie prima, voi. V II, p 763). Evidentemente Sismondi ricordava male nel 1827 ciò che gli era stato scritto sei anni prima da Malthus.

Questi, a sua volta, aveva anch'egli dapprima fermamente creduto che l'articolo della

Edinburgh Review fosse di McCulloch, ma era stato disingannato da Ricardo. Jl quale così

racconta in una lettera del 28 febbraio 1820 a McCulloch: « M i è molto piaciuto il saggio del Colonnello Torrens nell'ultimo fascicolo dell 'Edinburgh Review.... « Malthus, che la setti­ mana scorsa passò due o tre ore con me, era pienamente convinto, finché io non lo disin­ gannai, che l'articolo fosse stato scritto da voi; egli poteva appena credere che il Col. Torrens aderisse così completamente alle dottrine che voi ed io abbiamo sostenute » (cfr. Letters

to McCulloch, p. 52 e Letters lo Trower, p. 108).

(14) Vedi la nota 5.

(15) L'opposizione di Malthus contro la «nuova scuola» si manifestò specialmente quando VEncyclopaedia Britannica, nel suo supplemento alla quarta, quinta e sesta edizione, affidò a McCulloch la redazione della voce «Economia politica». Malthus scrisse allora (27 set­ tembre 1821) a Macvey Napier, editore della Encyclopaedia e più tardi anche direttore della

Edinburgh Review : « vi confesso che io penso esser prematuro che una Enciclopedia adotti in

maniera generale le teorie del mio eccellente amico Ricardo, mentre la questione è ancora

sub judice. Più rifletto sull'argomento e più mi convinco che la parte principale della sua

costruzione non reggerà ». Essendo stata la lettera comunicata a McCulloch ed avendo questi risposto piuttosto acerbamente, Malthus replicava ancora a Napier (8 ottobre 1821) : « Rico­ nosco ampiamente i meriti di McCulloch e di Mill ed ho un grande rispetto per ambedue, ma dopo lunga e ripetuta riflessione rimango fermo nell'opinione che essi hanno adottata una teoria la quale non reggerà alla prova dell'esperienza. C’è in essa una visione parziale della materia come nel sistema degli economisti francesi; e, come quel sistema, dopo avere attratto nel suo vortice un gran numero di uomini di molto ingegno, essa sarà incapace a resistere contro la evidenza di fatti ovvii e contro il peso di quelle teorie che, benché meno semplici e allettanti, sono più esatte perché abbracciano un maggior numero delle cause che effettivamente operano in tutt'i risultati economici ». Come si vede, in queste lettere a Macvey Napier dell’autunno 1821 Malthus riafferma con le stesse parole quanto aveva già scritto a Sismondi nel marzo. (Le lettere di Malthus a Macvey Napier sono comprese in Macvey Napier's Cor-

respondence, edita dal figlio nel 1879 e i brani citati sono riportati da Toynbee, Lectt(res

/

(19)

UNA LETTERA DI MALTHUS A SISMONDI 109

Vi farà un certo piacere apprendere che egli ha modificate le sue opinioni sulla questione degli effetti delle macchine sulle classi lavoratrici della società e che in una nuova edizione della sua opera, che sta preparando, si spingerà, credo, sino a dire che il loro impiego, pur aumentando il prodotto netto, può danneggiare il lavoratore non solo per un certo tempo, ma permanentemente. Questo è un andar proprio tanto lontano, o forse un poco più lontano, di quanto io stesso andrei; ma egli considera la cosa da un punto di vista alquanto diverso (16). Sono lieto di

sen-on thè Industriai Revolutisen-on etc. New York, 1884, p. 7 ; e da Hollander in una nota alla sua edizione delle lettere di Ricardo a McCulloch, p 147-48).

Anche meno contento dell'incarico dato a McCulloch dovette essere Sismondi, il quale aveva scritto la voce « economia politica » nella Encyclopaedia di Edinburgo diretta dal fisico Sir David Brewster. Cosi i Nouveaux Principes di Sismondi come, più tardi, i Principles of

Politicai Economy di McCulloch furono lo svolgimento dei loro rispettivi articoli nelle due

enciclopedie.

(16) Questa notizia sarà stata accolta da Sismondi non solo con piacere ma con la soddisfazione di un trionfo personale. Egli, infatti, aveva sostenuto che le macchine, diminuendo la domanda di lavoro, cagionano una disoccupazione crescente e il progressivo immiserimento della classe lavoratrice; ed aveva respinti come logicamente insufficienti e smentiti dai fatti i due argomenti ricardiani del sicuro beneficio arrecato ai lavoratori, in quanto consumatori, dalla moltiplicazione dei prodotti, e deH'immancabile assorbimento dei disoccupati nella pro­ duzione delle macchine stesse e nella espansione delle altre industrie (cfr. Nouveaux Principes, specialmente libro IV, cap. Ili, IV, VII, V ili). Malthus seguendo il suo metodo di prendere in considerazione molte cause per ogni possibile effetto, non accettava, perché troppo semplici e generiche, né le affermazioni di Ricardo né quelle di Sismondi, ma esaminava la questione con uno spirito più casuistico e sottile (cfr. Principles, book II, chap. I, sect. 5). O r ecco che Ricardo, preparando la terza edizione dei suoi Principles, v'inserì un capitolo nuovo (chap. XXXI Oli Machinery) dichiarando: «tanto più mi corre l'obbligo di esporre le mie opinioni su tale questione, in quanto, dopo avervi ancora riflettuto, esse hanno subito un mutamento considerevole; e benché io creda di non aver mai pubblicato sulle macchine alcunché che ora debba ritrattare, tuttavia ho in altre maniere dato il mio appoggio ad opinioni che ora considero errate; è quindi per me un dovere sottoporre al (pubblico) esame le mie opinioni presenti con le ragioni per le quali le ho accolte ». Il ragionamento ricardiano, fondato sulla quadruplice distinzione fra quantità e valore del reddito lordo e quantità e valore del reddito netto di un paese, non era certo così semplice e limpido da poter essere accettato senza esitazioni da Malthus e da Sismondi. Essi però si saranno senz'altro compiaciuti della terza delle quattro conclusioni formulate da Ricardo : « l'opinione professata dalla classe lavoratrice che l'impiego delle macchine è spesso dannosa ai suoi interessi, non è fondata su di un pregiudizio od uni errore, ma può essere compatibile coi corretti principii dell'economia politica ». Questa conclusione, che concordava con affermazioni di Malthus e di Sismondi, lasciando impregiudicati i principii teorici e la interpretazione dei fatti di ognuno, diede sui nervi all'intransigente e alquanto angusto McCulloch. Il quale — scrisse Ricardo — pensa che col capitolo sulle macchine « io ho rovinata la mia opera ed arrecato un grave danno alla scienza, sia per le opinioni che esprimo sia per la maniera con la quale le ho espresse » (Letters

10 Malthus, p. 184, 9 luglio 1821). N e seguì uno scambio di lettere fra Ricardo e McCulloch

11 quale, fra l'altro, lamentava : « non mi sarei aspettato, dopo aver letto la vostra trionfale risposta alle argomentazioni del sig. Malthus, che gli avreste così presto stretto la mano e ceduto in tutto ». Ricardo in una lettera del 18 giugno 1821, molto lunga e complessa, gli spiega la sua nuova dottrina mostrandogli com'egli giunga a quella conclusione per una via opposta a quella di Malthus (Letters to McCulloch, p. 105).

(20)

110 PASQUALE JANNACCONE

tire che state preparando un’altra edizione; anch’io sono impegnato nella stessa oc­ cupazione (17). Spero che abbiate ragione in quel che concerne gli effetti della di­ visione della proprietà fondiaria in parti eguali fra i figli, secondo la tendenza che ora sembra prevalere in Europa. Può essere scusabile in un inglese l’essere preve­ nuto a favore di un diverso sistema di proprietà, che da tanto tempo sembra aver dato favorevoli risultati (18).

Vi è una parte dell’economia italiana che io non riesco a comprendere. Come avviene che tanti poderi siano affittati a mezzadria, quando la differenza della loro fertilità dev’essere molto grande? La metà del prodotto, che potrebbe facilmente esser pagata da una terra ricca, credo impossibile che possa esser pagata da una terra povera (19).

riconsiderare la questione ed a scrivere il capitolo sulle macchine aggiunto nella sua terza edizione. Egli stesso me lo disse nella maniera più schietta e cortese ». (Cfr. From Air. Mallet’s

Diarles nel volume del centenario del Politicai Economy Club, London, McMillan, 1921, p. 212).

Ma le obbiezioni contro le macchine erano frequentissime nella letteratura economica del tempo e nelle discussioni parlamentari ; e Sismondi e Malthus avevano già dato loro una formulazione dottrinale.

(17) La seconda edizione, ampliata, dei Nouveaux Principes di Sismondi fu pubblicata nel 1827; quella dei Principies di Malthus soltanto nel 1836, e postuma.

(18) Sismondi era avverso ai maggioraschi, ai fedecommessi, alle eredità fiduciarie, accusando tali istituzioni di spingere chi n'è temporaneamente beneficato all'ozio, alla dissi­ pazione, all'indebitamento, alla trascuranza delle colture e dei miglioramenti fondiari con danno degli altri successibili e della collettività. « En ôtant la libre disposition de son bien à la génération vivante, pour la soumettre aux volontés de ceux qui sont morts dès longtems et aux expectations de ceux qui ne sont pas encore nés, on la met dans l’impossibilité de travailler à l'amélioration graduelle de son pays, on la désintéresse d'une terre qui lui est devenue en quelque sorte étrangère, on la déshérite du droit commun de l'homme, du droit que de son vivant il doit exercer sur les biens de cette terre, d'une manière aussi illimitée que ses prédécesseurs l'ont exercé avant lui, que ses successeurs l'exerceront un jour ». M entre i fe­ decommessi cagionano la rapida estinzione dei patrimoni e delle famiglie, la divisione in parti uguali tra i figli, ponendo in ciascuna famiglia un limite alla procreazione, agisce come un congegno pel mantenimento dell'equilibrio fra reddito e popolazione (cfr. Nouveaux Principes, livre III, chap. V).

Malthus invece sosteneva che la divisione della proprietà fondiaria in parti .uguali fra • i figli avrebbe — quanto meno in Inghilterra — prodotto gravi danni sociali e politici : estinto nei cadetti delle grandi famiglie lo stimolo a farsi una fortuna personale nelle industrie e nei commerci; e depresso negl'industriali e commercianti lo spirito d'iniziativa per gareggiare in ricchezza e potenza con l’aristocrazia fondiaria; oppure, distruggendo questa, avrebbe scrollate­ le basi della costituzione inglese c dato il potere politico alla piccola borghesia oppure ad un dispotismo militare. Quanto alla Francia, prevedeva che se la divisione in parti uguali tra i figli «avesse permanentemente continuato a regolare la trasmissione ereditaria; se non si fossero inventati espedienti per evaderla, e se i suoi effetti non fossero stati attenuati dall'azione di uno straordinario grado di prudenza nei matrimoni — la quale prudenza non sarebbe certo stata incoraggiata dalla legge stessa — il paese, al termine di un secolo, sarà molto probabil­ mente tanto notevole per la sua straordinaria povertà ed angustia, quanto per la inconsueta eguaglianza nella distribuzione della proprietà » (Principies, book II, chap. I, sect. VII).

(19) Sismondi avrà probabilmente risposto che la mezzadria non era in Italia una forma generale e necessaria di conduzione agraria, ma la forma prevalente in alcuni luoghi, per certi terreni e per determinate specie di colture. Alla obbiezione che una famiglia di mezzadri non avrebbe potuto vivere su di un fondo troppo piccolo o troppo povero, avrà replicato che nella mezzadria si proporzionano grandezza e rendimento dei fondi, da una parte; composizione e- forza di lavoro delle famiglie coltivatrici, dall'altra. « On ne voit jamais une famille de métayers proposer à son maitre de partager sa métairie, à moins que le travail ne soit réellement supérieur à ses forces, et qu’elle ne sente la certitude de conserver les mêmes jouissances sur un moindre espace de terrain. On ne voit jamais dans une famille plusieurs fils se marier en même tems et former autant de ménages nouveaux; un seul prend une femme et se charge des soiiis~flu

,f ' , /

(21)

UNA LETTERA DI MALTHUS A SIS MON DI I I I

Mi duole che non è probabile che vi stabiliate a Parigi, perché avrei avuto maggiore probabilità di vedervi. Credetemi, caro Signore, con grande rispetto e stima

sinceramente vostro

T. R. Malthus.

Pasquale Jannaccone.

ménage; aucun de ses fières ne se marie à moins que lui-même n’ait pas d ’enfans, ou que l'on n'offre à cet autre frère une nouvelle métairie ». Solo dove queste consuetudini non siano osservate o dove sorga una eccessiva domanda di terra da coltivare, la mezzadria si snatura e i coltivatori « arrivent en fin à se contenter de la plus chétive subsistence, d’une portion qui suffit à peine dans les bonnes années, et qui dans les mauvaises les laisse en proie à la famine » (Nouveaux Principes, livre III, chap. V).

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GALIANI E LA TEORIA DEI GRADI

FINALI DI UTILITÀ.

1. — Il Pantaleoni dopo aver ricordato nei «P rincipi» il nome del Galiani come quello di un precursore della legge dei gradi decrescenti di utilità, lo cita laddove, negando che la causa del pregio dei beni economici sia il loro costo, accenna alla teoria dell’equilibrio economico enunciata alla maniera della scuola austriaca. Con questa citazione il grande economista riconosce al Galiani il merito di aver chiaramente veduto che perché una cosa abbia valore occorre qualcosa oltre all'utilità, ma che quest’altra cosa non è il costo, sì la limitazione quantitativa dei beni, cioè la rarità, della quale il costo è una conseguenza.

2. — Il principio della rarità è legato al nome di Walras padre, ma il concetto non era nuovo perché il Galiani lo aveva già sviscerato ed analizzato.

Dagli economisti del tempo di Smith e di Ricardo quel concetto veniva inteso ora come uno degli elementi costitutivi dell'utilità : i beni più rari sono più pregiati e ricercati; ora come un ostacolo o una espressione dal costo di produzione: sono più rari i beni la cui produzione riesce più difficile e costosa. Al Galiani l'esistenza di questi due aspetti della rarità era apparsa in tutta la sua evidenza. Quando af­ ferma che

« l'aria e la terra non hanno rarità né valore di sorte alcuna » (/.'ella Moneta, ed. Nicolini, Bari, Laterza, pag. 42)

o più generalmente:

« quanto cresce l'utilità primaria, tanto più si trova abbondanza, e perciò non può essere grande il valore. Quelle cose che bisognano a sostentarci, sono cosi profusamente versate sulla terra tutta, che o non hanno valore o l’hanno assai moderato ». (ivi, pag. 33)

viene in realtà a dire che un prodotto dotato di semplice « utilità primaria » fa parte dei beni disponibili in quantità superiore al fabbisogno e quindi come affer­ merà il Pantaleoni non è « oggetto di una gestione economica ». è agevole per noi comprendere che la distinzione serve per precisare quel di che si occupa e ,quVl di

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