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GIUSEPPE MARIA LOTANO PRÈET. Castelgrande, linguaggio e territorio

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Academic year: 2022

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PRÈET

Castelgrande, linguaggio e territorio

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© 2019 Dibuono Edizioni 85050 Villa D’Agri (Pz) Via P. F. Campanile, 67 Tel. 0975.354066

e-mail: francescodibuono@gmail.com www.grafichedibuono.it

ISBN: 978 - 88 - 99590 - 37 - 6

citazioni dall’Opera che dovranno riportare, in aggiunta al titolo, il nome dell’Autore, dell’Editore e l’anno di edizione.

Elaborazione grafica a cura di:

Azienda Poligrafica TecnoStampa (Gruppo Grafiche Dibuono) Via P. F. Campanile Villa d’Agri (Potenza) Tel. 0975.354066

E-mail: tecnostampasnc@libero.it Foto di Giuseppe Maria Lotano

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l’inno di amore

in lingua natìa

e a mia madre

prima voce

al mio dire.

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VOGLJ SAPÈ LA PIEDRA

RINGRAZIAMENTI PREFAZIONI

PRÈET - Castelgrande, linguaggio e territorio di Maria Rizzi

L’eredità culturale e la lingua nativa: patrimonio dell’umanità

di Silvana Arbia

La lingua poesia di ogni terra di Angelo Boscarino

Tondo di immagine di Pasquale Aiello

L’unicità di un dialetto e la continuità culturale di Angela Dibuono

INTRODUZIONE

di Giuseppe Maria Lotano

FONTI DELLA LINGUA Lingua locale

Lingua dell’altro

Unicità della diversità di razza Minoranze linguistiche storiche Lingua dei diritti fondamentali

Dai continenti Dallo sport

Da immagini fotografiche Dalla violenza sulle donne Da scontri razziali

Da testi canori Da testi poetici Dalla speranza 14

15 17 19 19 22

24 26 28

31

37 37 38 40 43 45

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100 POESIE IN CASTELGRANDESE IL DETTO

1.000 DETTI IN CASTELGRANDESE Auspici

Avvertenze Constatazioni Fauna

Gastronomia Generalità Mestieri e Attività Meteorologia Risorse

IL SOPRANOME Memoria e origine

SOPRANOME DI CONCITTADINI

Sopranomi di 274 concittadini e rione di re- sidenza

Elenco di 11 capostipiti immigrati per paese di origine e rione di residenza

Elenco di 263 capostipiti nativi e rione di resi- denza

COMUNITÀ LIMITROFE SULLA VIA APPIA SS 7 Pescopagano, Castelgrande, Muro Lucano

Sopranomi abitanti di: Pescopagano, Castelgrande, Muro Lucano

Pescopagano: Denominazione abitanti, origine, personalità e attività

Castelgrande: Denominazione abitanti, origine, personalità e attività

Muro Lucano: Denominazione abitanti, origine, personalità e attività

55 107 109 110 112 117 126 133 138 142 145 148 157 157 161 161

171 172

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CONCITTADINI E LORO NOTORIETÀ Tavola sinottica

Biografie, note, testimonianze Guglielmo Gasparini

Nicola Domenico Potito de Sanctis Nicola Cianci di Leo Sanseverino Aniello de Sanctis

Alfonso de Sanctis Francesco Masi

Concittadini e ruoli di prestigio In ambito medico

In ambito medico e universitario In altri ambiti

CONCITTADINI E IDEALI Rivoluzionari e patrioti

Matteo Cristiano Guglielmo Gasparrini In lotta per i fatti del 1799 Decorati al Valore Militare

Cesare Cianci Annibale Cianci Vito Federici Donato Cristiano Pio Belmonte I ragazzi del 1899

Le mamme e la Grande Guerra Premiati al lavoro

Domenico Masi Antonio Racaniello Suor Celestina Muro

TOPONOMASTICA, LAPIDI, EPIGRAFI (AL 2018) Toponomastica realizzata

Toponomastica da perfezionare Lapidi, epigrafi da ripristinare Toponomastica da considerare CONCITTADINI E BENI COMUNALI 189

189 194

209

210

215 210

220

229 229 230

242 242 242 243 245 246

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CONCITTADINI VERSATILI Nell’arte

Aniello Bologna Domenico Masi Gaetano Federici Donato Antonio Lamorte Pio Belmonte

Vincenzo Loglisci Daniela Pilotto Gerardo Di Muro Vincenza Cristiano Giuseppina Frassino Nel ciclismo

Giuseppe Colangelo Nicolino Della Piazza Donato Masi

Francesco Masi Nella dedizione Suor Angelina

CONCITTADINI CENTENARI Nonnino e nonnina di Castelgrande Nonnini e nonnine in Italia e nel mondo EVENTI NEGATIVI A CASTELGRANDE DAL 1591 AL 1980

Elenco eventi negativi

Terremoto del 23 Novembre 1980 CONCITTADINI E MIGRAZIONE Migrazione di singoli e nuclei familiari Flussi migratori e tasso di natalità Patrimonio umano e territorio Migrazioni e naufragi

Espatrio e rilevazione dati presso Anagrafe comunale e A.I.R.E.

247 247

261

268

269

275

275 278 281 284 286 288 270 273

275

278

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BASILICATA TERRITORIO DI RISORSE Risorse e popolazione

Matera capitale della Cultura Europea 2019 CASTELGRANDE E I GIOVANI

ASSOCIAZIONI E CIRCOLI DEI LUCANI EMIGRATI E ONORIFICENZA DI “LUCANO INSIGNE”

Associazioni e Circoli dei Lucani nel Mondo e in Italia Onorificenza di “Lucano Insigne”

CASTELGRANDE E CENNI TERRITORIALI INFRASTRUTTURE

Infrastrutture stradali SS Appia Nuova n. 7 Via del Grano - SP ex SS 381 Baragiano / Muro Lucano / Nerico Infrastruttura ferroviaria

Scalo di Bella-Muro / tratta: Napoli - Taranto Scalo Balvano e la Galleria delle Armi

SERVIZI DI FORNITURA:

IDRICA, TELEGRAFO, ELETTRICA,TELEFONIA CASTELGRANDE E RISORSE DEL TERRITORIO ASSOCIAZIONI CULTURALI

PRO LOCO E STRUTTURE SPORTIVE STRUTTURE RICETTIVE

ALCUNE TRADIZIONI E RITI 293

293 296

301

331 331

340

384 386 387 389 299

302 301

303

336

343

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TESTIMONIANZE E CONFRONTI CONSULTAZIONI

ACQUISIZIONE DETTI E INFORMATIVA

APPENDICE

BASILICATA E SUOI ABITANTI Basilicata e Lucania

L'etnìa dei Lucani Basilicatesi o Basilischi La Grande Lucania LE OLIMPIADI

Origine delle Olimpiadi

L’Olimpiade del 1960 e la Fiaccola Olimpica Castelgrande e passaggio della Fiaccola Olim- pica del 1960

Avigliano ospita il CONI per la premiazione dei tedofori lucani del 1960

100 GIRI D’ITALIA

Cenni storici dal 1909 al 2017

Castelgrande e passaggio del Giro d’Italia Sopranomi di alcuni leggendari ciclisti 28 GIRI D’ITALIA DONNE

Cenni storici dal 1988 al 2017

Sopranomi di alcune leggendarie cicliste italiane

BIBLIOGRAFIA ARTICOLI DI STAMPA INDICE DEI NOMI 409

409

411

418 418 418

422 422 424

441 445 447 412 412 413 415 416

421 421

425 436 436 437 408

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VOGLJ  SAPÉ

1

Voglj  sapé  re  gente, terre  e  case ndo’ ji’ so’ nate  e  ndo’ ji’  so’ cresciute e  ca pe’ forze ji’ aggj  lassate.

Voglj  sapé  re  gente, terre  e  case

ndo’ ‘n brazze a  mamma ji’ stie’ ra criature civate  sule  ra  l’amore luere.

Voglj  sapé  re  gente, terre  e  case che’ cri’ sapuri e prezziusi addure come tu raie vasi  appassienuate.

Voglj  sapé  re  gente, terre  e  case ndo’ me seglié re stelle cchiù leciuente pe’ appiccia’ la  notte co’ l’amore.

VOGLIO SAPERE

Voglio sapere di genti, terre e case

dove io sono nato e dove io sono cresciuto e che per forza io ho lasciato

Voglio sapere di genti, terre e case

dove in braccio a mamma io stavo da bambino imbeccato solo dall’amore vero.

Voglio sapere di genti, terre e case con quei sapori e preziosi odori come tu dai baci appassionati.

Voglio sapere di genti, terre e case

dove mi sceglievo le stelle più lucenti       per accendere la notte con l’amore.

1 Canto lucano . Versi di: Giuseppe Maria LOTANO Musica di: Camillo BERARDI N.B.  La vocale “e” a fine sillaba è quasi muta

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LA PIEDRA

El distraido tropezó con ella.

El violento la utilizó como proyectil.

El emprendedor construyó con ella.

El campesino cansado la usó como asiento.

Para los niños fue un juguete.

David mató a Goliat, y Miguel Àngel le sacó la más bella escultura.

En todos los casos, la diferencia no estuvo en la piedra, sino en la persona.

No existe piedra en el camino que no puedas aprovechar para tu proprio crecimiento.

- Antonio Pereira Apon (Aponarte) -

LA PIETRA

Il distratto inciampò con essa Il violento la utilizzò come proiettile

L’imprenditore edificò con essa Il campagnolo stanco la usò come sedile

Per i ragazzini fu un giocattolo Davide uccise Golia, e Michelangelo

ne trasse la più bella scultura In tutti i casi, la differenza

non è stata la pietra, bensì la persona Non esiste pietra nel cammino che tu non possa

utilizzare per la tua stessa crescita.

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RINGRAZIAMENTI

Di quanta condivisione e gratuità

A

Voi numerosi e cortesi amici, che con diversi contributi avete assicurato supporto al mio lavoro, devo un particolare pensiero e ringraziamento per avermi consentito un più ampio affaccio sul territorio tra percorsi di azioni e pensieri delle generazioni che ci hanno preceduto e su quant’altro di odierna realtà.

In questo lavoro propongo, in castelgrandese, cento mie poesie, mille detti, duecento settantaquattro sopranomi, biografie di recenti illustri concittadini, notizie di attenzione verso il territorio locale e regionale, accenni su eventi sportivi e sulle origini dell’etnia lucana.

La selezione dei detti è anche un concreto riguardo verso ignoti e antichi concittadini protagonisti di una catena umana tutrice di mes- saggi orali, dei quali deliziarci.

Magnificare la memoria degli antenati comporta la necessità di tesorizzarla e consegnarla alle prossime generazioni per continuità di storia, di appartenenza, per non dimenticare.

Con più intensità ho potuto interpellare le mie sorelle, Angela, Iolanda, Lidia, la cui pazienza ha garantito puntiglioso affinamento informativo.

Illimitata è stata durante le interviste la disponibilità concessami, da amici e Istituti visitati, per nuove biografie.

Sul territorio attenta collaborazione ho ricevuto dai coniugi Nicola Pennimpede e Filomena Cianci, così pure, nei rispettivi Uffici del Comune, da Domenico Muro, Vita Maria Bologna, Anna Loi.

Specificità preziosa il sostegno ricevuto da Voi amici autori delle prefazioni, ciò mi ha fortificato nel saperVi custodi e autorevoli so- stenitori del mio messaggio.

A tutti confermo stima, simpatia, affetto e dico che è stato bello sentirVi protagonisti, pagina dopo pagina, accanto a me con magni- ficenza e trasparenza di amicizia.

SacramentandoVi “compagni di viaggio” a gran voce e con la for- za di un sorriso di gioia, di cuore e nella mia/nostra lingua madre, anche a nome dei lettori, esprimo il mio profondo “Grazzij r tutt!!

E V’abbrazz fort fort” – “Grazie di tutto!! E Vi abbraccio forte forte”.

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PREFAZIONI

Per dirti

PRÈET - Castelgrande, linguaggio e territorio

di Maria Rizzi 1

N

ella sua Opera il caro Giuseppe Maria Lotano ci spinge a posare le valigie sulla sponda del fiume e ad ascoltare la musica delle note che lo attraversano e che, unite, danno vita a un linguaggio de- finito nel corso dei secoli, semplicemente italico, mentre è composto di seimila lingue conosciute, tendenti a estinguersi.

Il fiume senza i suoi affluenti rischia di prosciugarsi, di interrom- pere il meraviglioso percorso che lo porta, da sempre, a congiunger- si con il mare.

Ed è sugli affluenti, ovvero sui dialetti che il nostro Autore ci indu- ce a riflettere in questo volume poetico sin dall’introduzione, ispirata come musica, di purezza incandescente.

Le parole sono definite préet, “pietre”, in altre parole, per dirla con Giuseppe Maria Lotano, “primarie risorse per assicurare un tetto all’uomo e ai suoi sogni”.

Pietre che segnano i confini, senza eliminarli, anzi donando loro, l’antica, profonda armonia. I dialetti, infatti, non vanno intesi come simboli di diversità, ma come connotazioni di “radici”, o forse sa- rebbe più indicato dire di talee, che caratterizzano le regioni, senza eliminare il senso dell’origine.

Siamo italiani, posiamo la nostra storia su una patria che, pur nei periodi critici, che spesso attraversiamo, resta la radice solida e inattaccabile della famiglia che germoglia. E al tempo stesso siamo figli di venti regioni, con centodieci province, di venti “pietre” milia- ri, che, al pari della lingua nazionale, hanno avuto la stessa origine nobile, ovvero il latino.

Va contestato subito il luogo comune secondo il quale i dialetti rappresentano una corruzione dell’italiano. È vero, invece, che ri- vestono un diverso ruolo socio - linguistico. L’italiano, infatti, è la lingua della comunicazione, all’interno della nostra Repubblica, di

1 I.P. la C. (Insieme Per la Cultura)

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quella di San Marino e nel Canton Ticino elvetico; i secondi hanno uso circoscritto. A determinare la scelta di una lingua a carattere na- zionale furono: il dialetto fobia istituzionale nelle scuole, l’abbando- no delle campagne e la progressiva emigrazione, la leva obbligatoria, la burocrazia e la televisione, che inducevano gli italiani a parlare la lingua ‘comune’ per potersi comprendere, hanno fatto sì che certi tratti di essi siano scomparsi (come per esempio le forme arcaiche utilizzate dagli anziani), a scapito di forme più moderne e più vicine all’italiano, facendo sì che si corresse il rischio di appiattire la varietà che rendono preziose e uniche le lingue del nostro paese.

Giuseppe Maria Lotano, dedica la sua “Prèet”, raccolta di poesie e detti in dialetto alla propria cittadinanza di Castelgrande, e l’affida alle Istituzioni pubbliche lucane a testimonianza di salvaguardia dei dialetti, pietre miliari del paesaggio, degli usi e costumi delle tradi- zioni territoriali.

La sua volontà di aggiungere alle liriche i detti, a mio umile av- viso, è un distillato di linfa vitale e corrobora il dato di fatto che il dialetto non disintegra, ma interpreta con le proprie sonorità, i pro- pri accenti, la propria armonia, concetti spesso assimilabili tra molte regioni italiane.

Il Nostro, con la sua introduzione, ricca di percezioni personali e di dati ufficiali, cerca di dimostrare quanto si tenda a riconnettere la differenza tra la lingua e il dialetto all’emotività che permane dietro l’uso dell’una o dell’altro. In altri termini per la pubblica opinione l’italiano potrebbe rappresentare la lingua della razionalità, della let- teratura, della scienza, mentre il dialetto potrebbe essere la lingua dell’emotività. Infatti, ricorre quando si è in preda alla rabbia, o si manifesta sdegno o compiacimento verso particolari situazioni della vita.

L’Autore giustamente evidenzia che il vernacolo “svela il patri- monio espressivo di ognuno” e la matrice identitaria. D’altronde la sua asserzione è stata sostenuta da critici come Gianfranco Contini, che affermava che la produzione dialettale è una delle due facce della letteratura italiana. In un detto recitava: “La letteratura dialet- tale è visceralmente e inscindibilmente collegata sin dalle origini alla letteratura italiana”. E ci si riferisce al modello del policentrismo, chiamato “Italia delle Italie”. Le letterature dialettali, intese come plu- ricentriche, sono parti intrinseche della letteratura del nostro paese.

Basta pensare che il fiorentino dantesco, prima di essere scelto come lingua italiana era lingua fiorentina, cioè un dialetto.

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Quindi, in linea con quanto afferma il nostro Autore, il dialetto è la lingua di comunicazione primaria identitaria del gruppo, è la pri- ma lingua spontanea di una comunità.

In Italia abbiamo una differenziazione linguistica ricchissima, uni- ca nel mondo. Una differenziazione simile si ritrova in Cina e in India, solo su milioni di persone e su spazi più grandi. Di certo non han- no varietà quanto i nostri dialetti, che possiedono una caratteristica fondamentale: sono comunità che hanno una memoria collettiva che va dai mille ai duemila, duemilacinquecento anni. E anche questo s’identifica come un autentico apporto alla comune identità.

Giuseppe Maria Lotano scrive in lingua e in dialetto e affida a quest’ultimo la speranza di contribuire a “mantenere in loco signi- ficativa presenza demografica per etnia e voce”, innanzitutto perché è innamorato della sua terra, in secondo luogo perché gli consente di esprimersi con la lingua che parla da sempre, forse la stessa in cui sogna … e, soprattutto, per esigenze d’ispirazione. Infatti, anche nell’epoca della globalizzazione, la propria lingua rappresenta uno strumento di riconoscimento, d’integrazione, di sicurezza e, in certe situazioni, può proporsi come un valido supporto alla comunicazio- ne. Salvare il proprio dialetto è un’operazione che non comporta costi, ma è molto più complessa, perché deve essere quotidiana e deve essere trasmessa ai giovani, sempre più proiettati, per le neces- sità dell’economia, verso le lingue straniere, in particolare l’inglese.

Giuseppe Maria Lotano con le sue poesie ci apre un ventaglio di modi espressivi, che aiuta a provare sensazioni tra le più inattese e illuminanti. Ogni lirica porta in sé la magia di un’antica civiltà, del tempo che non si è mai fermato, ma ha conservato quello che Egli definisce ‘il rapporto tra il silenzio e la parola’.

Giuseppe Maria Lotano reca in sé il retaggio del passato e lo proietta nel futuro, dimostrando la volontà di portare avanti la sua esigenza interiore di non tradire le radici. La Silloge e i detti rappre- sentano una grande testimonianza di coraggio, una sfida allo status quo e un tributo superbo alla sua terra.

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L’eredità culturale e la lingua nativa: patrimonio dell’umanità

di Silvana Arbia2

L

e pietre pesano e la loro durezza in tutti i sensi ci fa sentire pro- tetti, e forti.

La loro offensività è particolarmente temibile.

La loro bellezza può essere estremamente preziosa.

La loro varietà nei colori, nelle forme e nella consistenza è poco conosciuta e sfugge all’occhio distratto.

Parole scolpite su pietre, difficilmente si cancellano.

La pietra segna il primo passo della nostra umanità, la civiltà della pietra, che con la civiltà moderna definibile del silicio, chiude un cerchio.

Lotano ha avuto l’intuizione di “pietrificare” la memoria e la civiltà della nostra terra, la Basilicata alias Lucania, per non disperdere e non cancellare un patrimonio sconosciuto di espressioni idiomatiche legate profondamente alla gente lucana, alla sua visione del mondo e della storia, al suo sentire nobile e umile allo stesso tempo.

La parola e le parole che diventano immagini, gesti, graffi, carez- ze, quel “body language” che aiuta quando la parola non esce per l’emozione, la rabbia o simili situazioni paralizzanti, quel linguaggio che per essere compreso deve essere conosciuto, e, soprattutto, non deve essere separato dal linguaggio locale.

Ricordo, nella mia esperienza di procuratore internazionale al servizio delle Nazioni Unite, i testimoni nei processi contro i re- sponsabili di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, commessi in Ruanda nel 1994, con giudici, procuratori, avvocati in- ternazionali, staff internazionale, traduttori e interpreti da varie regio- ni del mondo, tutti capivamo immediatamente quando il testimone, spesso vittima e superstiti di crimini atroci parlando kinyaruanda lin- gua usata in Ruanda, che doveva essere tradotto in inglese e in fran- cese, descriveva, in modo non traducibile letteralmente, espressioni

2 Procuratore internazionale presso il Tribunale penale internazionale dell’ONU per il Ruan- da - Cancelliere presso la Corte Penale Internazionale dell’Aja.

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allegoriche come “gukora” che comunemente vuol dire “lavorare”, ma che nel contesto del genocidio si usava per incitare a trucidare le persone.

Il diritto di usare la lingua a noi familiare è un diritto umano che viene garantito anche in procedure giudiziarie. Ricordo gli sforzi im- mani per reperire interpreti dall’acholi, linguaggio parlato da alcuni gruppi nel nord Uganda e nel sud Sudan, all’inglese e al francese nei processi avanti la Corte penale internazionale.

Il linguaggio originario è parte della nostra identità e determina certamente molte inclinazioni della nostra mente e della nostra con- cezione degli altri.

La diversificazione culturale che grazie ai dialetti è tutelata è la sola via per evitare che la globalizzazione economica comporti una globalizzazione del pensiero e dell’espressione.

Com’è stato scritto nello Statuto di Roma istitutivo della Corte pe- nale internazionale, tutti i popoli sono uniti da stretti vincoli e le loro culture formano un patrimonio condiviso, un delicato mosaico che rischia in ogni tempo di essere distrutto.

Lo sforzo di Lotano per evitare la distruzione di una parte impor- tante del linguaggio e delle tradizioni lucane, s’iscrive in quest’am- bizioso progetto di condivisione di culture che solo se rimangono diversificate possono comporre il mosaico di un’umanità in cerca di pace.

Le espressioni dialettali raccolte da Lotano sono una preziosa fon- te di memoria, un dono generoso alle future generazioni e costi- tuiscono una componente importante di quell’Intangible Heritage, parte del Cultural Heritage, secondo le elaborazioni più avanzate di organi preposti alla tutela dei diritti umani, come il Consiglio dei diritti umani di Ginevra.

Cultural and Natural Heritage, sono invero definiti come il com- plesso di beni che si ereditano, si consumano e si conservano per trasmetterli alle future generazioni nella loro intangibilità.

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La lingua: poesia d’ogni terra

di Angelo Boscarino3

H

o conosciuto Giuseppe Maria Lotano a una giornata sulle Mi- noranze Linguistiche Storiche, e si è presentato con una poesia sulla vitalità della lingua.

Giuseppe Maria è di Castelgrande in Basilicata, territorio dove, come in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, c’è pre- senza di comunità dell’Albania.

Esse sono originarie della Morea e della Ciamuria, aree oggi ap- partenenti alla Grecia, da cui fuggirono tra il XV e il XVIII secolo per non sottostare all’occupazione turca dopo la morte del loro patriota Scanderbeg.

Approdate in Italia, in Basilicata, s’insediarono nei comuni di San Paolo Albanese, San Costantino Albanese, Barile, Ginestra, Maschi- to, custodendo fedelmente lingua, religione, usi, costumi.

La popolazione complessiva è di 8.132 abitanti, parlano la lingua albanese variante Tosco dell’Albania meridionale.

L’integrità dell’uso della loro lingua è tutelata dalla legge n. 482, n.1999 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche sto- riche”.

Giuseppe Maria nella pausa dei lavori di quella giornata mi ha spiegato che il suo interesse per quello di cui parlavamo nasceva dall’amore per la sua terra e per il suo dialetto che ha la forza di una lingua, e dalla sua ferma convinzione che solo l’interesse, l’attenzio- ne per l’altro riesce a dare significato alla vita.

Sicuramente è così, ma Giuseppe Maria in realtà si esprime con una lingua che pochi parlano ma che tutti capiscono, che è la lingua dei poeti.

Personalmente non ho gli strumenti per approfondire il discorso sulla sua poesia, ma quello che posso certamente dire è che la sua cifra è assolutamente riconoscibile: la struttura icastica, la forza e l’e-

3 Beni Immateriali e Archivistici srl

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strema accuratezza nella scelta delle parole mai ridondanti e sempre indispensabili anzi necessari, il contenuto sempre espresso con un

“crescendo” musicale sono la sua firma.

In tutto questo, sono le persone come Giuseppe Maria, atten- te, curiose, sensibili, profondamente coerenti che danno il migliore contributo a uno degli scopi del nostro progetto, fare parlare il par- ticolare con il generale mantenendo sempre il rispetto reciproco, indipendentemente dalle dimensioni e dalla posizione geografica, valorizzando le espressioni della diversità e delle culture cosiddette minoritarie che tanto hanno da dire e che tanto significano per una collettività che ha sempre di più il bisogno di ritrovare la propria identità profonda.

Il suo “TRATTURI” e ora “PRÈET” sono un’opera tutta poetica, anche se includono tanta prosa che rileggerò in quest’ottica: non solo l’espressione di un poeta che parla di sé e delle sue sensazioni e sentimenti ma un segnale di grande e sincera apertura verso il mondo degli altri, così difficile da comprendere con la ragione ma con il quale chi ama la poesia può facilmente comunicare attraverso i sentimenti.

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Tondo di immagine

di Pasquale Aiello4

D

urante la preparazione del suo libro, Giuseppe Maria più volte mi ha parlato di come avrebbe voluto impostarne la parte ico- nografica destando, devo confessare, la mia attenzione.

La fotografia è un mio interesse e una passione “antica”. Uno stru- mento per indagare la realtà che mi circonda, approfondirne aspetti e codici, comunicarne messaggi ed impressioni.

La particolarità della scelta di Giuseppe Maria è stata quella di utilizzare delle fotografie in formato tondo e non quadrato o rettan- golare. Un fatto apparentemente insolito e, sempre apparentemente, eccentrico.

Un grande fotografo, autore e viaggiatore, Roberto Salbitani, ave- va fatto la stessa scelta sintattica in suoi straordinari lavori fotografici dedicati a Venezia e all’Etna utilizzando, come dice Roberta Valtor- ta, “la più simbolica delle forme: il cerchio, che significa perfezione, unione, equidistanza… tempo ciclico delle stagioni e della vita” ag- giungendo che il concetto di tondo è quello che maggiormente si avvicina al concetto di lente e, quindi, di osservazione.

Può sembrare banale, ma la considerazione più semplice è che l’immagine, in ottica, nasce naturalmente tonda così come la genera la lente sul piano focale. Questa immagine definita “circolo d’illu- minazione” contiene informazioni visive molto più estese di quelle che poi esamineremo nel riquadro delimitato dai quattro lati del fotogramma o del sensore, di superficie più piccola, che s’inscrive in esso e genera, infine, la fotografia che tutti possiamo osservare.

In pratica, quello che noi vediamo appoggiando l’occhio al miri- no di un apparecchio fotografico è una porzione limitata di un’im- magine rotonda, più grande, di cui noi cogliamo solo il centro.

Una convenzione, quella della scelta quadrata (o rettangolare) del- le immagini in fotografia, che deriva culturalmente e tecnicamente dalla forma dell’unico oggetto riconosciuto, fino all’ottocento, quale

4 www.pasqualeaiello.weebly.com

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forma espressiva e artistica visuale a due dimensioni: la pittura e il quadro.

Giuseppe Maria ha quindi fatto, a mio avviso, una particolare e interessante scelta, che si distanzia dall’uso meramente descrittivo dell’immagine, facendo, invece, una scelta iconografica di maggior respiro e fortemente includente.

Una scelta che bene si associa alla sua personale ricerca, semanti- ca, del linguaggio della sua terra attraverso un viaggio che trova nella poesia il suo “tondo” letterario.

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L’unicità di un dialetto e la continuità culturale

di Angela Dibuono

L

’importanza che l’espressione dialettale assume per questo polie- drico autore, amico e conterraneo, si evidenzia proprio nel Suo bisogno di scavo conoscitivo e di ricerca della propria identità cultu- rale e del territorio, di cui è stata proposta anche ampia descrizione, in particolare modo nella seconda parte del presente lavoro.

Per l’autore di questa validissima opera, il dialetto è dunque un mezzo importante di espressione e di arricchimento, consapevole sempre che il dialetto conserva la sua unicità nella rarità e non da spazio alcuno all’appiattimento espressivo.

La locazione fonetica ne segnala la specificità e per questo va pre- servato dall’estinzione, esso avrebbe bisogno, oggi più che mai, di continuità culturale e rivalutazione per sopravvivere alla scomparsa geografica di alcuni piccoli centri lucani, malati di abbandono, che inesorabilmente si svuotano o soccombono al tempo. La continuità culturale di questi “granai di cultura” da chi o da cosa può essere garantita e rappresentata se non dal dialetto e dal retaggio culturale a cui esso rimanda?

Le origini linguistiche di Castelgrande, l’ameno centro lucano si- tuato nella parte più occidentale della regione in provincia di Po- tenza di cui tratta l’autore, meritano attenzione perché è situato in un’area di particolare importanza per le caratteristiche dell’aspetto fonetico, morfologico e lessicale del suo dialetto.

Lo studioso Bigalke, allievo di Lausberg, colloca questa zona in una delle cinque da lui distinte nella Regione, tenendo conto dello sviluppo delle vocali toniche latine: si trova nell’area dei dialetti che presentano metafonia, con le vocali latine Ē e Ĭ > i /i/, Ĕ > ié /je/, Ō e Ŭ > u /u/, Ŏ > uó /wo/ in dipendenza da -U e - I latine e si distingue per alcuni sostantivi e aggettivi il maschile dal femminile e il plurale dal singolare (Fonte: A.L.BA –Atlante linguistico della Basilicata - parte III / Tabella 1).

Ogni dialetto è, dunque, depositario di fattori politici, storici, eco- nomici, sociali della comunità di appartenenza, per questo merita di essere rivalutato. La convinzione nasce anche da un’interpretazione

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legoffiana della storia, secondo la quale per scoprire la storia “pre- sente” del proprio vissuto bisognerà andare a recuperare motivi che determinano la storia del "passato" e che rappresentano i sostrati inconsapevoli in ogni coscienza moderna.

È utile riportare anche il pensiero della docente e saggista Maria Teresa De Rosa su questo argomento e in ambito scolastico:

“…dialetto, non più malerba da estirpare, ma strumento di comu- nicazione di tutta una realtà. Esso, infatti, non deve correre su un binario parallelo a quello della lingua nazionale, ma deve essere un punto di partenza da utilizzare in un continuo raffronto con la lingua nazionale, e acquisire quest’ultima non significa perdere l’altra”.

Lo studio diacronico del proprio dialetto sembra dare la sensa- zione di trovarsi di fronte ad un fiume che scorre, che non è mai lo stesso, ma una linea verticale di collegamento col passato, sembra necessaria soprattutto nell’analisi della produzione letteraria dialet- tale del territorio.

Autori come Giuseppe Maria Lotano, a cui va il nostro plauso, fanno la loro parte, in questo senso, occupandosi dello studio del dialetto e delle sue origini per una auspicata e meritata rivalutazione culturale.

Tabella 1 - Heinrich Lausberg, come è noto, insieme a Rainer Bigalke, suo allievo, e Gerhard Rohlfs, fu uno dei primi studiosi tedeschi ad interessarsi dell’unicità dei vocalismi dei dialetti lucani.

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INTRODUZIONE

Pietre e parole un solo peso

L

a leggenda umana è raccontata dal remoto di pietre e di parole per conoscere l’origine di ogni nostro “oggi”.

Le pietre di longeva identità diventano “l luemmt” il cippo di confine.

Le parole familiarizzano segni tra epoche e soggetti diversi.

Sono silenzi di passi di testimonianze, le pietre.

Primarie risorse a riparo e pro- tezione dell’uomo e dei suoi sogni.

Forze intense per resistere al tempo e non smentirlo.

Sguardi sull’universo emer- si dalla terra.

Indicatrici di percorsi e di spazi.

Certezze a sostegno di veri- tà assoluta.

Concretezze per dire della vita.

Tessere del mosaico dell’intimo umano nel passaggio terreno.

Sono pietre di armonie invisibili, le parole.

Note scritte al tepore di strette di braccia mater- ne dispensatrici di sicurezza.

Prime relatrici per dire al mondo e farsi comprendere.

Chiavi d’integrità di tono, che consentì a Farinata degli Uberti dire a Dante “la tua loquela ti fa manifesto...” (Inferno/Canto decimo).

Sintesi di insegnamenti, di aspirazioni, di promesse, di privilegi.

Espressione di sacralità ed essenza di aromi territoriali, di sfumature di luce e di colori di ognuno.

Strumenti dell’uomo per raggiungere e toccare l’altro, penetrarlo per restarvi.

Le pietre pongono interrogativi al silenzio. Stimolano la ricerca per ave- re voce e farsi raccontare.

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Sono forza della madre natura, perché “la mamm capiscj semb l fuiglj mup” = la mamma capisce sempre il figlio muto.

Questo è il più profondo e incardinato rapporto tra il silenzio delle pietre e la parola, inossidabile lega d’amore nel tempo e sotto ogni stella.

Dagli Egizi, ai Maya, in India, le pietre furono chiamate: “Figlie della terra”, la loro rarità, preziosità e colore, fu motivo di attribuzione di virtù, significato, medicamento, magie, auspici.

Galileo Galilei disse:“ Voglio cercare nelle pietre le impronte del Creatore”.

Le parole si trasferiscono per grafia, accenti, cadenze, intensità, fan- tasia compositiva, ampiezza espressiva e capacità di sintesi.

Vibrano educate da affetto materno, capace di sciogliere anche mo- menti cupi e di silenzi.

Tanta innata ricchezza comunicativa, di cui mai se ne perde con- fidenza d’uso e d’intesa, origina nell’insegnamento detto “a bocca a bocca” assunto tra le mura domestiche e diventa nostra identità, nel percorso di vita. “Tutto può cambiare, ma non la lingua che ci portiamo dentro, anzi che ci contiene dentro di sé come un mondo più esclusivo e definitivo del ventre materno” (Italo Calvino).

Le parole tipizzano ciascun’area della nostra penisola e per le comu- nità locali sono vanto di appartenenza di cui ognuna è “pietra preziosa”

per etnia e linguaggio.

Il territorio italico possiede in Europa, da sempre, il più ricco sistema linguistico multiforme.

Nel periodo del Rinascimento, a Firenze, tra le diverse lingue della penisola non ancora assurta a unità nazionale, s’intese definire “lingua guida” il “toscano” e precisamente la “lingua fiorentina”, perché usata dai sommi autori toscani del Trecento: Dante, Petrarca, Boccaccio, e dalle classi colte.

Le rimanenti lingue peninsulari, tutte di derivazione latina, furono definite “dialetti italo-romanzi” o più comunemente “dialetti”. (Carta dei dialetti d’Italia - Giovanni Battista Pellegrini, 1977).

Seguì a inizio Seicento, a cura dell’Accademia della Crusca, l’impor- tante e primo dizionario monolingue europeo.

La lingua prescelta divenne anche fattore trainante per conseguire

“l’Unità d’Italia”, proclamata da Vittorio Emanuele II (legge n. 4677 del 17 marzo 1861).

L’istituzione della scuola statale dell’obbligo e i mezzi di comunica- zione ne introdussero l’insegnamento e uso, dell’alfabeto (A/B) italiano, composto di ventuno lettere di cui sedici consonanti e cinque voca-

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li, che nel Duecento riferito alle sue prime lettere era detto “abbiccì (A/B/C) o abbecedario (A/B/C/D)”.

Nell’antica Grecia il termine “dialetto” (diàlektos: discorso) indicava le singole lingue in uso presso le comunità caratterizzate geografica- mente o socialmente, pertanto tutte di pari dignità e ruolo.

Alcune di esse si distinsero solo perché più usualmente adottate in specifiche materie quali, filosofia, teatro, poesia lirica. Discipline che hanno contribuito a farci conoscere ogni tradizione e raffinato pensiero dell’immensa ricchezza culturale e di pensiero del popolo greco.

Noto è che il vento soffia su tutte le dinamiche terrestri e umane, ed anche sui linguaggi.

Consegue di ritrovare, pure a lunga di- stanza dagli originari confini geo- grafici, l’uso di diversi medesimi vocaboli. Tra essi sono più co- muni, in campo internaziona- le, vocaboli in inglese, lingua molto usata in ambito scienti- fico e commerciale oltre che, a oggi, propria delle maggio- ri potenze economiche e mi- litari dell’occidente.

Per alcuni altri vocaboli è particolare osservare la diffusa omogeneità etimologica, la paro- la “notte”, ad esempio, si compone di due stessi elementi e cioè della lettera

“n” seguita dal numero “8” in lingua del rispettivo paese, simbolo matematico dell’infinito.

Molte ricerche testimoniano l’esistenza di lingue antichissime, tutte incise su “prèet” pietre, ma che non hanno più voce e tonalità per estin- zione del gruppo etnico di appartenenza.

La morìa di lingue continua, così pure la loro evoluzione.

A oggi su 6.000 lingue conosciute, il 50% tende a scomparire.

Di certo nessuna potrà sopravvivere senza soggetti utenti, né restare immutata dal venire meno dell’attività di riferimento o per evoluzioni socio economiche e culturali del paese di appartenenza.

Particolarmente critica è la possibilità del perdurare di lingue che, ancora oggi, non hanno una forma scritta.

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Nell’Africa la percentuale è del 90% e di tutte se ne potrà perdere ogni suono, traccia e uso quotidiano, ma non mancherà la testimonian- za nel tempo solo per quelle tracciate su pietre, manoscritti, stampati, registrazioni.

In Italia il continuo forte calo della natalità, l’incremento dell’in- vecchiamento della popolazione, la continua attrazione di forza lavoro esercitata dai centri di produzione, induce a pensare possibile, tra non molti decenni, il totale spopolamento di parte del gran numero dei co- muni di aree interne, rientranti tra gli 8.047 comuni italiani di cui 5.591 sotto i 5.000 abitanti e il più piccolo è Moncenisio (TO) con solo 30 abitanti. (Fonte ISTAT: Comuni divenuti 7.998 per Processo di Fusione al 31.12.2016 - D.lgs. n. 267/2000 art. 15 e 16).

Il fenomeno avrà le maggiori ripercussioni sui comuni delle aree in- terne e montane, in particolare del Mezzogiorno, e graverà anche sulla tutela e difesa dell’ambiente.

Lo spopolamento non ha riguardo neanche per la storia gloriosa di tanti Comuni, basti ad esempio citare la metamorfosi subita dal noto centro di Craco (MT), antico feudo normanno, poi passato agli Svevi e infine divenuto Universitas nel 1276.

Craco ha subito le conseguenze della desertificazione totale. Ora os- servandolo nelle vesti di protagonista solitario su di un palcoscenico dal quale starsene in distanza di sicurezza, si presenta definito da una linea includente un profilo di astrattismo paesaggistico fatto di tetti alternati e ruderi, sorvolati da sparuti uccelli, che neanche vi nidificano.

Lo stupore suscitato dal paesaggio è unica voce del silenzio, che interroga senza che nessuno sappia dire il perché di tanto affronto e de- mandando risposta ai tempi voluti dalla storia per darne interpretazione.

Analoga vicenda di abbandono, ma da qualche tempo in contro- tendenza, è Pentidattilo, frazione del Comune di Melito Porto Salvo, in Provincia  di  Reggio, borgo a 250 m.s.l.m. tra le montagne che affac- ciano sulla costa jonica, prossima a Reggio Calabria, completamente abbandonato dagli anni ’60 in poi.

Il suo nome s’ispira al profilo della rocca su cui è situato, assimila- bile a una gigante mano di pietra (penta e daktylos cioè cinque dita), con panorama fantastico.

Trenta anni fa, in visita, v’incontrai l’unico vivace e orgoglioso ve- gliardo che continuava ostinatamente ad abitare nella sua “casa”, con una sola assolata stanza, ampia veduta sul mare e posta quasi in cima al borgo, dove ospitava ogni ardito che lo raggiungesse e al quale era

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solito offrire da sedere su di uno sgabello in cambio di una chiacchie- rata, tra storia e leggende raccontate dalla passione per il suo paese, il- luminata e infiammata dalla voce certa quanto la luce dei suoi dinamici e penetranti occhi scuri.

Oggi il borgo di Pentidattilo nell’ambito della Comunità Europea, rientra nel progetto “Borghi solidali” e si procede con recuperi e ri- strutturazioni per realizzare un luogo “tipo” dove svolgere iniziative di accoglienza culturale, solidale e ambientale.

Analogo percorso di rinascita riguarda il borgo di Civita di Bagnore- gio (VT), molto noto perché definito “Città che muore” ma da qualche tempo, ottime iniziative culturali, ne hanno

promossa la candidatura a sito UNE- SCO.

Di certo ove si spegne ogni traccia di presenza umana tut- to diventa quasi impossibile, perché cessa la forza della vita, della lingua locale, del- la storia patria, e più in ge- nerale, l’identità etnica per un taglio netto della conti- nuità delle proprie radici, così pure, ove si è superati, sopraffatti o incrociati da ceppi subentranti.

I soggetti della generazione di prevedibili nuovi cittadini “residenti” e

non di lingua locale, oggi e quasi ovunque, ven-

gono singolarmente e superficialmente indicati con il termine “l’altro”, senza tenere conto che in diverse aree del nostro Paese cominciano a essere entità consistente, a livello sociale e di forza lavoro, con cui do- versi confrontare civilmente, con rispetto umano e parità di diritti.

Per quanto sopra e fino a quando possibile è doveroso e assume rilevanza la necessità di tesorizzare il patrimonio dei dialetti italici se- condo valenze culturali e territoriali, per essere testimonianza e motivo di confronto civile, quindi costruttivo.

Allo scopo si potrebbe comporre un “contenitore sonoro di voci” per ricordare parole di cittadini, che nel corso del tempo hanno insieme sa- puto lavorare, comprendersi, dialogare, misurasi, fino a offrire anche il

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sacrificio della propria vita con fierezza e lealtà, per costruire e conferire alla nostra straordinaria penisola unicità di confini e d’identità politica, per realizzare una civile e democratica nazione, di cui godiamo privilegi e vantaggi.

Associare al primato di cui gode l’Italia, nella graduatoria mondiale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione la Scienza e la Cultura (acronimo inglese: “UNESCO” - fondata nel 1945), per numero di siti (totale 53) definiti Patrimonio dell’Umanità, anche il primato della ricchezza di lingue locali sarebbe altro tassello dell’inventario della ver- satilità del suo popolo, di cui è nota la vivacità espressiva.

A detti siti potrà a breve aggiungersi, all’attuale gruppo dei sei di beni culturali immateriali già protetti, quello che si proporrà all’UNE- SCO per la tutela delle lingue classiche “greco e latino”, approvato all’u- nanimità dalla Commissione Cultura del Senato.

Con la non impossibile ipotesi formulata, ora solo un lecito sogno, affido, in lingua di Castelgrande, il libro Prèet, pietre, sintetica raccolta di poesie, detti, sopranomi, denominazione di rioni, notizie di cittadini eminenti, del territorio, dell'etnia ai miei concittadini e ai rappresentanti delle Istituzioni pubbliche locali e lucane. L’auspicio è che stimoli ini- ziative a evidenza del patrimonio di cultura orale lucana, modello da estendere a ognuna delle altre locali specificità nazionali, per:

- tutela dei dialetti, sonorità espressive capaci di emozioni uniche ge- mellate al paesaggio che le contiene;

- conferma della tenacia e tradizione delle comunità del popolo italico.

Un approfondimento dell’insieme delle valenze, linguistiche, umane e territoriali, potrà esprimere un mosaico nazionale di ricchezza basilare per concrete e complessive programmazioni di sviluppo diffuso.

A esse potranno contribuire dovutamente il popolo lucano, ovunque apprezzato e nobilitato anche dal natale di persone di cultura e studiosi, tra cui il concittadino patriota e sommo botanico Guglielmo Gasparrini, con tutte le risorse umane, culturali, paesaggistiche e del sottosuolo, che più organicamente incardinate nel contesto generale dell’economia italiana svilupperebbero concrete possibilità di progetti di progresso economico e sociale.

Tutto ciò, opportunamente gestito, garantirebbe anche la salvaguar- dia del mantenimento in loco di efficace presenza demografica, per etnia e voce, assicurando punti di forza in sintonia con progressive dinamiche produttive del sistema Italia.

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FONTI DELLA LINGUA

Parla come t’iniziò tua madre

L

a comunicazione è l’insieme degli strumenti che il pensiero uti- lizza per farsi conoscere adottando parole, sospiri, gesti, sguardi, modi di dire, di fare, di atteggiamenti, di similitudini, abitudini e quant’altro si attinge e aggiunge a ciò che abbiamo assorbito dal nostro primo ambiente di formazione delle modalità di espressione.

Ciò ci consente il dialogo con altri e misura la nostra capacità di manifestarci conservando, per ogni valutazione, la sacralità del pri- mo insegnamento, proprio come quel sapore unico della pietanza gustata a casa propria, codice di paragone sempre indiscusso rispet- to a ogni altro preparato.

Questo insieme di unicità in ognuno di noi è contenuto e si co- struisce microscopicamente nel tempo, vivendo il naturale rapporto materno e ambientale fonte primaria di indelebile linguaggio e base di identità, che ci supporta nella dinamica di confronto con la plura- lità e specificità di linguaggi esistenti al mondo, proprio delle singole etnie.

LINGUA LOCALE

La prima lingua, detta locale, si apprende in una fase di formazio- ne che Francesco Sabatini, Presidente onorario dell’Accademia della Crusca, così individua “mentre il poppante succhia e assapora il latte e ascolta e registra la parola latte”.

Essa si sviluppa e resta per sempre in noi, diventa patrimonio individuale e sociale che ci infonde coscienza unitaria di popolo, di civiltà, di unità culturale.

La lingua codificata da altri insegnamenti si apprende in età e condizioni diverse, con altre norme, e la nuova capacità espressiva ci rende “soggetti bilingui”.

Al lettore, in particolare al non castelgrandese, si chiede compren- sione se, in primo approccio, il godimento dei testi in lingua locale può essere non immediato.

Essi sono stati scritti, per opportunità, senza ricorrere all’uso di

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segni e lettere speciali dell’Alfabeto Fonetico Internazionale (AFI), ora chiamato International Phonetic Alphabet (IPA), perché forma grafica e simbolica di sonorità non di dominio corrente e pertanto funzionale solo per utenti con specifica conoscenza.

La trascrizione IPA è impiegata principalmente nelle trattazioni scientifiche di ambito linguistico e quando occorre indicare la pro- nuncia di parole scritte in caratteri che non usano lo script latino, ad esempio il giapponese, cinese, thailandese, coreano, ecc. e offre oltre centosessanta simboli per trascrivere il parlato, poiché fornisce una lettera per ogni suono distintivo.

Per stimolare familiarità con i termini del testo in castelgrande- se e assicurarne la comprensione, pur se a scapito di sfumature di equivalenza e di musicalità, è a loro affiancata, in forma aldina, la versione italiana.

La pubblicazione, in forma scritta, di un patrimonio di eredità orale può presentare minime varianti, rispetto alle versioni da ognu- no memorizzate, ciò è da attribuire alla dinamica temporale di una lingua viva e sensibile alle mutazioni di cultura sociale.

LINGUA DELL’«ALTRO»

La totale copertura del globo terrestre con la rete di trasmissione dati, essenzialmente per l’internazionalità crescente dell’impiego di capitali e conseguenti localizzazioni produttive, incalza i lettori e consumatori con ogni strumento d’informazione e produce occasioni di confronto e dialogo con svariate realtà sociali, da cui la necessità di conoscere la lingua di altri soggetti.

Il fenomeno di diffusione linguistica origina essenzialmente nella mobilità di lavoratori e di privati ma occorre che diventi un grosso impegno di crescita collettiva su cui dovranno convenire le volontà delle nazioni, per avviare, intensificare, facilitare possibilità di con- fronto e integrazione tra fattori della produzione e più significativa- mente tra popolazioni.

Le società si rapportano con modi e percorsi molto difformi, spesso si genera confusione e peggio ancora contrasti per motivi di profitto.

Tra i popoli debole ruolo ha l’etica per coniugare le diversità e comporle per un diffuso ed efficace sviluppo socio-economico e, in primis, per la tutela e rispetto della preziosa unicità della persona.

Di certo ogni comunità, ricca della propria formazione, unica vera variante della ricchezza complessiva dell’umanità, dovrebbe sempre

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liberamente potersi testimoniare, interagire, ovunque e comunque, senza che tra le parti insorgano prevaricazioni, pregiudizi, incom- prensioni, frustrazioni, intrusioni, persecuzioni, violenze.

Diverse teorie sul tema delle razze, dei colori della pelle, delle religioni, alimentano pregiudizi per produrre divisioni tra i popoli.

Il diritto di appartenere, a una maggioranza o minoranza, è sem- pre e solo assoluta ricchezza.

Tutti siamo reciprocamente “ minoranza” occorre che ognuna ab- bia la propria libertà di esistere o potremmo ognuno perdere la no- stra stessa libertà a causa di persecuzioni o pregiudizi.

Per smuovere tanti ostacoli e rivoluzionare il confronto e dialogo si dovrebbe avere una“leva” condivisa ma in ciò non ebbe miglio- re fortuna neanche Archimede, sommo scienziato siracusano (287 a.C. – 212 a.C.), quando invocò: “Datemi una leva e vi solleverò il mondo”.

Forse si potrebbe pensare di realizzare la proposta di Archime- de adottando la politica delle piccole leve, cioè ricorrendo all’uso di risorse minime ma idonee a comunicare, ad esempio, piccoli gesti concilianti.

Vasilij Grossman, ebreo russo (1905 - 1964) famoso per il libro

"Vita e destino", giornalista della guerra russa, affermava“Le vite degli uomini, le loro ragioni, sono determinate da un solo grande scopo:

conquistare il diritto delle persone a essere diverse”.

Se consapevoli di essere ognuno persona diversa non s’instaura con l’Altro contrapposizione né si richiede o impone amicizia ma si consente di vivere una realtà che mira ad assicurare alla società tanti soggetti capaci di esprimere al meglio la propria dinamica di vita instaurando, di volta in volta, appropriato dialogo.

Occorre innescare e sostenere un grosso progetto culturale per- ché il libero pensiero, la diversità, non trova facile accoglienza, o porta aperta, né presso chi abita sullo stesso pianerottolo, né a un piano diverso, né al palazzo confinante, tantomeno in altre latitudini.

I sistemi culturali, a oggi, pur se alcuni timidamente avviati a pro- muovere forme d’integrazione e dialogo, sono accomunati prevalen- temente dalla mancanza di trasparenza di relazioni e da tacita e cieca opposizione, che non consente di perseguire diffusa e maggiore ric- chezza umana e sociale o forme di collaborazione per stabilizzare le genti nei propri luoghi di origine, molto spesso relegati a oggetto di rapporti predatori e di soprusi.

Non si cerca di avvicinare e conoscere l’Altro ma di allontanarlo

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e con sdegno confinarlo perché non condivisibile e sbrigativamente definito l’Altro, pertanto destinato a permanere nella sua condizione di estraneo o di rifiutato.

Ne consegue che ogni azione intrapresa per incomprensione ide- ologica appare giustificata, persino se procura danni, dolori, terrori- smo, pur di contestare il manifestarsi o il riconoscimento dell’Altro.

È preoccupante costatare che quasi nulla va nella direzione del rico- noscimento della sacralità dell’Altro o dell’attuazione d’idonei percorsi di formazione culturale per consentire all’Altro, posto tra gli ultimi o persino ritenuto di scarto, di porsi in armonia con la società circostante pur se fortificato nella capacità di offrirsi e pronto a interagire.

Eppure potersi sempre confrontare e esprimere, è l’unico bene nobile da tutelare e rispettare, poiché valore e manifestazione supre- ma dell’universalità di ogni essere umano.

Universalità mirabilmente sancita anche da François Marie Arouet

“Voltaire” (Parigi 1694-1778) nel dire: “Non condivido le tue idee ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerle”.

Voltaire certamente intese la necessità di un impegno e cultura suprema contro le barbarie in offesa della dignità della vita e dei suoi cardini identificativi di storia della civiltà umana.

Nel confrontarsi o conoscersi spesso si pecca di molta superficia- lità, si trascura persino l’importanza di comunicare con la semplicità e il fascino del sorriso.

Sorridere è la capacità del pensiero di volare (come indicava nel 1958 la composizione Nel blu dipinto di blu del grande cantautore Domenico Modugno), e andare oltre le proprie certezze per sondare impensate emozioni, non goderne è tenere una finestra serrata verso le delizie dell’esistenza.

Sorridere di noi stessi e degli altri conduce al dialogo e alla co- noscenza, senza demonizzare o demolire l’Altro, perché nessuno detiene prove inconfutabili di verità universali da contrapporre o imporre all’interlocutore.

UNICITÀ DELLA DIVERSITÀ DI RAZZA

Interesse degli antropologi è lo studio della specie umana per indivi- duarne elementi di caratterizzazioni e sua distribuzione sul territorio universale.

Essi concordano sul principio che la parola “razza” ha un signi- ficato preciso soltanto per le specie inferiori, essendo possibile defi-

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nirne la “razza pura” poiché costituita da elementi tutti discendenti da unico capostipite, quindi con una o più caratteristiche ereditarie sempre assolutamente comuni, per cui s’identifica una “linea pura”.

Ciò non può verificarsi se la riproduzione avviene per eterogamia, cioè per fusione tra gameti differenti per sesso di provenienza, con- dizione assolutamente necessaria nella specie umana.

In ogni nascituro coesistono qualità differenti ed ereditate dalla coppia genitrice e così via risalendo fino ai più remoti antenati.

Tale caratteristica fa di ogni nuovo essere umano necessariamente una diversa razza, ad eccezione dei gemelli fecondati da uovo unico e pertanto con identico patrimonio ereditario.

Precisato ciò, è scientificamente impossibile il concetto di razzismo fondato sulla pretesa apparte- nenza di esseri umani a una

“razza pura”, quindi supe- riore alle altre.

Questa cultura scien- tifica e di civiltà non fu patrimonio degli italiani quando, il 15 luglio 1938, fu firmato da Sabato Visco, Nicola Pende, Lidio Cipria- ni, Arturo Donaggio, Leone Franzi, Guido Landra, Marcello Ricci, Franco Savorgnan, Edoardo Zavattari, Lino Businco, dieci scien- ziati razzisti, il “Manifesto della Razza “,

vanto di Mussolini ma supportato con scarso contenuto scientifico e filosofico in un unico disegno di morte. (Fonte: I Dieci di Franco Cuomo / Dalai Editore 2005).

La Repubblica Italiana, riscattò tanta offesa alla dignità dell’uomo e al concetto di razza, scrivendo nella propria Costituzione, (Gazzet- ta Ufficiale del 27 dicembre 1947, n.298), tra i Principi Fondamentali:

“ART. 3 - Tutti i cittadini hanno pari dignità sociali e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei citta-

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dini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, eco- nomica e sociale del Paese”.

Principio già vigorosamente ricordato dal Presidente della Repub- blica Sergio Mattarella in occasione degli ottanta anni del “Manifesto della Razza” dichiarando “Il veleno del razzismo continua a insi- nuarsi nelle fratture della società e in quelle dei popoli: Crea barriere e allarga le divisioni. Compito di ogni civiltà è evitare che si rigeneri”.

(Fonte: Il Messaggero - Quelle leggi razziali del ’38 e il monito di Mattarella - da PRIMO PIANO / B.L. / Giovedì 26 Luglio 2018).

Così pure ribadito, sul tema delle operazioni di soccorso in mare, dal Comandante della Guardia costiera, Giovanni Pettorino“Il giura- mento prestato, da ciascuno di noi, di osservare la Costituzione e le leggi” e “L’impegno di prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare, principio segno e baluardo distintivo di civiltà”.

(Fonte: Famiglia Cristiana – Emergenza migranti / Vade retro Salvini /Annachiara Valle / N. 30 del 29 Luglio 2018).

Eppure continuano a riaffiorare pericolose derive con proposte di rappresentanti di governo miranti a rimettere in discussione fon- damentali conquiste democratiche tra cui la legge 205/1993 dell’ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino, che punisce la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, etnico o religioso.

(Fonte: Il Messaggero - Lo scontro nel governo - da PRIMO PIANO di Antonio Ca- litri. / Sabato 4 Agosto 2018).

La specie umana dagli antropologi è suddivisa in “grandi razze”

dette anche “razze primarie”.

L’UNESCO nel 1950 ha redatto la “Dichiarazione sulla questio- ne razziale” precisando che la specie umana è rappresentata da tre grandi varietà:

“Mongoloide - Negroide - Caucasoide”

Esse si differenziano per caratteristiche somatiche, etniche, colore della pelle, usanze, credenze, lingue, abitudini, ordinamento politico.

Elemento distintivo riguarda fatti sociali e non biologici come pure, in seno alle stesse varietà, altre particolarità morfologiche.

Nel mondo, dovuto alla mobilità delle popolazioni, può dirsi prevalente l’incidenza della stirpe dei bianchi europei, per l’apporto da essi dato al po- polamento delle due Americhe, Australia, Sud dell’Africa e aree colonizzate.

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Il razzismo, questo concetto di assoluta appartenenza discrimi- nante, un giorno sarà sconfitto, l’uomo conoscerà altre informazioni dell’ignoto e imparerà a vivere meglio.

Così avvenne quando fu sconfitto il concetto di assoluta appar- tenenza del feto al padre, sancito dal grande Aristotele, a sostegno dell’unicità dell’ovulo generatore perché posseduto solo dal ma- schio, poi nel 1700 si scoprì l’ovulo femminile e si convenne che il risultato della procreazione era di paritetica appartenenza tra uomo e donna e che di assoluto esiste solo il concetto del diritto alla vita, da tutti parimente conseguita e che nessun’altro riferimento potrà mai discriminarne il valore.

Sul territorio italiano esistono diverse realtà etnografiche tutelate nel rispetto della loro ricchezza culturale, fino dal loro primo essen- ziale e specifico elementorappresentato dalla lingua e senza altre preclusioni di sorte.

Il principio fondamentale è che ognuno di noi è un “Altro”, ognu- no di noi è un “Valore assoluto”, ognuno di noi è “Minoranza”, tutti degni di totale reciproco rispetto, perché l’entità umana si materializ- za in un corpo frutto del medesimo sistema biologico di riproduzio- ne, quindi appartenenti pariteticamente allo stesso criterio di vita di cui ognuno è titolare con pari dignità.

Ma nonostante importanti progressi scientifici e di conoscenze diffuse, l’uomo non riesce a liberarsi da proprie fobie, da propri egoismi, per cui compie atrocità inaudite, nella pretesa di fare preva- lere sull’altro una vantata prevalenza del proprio “IO”.

Né la storia, pur testimone di nefandezze, riesce a educare perché l’uomo non tesorizza e non sa superarsi, né usare umiltà, né con- sapevolezza dei propri limiti naturali, né accostarsi al valore della conoscenza, della bellezza della diversità con cui ognuno è chiamato a godere il dono irripetibile di possedere “la vita” su cui mai alcuno potrà vantare facoltà di offendere, negare, sopprimere.

MINORANZE LINGUISTICHE STORICHE

Sul territorio italiano esistono diverse realtà etnografiche tutelate in tutta la loro ricchezza culturale, fino dal loro primo essenziale e spe- cifico elemento rappresentato dalla lingua.

Il principio fondamentale è che ognuno di noi è un “Altro”, ognu- no di noi è un “Valore assoluto”, ognuno di noi è “Minoranza” e tutti degni di totale reciproco rispetto, perché l’entità umana si materializ-

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za in un corpo frutto del medesimo sistema biologico di riproduzio- ne, quindi di pari dignità.

Il Ministro Giovanni Spadolini nel 1970 istituì il Ministero per i Beni Culturali e Ambientale, oggi denominato Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, esso dedica notevole atten- zione, attraverso le strutture specialistiche (in particolare con l’ICD - Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia) alla tutela e valo- rizzazione del patrimonio culturale immateriale e alle diverse culture che appartengono al nostro Paese.

Questo precedente storico di accoglienza democratica e sociale è per la nostra patria testimonianza di popolo interprete e protagonista di una civiltà capace di attenzione al pluralismo culturale con con- cretezza di provvedimenti governativi di forte valenza nel mondo.

Un popolo con una nutrita storia di emigrazione ha saputo ispi- rare il legislatore nel formulare una specifica legge, che forse essi stessi avrebbero auspicato fosse stata presente anche nelle nazioni di loro approdo e cancellare le sofferenze di un atteggiamento cui il Vangelo rimprovera;

“Ero straniero e non mi avete accolto” (Mt 25,43).

Sul territorio italiano risiedono ufficialmente ben dodici Minoran- ze Linguistiche Storiche (MLS) cioè Comunità di lingua non italiana ma nel corso del tempo riconosciute come facenti parti della nostra Comunità Nazionale e diventate parte essenziale della nostra com- plessiva identità1.

Il Ministero, attivando e sostenendo il progetto “Gli italiani dell’Al- trove” ha l’obiettivo di evidenziare la realtà storica e contemporanea delle Minoranze Linguistiche Storiche d’Italia facendone emergere lo specifico patrimonio culturale immateriale e la valenza del rapporto fra diverse culture, che attraverso il confronto rafforzano la capacità e potenzialità di una costruttiva convivenza.

Allo scopo ha organizzato con ognuna delle Minoranze una serie di appuntamenti, tenutisi a decorrere dal dicembre 2012 fino a gen- naio 2018 e che ancora proseguiranno allargati ad altre Minoranze, durante i quali sono stati discussi, fra l’altro, gli strumenti legislativi attivati a supporto della continuità dell’esistenza del loro peculiare patrimonio culturale immateriale.

1 Minoranze Linguistiche Storiche: Arbëreshë, Croati del Molise, Occitani, Sloveni, Friu- lani, Greci di Puglia e Calabria, Sardi, Francoprovenzali Valle d’Aosta, Ladini, Catalani di Alghero, Walser, Francesi. (Fonte: Gli italiani dell’Altrove - Istituto Centrale per la Demo- etnoantropologia – ICD).

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A fine di questo primo ciclo di appuntamenti il Dottor Angelo Boscarino della BIA – Beni Immateriali e Archivistici – ne ha sinte- tizzata l’importanza affermando che essi “Hanno potuto confermare di investire in ogni tempo risorse e impegno a vantaggio dell’uno per l’altro, sul percorso di una storia comune da vivere sul territorio che deve essere quanto più possibile aperto e disponibile per tutti”.

LINGUA DEI DIRITTI FONDAMENTALI

La lingua dei diritti fondamentali ha voce dirompente e universale, per- ché sintesi di istruzione, cultura, esperienza, l’unica modalità di comuni- cazione che non ha bisogno di interpreti né di vocabolario, la sua qua- lità espressiva è da tutti compresa e si attua con parola di gesti e azioni.

Essa è inconfondibile, ha medesima genuinità e vigore di determi- nazione, ovunque si proponeha pulsazioni dell’anima, identità invi- sibile e molto discussa, e possiede il medesimo impeto per volare al di sopra di tutto ciò che non appartiene al senso e valore della vita, quotidiana ed eterna.

Detta modalitàappare sia straordinaria, o già vista, o forse unaver- sione copia dell’altra.

Ciò non è illusione ma è proprio così, perché il fondamento uni- versale dell’uomo sollecita ognuno con una sola lingua, in sintonia con l’unicità dell’essere umano, al di là del colore della pelle, di latitudini, di credo.

Contro tutto ciò che offende la nobiltà della vita forte si eleva invincibile la denuncia e acutezza delle azioni quale patrimonio lin- guisticodei Diritti Fondamentali.

Di seguito alcune delle recenti testimonianze, da ogni fonte e parte del pianeta, con cui si eleva la condanna, con voce unica e fondata, dell’etica irremovibile della: Tutela della sacralità della vita.

dai continenti

- Dall’Asia: l’indiano Mahatma Gandhi (1869 - assassinato nel 1948) politico, filosofo e avvocato, profeta della non violenza, pio- niere e teorico del satyagrahala resistenza tramite la disobbedienza civiledi massa;

- Dall’Europa: la macedone di Skopje, san Madre Teresa di Cal- cutta (1910 - 1997) Nobel per la Pace nel 1979, proclamata beata da papa Giovanni Paolo II il 19 ottobre 2003 e santa da papa Francesco

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il 4 settembre 2016, infaticabile nella lotta contro ogni forma di po- vertà nella metropoli di Calcutta e nel mondo, fondatrice delle suore Missionarie della carità, per continuare la sua attenzione verso gli emarginati;

- Dall’Africa: il sudafricano Nelson Mandela (1918 – 2013) di cui ricorre il centenario, cittadino di pelle scura, in galera ventisette anni perché attivista per i diritti civili di cittadini di pelle scura, nel 1994 eletto democraticamente primo Presidente del Sudafrica, Nobel per la Pace nel 1993;

- Dagli U.S.A.: Martin Luther King jr (1929 – assassinato nel1968) pastore protestante di pelle scura, politico e attivista leader dei diritti civili,che consacrò le sue azioni con la meraviglia del suo motto I have a dream io ho un sogno, Nobel per la Pace nel 1964.

La protesta contro la violazione dei diritti fondamentali trova anche clamorose testimonianze, fotograficamente immortalate, che smuovono un forte sussulto nella coscienza dell’umanità.

Se ne ricordano alcune.

dallo sport

- Il saluto delle Pantere Nere, con pugno teso e guanto nero, mostrato dagli atleti di colore John Carlos e Tommie Smith, primo e terzo, sul podio dei 200 metri dei Giochi Olimpici a Città del Messico nel 1968, per contestare il razzismo (fotografo, John Dominis);

- L’incontro disputato nel 1976 in Cile della finale di Coppa Davis, in cui i quattro finalisti della squadra azzurra, capitanata da Adriano Panat- ta, con Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, giocaro- no con le magliette rosse, per contestare il regime del dittatore Pinochet.

- La protesta dei giocatori americani del Baltimor Ravens e del- la Jacksonville Jaguars, contro le discriminazioni razziali, “inginoc- chiati”, a Londra in trasferta promozionale del foot-ball americano, incuranti delle disposizioni del presidente U.S.A, Donald Trump, di cantare l’inno nazionale durante l’esecuzione musicale nelle manife- stazioni sportive;

da immagini fotografiche

- Nel 1968, l’istante della morte di un vietcong freddato in una strada di Saigon con un colpo di pistola alla tempia (fotografo, Eddie Adams);

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