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Pietre e parole un solo peso

L

a leggenda umana è raccontata dal remoto di pietre e di parole per conoscere l’origine di ogni nostro “oggi”.

Le pietre di longeva identità diventano “l luemmt” il cippo di confine.

Le parole familiarizzano segni tra epoche e soggetti diversi.

Sono silenzi di passi di testimonianze, le pietre.

Primarie risorse a riparo e pro-tezione dell’uomo e dei suoi sogni.

Forze intense per resistere al tempo e non smentirlo.

Sguardi sull’universo emer-si dalla terra.

Indicatrici di percorsi e di spazi.

Certezze a sostegno di veri-tà assoluta.

Concretezze per dire della vita.

Tessere del mosaico dell’intimo umano nel passaggio terreno.

Sono pietre di armonie invisibili, le parole.

Note scritte al tepore di strette di braccia mater-ne dispensatrici di sicurezza.

Prime relatrici per dire al mondo e farsi comprendere.

Chiavi d’integrità di tono, che consentì a Farinata degli Uberti dire a Dante “la tua loquela ti fa manifesto...” (Inferno/Canto decimo).

Sintesi di insegnamenti, di aspirazioni, di promesse, di privilegi.

Espressione di sacralità ed essenza di aromi territoriali, di sfumature di luce e di colori di ognuno.

Strumenti dell’uomo per raggiungere e toccare l’altro, penetrarlo per restarvi.

Le pietre pongono interrogativi al silenzio. Stimolano la ricerca per ave-re voce e farsi raccontaave-re.

Sono forza della madre natura, perché “la mamm capiscj semb l fuiglj mup” = la mamma capisce sempre il figlio muto.

Questo è il più profondo e incardinato rapporto tra il silenzio delle pietre e la parola, inossidabile lega d’amore nel tempo e sotto ogni stella.

Dagli Egizi, ai Maya, in India, le pietre furono chiamate: “Figlie della terra”, la loro rarità, preziosità e colore, fu motivo di attribuzione di virtù, significato, medicamento, magie, auspici.

Galileo Galilei disse:“ Voglio cercare nelle pietre le impronte del Creatore”.

Le parole si trasferiscono per grafia, accenti, cadenze, intensità, fan-tasia compositiva, ampiezza espressiva e capacità di sintesi.

Vibrano educate da affetto materno, capace di sciogliere anche mo-menti cupi e di silenzi.

Tanta innata ricchezza comunicativa, di cui mai se ne perde con-fidenza d’uso e d’intesa, origina nell’insegnamento detto “a bocca a bocca” assunto tra le mura domestiche e diventa nostra identità, nel percorso di vita. “Tutto può cambiare, ma non la lingua che ci portiamo dentro, anzi che ci contiene dentro di sé come un mondo più esclusivo e definitivo del ventre materno” (Italo Calvino).

Le parole tipizzano ciascun’area della nostra penisola e per le comu-nità locali sono vanto di appartenenza di cui ognuna è “pietra preziosa”

per etnia e linguaggio.

Il territorio italico possiede in Europa, da sempre, il più ricco sistema linguistico multiforme.

Nel periodo del Rinascimento, a Firenze, tra le diverse lingue della penisola non ancora assurta a unità nazionale, s’intese definire “lingua guida” il “toscano” e precisamente la “lingua fiorentina”, perché usata dai sommi autori toscani del Trecento: Dante, Petrarca, Boccaccio, e dalle classi colte.

Le rimanenti lingue peninsulari, tutte di derivazione latina, furono definite “dialetti italo-romanzi” o più comunemente “dialetti”. (Carta dei dialetti d’Italia - Giovanni Battista Pellegrini, 1977).

Seguì a inizio Seicento, a cura dell’Accademia della Crusca, l’impor-tante e primo dizionario monolingue europeo.

La lingua prescelta divenne anche fattore trainante per conseguire

“l’Unità d’Italia”, proclamata da Vittorio Emanuele II (legge n. 4677 del 17 marzo 1861).

L’istituzione della scuola statale dell’obbligo e i mezzi di comunica-zione ne introdussero l’insegnamento e uso, dell’alfabeto (A/B) italiano, composto di ventuno lettere di cui sedici consonanti e cinque

voca-li, che nel Duecento riferito alle sue prime lettere era detto “abbiccì (A/B/C) o abbecedario (A/B/C/D)”.

Nell’antica Grecia il termine “dialetto” (diàlektos: discorso) indicava le singole lingue in uso presso le comunità caratterizzate geografica-mente o socialgeografica-mente, pertanto tutte di pari dignità e ruolo.

Alcune di esse si distinsero solo perché più usualmente adottate in specifiche materie quali, filosofia, teatro, poesia lirica. Discipline che hanno contribuito a farci conoscere ogni tradizione e raffinato pensiero dell’immensa ricchezza culturale e di pensiero del popolo greco.

Noto è che il vento soffia su tutte le dinamiche terrestri e umane, ed anche sui linguaggi.

Consegue di ritrovare, pure a lunga di-stanza dagli originari confini geo-grafici, l’uso di diversi medesimi vocaboli. Tra essi sono più co-muni, in campo internaziona-le, vocaboli in inglese, lingua molto usata in ambito scienti-fico e commerciale oltre che, a oggi, propria delle maggio-ri potenze economiche e mi-litari dell’occidente.

Per alcuni altri vocaboli è particolare osservare la diffusa omogeneità etimologica, la paro-la “notte”, ad esempio, si compone di due stessi elementi e cioè della lettera

“n” seguita dal numero “8” in lingua del rispettivo paese, simbolo matematico dell’infinito.

Molte ricerche testimoniano l’esistenza di lingue antichissime, tutte incise su “prèet” pietre, ma che non hanno più voce e tonalità per estin-zione del gruppo etnico di appartenenza.

La morìa di lingue continua, così pure la loro evoluzione.

A oggi su 6.000 lingue conosciute, il 50% tende a scomparire.

Di certo nessuna potrà sopravvivere senza soggetti utenti, né restare immutata dal venire meno dell’attività di riferimento o per evoluzioni socio economiche e culturali del paese di appartenenza.

Particolarmente critica è la possibilità del perdurare di lingue che, ancora oggi, non hanno una forma scritta.

Nell’Africa la percentuale è del 90% e di tutte se ne potrà perdere ogni suono, traccia e uso quotidiano, ma non mancherà la testimonian-za nel tempo solo per quelle tracciate su pietre, manoscritti, stampati, registrazioni.

In Italia il continuo forte calo della natalità, l’incremento dell’in-vecchiamento della popolazione, la continua attrazione di forza lavoro esercitata dai centri di produzione, induce a pensare possibile, tra non molti decenni, il totale spopolamento di parte del gran numero dei co-muni di aree interne, rientranti tra gli 8.047 coco-muni italiani di cui 5.591 sotto i 5.000 abitanti e il più piccolo è Moncenisio (TO) con solo 30 abitanti. (Fonte ISTAT: Comuni divenuti 7.998 per Processo di Fusione al 31.12.2016 - D.lgs. n. 267/2000 art. 15 e 16).

Il fenomeno avrà le maggiori ripercussioni sui comuni delle aree in-terne e montane, in particolare del Mezzogiorno, e graverà anche sulla tutela e difesa dell’ambiente.

Lo spopolamento non ha riguardo neanche per la storia gloriosa di tanti Comuni, basti ad esempio citare la metamorfosi subita dal noto centro di Craco (MT), antico feudo normanno, poi passato agli Svevi e infine divenuto Universitas nel 1276.

Craco ha subito le conseguenze della desertificazione totale. Ora os-servandolo nelle vesti di protagonista solitario su di un palcoscenico dal quale starsene in distanza di sicurezza, si presenta definito da una linea includente un profilo di astrattismo paesaggistico fatto di tetti alternati e ruderi, sorvolati da sparuti uccelli, che neanche vi nidificano.

Lo stupore suscitato dal paesaggio è unica voce del silenzio, che interroga senza che nessuno sappia dire il perché di tanto affronto e de-mandando risposta ai tempi voluti dalla storia per darne interpretazione.

Analoga vicenda di abbandono, ma da qualche tempo in contro-tendenza, è Pentidattilo, frazione del Comune di Melito Porto Salvo, in Provincia  di  Reggio, borgo a 250 m.s.l.m. tra le montagne che affac-ciano sulla costa jonica, prossima a Reggio Calabria, completamente abbandonato dagli anni ’60 in poi.

Il suo nome s’ispira al profilo della rocca su cui è situato, assimila-bile a una gigante mano di pietra (penta e daktylos cioè cinque dita), con panorama fantastico.

Trenta anni fa, in visita, v’incontrai l’unico vivace e orgoglioso ve-gliardo che continuava ostinatamente ad abitare nella sua “casa”, con una sola assolata stanza, ampia veduta sul mare e posta quasi in cima al borgo, dove ospitava ogni ardito che lo raggiungesse e al quale era

solito offrire da sedere su di uno sgabello in cambio di una chiacchie-rata, tra storia e leggende raccontate dalla passione per il suo paese, il-luminata e infiammata dalla voce certa quanto la luce dei suoi dinamici e penetranti occhi scuri.

Oggi il borgo di Pentidattilo nell’ambito della Comunità Europea, rientra nel progetto “Borghi solidali” e si procede con recuperi e ri-strutturazioni per realizzare un luogo “tipo” dove svolgere iniziative di accoglienza culturale, solidale e ambientale.

Analogo percorso di rinascita riguarda il borgo di Civita di Bagnore-gio (VT), molto noto perché definito “Città che muore” ma da qualche tempo, ottime iniziative culturali, ne hanno

promossa la candidatura a sito UNE-SCO.

Di certo ove si spegne ogni traccia di presenza umana tut-to diventa quasi impossibile, perché cessa la forza della vita, della lingua locale, del-la storia patria, e più in ge-nerale, l’identità etnica per un taglio netto della conti-nuità delle proprie radici, così pure, ove si è superati, sopraffatti o incrociati da ceppi subentranti.

I soggetti della generazione di prevedibili nuovi cittadini “residenti” e

non di lingua locale, oggi e quasi ovunque,

ven-gono singolarmente e superficialmente indicati con il termine “l’altro”, senza tenere conto che in diverse aree del nostro Paese cominciano a essere entità consistente, a livello sociale e di forza lavoro, con cui do-versi confrontare civilmente, con rispetto umano e parità di diritti.

Per quanto sopra e fino a quando possibile è doveroso e assume rilevanza la necessità di tesorizzare il patrimonio dei dialetti italici se-condo valenze culturali e territoriali, per essere testimonianza e motivo di confronto civile, quindi costruttivo.

Allo scopo si potrebbe comporre un “contenitore sonoro di voci” per ricordare parole di cittadini, che nel corso del tempo hanno insieme sa-puto lavorare, comprendersi, dialogare, misurasi, fino a offrire anche il

sacrificio della propria vita con fierezza e lealtà, per costruire e conferire alla nostra straordinaria penisola unicità di confini e d’identità politica, per realizzare una civile e democratica nazione, di cui godiamo privilegi e vantaggi.

Associare al primato di cui gode l’Italia, nella graduatoria mondiale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione la Scienza e la Cultura (acronimo inglese: “UNESCO” - fondata nel 1945), per numero di siti (totale 53) definiti Patrimonio dell’Umanità, anche il primato della ricchezza di lingue locali sarebbe altro tassello dell’inventario della ver-satilità del suo popolo, di cui è nota la vivacità espressiva.

A detti siti potrà a breve aggiungersi, all’attuale gruppo dei sei di beni culturali immateriali già protetti, quello che si proporrà all’UNE-SCO per la tutela delle lingue classiche “greco e latino”, approvato all’u-nanimità dalla Commissione Cultura del Senato.

Con la non impossibile ipotesi formulata, ora solo un lecito sogno, affido, in lingua di Castelgrande, il libro Prèet, pietre, sintetica raccolta di poesie, detti, sopranomi, denominazione di rioni, notizie di cittadini eminenti, del territorio, dell'etnia ai miei concittadini e ai rappresentanti delle Istituzioni pubbliche locali e lucane. L’auspicio è che stimoli ini-ziative a evidenza del patrimonio di cultura orale lucana, modello da estendere a ognuna delle altre locali specificità nazionali, per:

- tutela dei dialetti, sonorità espressive capaci di emozioni uniche ge-mellate al paesaggio che le contiene;

- conferma della tenacia e tradizione delle comunità del popolo italico.

Un approfondimento dell’insieme delle valenze, linguistiche, umane e territoriali, potrà esprimere un mosaico nazionale di ricchezza basilare per concrete e complessive programmazioni di sviluppo diffuso.

A esse potranno contribuire dovutamente il popolo lucano, ovunque apprezzato e nobilitato anche dal natale di persone di cultura e studiosi, tra cui il concittadino patriota e sommo botanico Guglielmo Gasparrini, con tutte le risorse umane, culturali, paesaggistiche e del sottosuolo, che più organicamente incardinate nel contesto generale dell’economia italiana svilupperebbero concrete possibilità di progetti di progresso economico e sociale.

Tutto ciò, opportunamente gestito, garantirebbe anche la salvaguar-dia del mantenimento in loco di efficace presenza demografica, per etnia e voce, assicurando punti di forza in sintonia con progressive dinamiche produttive del sistema Italia.