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I poteri del Presidente e del Primo ministro

Nel documento DELLE FORZE ARMATE (pagine 35-39)

Quello della difesa è uno dei settori dove più accesa è stata la discussione in merito alla ripartizione delle competenze tra il Presidente e il Primo ministro. Stando a quanto fissato dall’art. 5 della Costitu-zione, il capo dello Stato è responsabile dell’integrità del territorio e dell’indipendenza nazionale, men-tre, per quanto attiene alla difesa e alla sicurezza nazionale, gli competono, secondo quanto dettato dall’art. 15, il comando delle Forze armate nonché la facoltà di presiedere il Consiglio Supremo della Difesa. La stessa Costituzione però, in base all’art. 20 con il quale si afferma come il governo dispone delle Forze armate e dell’art. 21 in cui si attribuisce al Primo ministro la responsabilità della difesa na-zionale, delega all’esecutivo importanti competenze in materia militare. Ed è proprio sull’interpreta-zione di quanto disposto dal dettato costituzionale che, come ricordato più sopra, sono sorte le maggiori discussioni tra chi sosteneva il primato del ruolo presidenziale e chi invece, al contrario, considerava la responsabilità della difesa di competenza governativa. Se il testo della Costituzione della “Quinta Repubblica” lascia aperto il problema di chi, tra le due teste dell’esecutivo francese, abbia un potere preponderante in ambito militare, la pratica seguita dal 1958 a oggi dimostra invece come le prerogative presidenziali appaiano decisamente più rilevanti di quelle attribuite al governo.

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RODOLFO BASTIANELLI

E sul ruolo determinante assunto dall’Eliseo in merito alla politica militare hanno sicuramente avuto un peso decisivo le vicende storiche che portarono alla nascita della “Quinta Repubblica”. La Francia di allora era un paese dove i politici avevano perso il controllo sulle Forze armate, come dimostrato dal tentativo in-surrezionale posto in atto in Algeria dal generale Salan, la cui azione avrà un peso determinante nella crisi istituzionale che porterà De Gaulle ad assumere il potere. Proprio la concezione politica che il Generale aveva del rapporto tra potere parlamentare e organi militari avrà un impatto determinante sull’assetto istituzionale della “Quinta Repubblica”. Secondo De Gaulle, tra i tanti effetti negativi prodotti dall’esasperato parlamen-tarismo della “Quarta Repubblica”, vi era anche quello per cui a ogni cambiamento di governo seguiva anche la sostituzione del titolare della Difesa il quale non di rado era espressione di un partito diverso da quello del predecessore, con il risultato che la politica militare finiva così per essere confusa e priva di un indirizzo pre-ciso. Ecco perché la responsabilità doveva essere attribuita unicamente al capo dello Stato che, forte del man-dato ricevuto direttamente dagli elettori, avrebbe gestito gli affari militari senza interferenze politiche e partitiche, mentre il governo si sarebbe dovuto limitare a eseguire le direttive presidenziali.

Sulla base di questa concezione, negli anni in cui rimase all’Eliseo, De Gaulle concentrerà quindi nelle sue mani tutte le prerogative riguardanti la difesa, tanto che le decisioni più importanti relative alla politica militare francese risulteranno essere esclusivamente di origine presidenziale, come dimostrano la scelta di porre fine al conflitto algerino nonché quelle di creare una “Force de Frappe” nucleare autonoma e di uscire dalla struttura militare della NATO. E anche dopo l’uscita di scena di De Gaulle, la predominanza del ruolo dell’Eliseo ha trovato conferma nelle dichiara-zioni rilasciate prima da Giscard d’Estaing, secondo cui solo il Presi-dente aveva l’autorità di decidere o meno l’uso della forza nucleare francese, e successivamente da Mit-terrand, il quale in un’intervista te-levisiva affermò come il capo dello Stato costituiva il punto di riferi-mento della strategia di dissuasione nazionale.

E la preminenza dell’Eliseo è stata poi ribadita sia in occasione della partecipazione francese al-l’operazione Desert Storm del 1991, nella quale fu il Presidente a decidere in merito all’impiego delle Forze armate e a fissare gli obiettivi strategici mentre il Primo ministro si interessò esclusiva-mente degli aspetti non militari della missione, sia dalla decisione di Chirac, nell’estate del 1995, di riprendere gli esperimenti nucleari LA CATENA DI COMANDO MILITARE IN FRANCIA

Presidente

Primo ministro

Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate (Chef d’État-Major des Armées)

37 Ottobre 2020

ILSISTEMADICOMANDODELLE FORZEARMATE

in Polinesia francese. Di fatto quindi, nonostante tra i politologi non manchino quelli secondo cui la re-sponsabilità della difesa sia una prerogativa governativa e non presidenziale, la prassi consolidata, a partire dagli anni Sessanta, è che questa costituisca un “dominio riservato” dell’Eliseo, senza contare poi come il capo dello Stato, tramite il suo peso decisionale nella designazione dei titolari della Difesa e degli Esteri, viene ad assumere un forte controllo sull’attività governativa limitando così il raggio d’azione del Primo mi-nistro. Infine, anche se questa può non apparire una prerogativa politicamente meno rilevante delle altre, spetta al capo dello Stato il compito di presiedere le riunioni del Consiglio supremo di Difesa, organo che ha progressivamente assunto sempre maggiore importanza facendo passare in secondo piano gli altri comi-tati ministeriali e tecnici esistenti. Inoltre, stando a quanto stabilito dall’art. 13, compete sempre al Presi-dente il potere di nominare le personalità assegnate a ricoprire gli «incarichi militari dello Stato», una prerogativa che riveste un’importanza quanto mai rilevante dato che in questo modo l’Eliseo può attribuire alle personalità più vicine alla sua concezione di difesa le posizioni più importanti all’interno delle Forze armate francesi. E a favorire il maggiore ruolo assunto dall’Eliseo nella difesa durante la “Quinta Repub-blica” ha contribuito anche la stessa immagine formale del Presidente che viene ad assumere la funzione di garante dell’unità nazionale e del rispetto dei valori e dei principi dello Stato. Inoltre, le stesse prerogative del ministro della Difesa sono andate riducendosi, tanto che, secondo quanto stabilito dal Decreto emesso il 15 luglio 2009, non gli spettano più le competenze per l’esecuzione della politica militare che sono invece attribuite al capo di Stato Maggiore delle Forze armate (CEMA), disponendo così il titolare del dicastero solo della funzione di mettere in atto quanto deciso in materia militare dal Primo ministro. Di fatto, il mini-stro della Difesa, nonostante le sue prerogative siano formalmente quanto mai ampie, non dispone di alcuna competenza operativa che spetta al capo di Stato Maggiore delle Forze armate (Chef d’État-Major des Ar-mées). Tuttavia, anche il ruolo di quest’ultimo, pur se di primaria importanza e dotato di prerogative estre-mamente importanti nella gestione della difesa, viene a subire il ruolo predominante del Presidente in materia di politica militare, in quanto l’azione del capo dello Stato può entrare in contrasto con quella del capo dello Stato Maggiore essenzialmente su due questioni, quali l’organizzazione delle Forze armate stesse e la condotta delle operazioni militari (47).

Se difatti l’autorità di cui dispone il capo dello Stato Maggiore in materia di organizzazione e di pianifi-cazione delle operazioni militari è indiscutibilmente riconosciuta, il potere di dispiegare, o eventualmente ritirare le Forze militari francesi in operazioni all’estero o all’interno della NATO, spetta però esclusiva-mente al Presidente. Ma perché il Presidente possa esercitare in pieno il suo ruolo, è necessario che il Pre-mier sia espressione della stessa maggioranza presidenziale. Difatti nell’ipotesi della “coabitazione”, pur rimanendo considerevole il ruolo dell’Eliseo, la situazione tende a riequilibrarsi rendendosi necessario per le operazioni il consenso governativo, una circostanza questa che può portare anche all’emergere di contrasti politici tra l’esecutivo e la presidenza, come accaduto soprattutto nel corso di quelli tra Mitterrand e Chirac.

E anche se l’esecutivo non mise mai apertamente in discussione la preminenza del ruolo presidenziale, visto che tutte le operazioni militari allora decise — quali l’intervento in Ciad a sostegno di Hissène Habré, l’invio dei paracadutisti in Togo in appoggio al presidente Eyadema e la missione in Libano sotto il mandato del-l’ONU — vennero attuate con l’approvazione di Mitterrand pur essendo di iniziativa governativa, in due oc-casioni sorsero degli evidenti dissidi tra il Presidente e il Primo ministro. Il primo avvenne nel settembre 1987 quando in tutta segretezza e senza informare l’Eliseo il governo mise a disposizione del presidente congolese Sassou Nguesso un Transall C130 per operazioni di ordine pubblico, mentre il secondo, assai più rilevante sul piano politico, si verificò nel 1988 in occasione delle operazioni attuate in Nuova Caledonia contro i separatisti locali (48).

Appare quindi evidente come non si possa escludere che la “coabitazione” possa portare a un vero

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RODOLFO BASTIANELLI

flitto” tra le due teste dell’esecutivo soprattutto in momenti di tensione internazionale. È vero che finora tutte le crisi diplomatiche e militari accadute durante le tre “coabitazioni” registratesi nel corso della “Quinta Repubblica” sono state gestite senza particolari difficoltà, ma è innegabile che in un simile contesto, tra il Presidente e il Primo ministro possa registrarsi una notevole diversità di vedute. Le tensioni esplose tra Mit-terrand e Chirac durante la prima “coabitazione”, nel corso della quale il Presidente, sotto le pressioni del Premier, dovette accettare una “co-direzione” della gestione della politica estera e militare, e in seguito quelle verificatesi tra Chirac e Jospin in occasione della terza “coabitazione” tra il 1997 e il 2002, scoppiati so-prattutto dopo le contestazioni subite dal Primo ministro nel corso del suo viaggio nei territori palestinesi davanti alle quali l’Eliseo dichiarò come, nelle scelte in materia internazionale, era il Presidente a disporre dell’ultima parola, dimostrano come la Costituzione non fissi regole definite per gestire il periodo di “coa-bitazione” lasciando così spazio a una loro diversa interpretazione che potrebbe provocare delle tensioni tra i due vertici istituzionali capaci di danneggiare, o quantomeno rendere meno efficiente, l’azione diplomatica francese. Spetta allora alle due “teste” dell’esecutivo trovare un terreno comune che renda “collaborativa” e non “conflittuale” la “coabitazione”. Non è un caso dunque che alcuni analisti abbiano prospettato come, dinanzi a un scontro aperto tra il Presidente ed il Primo ministro, in grado di paralizzare completamente la politica del paese, il capo dello Stato potrebbe decidere di assumere i “poteri eccezionali” previsti dall’art.

16 per risolvere la crisi. Se si può trarre una conclusione, appare chiaro come le prerogative presidenziali tendano ad ampliarsi in situazioni di emergenza o davanti a tensioni internazionali, riducendosi invece a van-taggio del Primo ministro nei momenti di normalità, quando il dibattito torna a incentrarsi su questioni più politiche come il bilancio o i programmi d’ammodernamento (49).

Va infine ricordato come spetti al Parlamento la prerogativa di dichiarare lo stato di guerra. In base a quanto previsto dall’art. 35 della Costituzione, nei tre giorni che seguono l’inizio delle operazioni militari, il governo trasmette un’informativa alle Camere le quali però, al termine del dibattito che segue le comunicazioni del-l’esecutivo, possono anche non esprimersi con un voto. Tuttavia, se l’impegno militare si protrae per oltre quattro mesi, il governo deve richiedere un’autorizzazione parlamentare per continuare le operazioni. È utile soffermarsi su questa procedura per inquadrare in maniera più chiara quale sia il ruolo del Parlamento nella situazione e come di conseguenza si inquadrino le missioni militari attuate dalla Francia all’estero — indicate con il nome di Opérations Extérieures (OPEX) — dagli anni Sessanta a oggi. Formalmente, l’ultima dichiara-zione di guerra francese risale al settembre 1939. Da allora, le diverse operazioni all’estero svolte da Parigi sono state attuate con il consenso dei governi degli Stati interessati, come avviene solitamente per le missioni nei paesi africani, oppure sotto il mandato dell’ONU, della NATO e dell’Unione europea (50). Un identico discorso si può fare per le competenze in materia di politica estera. Al Presidente spettano numerose prero-gative in merito alla ratifica e alla negoziazione dei trattati conclusi dalla Francia, mentre le stesse direttive per l’azione diplomatica di Parigi si concentrano nelle mani dell’Eliseo riducendo così le funzioni del Quai d’Orsay e del ministro degli Esteri a quelle di suoi “consiglieri tecnici”. Durante la “coabitazione”, tuttavia, il quadro potrebbe assumere un aspetto diverso, soprattutto se questa dovesse prendere una forma “conflit-tuale” come fu tra Mitterrand e Chirac, quando il governo tentò di assumere un ruolo predominate nella ge-stione degli affari esteri.

Difatti tra il 1986 e il 1988 l’esecutivo provò non solo a ridurre i mezzi a disposizione del Presidente limi-tando sia il flusso di informazioni trasmesso alla presidenza dalle diverse ambasciate francesi che i contatti del-l’Eliseo con i vertici dei servizi d’intelligence, ma gestì in assoluta autonomia alcune questioni internazionali

— quali la vicenda degli ostaggi francesi in Libano e i rapporti con l’Iran — cercando anche di riorientare la po-sizione di Parigi riguardo al progetto della “Strategical Defense Initative” (SDI) avanzato da Reagan, sul quale Mitterrand aveva espresso forti dubbi nonché di modificare la politica estera francese nei confronti del

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frica, dell’Iran, della Turchia e del Nicaragua. Tuttavia, al contrario di quanto desiderato da Chirac, egli si do-vette accontentare di attuare alcuni cambiamenti di peso politico minore, dimostrando che anche in quella si-tuazione, dove l’esecutivo aveva limitato il margine di manovra dell’Eliseo, il peso del Presidente rimaneva comunque sempre rilevante. Apparve poi evidente come nel corso della “coabitazione” fosse stata attuata, di fatto, una ripartizione in sfere d’influenza tra l’Eliseo e Palazzo Matignon, in base alla quale, mentre al Presi-dente spettava il controllo della difesa e delle relazioni franco-tedesche, tutte le altre questioni, quali i rapporti con i paesi africani, i contatti con l’Iran, unitamente alla gestione degli affari mediorientali, visti i riflessi che questi potevano avere sulla sicurezza interna del paese, erano invece di competenza del governo (51).

I poteri nella gestione

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