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6. Il ruolo dello Stato

6.1. I beni confiscati e il loro riutilizzo sociale

6.1.1. La gestione dei beni confiscati

I beni confiscati appartengono alle categorie di beni mobili, mobili registrati, immobili e aziendali. Tra questi, un ruolo importante è giocato dai beni immobili e aziendali che costituiscono una grande opportunità di riscatto sociale.

Per quanto riguarda i beni immobili, essi possono essere venduti, mantenuti nel patrimonio statale oppure trasferiti al patrimonio del Comune, della Provincia o della Regione per finalità sociali o istituzionali; a sua volta questi enti possono amministrare

direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito ad associazioni e/o cooperative secondo quanto disposto dal D. Lgs 155/06. Nel caso dei beni aziendali, essi rimangono sempre all’interno del patrimonio dello Stato e destinati all’affitto (quando vi sono fondate prospettive di ripresa e/o continuazione dell’attività), alla vendita o alla liquidazione (quando da esse ne derivi un maggior interesse pubblico, ad esempio ne permette il risarcimento di soggetti vittime di reati mafiosi)116. La possibilità che i beni aziendali vengano riutilizzati per fini sociali è rimessa alla discrezionalità dell’ANBSC, in base alle sue strategie gestionali e qualora vi siano

“ragioni di necessità o convenienza”117. Nonostante la complessa legislazione, rimangono diverse criticità legate in parte agli ingenti finanziamenti pubblici necessari al mantenimento di questi beni, ai lunghissimi tempi nella gestione delle procedure (dovute principalmente ad un deficit di organico della ANBCS) e al permanere di un deficit informativo relativo alla consistenza qualitativa e quantitativa dei beni. Spesso e volentieri le informazioni a disposizione dell’agenzia sono parziali ed incomplete in quanto non si conosce dove questi beni siano ubicati, a chi appartengono. Questo è fondamentale per comprendere le sfaccettature criminose presenti all’interno del territorio.

6.1.2 Situazione attuale in Emilia-Romagna

Negli ultimi anni, l’Emilia-Romagna, ha visto aumentare il numero dei beni sequestrati e confiscati alle mafie sul proprio territorio; tali numeri sembrano destinati ad accrescersi in seguito alle sentenze dell’inchiesta Aemilia, dunque risulta necessario capire quanti siano e quale sia la loro esatta entità. A partire dal 1° agosto 2015 al 31 luglio 2016 sono stati sequestrati 499 beni per un valore complessivo di 225 mln di euro ai quali vanno sommati altri 97 confiscati in via definitiva118, portando l’Emilia-Romagna al sesto posto nella classifica nazionale e al secondo posto, preceduta solo dalla Lombardia, tra le regioni del Nord. Sono per lo più appartamenti, ville e aziende,

116 Art. 48, comma 3, D.Lgs settembre 2011, n.159, Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia.

117 Art. 58, comma 11, Codice antimafia.

118 “Tra la via Aemilia e il West”, Storie di mafia, convivenze e malaffare in Emilia-Romagna.

ma anche capannoni, terreni, box e garage per un totale di 2 miliardi di euro che rischiano l’abbandono proprio a causa dei problemi burocratici. È stato rilevato che la maggior parte delle aziende sequestrate sono s.r.l. di cui il 29% operava nel settore immobiliare e 11% in quello finanziario.

La figura in basso (Fig. 6.1) mostra una mappa georeferenziata realizzata dall’Arch.

Federica Terenzi, in collaborazione con l’Università di Bologna, con i dati aggiornati forniti dalla ANBCS. Ad oggi i beni immobili confiscati nella regione sono in totale 119 di cui: 77 ancora in gestione dall’agenzia e 22 già destinati; di quest’ultimi solo 15 sono in corso progetti di utilizzo per finalità sociali.

Fig. 6.1: Mappatura dei beni confiscati in Emilia-Romagna

Fonte: Mafie e antimafia, formazione e informazione su antimafia e dintorni (2017).

Dal 2011 al 2016 sono stati sottoscritti dalla Regione Emilia-Romagna 16 Accordi di Programma per il recupero con finalità sociale riferiti a 9 beni immobili confiscati, beneficiando di un contributo regionale di oltre 1 mln di euro. I beni riguardavano i comuni di Ferrara, Forlì, Ravenna, Pianoro (Bo), Gaggio Montano (Bo), Pieve di Cento (Fe), Berceto (Pr), Salsomaggiore Terme (Pr) e Cervia (RA). Nessun progetto ha interessato il territorio modenese dove nel 2015 i beni confiscati alla mafia

risultavano 35 per lo più collegati al clan dei casalesi di Antonio Iovine. Si tratta, dunque, di numeri troppo bassi rispetto alla mole di beni in gestione all’Agenzia.

6.1.3 Soluzioni prospettate nel tessuto emiliano-romagnolo

I beni sottratti alle organizzazioni criminali costituiscono una sorta di capitale sociale fiduciario e ne rappresentano una preziosa opportunità di sviluppo e crescita economica per il territorio, debellando definitivamente quella rete di relazioni e connivenze che hanno ostacolato il processo di civilizzazione.

Il “processo al patrimonio” si è dimostrato essere un validissimo strumento di contrasto e repressione alla criminalità organizzata; appare però necessario, introdurre una serie di migliorie: innanzitutto bisogna colmare i deficit al fine di rendere maggiormente fruibili ed accessibili i dati sullo stato complessivo dei beni; ciò permetterebbe di far conoscere alla cittadinanza il reale grado di infiltrazione mafiosa nel proprio territorio e comprendere come si stanno muovendo le istituzioni nella lotta alla criminalità. Dall’altra parte rappresenta uno strumento di progettazione e di programmazione del territorio, utile alle istituzioni competenti. Altrettanto necessarie sono sia la riduzione dei tempi di gestione, al fine di evitare che un ammontare di risorse utili per la collettività rimanga in uno stato di completo abbandono, sia l’attuazione di una più efficace gestione delle risorse economiche disponibili e un miglior coordinamento e collaborazione tra i diversi soggetti che operano nei diversi ambiti e settori.

Un tema molto importante in questo ambito riguarda la mission dell’impresa sociale e in modo particolar dei beni aziendali il cui riutilizzo appare problematico. Ciò deriva dal fatto che l’affidamento è demandato alla discrezionalità dell’agenzia. La valorizzazione di questi beni, soprattutto in un territorio come l’Emilia-Romagna, rappresenta un efficace strumento di prevenzione, repressione, crescita e simbolo di un riscatto sociale. Oltre alla produzione di output, per la quale l’azienda è stata costituita, essa può dare la possibilità, soprattutto ai giovani, di lavorare all’interno di cooperative sociali interiorizzando un diverso significato di imprenditorialità basato

su valori e modelli culturali di tipo cooperativo alternativi a quelli mafiosi. Tutto ciò richiede una grande collaborazione e coinvolgimento di diversi attori sociali, pubblici e privati. Nonostante gli sforzi intrapresi, l’utilizzo di questi beni è ancora molto limitato e continuerà ad essere così se non vi sarà la piena consapevolezza da parte delle istituzioni e poi dalla comunità, dell’enorme valore che questo patrimonio può avere nella creazione di collettività libera dalle mafie.

A tal proposito, anche in seguito alla legge regionale 18/2016 “Testo unico per la promozione della legalità e per la valorizzazione della cittadinanza e dell’economia responsabili” è stato siglato da diversi enti, istituzioni e associazioni, tra cui anche il Tribunale di Bologna, il “Protocollo per la gestione dei beni sequestrati e confiscati alle associazioni mafiose” , uno strumento di soft law che dovrebbe rendere i processi di assegnazione più celeri e snelli (anche in vista delle inchieste risultanti dal processo Aemilia) e salvaguardare le aziende strappate alla mafia, coniugando il principio di legalità con i diritti dei lavoratori ingiustamente coinvolti nel sequestro durante tutto l’iter.

Il 27 settembre 2017 è stato approvato il nuovo Codice antimafia che ha posto l’attenzione sul tema del sequestro dei beni, di seguito sono illustrate alcune novità introdotte dal Codice:

- Il sequestro preventivo è stato allargato anche a coloro che hanno commesso reati di corruzione, terrorismo, concussione e stalking;

- Esso è stato reso più veloce, trasparente ed efficace (sarà la Polizia Giudiziaria ad operare il sequestro e a precedere all’eventuale sgombero, non l’Ufficiale Giudiziario);

- Ai fini dell’indagine, tutti i titolari del potere di proposta della misura di prevenzione, hanno accesso al sistema di interscambio;

- Confisca rafforzata: se il tribunale non autorizza la confisca, può applicare il controllo giudiziario o l'amministrazione giudiziaria;

- In caso di revoca della confisca del bene, qualora esso fosse nel frattempo destinato a finalità di pubblico interesse, la restituzione avviene per equivalente;

- Riduzione dei tempi per il recupero della legalità delle aziende sequestrate:

l'amministratore giudiziario dovrà presentare, entro 3 mesi dalla nomina, una relazione che illustri le concrete possibilità di prosecuzione dell’attività, se ciò non è possibile verrà liquidata e cessata.

- Sostegno economico per il proseguimento dell’attività economica attingendo al Fondo di garanzia e al Fondo per la crescita sostenibile;

- Maggiore tutela dei terzi in buona fede (garantiti i diritti dei terzi antecedenti il sequestro);

- Ridefinizione dei compiti dell’ANBCS: viene potenziata l’acquisizione dei dati e i flussi informativi, viene attuata l’assegnazione provvisoria dei beni in attesa della confisca definitiva, ad enti territoriali ed associazioni.

6.2 L’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici

Lo Stato ha come obiettivo principale la realizzazione di infrastrutture e di opere necessarie al soddisfacimento dei bisogni della collettività, conciliando e tutelando esigenze di sviluppo con quelle di libero mercato. È essenziale dunque, che esso agisca in modo corretto, efficiente ed imparziale, assegnando le risorse pubbliche a quei soggetti che ritiene abbiano le giuste capacità e che comportino il minor sacrificio economico per la collettività. La realizzazione di opere pubbliche avviene solitamente mediante aggiudicazione di appalti, i quali rappresentano uno dei settori maggiormente esposti alle infiltrazioni criminali. Quest’ultime possono avvenire già a monte dell’appalto, quindi nella fase di programmazione e progettazione: si pensi ai progetti ad hoc e ben pilotati laddove spesso è la stessa impresa vincitrice che ha contribuito alla redazione del progetto. Può avvenire nella fase dell’elaborazione del bando, il quale può prevedere delle clausole che rispecchiano perfettamente un determinato soggetto imprenditoriale o non prevede l’oggetto dell’appalto al fine di evitare accertamenti nelle imprese o, addirittura ne viene limitata la pubblicità e la trasparenza di essi, soprattutto in territori e/o importi di ridotta rilevanza. Infine può avvenire anche nella terza ed ultima fase: l’esecuzione dei lavori attraverso o la diretta partecipazione di lavoratori affiliati alle organizzazioni mafiose o in caso di riscossione delle tangenti dalle aziende in subappalto. L’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici può derivare anche da precedenti accordi tra le imprese fuori dalla procedura di gara o attraverso

l’uso del metodo mafioso: nel primo caso la futura impresa appaltante si accorda in anticipo sulle offerte da presentare, nel secondo caso, invece, prevede il ricorso all’intimidazione, minacce ed avvertimenti rivolti alle altre imprese al fine di ritirare la loro, anche eventuale, presentazione. Infine, si sono verificati diversi casi di falsificazioni di documenti e procedure di gara con la complicità di alcuni funzionari.

Ne sono in parte responsabili, le normative che regolano le aggiudicazioni con il metodo del “massimo ribasso”; in questo modo la mafia, in virtù della sua forza, riesce a presentare offerte inavvicinabili a quelle degli altri imprenditori, danneggiando la concorrenza e favorendo l’accumulo di capitali. Essa, inoltre, utilizzando materiali scadenti e depotenziati, si assicura anche l’eventuale successivo lavoro di manutenzione continuando, con il suo volto pulito e benevolo, a diffondere consenso sociale tra i lavoratori ed espandendo il proprio controllo sul territorio. Ciò che in passato era riconducibile solamente al Sud, oggi rappresenta una realtà insospettabile delle aree più ricche al Nord: un giro di tangenti e una zona grigia compiacente sono tra gli elementi che hanno permesso il consolidamento degli affari criminali nell’ambito degli appalti pubblici. Un esempio lampante è ciò che è accaduto nel piccolo comune di Brescello, in provincia di Reggio Emilia, dove la famiglia del boss Grande Aracri “ha sempre dato lavoro a diverse famiglie (...) milioni di persone lavoravano”119.

Questo sistema, giovato dal basso livello di accountability, dalla scarsa trasparenza nella gestione delle risorse, dal frequente ricorso al subappalto, dai sofisticati meccanismi di turbativa d’asta (ad esempio l’attuazione di procedure ad hoc che stabiliscono specifici requisiti di partecipazione che fungono da barriera all’entrata per altri concorrenti), necessita dunque di riforme precise, chiare e trasparenti.

L’Emilia-Romagna si è contraddistinta rispetto alle altre regioni poiché ha assunto la piena consapevolezza della gravità di questo fenomeno nel proprio territorio. Ciò ha portato alla sottoscrizione di diversi protocolli d’intesa volti a prevenire i tentativi di infiltrazione e garantire una maggiore trasparenza, legalità e sicurezza del lavoro nel

119 Prima parte dell’inchiesta “La ‘ndrangheta di casa nostra. Radici in terra emiliana”, Associazione Cortocircuito, 19 settembre 2014.

settore degli appalti: si tratta di accordi di collaborazione tra la Regione, la Prefettura, amministrazioni e enti pubblici, associazioni sindacali, ordini e collegi sindacali che insieme vogliono dimostrare la voglia di combattere questo grave e pericoloso cancro.

Un altro importante strumento di contrasto è rappresentato dai numerosi provvedimenti interdittivi antimafia adottati dai vari Prefetti delle province, mediante l’attuazione del D.lgs n. 490/1994120: l’interdittiva comporta che il Prefetto possa escludere un imprenditore dalla costituzione di un rapporto con la Pubblica Amministrazione, pur essendo dotato di adeguati mezzi, per la sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa.

In seguito al terremoto del 2012 che colpì la Regione, è stato costituito a Bologna e a Roma il Gruppo Interforze Ricostruzione Emilia-Romagna (G.I.R.E.R) al fine di sopprimere i già accertati tentativi di infiltrazione mafiosa nel processo di ricostruzione post terremoto, e di svolgere una perenne attività investigativa mediante il controllo incrociato dei dati riferiti ad appalti, subappalti e concessioni. Si tratta di un gruppo costituito presso il Dipartimento di Pubblica Sicurezza da personale proveniente dalla Polizia di Stato, dall’Arma dei Carabinieri, dalla Guardia di Finanza, dalla Direzione centrale della Polizia Criminale e dalla Direzione Investigativa Antimafia.

Un ulteriore novità è stata l’introduzione della Stazione Unica Appaltante (S.U.A) costituita in provincia di Bologna. Si tratta di un ente che cura l’affidamento di un contratto d’appalto pubblico per la realizzazione di lavori, acquisizioni di forniture o prestazioni di servizi al fine di “assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazione mafiose”. Si occupa di collaborare con l’ente appaltante per la scelta del contraente privato, dei meccanismi di aggiudicazione, dei criteri di valutazione delle offerte, redige il bando di gara, cura tutti gli adempimenti relativi allo svolgimento dell’opera, nomina la commissione giudicatrice (in caso di criterio dell’offerta

120 Disciplinato anche dall’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998 “Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia”.

economicamente più vantaggiosa), e collabora infine con l’ente aderente per la stipulazione del contratto.

Si elencano gli altri provvedimenti che sono stati introdotti nel nostro ordinamento al fine di combattere la penetrazione della criminalità organizzata negli appalti pubblici:

- Decreto interministeriale del 14 marzo 2003: stabilisce l’istituzione di un Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Grandi Opere al fine di monitorare la realizzazione di ingenti opere pubbliche; esso è supportato dalla D.I.A, dal G.I.R.E.R e dal Servizio per l’Alta Sorveglianza;

- Circolare attuativa del 18 novembre 2003: istituzione dell’Osservatorio centrale sugli appalti presso la D.I.A. con il compito di svolgere attività informative ed investigative da inviare ai Prefetti, anche mediante ispezione diretta ed accessi nei cantieri;

- Legge n. 94 del 15 luglio 2009 recante le disposizioni in materia di sicurezza pubblica: ha esteso l’accesso ispettivo a tutte le opere pubbliche stabilendo, di fatto, l’esclusione degli imprenditori che non hanno denunciato le estorsioni ricevute;

- Direttiva del Ministro dell’Interno del 23 giugno 2010: stabilisce che i Prefetti possono avvalersi dell’azione dei Gruppi interforze nell’attuazione di controlli preventivi nelle attività a rischio infiltrazione;

- Legge n. 136 del 13 agosto 2010: introduce lo strumento della tracciabilità dei flussi finanziari e il divieto dell’utilizzo del contante per le movimentazioni finanziarie derivanti da un contratto di appalto;

- D.lgs. n. 159 del 6 settembre 2011: Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia. Esso ha introdotto la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (Bdna), istituita presso Dipartimento per le Politiche del personale dell'amministrazione civile e per le Risorse strumentali e finanziarie. Disponendo di diversi collegamenti con altre banche dati, permette di accelerare il rilascio automatico agli enti competenti delle comunicazioni e informazioni antimafia.

- D.lgs. n. 218/2012: introduce modifiche e integrazioni al D.lgs n. 159/2011

(Codice delle Leggi Antimafia). Il nuovo Codice ha ampliato la categoria dei soggetti obbligati a richiedere la documentazione antimafia; prevede inoltre, l’estensione degli accertamenti ai suoi familiari e il rilascio del certificato antimafia esclusivamente dalla prefettura e non più dalle Camere di Commercio. Infine, di fondamentale importanza, è la richiesta obbligatoria da parte degli enti pubblici/stazioni appaltanti di acquisire d’ufficio dalla Prefettura la documentazione antimafia (non più richiesta dai privati).

- Legge 6 novembre 2012, n. 190 (art. 1, commi dal 52 al 57) prevede l'istituzione presso ogni Prefettura delle c.d. white list, ovvero un elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa in quei settori maggiormente esposti al rischio di infiltrazione mafiosa121.

Una assoluta novità è stata, a partire dal 7 gennaio 2016, l’operatività della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, introdotta dal Nuovo Codice delle leggi antimafia che ha permesso di accelerare e semplificare l’attività di rilascio delle comunicazioni antimafia.

Nonostante le recenti riforme, sempre più puntuali e specifiche, per contrastare gli effetti dell’infiltrazione mafiosa nelle procedure di appalto, rimangono tuttavia diversi elementi fallaci nel nostro sistema. Tra questi il sistema del “massimo ribasso”, che continua ad essere lo strumento migliore di risparmio degli enti pubblici ma che, al contempo, certifica la vittoria delle imprese colluse. La presentazione di offerte sotto costo, non fa altro che eliminare la concorrenza di imprese oneste, che non potranno mai competere alla pari, in quanto rischierebbero il fallimento a differenza di un’impresa collusa, che finanziata dal riciclaggio di denaro, non subirebbe di certo le stesse identiche sorti.

121 Le attività imprenditoriali per le quali è possibile l'iscrizione nell'elenco prefettizio, indicate all'articolo 1, comma 53, della citata L. 190/2012, sono le seguenti: a) trasporto di materiali a discarica per conto di terzi; b) trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;

c) estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti; d) confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume; e) noli a freddo di macchinari; f) fornitura di ferro lavorato; g) noli a caldo;

h) autotrasporto per conto di terzi; i) guardiania dei cantieri.

Per quanto di difficile attuazione, questo sistema dovrebbe essere sostituito definitivamente con quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, attraverso il quale l’amministrazione ricerca un equilibrio tra prezzo e qualità, consentendo alla stazione appaltante un risultato migliore e al tempo stesso convenente.

È necessario inoltre che venga fatta una valutazione quanto più obiettiva possibile della realizzazione dell’opera al fine di evitare, come quasi sempre avviene, la comparsa di problematiche esecutive che necessitano di ulteriori interventi in corso d’opera con un conseguente aumento dei costi preventivati.

Un altro accorgimento riguarda la concreta ed effettiva trasparenza nell’assegnazione e nella conseguente gestione degli appalti attraverso un monitoraggio continuo delle imprese appaltatrici. Deve essere continuamente migliorata la collaborazione, la sinergia e il continuo scambio di informazioni tra i diversi soggetti controllanti al fine di tenere sempre aggiornato l’elenco di società incriminate, che fino a questo momento, ha lasciato ampi spazi di penetrazione della criminalità organizzata. Non basta solamente fare le leggi, ma bisogna metterle in pratica: non devono essere soltanto uno strumento di propaganda elettorale quanto un impegno continuo.

6.3 Il contrasto al riciclaggio di capitali

“Mafie, in Emilia-Romagna è allarme riciclaggio”. È così che esordisce l’Agenzia di Stampa Nazionale DIRE nell’articolo pubblicato il 4 ottobre 2017. Non si tratta di certo di un fatto nuovo, visto che già più di trent’anni fa Pippo Fava aveva definito l’Emilia-Romagna “la più grande lavanderia d’Italia”. Dagli ultimi dati pervenuti dalla UIF, riferiti al primo semestre del 2017, sono 3.250 le segnalazioni di operazioni sospette pervenute nel territorio emiliano-romagnolo. "La nostra regione appare del rosso più intenso e diffuso, confermando l’estensione radicata del riciclo e delle illegalità economiche, che pongono l’Emilia-Romagna al quinto posto dopo Lombardia, Campania, Lazio e Veneto. Nel primo semestre di quest’anno, nelle nostre province si sono raccolti 3.250 casi segnalati: ben 522 in più rispetto allo stesso semestre 2015. Diciotto pratiche ogni santo giorno, feste comprese". Queste le parole del coordinatore di legalità e sicurezza della Cgil Emilia-Romagna, il modenese Franco Zavatti, comprovate dalle testimonianze del maxiprocesso Aemilia contro la

‘Ndrangheta, che confermano ancora una volta la triste affermazione di Pippo Fava.

Così riporta l’articolo di Repubblica del 4 ottobre 2017: “Nelle segnalazioni antiriciclaggio c’è di tutto, dai bonifici bancari alla vendita di titoli azionari,

Così riporta l’articolo di Repubblica del 4 ottobre 2017: “Nelle segnalazioni antiriciclaggio c’è di tutto, dai bonifici bancari alla vendita di titoli azionari,