• Non ci sono risultati.

5. L’Emilia-Romagna

5.1. Perché l’Emilia-Romagna

5.1.2. L’imprenditoria sviluppata

Il procuratore generale della Corte d’appello di Bologna Emilio Ledonne (2011) ha affermato che: “l’Emilia-Romagna non è terra di mafia nel senso tradizionale del termine… Ma se l’Emilia-Romagna non è, sotto il profilo della penetrazione criminale né la Calabria né la Campania, è certamente terra di investimenti per le organizzazioni mafiose84”. La grande vocazione turistica ed alberghiera e il fitto tessuto di PMI che caratterizzano quest’area sono, difatti, le principali calamite che hanno attratto a sé le cosche mafiose. Lo stesso pensiero viene ripreso anche da Bianca La Rocca85:“L’Emilia-Romagna è una tra le regioni più a rischio perché è molto ricca. È facile per i boss confondersi dove c’è un’imprenditoria molto vivace, come

83 Giovanni Verdicchio, DIA, Criminalità organizzata in Emilia-Romagna. La mafia, dicembre 1995.

84 Discorso del 29 gennaio 2011, giorno di inaugurazione dell’anno giudiziario.

85 Esponente dell’Associazione palermitana SOS Impresa e Coautrice di diversi Rapporti Annuali.

nel caso emiliano-romagnolo”.

La loro presenza celata ed invisibile, ma non per questo meno pericolosa, esercita un forte controllo nel settore economico e finanziario. Si è stimato che il fatturato annuale delle mafie si aggira, per difetto, tra i 130/150 miliardi di euro proveniente principalmente da: traffici di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, racket, usura86, ecc. Questa ingente liquidità necessita di essere ripulita (lo scopo della mafia non è far fruttare i capitali acquisiti) e reinvestita nell’economia legale, principalmente in quei settori più appetibili dell’imprenditoria italiana: edilizia, trasporti, attività commerciali ed operazioni finanziarie. Queste nuove generazioni mafiose, oramai colte e con una spiccata capacità d’analisi, stanno divenendo sempre più i principali attori dell’economia a scapito delle vecchie regole di mercato e della libera concorrenza. Sempre più spesso, utilizzano sofisticati strumenti economico-finanziari non facilmente individuabili, un esempio è dato dal possesso di società fiduciarie che, a loro volta, possiedono quote di altre società, dietro le quali ve ne sono altre situate in paradisi fiscali: un giro di scatole cinesi che difficilmente risultano essere individuabili ed aggredibili.

Nel rapporto del 2010 redatto da Sos Impresa si legge: “Le mafie, come vere e proprie holding, sono dentro al mercato, ne seguono gli sviluppi, tengono d’occhio appalti e forniture, pianificano investimenti. Si confrontano col mercato ora conquistando posizione di monopolio in forza della capacità d’intimidazione e di violenza, ora stabilendo rapporti collusivi con pezzi d’imprenditoria poco inclini ad ogni etica imprenditoriale e fautori di quella doppia morale per cui gli affari, sono affari, senza guardare troppo per il sottile».

Tutto ciò è stato accelerato a causa della persistente crisi che, negli ultimi anni, ha investito anche il nostro Paese. In queste circostanze, le banche si sono mostrate incline ad erogare liquidità soprattutto alle PMI, dall’altra parte del mercato c’è la mafia, che

86 Per Sos Impresa il racket dell’usura avrebbe un giro di affari di un 1mln di euro nella regione. Il rapporto Eurispes 2015, vede triplicare questi reati, cresciuti del 219% nel biennio 2011-2013, con 31 denunce e 43 vittime accertate. L'indice di permeabilità dell'usura posiziona l’Emilia-Romagna nelle zone a rischio "medio alto" con Parma al primo posto nazionale. A Bologna nel 2015 si sono registrate 25.45 estorsioni ogni 100 mila abitanti piazzando il capoluogo emiliano all’ottavo posto nella classifica nazionale (Sole 24ore).

opera a costi inferiori ed avendo come obiettivo quello di ripulire il denaro sporco, può permettersi di operare anche in perdita, rendendo più facile l’accesso al credito ed eludendo qualsiasi tipo di controllo mediante l’intimidazione, la corruzione ed il frequente ricorso alle minacce.

Mario Draghi (2011), ha sottolineato come il crescente peso dell’economia illegale su quella illegale produce costi elevati per l’intera società: «In una economia infiltrata dalle mafie la concorrenza viene distorta, per molte vie: un commerciante vittima del racket può finire con il considerare il “pizzo” come il compenso per un servizio di protezione contro la concorrenza nel suo quartiere; il riciclaggio nell’economia legale di proventi criminali impone uno svantaggio competitivo alle imprese che non usufruiscono di questa fonte di denaro a basso costo; i legami corruttivi tra associazioni criminali e pubblica amministrazione condizionano la fornitura di beni e servizi pubblici»87.

Il coinvolgimento con la mafia è, dunque, sinonimo di collaborazione dalla quale sia i mafiosi sia gli imprenditori ne traggono un vantaggio reciproco: gli imprenditori ricavano non solo i finanziamenti necessari nell’immediato ma soprattutto nuove opportunità imprenditoriali volte a battere la concorrenza che si traducono per le cosche in nuove opportunità di reinvestimento. Mentre qualche tempo fa ad essere colpiti erano principalmente gli imprenditori che avevano origini campane o calabresi, oggigiorno vengono coinvolti anche imprenditori emiliani. Quest’ultimi, agendo egoisticamente, non si sono resi conto del grave danno che loro stessi hanno contribuito ad infliggere alla loro terra spianando le strade al radicamento delle cosche mafiose nei loro territori.

5.2 Le condizioni che hanno permesso di poter operare sul territorio

Una volta presenti sul territorio, quali sono state le condizioni che hanno favorito il proliferare del fenomeno mafioso? Premettendo che è abbastanza complesso riuscire

87 Vedi (2).

individuare con esattezza le cause; sicuramente hanno giocato un ruolo rilevante:

i) La cultura e il multiculturalismo;

ii) L’aggravante dei comportamenti;

iii) Il consenso sociale;

5.2.1 La cultura e il multiculturalismo

Una delle condizioni ha a che fare sicuramente con la cultura emiliana; tale tesi è appoggiata anche dal Presidente della camera di Commercio di Reggio Emilia Enrico Bini (2012), il quale sostiene che il popolo emiliano ha vissuto in un contesto estraneo a quelli in cui si sono manifestati i comportamenti mafiosi e, pertanto, mostra evidenti difficoltà ad accettare, individuare e riconoscere le varie forme con le quali essi si manifestano: “temo che il nostro contesto possa avere difficoltà a riconoscere i fenomeni criminali, perché non appartengono alla storia locale; non siamo culturalmente formati e abituati a identificare ‘atteggiamenti’ degli uomini della criminalità organizzata di area mafiosa… questo rappresenta un punto di debolezza, vuoi perché si rischia di non opporre sufficiente resistenza a pratiche non immediatamente riconoscibili come criminose, vuoi perché se ne sottovaluta la portata e la capacità di intaccare irrimediabilmente anche sistemi sani, vuoi perché produce resistenza ad accettare che il malaffare sia entrato proprio nella nostra economia”.

Queste considerazioni rappresentano la chiave di lettura per capire come le mafie, almeno all’inizio, abbiano potuto agire inosservate senza destare sospetti e allarmismi sociali in questo nuovo territorio, approfittando anche del carattere accogliente ed estroverso dei cittadini emiliani, laddove il multiculturalismo rappresentava già da tempo il fondamento della cultura.

Se il multiculturalismo era già parte integrante della cultura di questi popoli, lo è diventato anche quello mafioso; le organizzazioni criminali attualmente presenti nella regione sono: la ‘Ndrangheta, la Camorra, Cosa Nostra e la Sacra Corona Unita.

Suddivise in oltre 50 cosche, delle quali più della metà appartenenti alla N’drangheta, si sono spartite il territorio in seguito a cruente azioni, fino a raggiungere quella che oggi viene definita dal Procuratore Generale di Bologna Emilio Ledonne, la “pax mafiosa”. Esse hanno archiviato i metodi criminali violenti ed hanno dato vita a nuove alleanze e collaborazioni costituendo vere e proprie holding imprenditoriali atte ad aggiudicarsi appalti e concessioni, dando vita ad una nuova e ancor più potente mafia:

la “‘ndracamostra”88. L’inchiesta “Rischiatutto” svolta dalla DDA di Napoli ha fatto emergere rapporti di collaborazione in Emilia-Romagna, in modo particolare concentrati su Modena e Castelfranco Emilia, tra il clan dei casalesi e quello dei cutresi nell’ambito di attività di riciclaggio di denaro nel gioco d’azzardo. Questa collaborazione nasceva in seguito al terremoto del maggio 2012 che colpì l’Emilia-Romagna, occasione che vedeva nella successiva ricostruzione, la possibilità di veicolare ingenti somme finanziate per la gestione degli appalti.

5.2.2 L’aggravante dei comportamenti

Altro fattore che ha contribuito al radicamento permanente nel territorio è l’aggravante mafiosa dei comportamenti: “la penetrazione nel territorio della criminalità organizzata non è caratterizzata, in generale, dagli elementi costitutivi dell’art. 416 bis c.p.: mancano infatti le condizioni di assoggettamento e omertà, presenti in altre zone del Paese, e che pertanto, rendono oltremodo difficile configurare tale reato. Nel Distretto è invece più frequentemente configurabile l’ipotesi prevista dall’art. 7 L.

203/91, che prevede un’aggravante quando i fatti sono commessi per agevolare l’attività delle associazioni criminali di stampo mafioso”.89

In merito a quanto riportato, emerge una sostanziale differenza con altre regioni del Nord: mentre in altre parti è frequente l’applicazione dell’art.416 bis, in Emilia-Romagna, mancando le condizioni per le quali si possa parlare di criminalità organizzata di stampo mafioso tra cui la costituzione in loco di un’associazione

88 “Per una Emilia-Romagna senza mafia”, Rapporto sulla presenza della criminalità organizzata 2014, Antonino Caponnetto.

89DNA, Relazione 2010, Roma 2010.

mafiosa, benché fosse riconosciuto tale il loro operato, non è stato applicato l’articolo in questione ma la L. 203/91. Sempre per questo motivo, in questa regione non si può parlare di un effettivo radicamento sul territorio.

5.2.3 Il consenso sociale

La causa forse più evidente dell’infiltrazione mafiosa nella regione, senza la quale la mafia avrebbe continuato ad avere un ruolo marginale limitato alla sola economia illegale, è da ricercarsi in quella serie di relazioni sociali che ne hanno consentito l’ingresso nell’economia legale. Già l’inchiesta Aemilia ha messo in luce la progressiva metamorfosi tra le organizzazioni operanti nel territorio e l’imprenditoria:

gli imprenditori emiliani sono passati dalla contrapposizione del fenomeno mafioso ad una cointeressenza dello stesso: non è più l’estorsione che lega gli imprenditori alle cosche, tuttalpiù è l’imprenditore che sceglie di contribuire, in modo consapevole, volontario e non più obbligato, quasi fosse una sorta di investimento, al sostentamento della stessa ottenendo in cambio un vantaggio competitivo. Si tratta di un rapporto conveniente nel breve periodo, ma nel lungo periodo si rivela essere fatale. Questa sorta di consenso sociale non si è fermato solamente al mondo imprenditoriale ma ha interessato e coinvolto una cerchia di soggetti molto più ampia, tanto da definire le mafie non più delle mere organizzazioni isolate quanto parte integrante di un “sistema criminale” ben più complesso. L’odierno procuratore Generale di Palermo, Roberto Scarpinato, lo ha definito: «Un sistema integrato di soggetti individuali e collettivi.

Una sorta di tavolo dove siedono figure diverse, non tutte necessariamente dotate di specifica professionalità criminale: il politico, l’alto dirigente pubblico, l’imprenditore, il finanziere, il faccendiere, esponenti delle istituzioni e, non di rado, il portavoce delle mafie. Ciascuno di questi soggetti è referente di reti di relazioni esterne al network ma messe a disposizione dello stesso. Il sistema è modulare nel senso che, a seconda della natura degli affari e delle necessità operative, integra nuovi soggetti o ne accantona altri.90

90 Saverio Lodato, Roberto Scarpinato, “Il ritorno del principe”, Chiarelettere, Milano, 2008.

Fanno parte di questo sistema integrato anche i cosiddetti “uomini-cerniera”, espressione coniata per la prima volta dallo storico della ‘Ndrangheta, Enzo Ciconte (2004): «Finanzieri, commercialisti, direttori o impiegati di banca, “colletti bianchi”

di varia estrazione e provenienza, faccendieri che… svolgono un ruolo di enorme importanza, decisivo, prezioso, insostituibile e con la loro attività mettono in contatto due mondi, il mondo mafioso e quello economico e finanziario locale. Senza l’azione di intermediazione di questi uomini-cerniera quei due mondi sarebbero rimasti estranei l’uno all’altro, o comunque avrebbero avuto notevole difficoltà ad incontrarsi». Si possono, dunque riassumere in una serie di figure professionali che dovrebbero operare con onestà nel settore pubblico o in quello privato, anche in funzione dell’eventuale giuramento prestato dinnanzi alla Costituzione nel momento di assumere l’incarico, ma che invece si offrono alle cosche criminali per denaro “per loro “pecunia non olet”91 (L’Espresso Bologna, 4 aprile 2016) aprendo importanti porte d’ingresso all’economia legale. Il loro coinvolgimento rappresenta un dato preoccupante per il territorio emiliano, capace di mettere a repentaglio non solo il sistema economico ma anche quello giuridico, legale, medico, e così via.

5.3 Infiltrazione o radicamento?

In merito alle modalità di penetrazione di questi sodalizi criminali in terra emiliano-romagnola, è bene andare oltre la singola regione. Ne emerge una sostanziale diversità rispetto alle vicine regioni del nord Lombardia e Piemonte: mentre in quest’ultime domina il radicamento come forma di insediamento prevalente, in Emilia-Romagna spicca l’infiltrazione che, come si è ampiamente detto, è quel processo legato esclusivamente alla mera presenza della mafia negli affari ma che ne determina le condizioni necessarie per cui l’insediamento possa attecchire. Il presidente della Corte d’appello di Bologna Manlio Esposito vede nel contesto ambientale, sociale, culturale e storico il principale fattore che ha consentito all’Emilia-Romagna di essere refrattaria all’insediamento mafioso. “È il contesto ambientale, sociale, culturale, storico” che

91 Mafia: "Così le cosche in Emilia si radicano tra i colletti bianchi" L'analisi della direzione nazionale antimafia sulle infiltrazioni in Regione, Giuseppe Baldessarro, 4 aprile 2014.

non consente, per sua natura, infiltrazioni profonde nel tessuto generale di una società altamente evoluta e profondamente orientata verso i più qualificati valori; vi è peraltro anche il presidio vigile delle forze di polizia con la loro incisiva attività di prevenzione e di repressione” 92.

Sicuramente un ruolo fondamentale è stato giocato dall’azione della magistratura e delle forze dell’ordine che hanno saputo cogliere e documentare il rapido evolversi del fenomeno criminale attuando prontamente una risposta repressiva e determinando un’invasione meno intensiva rispetto ad altre regioni confinanti. Un’altra ragione che ha, di fatto, contribuito ad impedire un radicamento sul territorio, come già sottolineato in precedenza, è che questa regione è stata vista dai sodalizi criminali come un crocevia importante per raggiungere e colonizzare altri territori. Benché la situazione appare leggermente diversa è bene non abbassare la guardia ed evitare che si possano riprodurre le medesime condizioni tali da permetterne il radicamento. A tal fine è opportuno non sottovalutare anche i piccoli segnali (non necessariamente di natura mafiosa) “reati spia” al fine di debellare questo cancro nella sua forma originaria.

92 Romagna per l’anno 2006, Bologna 28 gennaio 2006. Manlio Esposito, Relazione sull’amministrazione della giustizia nel distretto dell’Emilia.

5.4 Breve excursus sulla criminalità organizzata in Emilia-Romagna 5.4.1 La ‘Ndrangheta in Emilia-Romagna

Fonte: “Mosaico di mafie e antimafia, Aemilia: un terremoto di nome ‘ndrangheta”, Dossier 2014/2015, Fondazione Libera Informazione.

L’Emilia-Romagna e, in modo particolare la provincia di Reggio Emilia, è stata terra di una massiccia migrazione, a partire dagli anni ’50, di cittadini cutresi93 che vi si trasferirono per motivi lavorativi. Fatta tale premessa, forte e ormai nota è la presenza nel territorio di numerosi affiliati alle ‘ndrine calabresi in tutto il territorio, come testimoniato anche dalle violente e sanguinose faide scoppiate tra clan nel territorio emiliano: emblematica è la faida scoppiata tra i concittadini cutresi Antonio Dragone (boss di Cutro confinato a Reggio Emilia attorno al quale si coagulò una cellula mafiosa composta da confinati, parenti ed amici che aveva richiamato o erano giunti nella provincia) e Nicolino Grande Aracri (capo dell’omonima ‘ndrina e soggiornante a Brescello). Dopo un breve periodo di pace tra i due, scoppio una faida che culminò con diversi omicidi e un coinvolgimento di civili (10 feriti) in seguito ad una bomba scoppiata la sera del 12 dicembre 1998 presso un bar, frequentato da calabresi, sito nel centro storico di Reggio Emilia. La criminalità calabrese è quella che, più delle altre,

93 Abitanti di Cutro, paesino in Provincia di Crotone.

è riuscita a penetrare in modo efficace nel territorio di cui un ruolo di spicco è giocato dalla ‘Ndrangheta cutrese (‘ndrina di Cutro attualmente guidata dalla famiglia Grande Aracri). Oltre a quest’ultima, diverse sono le famiglie calabresi operanti attualmente sul territorio: ‘ndrina di Platì, San Luca, della Piana di Gioia Tauro, di Isola di Capo Rizzuto che verranno analizzate più avanti. Se nella vicina Lombardia, Veneto e Piemonte la ‘Ndrangheta ha colonizzato il territorio mediante la costituzione di nuove locali e ‘ndrine autonome dal Crimine di Reggio Calabria, in Emilia-Romagna si parla, invece, di delocalizzazione. Enzo Ciconte la definisce una sorta di ‘filiale’ distaccata da Reggio Calabria e operante in trasferta laddove però non mantiene un controllo capillare del territorio ma che presenta forti legami con quella originaria: “il cervello della ‘ndrina rimane in Calabria”94, non vi è stata alcuna creazione di nuovi locali, ma è avvenuto un vero e proprio franchising delle cosche criminali che ha permesso al Crimine di Reggio Calabria di ottenere un ingente flusso di capitali provenienti dall’Emilia. L’atteggiamento mostrato dal crimine organizzato cutrese si è pian piano evoluto dal suo arrivo nella regione: mentre all’inizio le attività estorsive erano rivolti solamente a cittadini originari calabresi, oggi si assiste ad un coinvolgimento anche di soggetti emiliani; inoltre se in passato l’Emilia era vista come terra di reinvestimento dei capitali, oggi si cerca di creare nuovi profitti (soprattutto appalti) ricercando l’appoggio nella politica locale. Mentre nella Romagna e nello stesso capoluogo bolognese l’egemonia calabrese è mitigata dalla compresenza di quella campana, nelle provincie di Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza si afferma una forte presenza

‘ndranghetista proveniente dalla zona cutrese che si è espansa a macchia d’olio a partire dal territorio reggiano, epicentro del suo potere. Non appena arrivati, si insediarono nel traffico degli stupefacenti, successivamente però compresero che il tessuto economico emiliano rappresentava un settore molto proficuo laddove investire:

dapprima tramite estorsione a danno di imprenditori originari calabresi, successivamente, mediante anche il contributo di diversi professionisti, riuscirono ad impadronirsi di diverse aziende ed ottenere importanti appalti pubblici.

Oggi operano prevalentemente nei seguenti settori: detenzione e traffico di armi,

94 Comune di Reggio nell’Emilia Assessorato Coesione e Sicurezza Sociale, Enzo Ciconte, Le dinamiche criminali a Reggio Emilia, 11 gennaio 2008.
252 Dna, Relazione annuale, 2013.

riciclaggio di danaro, estorsioni, usura, infiltrazioni degli appalti pubblici, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti (in questo campo hanno istaurato una collaborazione con diverse organizzazioni criminali allogene).

5.4.2 La Camorra in Emilia-Romagna

Fonte: “Mosaico di mafie e antimafia, Aemilia: un terremoto di nome ‘ndrangheta”, Dossier 2014/2015, Fondazione Libera Informazione.

La presenza della Camorra in Emilia-Romagna è anch’essa riconducibile al soggiorno obbligato. Essa è presente soprattutto nel modenese anche se recenti indagini confermano la sua espansione verso il territorio romagnolo. Si tratta di cosche criminali poco strutturate, solitamente individui legati ai clan campani che cercano di stringere relazioni con le altre consorterie mafiose (calabresi e siciliane) nell’attività estorsiva e del gioco d’azzardo. Un ruolo di spicco è giocato dal clan dei “casalesi”95 guidato dal Francesco Schiavone, alias ‘Sandokan’ e dal boss Michele Zagaria

‘Capastorta’ alias definito come il "re del cemento" per i suoi interessi negli appalti

95 Il clan dei casalesi è un'organizzazione criminale di matrice camorristica, originaria della provincia di Caserta e formatasi nella seconda metà del XX secolo. Presenta anche alcuni tratti tipici dell'ndrangheta o a cosa nostra.

pubblici.

Nella relazione della Dia del II semestre 2012, si legge: "in Emilia-Romagna, recenti operazioni hanno confermato l'operatività di soggetti legati ai casalesi. La camorra è presente nei comparti edili, turistico-alberghiero e commerciale, nonché nelle aste fallimentari, nel ciclo dello smaltimento dei rifiuti, nel condizionamento degli appalti pubblici e nel settore dei trasporti". Come si evince da tale relazione, i clan camorristici hanno saputo diversificare i settori e le attività in cui investire: oltre alle tradizionali attività di estorsione, usura, riciclaggio di denaro, traffico degli stupefacenti sono riusciti a penetrare nell’imprenditoria criminale, riuscendo ad infiltrarsi con molta facilità nelle aggiudicazioni degli appalti e nelle acquisizioni delle concessioni anche nel territorio emiliano. Tra gli altri business è bene annoverare: lo smaltimento illecito dei rifiuti, la gestione delle scommesse e delle bische clandestine e, infine, il favoreggiamento e l’assistenza alla latitanza di criminali colpiti da provvedimenti restrittivi.

5.4.3 Cosa Nostra in Emilia-Romagna

Fonte: “Mosaico di mafie e antimafia, Aemilia: un terremoto di nome ‘ndrangheta”, Dossier 2014/2015, Fondazione Libera Informazione.

La criminalità organizzata siciliana, dopo le azioni repressive inflitte dalla

La criminalità organizzata siciliana, dopo le azioni repressive inflitte dalla