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Abitanti di uno spazio

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE

Sedi consorziate (IUIES)

Università degli Studi di Udine - Università di Klagenfurt - Università MGIMO di Mosca -Università di Nova Gorica - Università Jagiellonica di Cracovia - Università Eotvos Lorand di Budapest - Università Babes-Bolyai di Cluj-Napoca - Università Comenius di Bratislava - Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia

XXV CICLO DEL DOTTORATO DI RICERCA IN POLITICHE

TRANSFRONTALIERE PER LA VITA QUOTIDIANA

Abitanti di uno spazio incerto.

Pratiche e paradossi in una etnografia tra rifugiati, operatori e

diritti sociali

Settore scientifico-disciplinare: SPS/08

DOTTORANDA: VIRGINIA SIGNORINI

COORDINATORE

PROF. LUIGI PELLIZONI

RELATORE:

PROF. SSA ANTONELLA POCECCO

CORRELATORE:

PROF. SSA ANNA MARIA BOILEAU

A

NNO ACCADEMICO 2012 / 2013

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Ai saltatori di muri

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5 RINGRAZIAMENTI

Questa tesi prima di tutto la dedico a me stessa, perché è qui che volevo arrivare: ad addentrarmi in una lettura più intensa del mio “lavoro” in cui per anni ho creduto, per cui continuo a discutere ore interminabili, per cui provo rabbia, e di cui mi re-innamoro sempre.

Quindi questo testo lo dedico alla mia piccola famiglia, a Leonardo che mi ha sempre supportata in questi anni con il suo affetto e la sua unicità, e al nostro piccolo sole, Olivia.

E ora i grazie, e per iniziare quelli “accademici”.

Il mio ringraziamento va alla Professoressa Antonella Pocecco, che ha seguito il mio lavoro dall'inizio con supporto, consigliandomi nei momenti di incertezza, quelli più importanti.

Nuovamente il mio grazie alla Professoressa Anna Maria Boileau, che è stata una presenza costante nel confronto, negli sfoghi e negli interminabili e spesso assurdi dubbi che il campo mi ha posto di fronte.

Un grazie alle famiglie, quelle di nascita e di seconda adozione: i miei genitori (per aver fatto spesso i nonni) e i miei fratelli Fabio e Francesco, e Martina, ormai di famiglia; la famiglia di Leo (Idem), e Vanessa, Luca e Cosma naturalmente, per il calore e la fiducia.

La terza famiglia, è quella della “Marcorina”, che ringrazio per avermi sempre accolta assieme ai miei cari nel modo più bello che si possa fare ed essere sempre presenti.

E ora la famiglia “elettiva”.

Il primo grazie lo rivolgo a Luisa Conti, sorella e amica da una vita, che mi ha fatto venire la voglia di fare il PhD e che in questi anni mi ha dato preziosi consigli, ascolto, energia e affetto, sino a questo momento finale in cui due delle nostre produzioni migliori stanno per arrivare.

Poi il mio grazie va a Francesca Materozzi, amica, esperta in materia di asilo e immigrazione, punto di riferimento e fonte di molti back talk (che qui utilizzo come metafora del concetto di Cardano) per molte riflessioni nate attorno a questo lavoro; autrice di numerosi contributi preziosi, scritti, parlati, pensati. Con lei è iniziato il lavoro in Toscana e con lei continuerà.

Un prezioso ringraziamento a Francesca Scarselli, amica, antropologa, compagna e collega di

“campo”, con cui i back talk sono stati assidui, quasi quotidiani, e con cui abbiamo condiviso momenti anche di dolore, di rabbia, di insensatezza. Grazie a lei le mie fonti sono state preziose, e molti passi metodologicamente più chiari.

Poi il mio grazie incondizionato va sempre a Mara e Giulia Butera, Ludovica Monarca e Giorgia Carraffa, a Laura Curradi, Laura De Mori e Laura Bellucci che sono la famiglia. E un pensiero alla nostra Elena Malfitana, la cui ingiusta scomparsa ha accompagnato l'inizio di questa esperienza.

E fino qui erano le persone afferenti alla sfera storica.

Adesso un grazie a Donatella Greco, con la quale abbiamo condiviso in modo particolarmente intenso questi ultimi mesi di scrittura. E a Chiara Zanetti ed Ervina Hodic con le quali è iniziato questo percorso.

Un grazie di affetto va a tutte le persone con cui lavoriamo assieme nei contesti in cui Medu interviene; un campo buio e luminoso al contempo, ma troppo spesso fatto di una realtà amara che questa stessa etnografia non è stata sicuramente in grado di rendere percettibile quanto dovrebbe.

Un pensiero in particolare va a Maria Tropea. Un grazie a Cecilia Francini perché quel pomeriggio mi disse il suo pensiero sulle vulnerabilità.

Un grazie a tutte le persone che gravitano e abitano via Slataper e via Luca Giordano, per avermi aiutata a comprendere meglio una parte del sistema-rifugio che io per prima non avevo compreso fino in fondo, e che ancora adesso fatico a comprendere.

Un ringraziamento a tutti i testimoni e le testimoni che hanno contribuito con il proprio pensiero a condividere con me le domande che ho deciso di porre a questo sistema-rifugio.

Infine un pensiero a G., che ha saltato il confine doloroso in cui questo sistema lo aveva relegato.

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INDICE

INTRODUZIONE pg. 11

CAPITOLO PRIMO

PUNTI DI RIFERIMENTO pg. 15

1. Spazi teorici pg. 15

2. Il refugee labelling pg. 22

3. Da cittadino a rifugiato. Da rifugiato a cittadino pg. 32 4. Il paradigma (paradosso) di una Refugeezenship pg. 37 5. Questioni di etica tra umanitario e politico pg. 41

CAPITOLO SECONDO

IL RIFUGIO E L'ITALIA pg. 45

1. Una lettura storico-giuridica del rifugio in Italia pg. 45 2. L'accoglienza dei rifugiati negli ultimi vent'anni pg. 51

3. Le categorie vulnerabili pg. 59

3.1 Il paradosso del post e il disagio mentale pg. 62

3.2 Le vittime di tortura pg. 67

4. Come i cittadini italiani? pg. 70

5. La “casa” e il “dottore” pg. 74

6. Dentro i confini del rifugio pg. 82

CAPITOLO TERZO

UNO SGUARDO SUL METODO pg. 85

1. Gli strumenti dell'indagine pg. 85

2. Ricerca e rifugio pg. 90

3. Ipotesi di ricerca pg. 93

4. L'itinerario etnografico pg. 95

4.1 Le interviste con “gli addetti ai lavori” pg. 96 4.2 Le interviste con le persone rifugiate pg. 98

4.3 Tra osservazione e partecipazione pg. 99

4.4 I testimoni privilegiati pg. 104

5. Inciampi e riparazioni pg. 105

6. Tra etica e rifugio pg. 107

CAPITOLO QUARTO

NELLA CICLICITA’ DEL RIFUGIO pg. 111

1. Il rifugio in Toscana pg. 111

2. Il preambolo dell'accoglienza pg. 113

3. La “casa”, accedere all'accoglienza pg.116

3.1 “Ancora non so quale città era” pg. 120

3.2 L'ingresso dei vulnerabili nella rete dell'accoglienza pg. 122

4. I diritti in un "address" pg. 127

5. Pensare il diritto alla salute pg. 130

5.1 Il “dottore” dentro ai progetti pg. 131

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5.2 Il “dottore” fuori dai progetti pg. 134

5.3 La salute dei vulnerabili, tra pubblico e privato pg. 137

6. Uscire dai progetti... pg. 142

7. …Rientrare nell'invisibilità pg. 150

8. Rifugio, un ciclo di paradossi pg. 155

CAPITOLO QUINTO

NON-SEMPRE-RIFUGIATI, NON-ANCORA-CITTADINI pg. 159

1. Progettocrazie pg. 159

1.1 Fiducia, sfiducia e diffidenza pg. 161

1.2 Nel disincanto del rifugio pg. 170

2. Rifugiati de jure. Vulnerabili de facto pg. 176

3. Quale cultura del rifugio? pg. 182

CONCLUSIONI pg. 189

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI pg. 197

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INTRODUZIONE

Parlare di rifugio significa confrontarsi con un tema controverso. Da esso rischiano spesso di scaturire riflessioni in cui i rifugiati sono dipinti come delle persone che fuggono senza una direzione chiara, senza una meta precisa, senza un proprio progetto, quasi come fossero bambini indifesi. Così il sistema di accoglienza può venir dipinto come la mano che salva le vittime curandole, accogliendole, (ri)costruendogli una integrità, una identità.

In questa indagine si tenta di proporre una lettura del rifugio che vada oltre le generali etichette cui troppo frequentemente si è abituati ad approcciarne l’osservazione, problematizzando il ruolo del contesto di nuovo arrivo, in questo caso il sistema-rifugio italiano, quale arena in cui la persona che chiede asilo si confronta con l’essere non-più- cittadino del Paese di origine e non-ancora-cittadino del Paese di rifugio.

Di fronte agli occhi dell’osservatore si presenta un campo instabile e fluttuante, in cui si sposta costantemente l'attenzione dalla categoria di rifugiato a quella di cittadino, tentando di analizzare, in particolare, cosa avvenga durante il passaggio da una categoria all'altra;

queste ultime sono prese in considerazione non come mere categorie giuridiche ma come processi attraverso cui la persona si pone in relazione con se stessa, e con il contesto in cui si formano e sviluppo differenti livelli di potere.

Per farlo si è scelto di focalizzare l'indagine su due specifici diritti sociali, ovvero il diritto all'accoglienza e il diritto alla salute, in quanto rappresentano due tasselli fondamentali nell'immaginario di un primo passo verso la creazione di una nuova dimensione familiare: la

“casa” e il “dottore”. Una attenzione specifica è stata rivolta alla situazione di quei rifugiati che vengono definiti “vulnerabili” dalla normativa europea (cfr Direttiva Qualifiche, Direttiva Accoglienza, in particolare la nuova Direttiva Accoglienza del 2013 che menziona i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, quali le vittime di mutilazioni genitali femminili), a cui il sistema- rifugio dovrebbe garantire maggiore rapidità di accesso ai diritti proprio dell'accoglienza e delle cure socio-sanitarie.

I percorsi vissuti dai rifugiati che abitano e transitano oggi dalla Toscana sono al centro di questa indagine. La comprensione di tali quotidianità vuol fungere da specchio delle politiche messe in atto localmente nell'ambito della garanzia del diritto asilo in Italia, e poter conseguentemente utilizzare la sua analisi come strumento per comprendere quanto effettivamente il sistema-rifugio italiano abbia messo in atto pratiche e politiche di supporto a favore di chi chiede protezione in Italia.

Questa osservazione fa riferimento ad una pluralità di metodologie qualitative, la cui integrazione permette un approccio multidimensionale necessario allo studio di una realtà dinamica e complessa. La dualità che la caratterizza si rispecchia nei soggetti osservati e intervistati: le persone rifugiate, da una parte, le persone che lavorano quotidianamente nell'ambito dei progetti del sistema-rifugio dall'altra. In particolare sono presentati i risultati delle interviste semi-strutturate svolte per questa ricerca fatte sia ai coordinatori e agli

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operatori dei principali progetti presenti sul territorio toscano sia ai loro "ospiti", e cioè ai rifugiati che hanno vissuto o ancora vivono un periodo in accoglienza.

Tali dichiarazioni sono combinate con le ulteriori osservazioni svolte sul campo attraverso un periodo di osservazione partecipante, in cui l'azione di una Ong che si occupa di diritto alla salute, incontra la quotidianità di persone rifugiate che abitano quelle zone urbane marginali, vivendo in stabili occupati, al di fuori della rete dei progetti.

Il campo indagato fa riferimento al contesto regionale toscano, il territorio di cui l'autrice di questo lavoro ha già una ricca conoscenza, avendo svolto a lungo nel passato il ruolo di operatrice sociale proprio nell'ambito dell'accoglienza ai rifugiati. La necessaria circoscrizione locale del campo di analisi è quindi posta in una relazione dialogica con la dimensione nazionale, attraverso l'elaborazione di interviste a testimoni privilegiati che operano a vario titolo nel sistema-rifugio italiano.

Per contestualizzare il lavoro empirico di questa ricerca e poter poi interpretare i suoi risultati è necessario avvicinarsi al tema, trattandolo sia nel suo divenire storico che nella sua trattazione teorica. Per questa ragione la presente tesi di dottorato, organizzata in cinque capitoli, inizia con un approfondimento multidisciplinare del tema dell'asilo in cui si viene a innestare, nella seconda parte, la specifica ricerca empirica.

In particolare, il Capitolo Primo raccoglie il framework teorico su cui poggia le basi la presente ricerca. Partendo dalle già esistenti teorizzazioni e proposte per una sociologia delle migrazioni forzate, o del rifugio come la potremmo qui definire, in questa sezione viene proposta una lettura del fenomeno delle migrazioni forzate che non solo tiene conto delle teorie legate al processo di etichettamento a cui i rifugiati vengono sottoposti e a cui il mondo del sistema-rifugio si piega in molte delle situazioni quotidiane, ma le interpreta e presenta partendo dal concetto di agency, a cui in questo lavoro viene riconosciuto un ruolo fondamentale, in quanto capacità di reinterpretazione e ridefinizione, messa in atto dalle persone che vivono l'esperienza del rifugio.

In questo primo capitolo viene inoltre sottolineata la centralità del legame tra i concetti di

"rifugiato" e di "cittadino". La linea di confine che li separa rappresenta il nucleo del presente lavoro di ricerca. I capitoli seguenti si occuperanno infatti proprio di quello spazio liminale entro cui prendono vita una molteplicità di pratiche creative dettate da un lato dal potere dei label e dall'altro da quello delle agency in gioco.

Nel Capitolo Secondo la dissertazione entra più nello specifico del campo individuato, riportando riferimenti a livello storico-giuridico del sistema-rifugio italiano, tenendo conto in particolare dello sviluppo storico del sistema di accoglienza. In questo capitolo vengono anche esplicitate le motivazioni che hanno portato chi scrive a focalizzarsi sul diritto all'accoglienza e il diritto alla salute, indicandone i riferimenti normativi e quelli più legati ad una dimensione quotidiana, a sottolineare il fatto che i diritti sociali avranno una funzione orientativa in questa indagine per poter meglio comprendere il sistema-rifugio proprio dall’osservazione di quella dimensione quotidiana. In linea con tale premessa, si propone di riflettere in particolare sugli ostacoli che intercorrono tra quell’equiparazione che pone i rifugiati sul medesimo piano dei cittadini italiani e l’effettiva possibilità di rendere un diritto esigibile. Come anticipato, in questa indagine si pone attenzione alla situazione delle categorie vulnerabili, che in questo capitolo verranno definite in modo specifico per consentire una lettura più chiara dell'etnografia.

Dopo aver fornito dunque tutte quelle informazioni necessarie a cogliere il contesto storico e teorico dell'asilo in generale e in Italia in particolare, la ricerca si addentra nell'empiria, preparandola e spiegandola nel Capitolo Terzo che riguarda, appunto, la descrizione della

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struttura metodologica alla base dell'indagine. Attraverso l'enunciazione delle ipotesi cui fa riferimento questo lavoro di ricerca, risultato di un'analisi dialogica e integrata dei primi due capitoli presentati, si declinano in modo circostanziato gli strumenti di indagine scelti. Nello specifico vengono definite in questa parte le motivazioni che hanno portato alla scelta dell'utilizzo di particolari strumenti, caratteristici dell'approccio qualitativo assunto, e viene delineata la dinamica dell'indagine, determinata e influenzata da fattori estrinsechi all'investigazione stessa ma endogeni in riferimento al campo di ricerca. In questo capitolo verrà anche sottolineata e resa oggetto di riflessione la duplice posizione della ricercatrice che, provenendo direttamente dal contesto da lei prescelto come campo di indagine, si pone in questa ricerca la veste di osservatrice, portando avanti una etnografia a casa (Sorgoni 2011, 33).

Nel Quarto Capitolo la ricerca empirica entra nel vivo. In particolare, in questa sezione si viene a delineare, attraverso una restituzione dialogica delle interviste raccolte a livello regionale e nazionale integrate all'osservazione di campo, un filo logico nel potenziale percorso che un rifugiato si trova ad affrontare una volta giunto in Italia e in particolare in Toscana. A venire pertanto analizzate sono le fasi del ciclo del rifugio osservato, ponendo una attenzione specifica ai percorsi di accesso al diritto all'accoglienza e al diritto alla salute, di rifugiati e di rifugiati vulnerabili, dentro e fuori dai progetti, al fine di comprendere quale sia il ruolo che questi rivestono nel rendere un diritto esigibile.

Nel Quinto Capitolo, infine, si va in profondità, ponendo un particolare accento sull'analisi del rapporto che intercorre tra chi quotidianamente opera all'interno dei progetti e chi li vive in veste di “ospite”, una relazione in cui si viene a rispecchiare la situazione odierna cui la storia e le politiche in materia di rifugio hanno condotto. In una riflessione sul legame immanente tra pubblico e privato ci si interrogherà, cercando risposte nel campo indagato, sul significato e risultato delle esperienze nell'ambito del rifugio degli ultimi venti anni, composti da confronti accesi sulle sue problematicità, dalla creazione di sistemi ad hoc e dalla costante presenza della dimensione emergenziale: a fronte della presenza pluriennale di esperienze nel campo del rifugio, e proiettando l'attenzione alla dimensione sia del pubblico che del privato, si può parlare di una “cultura del rifugio” a livello nazionale?

Questa ricerca di dottorato rappresenta una immersione nelle contraddizioni di un ambito marginalizzato, che questo lavoro tenta di scardinare dalla perenne visione emergenziale a cui è solitamente accompagnato dimostrando la necessità di una collocazione più centrale e una trattazione più conscia nel discorso sull'immigrazione.

Senza la pretesa di fornire una risposta definitiva alla complessità del rifugio in Italia, questo lavoro si propone come spunto di riflessione non solo sulla condizione dei rifugiati, ma anche su quella vissuta dagli "addetti ai lavori" e di quelle azioni e responsabilità che scaturiscono dalla loro relazione; le riflessioni qui proposte assumono come punto di osservazione la consapevolezza che le stesse complessità del rifugio non sono attribuibili solo al pre-migratorio, ma specialmente a "questo" post-migratorio, tentando così di osservare quali possono esserne le conseguenze nella vita quotidiana di chi abita questo spazio incerto.

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CAPITOLO PRIMO

PUNTI DI RIFERIMENTO

“Exile is strangely compelling to think about, but terrible to experience”

Said (2000, 137)

“Il potere che un uomo esercita su di un altro è sempre pericoloso”

Foucault (in Pandolfi 1998, 135)

1. Spazi teorici

Il fenomeno delle migrazioni assume a partire dalla fine del XX secolo, un valore sempre più pregnante nell'assetto delle società sia a livello quantitativo che qualitativo, con milioni di persone emigrate1 dal proprio Paese che si trovano, a vario titolo, ad essere immigrate di un altro (Macioti e Pugliese 2003). Le caratteristiche acquisite al momento attuale hanno portato due studiosi, Castles e Miller, a definirlo come l'era delle migrazioni (2009). I due

1 Per dati statistici inerenti la presenza di rifugiati a livello globale, si rimanda ai dati dell'Unhcr.

http://www.unhcr.org/4fd6f87f9.html (07 novembre 2013).

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autori individuano alcuni elementi fondamentali che caratterizzano le migrazioni internazionali contemporanee (Idem; Macioti e Pugliese 2003; Ambrosini 2005).

Il primo tra questi è la globalizzazione delle migrazioni che si sviluppa e coinvolge nuovi contesti nazionali e quindi nuovi Paesi eletti sia come punti di partenza che di arrivo, alimentando l'eterogeneità delle componenti linguistiche, culturali, etniche e religiose dei migranti e dei contesti di arrivo; il secondo punto è l'accelerazione dei fenomeni migratori che, aumentando sul piano numerico, determinano il continuo assestamento delle politiche di gestione delle frontiere e degli ingressi. Le migrazioni subiscono una differenziazione, che vede il sorgere di rinnovati motivi di immigrazione e di soggiorno, con il conseguente rilascio di documenti con valore giuridico che ne giustificano la presenza; il quarto aspetto risiede nella femminilizzazione dei flussi migratori, riconoscendo alle donne in molti casi il ruolo di breadkeepers e in generale di centrale presenza in un contesto sino ad ora caratterizzato da una idealtipica immagine del migrante uomo. Infine, i due autori parlano della politicizzazione delle migrazioni internazionali che si sviluppa nelle azioni politiche dei Paesi di arrivo, i quali tentano di dare una forma di controllo e selezione, in molti casi restrittiva, per la gestione dei flussi sempre più in aumento e fonte di “preoccupazione” (Macioti e Pugliese 2003, 5).

Gli approcci tradizionali allo studio delle migrazioni tendono a distinguerne varie categorie2; ai fini di questa analisi, è importante sottolineare quella riguardante la definizione di migrazioni volontarie e migrazioni forzate3. Secondo vari studiosi, tale dualismo costituisce una componente sempre più appannata (King 2002, 92-93; Castles 2003, 4; Van Hear 2009, 183), poiché, come sostiene Castles (2003, 5), “They are closely related (and indeed often indistinguishable) forms of expression of global inequalities and societal crises, which have gained in volume and importance since the superseding of the bipolar world order”4. L'autore fornisce in poche pagine una riflessione di fondamentale importanza per lo studio delle migrazioni forzate, sottolineando la necessità di sviluppare e supportare la nascita e la crescita di una “sociologia delle migrazioni forzate”, esplicitando che “(...) the sociology of forced migration needs to define itself as part of the broader undertaking of understanding the social transformation processes inherent in the emerging global social order (or disorder)” (Ibidem, 8)5. I limiti della ricerca sociologica, sempre nel testo di Castles, nel campo del rifugio sono individuabili in una percezione erronea del fenomeno migratorio quale mero passaggio di persone da un contesto sociale, quello di origine, ad un altro, quello di settlement. Una tale interpretazione ben si identifica con una visione stato-centrica delle migrazioni, che presuppone parimenti una negazione dell'evidente presenza dei fenomeni globalizzanti anche, e sopratutto, entro la mobilità delle persone. Lo stesso Castles

2 Quali temporanee e permanenti, interne e internazionali, legale e illegale, volontaria e forzata, per motivi economici o politici. Esse rappresentano una costruzione sociale, poiché non esistono tali categorizzazioni in natura, e pertanto soggette a possibili modifiche (Zanfrini 2007a).

3 Le prime fanno solitamente riferimento a tutte quelle mobilità che riguardano scelte e progettazioni prestabilite, e possono comprendere migranti economici, turisti, studenti, ecc… Le migrazioni forzate fanno riferimento a quelle categorie di migranti teorizzate come involontarie, siano esse causate da motivi politici o di varia altra persecuzione o a seguito di catastrofi naturali, tant’è che si usa parlare anche di rifugiati ambientali.

4 “Esse sono strettamente collegate (e infatti spesso non distinguibili) forme di espressione di ineguaglianze globali e crisi sociali, che hanno raggiunto volume e importanza dalla sostituzione del bipolare ordine sociale” (Traduzione mia).

5 “La sociologia delle migrazioni forzate ha bisogno di definire se stessa come parte del più ampio progetto del comprendere i processi di trasformazione sociale inerenti nell'emergente ordine (o disordine) sociale globale”. (Traduzione mia).

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delinea una bi-direzionalità nello sviluppo degli approcci sociologici allo studio delle migrazioni. Nel primo caso vi è quella che egli definisce una sociologia dello stato nazione, che si forma nel periodo tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX; in questi anni lo stato rappresenta il “container” (Fine in Morris 2010, 8; Faist in Castles 2003, 9) dei presupposti teorici che si occupano di indagare su temi quali l'integrazione e l'ordine all'interno delle nascenti società industriali. Ciò ha portato ad una doppia problematica; da un lato lo svilupparsi di politiche volte all'assimilazione dei cittadini migranti che giungevano in un nuovo contesto nazionale, dall'altro la necessità di avere competenze e conoscenze in ambiti diversi delle scienze sociali per ogni contesto nazionale (Castles 2003, 9). Il secondo filone sociologico menzionato da Castles è quello di una sociologia transnazionale. Essa si fonda sulla centralità di un approccio che prenda in considerazione le connessioni transnazionali e riconosca che lo studio delle migrazioni e, in particolare delle migrazioni forzate, rappresenta alla perfezione simili connessioni. Lo sviluppo di una sociologia del rifugio, dunque, è di centrale importanza per la comprensione dei contesti sociali, politici, geografici ed economici globali entro cui il rifugio stesso nasce e si sviluppa.

Morris, al contempo, sottolinea l'importanza di una sociologia che tenga conto della tensione tra le componenti stato-nazionali del controllo, tipiche delle politiche migratorie a livello europeo, e l'evidente e reale necessità di protezione da parte di persone che giungono perché in fuga da pericoli di persecuzione:

“It is therefore the management of this tension which is central to a sociological understanding of the treatment of asylum seekers and refugees, a tension which cannot be resolved purely at the level of principle, but which requires the study of quite how national governments, legal institutions, and civil society actors negotiate an outcome”6 (2010, 27).

Nell'analisi del limite entro cui i diritti umani possono essere chiamati in causa al fine di garantire il diritto di asilo, Morris parte da ciò che lei stessa definisce il paradosso arendtiano, basato sulla relazione storica tra i diritti umani e la cittadinanza (2010, 1). La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1798, “(...) una svolta nella storia”

(Arendt 2009, 403), segna la nascita del concetto di diritti universalmente riconosciuti, mettendo nero su bianco quel ribaltamento della relazione tra lo stato nazione e i propri cittadini, tale per cui “(...) l'individuo acquista una posizione di centralità nel sistema sociale, attraverso la nuova finalità della felicità dell'essere umano. La costruzione politica statuale è funzionale al benessere del singolo e non viceversa” (Masiello 2007, 52) e si vanno formando le “(...) democrazie moderne *le quali+ agiscono in nome di principi universali che vengono poi circoscritti all'interno di una specifica comunità civile” (Benhabib in Masiello 2007, 54)7.

6 “E' dunque la gestione di questa tensione che è centrale in una comprensione sociologica del trattamento di richiedenti asilo e rifugiati, una tensione che non può essere risolta puramente al livello di principio, ma che richiede lo studio di come i governi nazionali, le istituzioni legali, e gli attori della società civile negoziano un risultato” (Traduzione mia).

7 Nelle stesse parole di Hannah Arendt: “L'uomo si era appena affermato come un essere completamente isolato, emancipato da qualsiasi autorità e vincolo, come un essere che portava in se stesso la sua dignità senza riferimento a un ordine superiore più vasto, che già si riduceva a membro di un popolo. Il paradosso impolitico nella dichiarazione degli inalienabili diritti umani consisteva nel prendere in considerazione un uomo “astratto”, che non esisteva in nessun luogo, perché persino i selvaggi vivevano in qualche forma di ordinamento sociale. (…) Poiché, fin dai tempi della rivoluzione francese, l'umanità era concepita come una famiglia di nazioni, si stabilì a

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Il paradosso arendtiano si fonda su una differente lettura del binomio homme-citoyen, secondo cui “(...) the appearance of stateless persons on a large scale demonstrated that people without full membership of a national polity via citizenship had no institutionalized means of claiming their 'inalienable' human rights” (Morris 2010, 1)8. La figura del rifugiato

“(…) che avrebbe dovuto incarnare per eccellenza l'uomo dei diritti, segna la crisi radicale di questo concetto” (Agamben 1995, 139), poiché i diritti universali cui lo stato nazione dovrebbe appellarsi per la tutela e la protezione si rivelano privi di forza qualora essi non siano più ascrivibili al cittadino di un determinato stato. Di conseguenza lo stato nazione moderno assume una connotazione di “strumento della sola nazione” (Benhabib 2004, 43), superando così la propria identità di organo esecutivo dei diritti dei propri cittadini.

Agamben, in riferimento alla cittadinanza, fa provocatoriamente riferimento al binomio nazional-socialista Blut und Boden, che sorge a seguito della crisi dello stato nazione nel periodo tra le due Guerre mondiali e che sta ad indicare che “(...) suolo e sangue costituiscono l'essenziale della germanità” (Rosenberg in Agamben 1995, 142), quale formula le cui origini giuridiche sono ritrovabili in un altro binomio di concetti che stanno proprio alla base dello status della cittadinanza, ovvero lo jus soli e lo jus sanguinis9, eredità della giurisprudenza sorta sotto il diritto romano. L'autore sottolinea come si sia modificato il peso di tali criteri di determinazione della cittadinanza e che in principio sottintendevano la definizione di appartenenza in base alle relazioni di sudditanza. A partire dalla Rivoluzione francese avviene il passaggio da sudditi a cittadini e il concetto stesso di cittadinanza assume una nuova valenza politica dal momento che si accompagna al proliferare di norme “(...) volte a precisare quale uomo fosse cittadino e quale no, e ad articolare e a restringere gradualmente i cerchi dello ius soli e dello ius sanguinis” (Agamben 1995, 143).

Entro i confini dello stato moderno dunque si sviluppa quello che Arendt (2009, 410), e con lei altri autori (Agamben 1995, Benhabib 2004, Morris 2010), definisce il diritto ad avere diritti, concetto che scaturisce dalla presa di coscienza della presenza di “milioni di individui che lo avevano perso e non potevano riconquistarlo a causa della nuova organizzazione globale del mondo” (Arendt 2009, 410-411), ovvero i rifugiati e gli apolidi10. Benhabib fornisce un approfondimento della formula del “diritto ad avere diritti”, specificando che se nel primo caso il termine diritto indica un “imperativo morale” (2004, 45) che definisce l'appartenenza ad una determinata comunità, nel secondo riferimento al diritto, o meglio ai diritti, vi è una accezione “giuridico - civile” (Idem) che descrive come l'appartenente di una

poco a poco che il popolo, e non l'individuo, era l'immagine dell'uomo”. (2009, 403-404).

8 “La comparsa su larga scala di persone senza uno stato, ha dimostrato che le persone senza una piena appartenenza a politiche nazionali attraverso la cittadinanza non hanno alcun mezzo istituzionale per reclamare i loro diritti umani 'inalienabili'” (Traduzione mia).

9 Lo jus soli indica il diritto di suolo, vale a dire il riconoscimento della cittadinanza alla persona che nasce sul suolo di un determinato stato, si vedano ad esempio i casi di Francia o Stati Uniti. Lo jus sanguinis, invece indica l'acquisizione della cittadinanza tramite l'eredità sanguinea, ovvero incastonata nell'ereditarietà familiare, come vige in Italia e molti altri contesti nazionali. È importante sottolineare come in Italia sia in corso da molti anni un acceso dibattito che riguarda la normativa vigente, in particolare se riferito ai figli delle migrazioni che, nonostante nati e cresciuti in Italia, non sono considerati per legge italiani fino al diciottesimo anno di età. Per maggiori approfondimenti si veda Zanfrini (2007b).

10 Lo status di apolidia è sancito dall'art. 1 della Convenzione di New York del 1954, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 306 del 1962. Secondo tali norme, l'apolide è "una persona che nessuno Stato, in base al proprio ordinamento giuridico, considera come proprio cittadino". Per maggiori informazioni si consiglia di visitare il sito dell'Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione),

http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=documenti&id=321&l=it (08 novembre 2013).

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comunità si relaziona con gli altri membri nell'esercizio di un diritto-dovere sotto “la tutela e l'osservanza” (Idem) da parte di un soggetto giuridico che, in generale, può essere considerato lo stato. L'auspicio della Arendt, nel diritto di avere diritti, risiede nell'essere membri di una comunità ove il concetto di uguaglianza e parità di diritti non avviene a mezzo della nuda vita ma a seguito dello stesso riconoscimento di appartenere a tale comunità da parte di quest'ultima. L'autrice sottolinea però che il cuore del problema risiede nel fatto che l'essere privati dei diritti umani avviene nel momento in cui non si ha il proprio “posto nel mondo che dia alle opinioni un peso e alle azioni un effetto” (Arendt 2009, 410), portandola a dimostrarsi scettica rispetto ad un universalismo benigno (Morris 2010, 4). Ecco che il rifugiato, al pari dell'apolide, divengono la “schiuma della terra”

(Ibidem, 375) che fanno vacillare la forza dell'invocazione dei diritti umani e della reale (volontà di) protezione da parte degli stati nazione. Richiamando le parole della Arendt (2009, 418):

“Essi sono sottratti a quella tremenda livellatrice di tutte le differenze che è la cittadinanza; e, poiché sono esclusi dalla partecipazione all'attività edificatrice degli uomini, appartengono alla razza umana allo stesso modo che degli animali a una determinata specie animale. Il paradosso è che la perdita dei diritti umani coincide con la trasformazione in uomo generico – senza professione, senza cittadinanza, senza una opinione, senza un'attività con cui identificarsi e specificarsi – e in individuo generico, rappresentante nient'altro che la propria diversità assolutamente unica, spogliata di ogni significato perché privata dell'espressione e dell'azione in un mondo comune”.

In riferimento a quanto sostenuto nella “sociologia dei diritti” proposta da Morris (2010), oggigiorno la situazione si è modificata ed esiste un numero certamente maggiore di convenzioni che sanciscono i diritti universali a livello internazionale in tutela dei non- cittadini; parallelamente ancora oggi gli stati nazione restano i soggetti attuatori e protagonisti nell'esercizio di tali diritti. Basti pensare ad alcuni esempi emblematici, come il diritto di libertà di movimento sancito dalle convenzioni europee che hanno fatto decadere le frontiere interne, ed il parallelo aumento dei controlli su quelle esterne; oppure le molte convenzioni internazionali che riguardano la protezione dei diritti umani ma che al contempo prevedono l'adesione di ogni singolo stato a sottoscriverle, ad indicarne il carattere dunque volontario11. Queste contraddizioni interne sono ascrivibili a ciò che sostiene Habermas, e ricordato anche da Morris (2010), ovvero che,

“I diritti dell'uomo hanno il volto ancipite di Giano, simultaneamente rivolto alla morale e al diritto. A prescindere dal loro contenuto morale essi hanno la forma di diritti giuridici. Per un verso, non diversamente dalle norme morali, essi si riferiscono a tutto ciò che “ha volto umano”; per l'altro, essendo norme giuridiche, essi tutelano le singole persone solo nella misura in cui appartengano a una determinata comunità giuridica (di solito i cittadini dello stato-nazione). Nasce così una tensione caratteristica tra il senso universale dei diritti umani e le condizioni locali della loro realizzazione” (Habermas 2008, 221).

Nello studio delle migrazioni internazionali, si sviluppano correnti di pensiero legate a quello che Morris definisce “communitarian particularism” da un lato (2010, 19), dove viene enfatizzato il saldo ancoraggio al controllo esercitato dallo stato nazione, come si evince

11 Ciò vale anche per la Convenzione di Ginevra del 1951, che ad oggi conta 147 stati firmatari.

http://www.unhcr.it/news/dir/13/convenzione-di-ginevra.html (03 ottobre 2013).

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dall'attuazione di politiche di chiusura verso i flussi migratori in arrivo. Dall'altro vi è il riconoscimento dell'importanza delle mobilità umane come fenomeno globale, e della moltiplicazione di diritti a livello transnazionale, a cui fa seguito lo sviluppo di una società post-nazionale (Masiello 2007, 42). L'autrice definisce “positivista” la visione di una società post-nazionale, quale quella proposta da Soysal (1994), secondo cui i fattori escludenti della cittadinanza vengono superati dal diritto alla residenza e i non-cittadini fanno appello ad una personalità universale, anziché ad una appartenenza nazionale; secondo Soysal,

“le migrazioni internazionali, le nuove istituzioni politiche come l'Unione Europea e il dibattito internazionale sui diritti umani hanno prodotto una situazione nella quale i diritti sono deterritorializzati e riferiti alla persona piuttosto che a una relazione con lo stato fondata sulla nazionalità di un individuo” (Bloemraad in Abbatecola e Ambrosini 2009, 166).

In risposta a tale approccio, vi è una serie di autori, tra cui la stessa, che fanno emergere le criticità insite non solo nelle pratiche selettive dei riconoscimenti formali dei diritti ma nella loro stessa fruibilità, che spesso è ostruita da pratiche informali (Morris 2010, 7). A fianco delle teorie basate su una visione post-nazionale ed a quelle che fondano le sue critiche, vi è il cosmopolitismo12, che ripartendo dalla visione kantiana13, riconosce la presenza di una umanità comune e l'accentuarsi dello sviluppo di norme universali e obblighi trans- nazionali, con la prospettiva di un superamento della sovranità statale, per dirla con Benhabib, che invochi “(...) l'universalismo morale e il federalismo cosmopolitico” (2004, 177).

A seguito dei riferimenti ai filoni di studio sviluppatisi attorno al tema delle migrazioni internazionali, e quindi anche delle migrazioni forzate, riecheggia retorica la domanda di Castles che, rivolgendosi a chi in particolar modo analizza e studia tali contesti, chiede:

perché le politiche migratorie falliscono? (Castles 2003, 11). Benhabib sostiene che il paradosso attuale sta nel carattere ancora e incessantemente vigoroso della sovranità statale, nonostante gli aspetti di indebolimento, riscontrabili lungo i confini nazionali che, pur essendo sempre più porosi, sono sempre al servizio di politiche di controllo dei flussi di ingresso (2004, 5). Morris, sottolineando come le visioni del contesto sopra brevemente descritte rischino di essere scollegate con la realtà quotidiana (Morris 2010, 23; Celloni, Marras e Surghetti 2012, 58), ritrova tale paradosso nella attuazione di diritti universali, come nel caso della Convenzione di Ginevra che, sebbene con il diritto di non refoulement14

12 Per lo studio dello sviluppo storico e teorico del cosmopolitismo nella sua accezione attuale si vedano gli scritti a partire da Kant, Habermas, Beck.

13 Le argomentazioni kantiane promosse dalla sua concezione di pace perpetua, ricoprono un ruolo importante nella teorizzazione e nel dibattito legati al concetto di ospitalità. Kant sostiene che vada istituito uno stato di pace, partendo dal diritto universale all'ospitalità, non intesa come un contratto siglato tra privati cittadini, come nelle tradizioni greco-romane (Celloni, Marras e Surghetti 2012, 32), ma come un “diritto di visita (Wirbarkeit) dal carattere istituzionale e cosmopolitico che tutti gli esseri umani possiedono in quanto abitanti della terra, in egual modo”

(Idem). È importante sottolineare come lo stesso Kant sostenga che al diritto universale all'ospitalità corrisponda il dovere al non allontanamento dal territorio ospitante se ciò può ledere la sicurezza dello straniero, se può fargli “danno” (Kant in Celloni, Marras e Surghetti 2012, 32). Ciò rimanda ai fondamenti della Convenzione di Ginevra che sanciscono il diritto a chiedere protezione e l'obbligo al non-respingimento.

14 Il principio di non-refoulement, ovvero di non respingimento è contenuto nell'Art. 33 della Convenzione di Ginevra, la quale recita che: “Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) - in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o

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affermi la non espellibilità dei richiedenti asilo e dei rifugiati, non ha determinato una rinuncia da parte degli stati ad esercitare il controllo alle frontiere15. L'autrice fornisce un esempio non casuale, poiché è proprio nella relazione con la frontiera che il concetto di straniero, e di rifugiato nello specifico, assume significati nuovi. Alla vigilia della fine della Prima guerra mondiale si afferma il “problema dei rifugiati quale lo intendiamo oggi (…) giacché il nuovo significato assunto dalle frontiere impone che d'ora in poi i rifugiati siano classificati e identificati in quanto tali” (Sassen 1999, 77-78). Lo straniero è il soggetto lontano che è vicino (Simmel 1998, 580), un outsider che vive da insider, ma con una presenza che necessita di essere situata, proprio alla luce della sino ad ora menzionata discrepanza tra titolarità ed esigibilità dei diritti ad esso correlati.

Nell'introdurre il tema del rifugio, anche Ambrosini sostiene che “(...) i rifugiati rappresentano oggi il capitolo più ingombrante e scomodo della questione planetaria delle migrazioni internazionali” (in Ambrosini e Marchetti 2008, 09) e che gli stati, che si trovano nella parte privilegiata del mondo, al fine di potersi definire ancora stati liberali, devono dimostrare di essere aperti e predisposti ad accogliere l'arrivo di richiedenti asilo che, in fuga dai propri Paesi, vi giungono per rifugiarsi.

Nonostante tali premesse, la risposta di Castles alla domanda circa il perché di politiche migratorie fallimentari, risiede proprio nel rifiuto da parte dei policy maker di riconoscere le migrazioni per ciò che sono, ovvero fenomeni che non possono essere controllati e bloccati a piacere, secondo le proprie necessità quasi fossero merci, ma un fatto sociale totale (Palidda 2008) che nasce e si sviluppa in modo dialogico e trasformativo. Ecco dunque che una sociologia del rifugio, o delle migrazioni forzate (Castles 2003; Masiello 2007; Masiello 2008), deve forgiarsi partendo dai contributi di ogni disciplina scientifica che permetta lo studio delle migrazioni forzate e delle sue determinanti strutturali, poiché – premesso che la cittadinanza e lo stato nazione rappresentano i due strumenti di accesso più significativi a molti diritti fondamentali – l'esperienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo rappresenta un importante test per tentare di comprendere quanto il diritto ad avere diritti è stato ampliato per includervi individui esterni ad un'appartenenza nazionale, in cerca di protezione (Morris 2010, 144-145).

la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche”. Questo articolo “ha una portata generale ed è applicabile non solo ad espulsioni e respingimenti intesi in senso tecnico, ma anche a qualsiasi altra forma di allontanamento forzato verso un territorio non protetto, indipendentemente dalla sua natura o finalità, ivi comprese misure di estradizione o di trasferimento informale (c.d. 'rendition', riconsegna o riammissione). Il divieto di refoulement trova applicazione indipendentemente dal fatto che il soggetto sia già stato riconosciuto rifugiato, ma anche a prescindere dall'aver formalizzato o meno una domanda diretta ad ottenere tale riconoscimento. Fermo restando che per essere rifugiati è necessario trovarsi al di fuori del paese di temuta persecuzione, deve senz'altro ritenersi che gli obblighi di non refoulement operino anche a beneficio di coloro che, pur avendo già abbandonato il proprio paese di origine, non abbiano ancora fatto tecnicamente ingresso nel territorio dello Stato di accoglienza. Ciò in virtù del fatto della portata extraterritoriale del principio di non refoulement che mira ad escludere che esso possa trovare applicazione solo quando i migranti si trovino sul territorio dello Stato o in acque nazionali” (Asgi 2011, 27-28).

15 A fronte di ciò basti pensare ai numerosi respingimenti effettuati sulle coste italiane nel corso degli anni, di barconi in arrivo con numeri elevati di migranti, la cui composizione solitamente prevede la presenza di persone potenzialmente in cerca di protezione, di fatto andando contro il non-refoulement. Si veda in particolare il riferimento al “caso Hirsi”:

http://www.unionedirittiumani.it/wp-content/uploads/2012/07/DEF-ITA-Hirsi- Sentence_23_2_2012.pdf. (4 marzo 2014).

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In questa etnografia ci si propone pertanto di indagare il sistema-rifugio italiano mettendo in relazione tra loro i vari elementi che lo costituiscono, da quello quotidiano a quello istituzionale, da quello del campo a quello teorico e burocratico, provando ad analizzarlo sia dalla parte dei rifugiati sia dalla parte di chi lavora con loro.

2. Il refugee labelling

Esilio deriva dal latino exsilium (Curcio 1971, 384) termine composto da ex fuori, e solum, terra. La pratica dell'esilio è intrinsecamente collegata a importanti momenti storici dell'umanità; si pensi alla fuga obbligata della Sacra famiglia dalle persecuzioni di Erode, o alla fuga di Maometto dalla Mecca alla Medina. L'esilio ha rappresentato, nei secoli passati, una pratica punitiva verso colpevoli e perseguitati, che venivano così allontanati in modo forzato dalla propria madrepatria.

Il termine asilo deriva dal latino āsylum e dal corrispettivo aggettivo greco asylòn che significa inviolabile, ciò che non può subire violenza (Battaglia 1980, 731). Il concetto di asilo esiste da centinaia e centinaia di anni, è alla base dell'accoglienza di molte civiltà nomadi, che praticavano la solidarietà e la protezione nei confronti dello straniero. Vi sono così riferimenti sia in testi antichi che in testi sacri quali l'Antico Testamento ed il Corano.

Si ritrova dunque l'esilio da un lato, quale prassi punitiva e l'asilo dall'altro a rappresentare lo spirito accogliente e solidale delle popolazioni che lo praticano16.

Come i diritti danno vita ad un proliferare di status e definizioni giuridiche legate al fenomeno del rifugio, anche l'approccio delle scienze sociali riconosce tale fenomeno come uno degli elementi portanti dell'identità stessa del rifugio.

Vengono di seguito proposte alcune key word che fanno riferimento ad alcune17 delle classificazioni prodotte dal sistema-rifugio sul piano giuridico e che risultano utili al fine della lettura di questa etnografia, con un riferimento specifico al contesto italiano18. In questa indagine si fa consapevolmente riferimento ai beneficiari di protezione internazionale, utilizzando il termine rifugiato, elevando tale status giuridico, che rappresenta il massimo riconoscimento della protezione internazionale, a concetto

“portavoce” che racchiuda, in primis per motivi di facilitazione alla lettura, anche lo status di protezione sussidiaria e umanitaria di cui si parlerà di seguito.

Il termine rifugiato fa riferimento alla definizione presente nella Convenzione di Ginevra del 195119, che a livello europeo viene ripresa all'interno della Direttiva Qualifiche sia del 200420

16 Per un maggiore approfondimento della genesi legata all'istituto dell'asilo si rimanda allo studio di Lanzerini (2009).

17 Per una visione più completa delle definizioni che costellano il panorama giuridico e amministrativo-burocratico del sistema-rifugio globale, si vedano Castles (2003), Ambrosini e Marchetti (2008) e Ambrosini (2010). Per un approfondimento giuridico si rimanda al manuale giuridico prodotto dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati : http://www.serviziocentrale.it/file/server/file/Manuale%20giuridico%20-

%20con%20copertina.pdf (10 gennaio 2014).

18 In questo primo capitolo si accennerà brevemente alle normative di riferimento sia sul piano nazionale che internazionale inerenti il tema del rifugio. Nel corso del secondo capitolo si approfondiranno le relazioni tra i vari riferimenti normativi, in un quadro descrittivo d'insieme.

19 La Convenzione di Ginevra recita, all'Art. 1A§2 che il rifugiato è colui che "temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che,

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che della nuova, la n. 95/2011/UE21. Il diritto di asilo è un diritto soggettivo e lo status di rifugiato viene riconosciuto alla persona che dimostri il fondato timore di essere perseguitata e non può pertanto far rientro nel proprio Paese di origine. In Italia la persona riconosciuta rifugiata22 ha diritto ad un permesso di soggiorno di cinque anni e al documento di viaggio della stessa durata; chi possiede tale status vede facilitate le procedure di ricongiungimento familiare, che non prevedono la richiesta dei requisiti di alloggio e reddito come per gli altri cittadini stranieri, e l'accesso alla richiesta di cittadinanza, che necessita di cinque anni di residenza continuativa anziché dieci. La protezione internazionale riconosce anche altri status, che corrispondono ad un livello inferiore rispetto a quello di rifugiato perché non si fondano sul timore di una persecuzione personale. Il secondo tipo di status acquisibile da una persona che abbia chiesto asilo, è la protezione sussidiaria, anch'essa normata dalla Direttiva Qualifiche, che rappresenta una forma di protezione complementare ma subordinata allo status di rifugiato. Si pensi ad esempio alle situazioni di persone in fuga da contesti dove vi è un conclamato e riconosciuto conflitto; genericamente viene loro riconosciuta una protezione internazionale sussidiaria, poiché viene riconosciuto il rischio di subire un “grave danno”23 (Servizio Centrale 2012, 25).

Al titolare di questo tipo di protezione viene rilasciato un permesso di tre anni con il titolo di viaggio valido per la stessa durata del permesso. Prerogativa del panorama giuridico italiano in materia di rifugio è il riconoscimento della protezione umanitaria, regolamentata dal Testo Unico sull'Immigrazione24 e presente anche nel decreto con cui l'Italia ha recepito la direttiva europea, anche definito Decreto Procedure del 200825. Questo tipo di istituto non non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra".

Per il testo della Convenzione di Ginevra del 1951 si veda:

http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/13/convenzione_Ginevr a_rifugiato.pdf (04 marzo 2014).

Per un approfondimento si vedano rispettivamente:

Asgi (2011); Servizio Centrale (2012).

20 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:304:0012:0023:IT:PDF (2 novembre 2013).

21 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:337:0009:0026:IT:PDF (27 ottobre 2013).

22 E' importante da subito sottolineare che in Italia non esiste una legge organica sull'asilo, vale a dire che la norma fa riferimento a decreti legge e circolari ed è aperta dunque a possibili interpretazioni discordanti. In Italia la Convenzione di Ginevra è stata ratificata nel 1954 e il protocollo di New York, che sancisce l'abolizione delle limitazioni geografiche e temporali, con la L.n. 39/90, ovvero la Legge Martelli. L'ordinamento italiano infine gode di una peculiarità positiva che è l'Art. 10 della Costituzione Italiana, il quale sancisce il diritto di ogni persona a chiedere asilo qualora nel proprio Paese non vigano le condizioni democratiche garantite dall'ordinamento italiano.

23 Il concetto di “danno grave”, fa riferimento a quanto contenuto nell'Art. 2 (Definizioni), D. Lgs.

251/07 che alla lettera g, dove definisce la “persona ammissibile alla protezione sussidiaria:

cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non puó o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”. Per approfondimenti si faccia riferimento a Sprar (2012, 25-29).

24 Si veda nello specifico l'art. 5, co. 6, D. Lgs. 286/98.

http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/98286dl.htm (12 marzo 2014).

25 Si veda nello specifico l'art. 32, co. 3 del D. Lgs. 25/08;

http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/08025dl.htm (27 ottobre 2013).

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rientra nella protezione internazionale ma è sempre un diritto soggettivo e sussiste nel momento in cui vi siano oggettive e gravi situazioni che impediscano alla persona di lasciare il territorio nazionale, e ad essa viene pertanto rilasciato un permesso della durata di un anno.

Ogni persona, prima di ottenere una delle suddette forme di protezione26, si trova in una condizione ancora differente, che è quella del richiedente asilo. A partire dal momento in cui una persona ha varcato un confine, nel caso specifico quello italiano, ha la possibilità di presentare e formalizzare la propria richiesta di asilo, ottenendo pertanto un permesso per richiesta asilo della durata necessaria e in funzione della convocazione in Commissione Territoriale per svolgere la propria audizione27 e spiegare i motivi della richiesta di protezione. In generale è importante sottolineare che non sempre alla richiesta di protezione corrisponde una immediata formalizzazione della domanda. Vi sono numerose situazioni in cui i richiedenti sono in una condizione di attesa e vuoto normativo, poiché non sono in possesso di un permesso per richiesta asilo che consenta loro di accedere al ventaglio di diritti riconosciuti, però hanno di fatto formalizzato una prenotazione alla formalizzazione e sono condizionati dai tempi delle burocrazie.

Un'ulteriore definizione da aggiungere a questa lista di possibili protezioni, è provocatoriamente inserita al fine di non dimenticare una delle più incisive e violente pratiche del sistema-rifugio europeo, ovvero il Regolamento Dublino II28. Nel gergo dell'asilo

26 Qualora al richiedente non venga concesso il riconoscimento di alcuno status di protezione internazionale o umanitaria, viene comunicato il diniego. La persona ha diritto a presentare ricorso. Per approfondimenti si consulti il Manuale Giuridico del Servizio Centrale dello Sprar (2012):

http://www.serviziocentrale.it/file/server/file/Manuale%20giuridico%20-

%20con%20copertina.pdf

27 Le Commissioni Territoriali sono gli istituti competenti per la decisione sul riconoscimento della protezione internazionale a chi in Italia presenta domanda di asilo. Nasce in origine come unica Commissione Nazionale con sede a Roma sino a che la cosiddetta legge Bossi-Fini istituisce le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Ogni persona che in Italia presenti domanda di asilo ha diritto a svolgere una audizione personale di fronte ai membri della commissione competente, riportando durante questa le motivazioni che l'hanno spinta a fuggire e a chiedere protezione internazionale. Il richiedente ha diritto a comunicare in lingua madre beneficiando della presenza di un mediatore linguistico - culturale.

28 Gli anni Novanta vedono la firma della Convenzione di Dublino da cui scaturirà successivamente il cosiddetto “Regolamento Dublino II”. La Convenzione nasce nel 1999 in seno ad un'Europa rinnovata da flussi migratori sviluppatisi a seguito del crollo del muro di Berlino e alla luce della liberalizzazione degli spostamenti interni come previsto da Schengen. L'abolizione delle frontiere interne fa sì che il cittadino di uno dei Paesi membri può muoversi liberamente nell'insieme dei territori di tutti i firmatari, i quali al tempo stesso sono chiamati ad armonizzare le normative nazionali nella gestione delle frontiere esterne. Dublino è una specificazione di quanto già contenuto in Schengen in materia di asilo e gestione delle domande di asilo. I principali obiettivi di tale Convenzione sono: garantire rapido accesso alla procedura di asilo in uno Stato membro ad ogni individuo che ne faccia richiesta; evitare la presenza dei cosiddetti rifugiati “in orbita”, che si trovano a spostarsi tra le frontiere interne poiché nessun Paese concede loro l'accesso alla procedura di asilo; evitare movimenti secondari di richiedenti asilo da un Paese membro all'altro e quindi il fenomeno dell'asylum-shopping, ovvero che i richiedenti asilo depositino la propria domanda in più Paesi (ECRE 2006, 8). Con la comunitarizzazione dell'istituto dell'asilo, a seguito del Trattato di Amsterdam e del conseguente incontro di Tampere, vengono gettate le basi dei due pilastri centrali che oggi regolano le normative di riferimento per i richiedenti asilo e i rifugiati in Europa: il Reg. (CE) n. 2725/2000 che istituisce Eurodac e il Reg. (CE) n. 343/2003, anche detto Regolamento Dublino II. Il primo provvedimento menzionato riguarda l'istituzione di una banca dati digitale a livello europeo che rileva le impronte digitali di ogni persona sotto i 14 anni di età che entra in Europa per chiedere asilo. Il sistema Eurodac permette di supportare

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si parla difatti dei cosiddetti casi Dublino, in riferimento a persone che hanno varcato il confine, in questo caso quello italiano, sono state schedate mediante le impronte digitali e di conseguenza sono state inserite nel sistema Eurodac29(cfr Schuster 2009), che monitora i flussi di entrata dei richiedenti asilo in Europa: se si varca la frontiera di un Paese Membro è lì che si deve restare a chiedere la protezione. Questa pratica determina un susseguirsi di sviluppi che investono il sistema-rifugio italiano ed europeo e la vita quotidiana di tutte quelle persone che, ad esempio, non volevano fermarsi in Italia ma vi sono costrette a fronte di tale norma30. In particolare numerose fonti denunciano ormai da anni le gravi conseguenze che pratiche come Dublino possono avere sul benessere dei migranti forzati, l'applicazione di uno dei punti centrali del Regolamento Dublino II, ovvero la determinazione dello Stato membro competente per l'acquisizione della domanda di asilo della persona. Quando un migrante forzato entra in uno Stato Membro, vi deposita le impronte e poi transita e si reca in un altro Stato Membro, qualora venga intercettato dagli organi di polizia egli verrà sottoposto ad una procedura che riguarderà la valutazione del Paese che dovrà accogliere la richiesta di protezione internazionale, secondo determinati criteri di competenza. La valutazione del Paese Membro competente, secondo Dublino II, si basa su una serie di criteri che sono fondamentalmente legati al principio di unità familiare (ad esempio se un migrante forzato transita dall'Italia, vi deposita le impronte ma poi prosegue il suo viaggio in Svezia dove ha un fratello che è stato riconosciuto rifugiato dal governo svedese, potrà essere indicata la Svezia come Paese competente per la richiesta di asilo e la persona può permanere in Svezia senza dover far rientro in Italia). La seconda rosa di criteri sostiene che “lo Stato maggiormente responsabile per la presenza sul territorio del richiedente asilo, sarà anche responsabile per l'esame della sua domanda” (Asgi 2011, 152-153). Asgi, sottolineando l'importanza riconosciuta in via prioritaria al diritto all'unità familiare, fa riferimento alla cd “clausola umanitaria”, che

“prevede che, su richiesta dell'interessato, qualsiasi Stato membro può, pur non essendo competente in applicazione dei criteri definiti dal Reg.(CE) n.343/2003, procedere a ricongiungere i membri di una stessa famiglia, nonché altri parenti a carico, per ragioni umanitarie fondate in particolare su motivi familairi o culturali” (Ibidem, 154).

A partire dal 2013 è stata approvata una nuova versione del regolamento, la UE n. 604/2013. Per maggiori approfondimenti sul Regolamento Dublino II, si veda Asgi (2011, 151-173); per una lettura del recente Regolamento Dublino III si consiglia il seguente link:

http://asiloineuropa.blogspot.it/2013/07/dublin-guide-il-regolamento-dublino-iii.html (5 novembre 2013).

29 Eurodac sta per European Dactyloscopy. Il Council Regulation (EC) N°2725/2000 del 11 Dec 2000 che istituisce il Regolamento EURODAC, è entrato in vigore il 15 dicembre 2000. http://eur- lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32000R2725:IT:HTML (14 marzo 2014).

30 Riportando alcuni dati presi dal sito del Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati) e facenti riferimento alla fonte dell'Unità Dublino, l'organo preposto dal Ministero dell'Interno per la gestione delle procedure dei casi Dublino, emerge che dal 2008 al 2010 le richieste di competenza (cfr. nota 24 per il riferimento ai criteri di competenza) avanzate dall'Italia verso altri Paesi membri non superavano le duemila unità, mentre le richieste da parte di Paesi membri verso l'Italia come competente a seguire l'istanza di asilo di un richiedente hanno superato le diecimila unità. Il rapporto è ovviamente non tanto di valore numerico, essendo l'Italia rappresentativa di un Paese membro contro il resto complessivo dei Paesi membri, ma sono i conseguenti numeri relativi ai trasferimenti ad essere importanti. Dal 2008 al 2010 sono stati trasferiti dall'Italia ad un altro Paese membro rispettivamente 124, 47 e 113 persone. Viceversa, il numero delle persone trasferite come casi Dublino da un altro Paese membro all'Italia sono state 1308, 2658 e 2739 per ognuno dei tre anni considerati. I dati parlano di oltre un quinto delle richieste da Paesi membri verso l'Italia concluse in trasferimenti, mentre le richieste dall'Italia, con un seguito di trasferimento oscillano tra un quattordicesimo e un trentesimo rispetto alle domande poste. Le persone quindi vengono più facilmente riportate in Italia, da dove hanno cercato di uscire, o vi restano per il rifiuto delle richieste presentate ad altri Paesi membri. I dati mostrano che c'è un numero consistente di persone costrette a fermarsi in Italia a causa della regolamentazione Dublino II, nonostante l'interesse a proseguire il proprio progetto migratorio altrove. Coloro che tentano di trasferirsi in altri Paesi comunitari vengono sistematicamente rinviati in Italia, in quanto è il primo Paese in cui sono entrati. www.cir-onlus.org (31 ottobre 2013).

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