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Come i cittadini italiani?

Nel documento Abitanti di uno spazio (pagine 70-82)

49 per un sostanziale inasprimento 81

4. Come i cittadini italiani?

Parte fondamentale della domanda chiave in questo percorso di indagine riguarda i percorsi di accesso ai diritti sociali dei rifugiati.

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Si rimanda in merito ad un recentissimo video che riporta i maltrattamenti dentro il Centro di Lampedusa:

http://www.ilcorsaro.info/migrazioni/lampedusa.html (17 dicembre 2013) 162

http://www.mediciperidirittiumani.org/pdf/ARCIPELAGOCIEsintesi.pdf (12 dicembre 2013). 163 Il materiale citato fa riferimento a documentazione ricevuta da un membro del comitato

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Come già accennato nel precedente capitolo, l'idea marshalliana di cittadinanza trova il suo completamento con la comparizione della sua componente sociale, per cui i diritti sociali, che si andavano a sommare a quelli politici e civili, divengono uno strumento di superamento delle disuguaglianze. Questa visione peraltro si basa su quella visione inclusiva della cittadinanza, resa palese nella sua fragilità dalla presenza di persone che non appartengono quindi a quel determinato stato.

Dal momento che “può essere tracciata una netta distinzione tra diritti di cittadinanza sociale e diritti sociali: i primi non sono che una sottocategoria dei secondi” (Gargiulo 2008, 21), è desumibile che analizzando le vie percorse dai titolari di tali diritti, al fine di poterli esercitare pienamente, si possa tracciare il volto, o i volti, delle cittadinanze sociali che compongono il contesto osservato:

“Un aspetto cruciale del percorso di integrazione dell’immigrato passa attraverso il riconoscimento dei diritti, soprattutto quelli di natura sociale che mettono in relazione il singolo con la società di accoglienza. Si fa in particolare riferimento al diritto alla salute e all’assistenza sociale, al diritto all’abitazione e al diritto all’istruzione, diritti che attengono a beni essenziali per la vita degli individui, da cui derivano legittime aspettative non come individui singoli, uno indipendente dall’altro, ma come individui che vivono in società con altri individui” (Biondi Dal Monte 2011, 2).

I diritti sociali di un cittadino-rifugiato che giunge in Italia si basano sul “diritto all'accoglienza, il diritto a risiedere sul territorio, all'assistenza sanitaria (di base e specialistica), all'alloggio, al lavoro, alla istruzione ed alla formazione professionale, alla previdenza (infortunio, malattia, invalidità etc.), alle forme di assistenza sociale” (Ciac 2011, 39-40) alle medesime condizioni del cittadino italiano. Per chi si trova in Italia in qualità di richiedente asilo, i diritti sociali previsti sono parimenti il diritto all'accoglienza, il diritto alla residenza anagrafica, alla assistenza amministrativa, il diritto all'informazione sui diritti e doveri, l'assistenza sanitaria in regime di esenzione, il diritto all'assistenza sociale e dopo i primi sei mesi di richiesta asilo il diritto a svolgere attività lavorativa164

(Ibidem, 40).

All'interno della Convenzione di Ginevra, della Direttiva Qualifiche165 e del Decreto Qualifiche166 sono contenuti i riferimenti normativi a livello internazionale, europeo e nazionale, che affermano “il diritto di eguaglianza nella titolarità dei diritti sociali tra cittadini e rifugiati” (Ciac 2011, p 39)167

. La ricerca condotta da Asgi parla di “parità formale” (2011, 295) e sottolinea il fatto che, se da un lato l'Europa con la Direttiva Qualifiche del 2004 lascia ai Paesi Membri il discrimine di poter “limitare” (Ibidem) l'accesso alle prestazioni sociali per i beneficiari dello status di protezione sussidiaria, a livello italiano il Legislatore garantisce sulla carta la parità di trattamento tra rifugiati e cittadini italiani, come previsto dall'art. 27 del Decreto Procedure.

Leggendo la normativa “si evince con chiarezza la sussistenza di una esplicita previsione di un principio di assoluta parità di trattamento nella materia di assistenza sociale a favore dei

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Per i vari riferimenti normativi relativi ad ogni singolo diritto elencato si rimanda allo schema presentato nella ricerca citata di Ciac (2011, 40-41).

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Direttiva Europea 2004/83/CE. 166 D.Lgs 251/07.

167 Anche coloro che hanno ancora un permesso per motivi di richiesta asilo sono tutelati da norme che parlano dell'equiparazione tra cittadini italiani e richiedenti asilo, anche se presentano limiti più stretti dovuti al carattere transitorio della posizione giuridica del migrante. Per maggiori approfondimenti si rimanda a Ciac (2011) e Asgi (2011).

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titolari di protezione internazionale ed umanitaria senza che detto principio di parità possa trovare compressione o limitazione alcuna” (Asgi 2011, 296), ma leggendo le esperienze quotidiane narrate da ricerche (Asgi 2011; Ciac 2011) ed esperienze (Cfr. Capitoli Quarto e Quinto) di chi vive il sistema-rifugio italiano, sia come beneficiario che come lavoratore, emerge come tali aspettative siano alquanto insoddisfatte.

Un esempio lampante di tale considerazione è la situazione che si presenta di fronte a quella che può essere definita come la porta di accesso alla esigibilità dei diritti di cui un cittadino-rifugiato è titolare: la residenza anagrafica. Secondo la normativa vigente168

hanno diritto ad accedere all'iscrizione anagrafica “tutti i cittadini stranieri, regolarmente soggiornanti, e tra essi i richiedenti asilo, i rifugiati, i titolari di protezione sussidiaria ed umanitaria che abbiano stabilito la loro residenza nell'ambito del territorio comunale o, se persone senza fissa dimora, dimostrino di avere nel territorio comunale il loro domicilio” (Ciac 2011, 61). La residenza non è da considerasi come una concessione169

, ma come un diritto soggettivo (Ibidem, 63); la realtà dei fatti vede però una Italia in cui la residenza è spesso considerata un diritto concessorio con il rischio di una deriva contrattuale per l'accesso ai diritti sociali. Nelle vite dei rifugiati prendono forma una molteplicità di fratture e di perdite, siano esse di tipo materiale o simbolico, siano esse la perdita della casa, della terra, del lavoro, dei legami, dei riferimenti culturali, “in altri termini della residenza” (Losi 2000, 32), porta di entrata ai diritti di cittadinanza; ieri come oggi, “la perdita della cittadinanza priva l'individuo, oltre che della tutela giuridica, della sua identità ufficialmente documentata” (Arendt 2009, 398). Secondo il report di Medu170

“Rifugiati a Firenze”, pubblicato nel 2013 e relativo al lavoro tra il 2011 e il 2012, tra le criticità riscontrate dalle équipe che intervengono all'interno di stabili occupati da rifugiati sul territorio cittadino, vi è il “rifiuto dell'iscrizione anagrafica per i rifugiati in condizione di precarietà abitativa, con conseguente impossibilità di presa in carico socio-sanitaria e relativa impossibilità di regolarizzazione sanitaria” (Medu 2103a, 16). La residenza e la domiciliazione in caso di persone senza fissa dimora, rappresentano la chiave per accedere ad un ventaglio importante di diritti e anche, fattore da non sottovalutare, per il rinnovo del permesso di soggiorno. Quando una persona viene accolta in un centro per richiedenti asilo e rifugiati, solitamente ha un domicilio, come nel caso della accoglienza presso i Cara, e nel caso di accoglienza in centri come gli Sprar o i centri polifunzionali accede all'iscrizione anagrafica ottenendo una residenza. Tale condizione però spesso decade una volta terminato il periodo di accoglienza, o permane per brevi periodi tali da permettere alla persona di poter trovare un nuovo indirizzo. A fronte delle esperienze di chi scrive, accumulate prima sul piano professionale e poi attraverso la ricerca etnografica, le persone, una volta uscite dai progetti perdono il diritto alla iscrizione anagrafica e in molti casi non sanno se la loro carta di identità è ancora valida oppure no e la comunicazione in questo senso è lacunosa da parte dei progetti e degli operatori pubblici

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Per inciso si vedano le seguenti fonti normative: Art. 6 del D.Lgs 298/98; art. 15 del DPR n. 394/1999; art. 1 e 2§3 della L. 1228/54; art. 7 del DPR 223/89; la circolare ministeriale n. 8 del 29 maggio 1995; La Corte di Cassazione, SS.UU., con sentenza n. 449 del 19.06.2000; art. 25 della Convenzione di Ginevra del 1951

169 Nel dibattito italiano relativo al tema della cittadinanza, il concetto del diritto come concessione non è una componente insolita; tutt'altro, essa acquisisce familiarità proprio in relazione a fenomeni che vedono connessi le pratiche di cittadinanza con il dibattito su immigrazione e naturalizzazione. Si pensi ad esempio alla concessione della cittadinanza ai figli dei cittadini stranieri, che se pur nati in Italia o residenti da numerosi anni, possono godere dei diritti della cittadinanza solo al compimento del diciottesimo anno di età.

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che non sempre spiegano in modo chiaro e comprensibile al rifugiato in che modo il suo stauts anagrafico stia cambiando e cosa comporta tale cambiamento. Di fatto l'accesso a determinati diritti come quello alla salute possono restare a lungo in fase di stallo se la condizione di residenza non è chiarita, come si vedrà più avanti.

Ad esempio di questa riflessione, si vuole di seguito riportare una delle prime esperienze professionali di chi scrive, in riferimento al periodo in cui ricopriva il ruolo di operatrice sociale in un progetto Sprar. L'episodio risale al novembre 2005 e l'operatrice era all'epoca responsabile di un appartamento in cui vivevano cinque uomini singoli. Tra le prime pratiche burocratiche di routine vi è quella di acquisire il permesso di soggiorno presso la questura competente e gli altri documenti, tra cui la carta di identità. Il progetto, gestito da una associazione in collaborazione con il comune, prevede anche la residenza per chiunque viva in un alloggio facente capo al progetto. La mattina in cui l'operatrice organizza un accompagnamento in anagrafe per richiedere la residenza assieme a cinque rifugiati, tutti mediamente giovani e originari del Corno D'Africa, sorge un problema nell'accesso a tale richiesta e condizionato dalla posizione della sportellista dell'anagrafe. Quest'ultima di fatto non acconsente a rilasciare cinque residenze in una sola mattinata, motivando il fatto che non si possono rilasciare tutte assieme. Dopo una serie di telefonate con il referente del comune per il progetto l'operatrice riesce a parlare anche con il direttore e le viene confermato il fatto che ad un cittadino non si può negare la richiesta di residenza. Il problema poteva sussistere nella modalità di attesa, ma erano stati presi cinque numeri per cinque persone, senza dunque avanzare pretese di accesso preferenziali allo sportello. A seguito delle discussioni e degli scambi con i dirigenti, l'impiegata inizia la pratica per i cinque ragazzi.

Questo episodio non vuole parlare dell'accesso alla residenza come di una pratica a priori discriminatoria, il che risulterebbe banalizzante e stigmatizzante (Goffman 2003a) nei confronti di chi quotidianamente lavora agli sportelli dei vari servizi demandati dalle istituzioni; ma vuole fornire un esempio del contesto arbitrario entro cui si muovono i diritti sociali dei rifugiati. Nella penombra della burocrazia si intravede il paradosso che è alla base del sistema-rifugio e che verrà a formare il cuore di questa ricerca: all'interno del medesimo sistema istituzionale, i componenti di questo stesso contesto si trovano a scontrarsi per l'accesso o meno ad un diritto. In questo breve racconto la presenza dei rifugiati è eterea, come il loro diritto a chiedere la residenza. Mentre si scontrano coloro che in un certo senso potrebbero considerarsi colleghi.

Le istituzioni demandano a soggetti che nel loro lavoro quotidiano si trovano a dover fronteggiare le difficoltà e le complicazioni della burocrazia, rappresentando anche in molti casi l'interfaccia diretta negli scontri che nascono per le inadempienze del sistema stesso; “spesso è proprio in questi soggetti che manca la consapevolezza del loro ruolo cruciale anche da un punto di vista burocratico-amministrativo” (Ciac 2011, 70); nelle quotidianità dei rifugiati si sviluppa spesso quello che alcuni autori definiscono come il circolo vizioso dei “documenti” e parallelamente, o di conseguenza, della “marginalità” (Ibidem). Il sistema-rifugio viene interrogato in particolare sulla assonanza tra il ruolo ricoperto da figure facilmente individuabili come un dipendente che siede dietro la sua scrivania ad uno sportello pubblico, e le figure di operatori, educatori, coordinatori di progetti di accoglienza che mediano sempre sul territorio tra un diritto e il diritto a godere di un certo diritto.

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5. “La casa” e “il dottore”

I diritti che verranno indagati sono il diritto all'accoglienza e il diritto alla salute, la casa e il dottore. La scelta di questi due specifici diritti sociali è legata in primo luogo al fattore temporale. In accordo con la citata indagine a cura di Ciac “i concetti di titolarità e di esigibilità dei diritti sociali [sono da considerarsi] come processo di progressiva “sostanziazione” dei diritti, processo che si esplica lungo l'intervallo di tempo che va dall'arrivo in Italia alla definizione di un progetto individuale ed autonomo di vita” (2011, 38). E questo tempo è a sua volta suddivisibile in due ulteriori fasi, quelle che Koser definirebbe come l'”asylum cycle” (1997, 593; Mannocchi 2012, 61) facendo riferimento ai momenti di “preflight, flight and exile”(Koser 1997, 594), la cui conclusione non sta per forza nel rientro al Paese di origine, ma nel passaggio alla fase del “refugee cycle” (Ibidem), che avviene nel momento in cui ad una persona viene riconosciuta una protezione.

Si ritiene importante sottolineare che il processo di categorizzazione di seguito proposto vuole supportare e facilitare la lettura e la comprensione della presente indagine, ma prescinde dal voler generalizzare le vite di coloro che chiedono asilo (Mannocchi 2012, 8). La prima fase in cui si intende suddividere il tempo del sistema asilo italiano, è quella che Mannocchi definisce l'approdo, quello “spartiacque” (2012, 90) che segna il passaggio dall'essere in viaggio all'essere arrivati nel Paese di asilo, e per meglio delinearla si decide di suddividerla a sua volta, in due momenti fondamentali: il primo è l'arrivo, il momento in cui la persona giunge in Italia e ancora non ha formalizzato la domanda di asilo. In questa fase il migrante è in una condizione di irregolarità e si può trovare in situazioni di accoglienza presso i Cara o i Cie o semplicemente sul territorio ma senza alcun genere di protezione giuridica e materiale; il secondo avviene con la formalizzazione della richiesta di asilo e dura per tutto il tempo dello svolgimento della pratica. L'approdo, secondo l'autore, per i migranti risiede nell'arrivo al nuovo Paese di immigrazione, mentre per i rifugiati nell'ottenimento dello status, riconoscendo nei percorsi di richiesta asilo un viaggio altrettanto doloroso e fatto di quell'”insensatezza” (Beneduce in Mannocchi 2012, 102) che si scontra con la quotidiana “esigenza di categorizzare e definire il tutto, propria del sistema amministrativo istituzionale che deve accogliere queste persone, accertarne la “genuinità” e poi prendersene cura” (Ibidem, 102). L'approdo prosegue nel periodo di richiesta asilo, fino al riconoscimento di uno status171..

La seconda fase qui proposta è quella del rifugio. La persona ha riconosciuta una forma di protezione e prosegue la propria esperienza nei contesti172

di nuovo arrivo. Il rifugio rappresenta il percorso che i rifugiati vivono dentro e fuori i progetti, durante il quale si intensificano le azioni volte all'inclusione in un nuovo contesto. Sia nella fase di approdo che in quella del rifugio le persone godono formalmente di determinati diritti sociali; i tempi

171 La fase di richiesta asilo in Italia ha una durata variabile, e dipende in molti casi dai tempi delle Commissioni Territoriali competenti. Si tratta sempre di mesi di attesa e dunque sono periodi che segnano il primo incontro con il sistema-rifugio italiano e la persona che ne fa parte.

172 L'utilizzo della forma plurale non è casuale. In questa esperienza etnografica il concetto di Paese di arrivo, di Paese-rifugio assume valenze multiple, essendo da un lato la normativa europea vincolante in termini di mobilità delle persone a causa delle impronte digitali che legano il richiedente al Paese in questione; dall'altro, le rotte delle migrazioni interne alla “fortezza Europa” raccontano altre storie.

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legati alla fine del ciclo del rifugio terminano con l'inizio del passaggio idealtipico da rifugiato a cittadino.

In questa etnografia l’attenzione è rivolta a chi si trova nella fase del rifugio e all'osservazione dei percorsi di accesso al diritto all'accoglienza e alla salute.

Il diritto all'accoglienza si basa sulla premessa di una mancanza, quella di un luogo in cui ripararsi, in cui rigenerarsi, in cui ritrovarsi; come racconta Papadopoulos, “è come se l'assenza della casa creasse nei rifugiati una lacuna che li fa sentire non contenuti, e allora guardano intorno per colmarla, per ricreare la membrana protettiva e contenitrice della casa”. (2006, 41. Corsivo mio). L'arrivare alla casa nuova rappresenta anche il tornare indietro a quella vecchia, e “quando i rifugiati si struggono per la propria “casa”, è quindi importante ricordare l'implicita direzione dicotomica che viene generata dalla nostalgia”173 (Ibidem, 35). Il diritto all'accoglienza rappresenta una condizione fondamentale per l'acquisizione di strumenti che permettano quello che il linguaggio dei progetti stessi definisce integrazione174

. Avere un posto fisico dove stare, dove mettersi in salvo e ricominciare, fa parte dell'immaginario del rifugio stesso. E come la casa rappresenta simbolicamente lo spazio più esterno del processo di ri-costruzione del rifugio, il dottore è lo spazio della persona e della cura, di sé, del proprio corpo. La fase di approdo per i rifugiati è l'ottenimento di uno status, e fin dal principio di questa fase, ovvero l'iter della richiesta di asilo, la casa e il dottore sono componenti che si incontrano e si commistionano nella vita dei rifugiati. Questa lettura del sistema-rifugio non vuole assumere una forma prosaica, insinuando che ogni richiedente asilo abbia accesso automatico a entrambi i diritti. Ma anche nella perlustrazione delle esperienze professionali di chi scrive nell'ambito del sistema di accoglienza per rifugiati, la componente abitativa e sanitaria costituiscono due elementi importanti del momento di nuovo ingresso di una persona in un progetto. Per la ricostruzione di una vita quotidiana, la casa rappresenta un fattore che non interessa solo chi è in fuga dal proprio Paese; una simile riflessione può suonare banale, ma è necessaria per non ricadere nel processo di etichettamento tanto caro al sistema-rifugio. Vivere in un contesto protetto, familiare, dove è possibile ricreare una quotidianità da condividere, a

173 La nostalgia è un termine già toccato in questo capitolo, nelle preziose parole di Beneduce. Anche Papadopoulos nel parlare di rifugio non può esimersi dal toccare il sentimento della nostalgia. Egli nello specifico definisce una componente a suo avviso comune a tutti i rifugiati, persone che condividono tutte la perdita della casa in quanto luogo di quotidiana familiarità, di lavoro, di lotta, di crescita, di sofferenza anche ma unica e originaria; tutti i rifugiati condividono lo sradicamento spesso forzato. Per dirla con l'autore, “La perdita non riguarda soltanto un oggetto o una condizione concreti, ma include la totalità delle dimensioni della “casa” discusse prima. Questa totalità include, più specificatamente, tre gruppi di elementi binari dicotomici: a) le due direzioni diametralmente opposte che includono sia il movimento retrospettivo che quello prospettico (verso l'origine e verso i fini), b) il doppio significato di “casa” come entità tangibile e intangibile (concreta e immaginaria) e c) i due momenti successivi del processo del ritorno a casa (esterno e interno, fisico e psicologico, ritorno e reintegrazione). I rifugiati avvertono l'impatto di quella perdita multidimensionale, profonda e pervasiva e si sentono disorientati perché è difficile individuare l'origine e la natura precise della perdita stessa, difficoltà dovuta in special modo alla sua natura complessa e dicotomica. Ciò che è certo è che i rifugiati hanno perso la propria casa; sono un concetto e una realtà tangibili e precisi, mentre qualsiasi altra cosa diventa assolutamente disorientante. Il termine “disorientamento nostalgico” è stato proposto (ibidem) per chiarire che quel disorientamento è avvolto da un senso nostalgico di profondo dolore. I rifugiati non perdono mail la consapevolezza della perdita concreta della casa; ciò che tuttavia crea confusione e sconcerto è l'intricato groviglio delle altre dimensioni che, confondendosi, generano il sentimento di “disorientamento nostalgico.” (2006, 40).

174 Per un approfondimento sul tema dell'integrazione nell'ambito del sistema-rifugio italiano si veda Catarci (2011).

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conferma del fatto che accoglienza e salute sono diritti strettamente interrelati, sono fattori riscontrabili in quelli che vengono indicati come i determinanti della salute. Essi sono definiti dalla Dichiarazione di Jakarta del 1997175 in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara che i “prerequisiti per la salute sono la pace, una casa, l’istruzione, la sicurezza sociale, le relazioni sociali, il cibo, un reddito, l’attribuzione di maggiori poteri alle donne, un ecosistema stabile, un uso sostenibile delle risorse, la giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani e l’equità” (1997, 1). Questa ricerca non si prefigge pertanto di delineare una visione asettica e laboratoriale dei diritti di cui hanno titolarità i rifugiati, ma cerca di comprendere come tali diritti si inseriscano nelle vite delle persone e come ne condizionino gli sviluppi, facendoli dialogare tra loro. In questa indagine, i diritti sociali, dunque, fungeranno da punto di riferimento per osservare il passaggio finale del ciclo del rifugio.

Nel documento Abitanti di uno spazio (pagine 70-82)