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I diritti in un “address”

Nel documento Abitanti di uno spazio (pagine 127-130)

NELLA CICLICITÀ DEL RIFUGIO

4. I diritti in un “address”

Una volta accolti nei progetti, i rifugiati si trovano a vivere un ventaglio di differenti modalità di accesso ai propri diritti.

Nell'esperienza toscana, le testimonianze degli Sprar e del Centro Polifunzionale si distinguono molto da quelle degli altri progetti indagati. In primo luogo perché essendo progetti con una prospettiva di rinnovo più “certa” degli altri due modelli, l'Ena e il Fer,

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godono di una serie di buone prassi avviate sui territori di intervento e di relazioni che determinano un accesso tendenzialmente più facile dei rifugiati accolti ai diritti sociali. Sia gli Sprar che il Polifunzionale prevedono l'iscrizione anagrafica delle persone accolte, fattore che sicuramente facilita l'accesso a molti altri diritti, tra cui quello alla salute; come racconta il coordinatore del Polifunzionale, sono stati due gli elementi fondamentali ad essere garantiti ai nuovi entrati nel progetto al momento del suo avvio, “una fu la residenza, due fu il libretto sanitario e queste sono due cose che fanno la differenza nei progetti di accoglienza” (Intervista 1).

Ciò però non evita anche ai progetti che esistono da più anni su un territorio, quelle difficoltà e discrimini che accompagnano il lavoro degli operatori e dei rifugiati.

E' però nelle esperienze dei progetti Ena che tali limitazioni e problematicità, in questo caso relative all'accesso all'iscrizione anagrafica, emergono in modo più dirompente:

“fino a un mese fa il comune di [nome del comune] non iscriveva né richiedenti asilo, che lo sta facendo ora da un mese, né coloro che erano titolari di una protezione ma non ancora in possesso di un documento in originale, quindi coloro che erano in possesso del famoso cedolino e non potevano essere iscritti all'anagrafe. Io sono andata ad iscrivere una famiglia di rifugiati che ancora non avevano ottenuto il permesso in mano ma avevano il cedolino, hanno iscritto. Il giorno dopo la responsabile mi chiama e mi dice: no guarda, devi cancellare tutto perché, finché non hanno l'originale non possono essere iscritti” (Operatrice Ena, Intervista 7)260.

Alla luce di quanto osservato in questi mesi di indagine, facendo peraltro attenzione a non generalizzare, la sensazione emersa, è quella di imbattersi alle volte in vere e proprie reazioni di timore da parte delle amministrazioni comunali, rispetto all'onere di presa in carico, una volta finiti i progetti o una volta accordata la residenza. Le testimonianze dell'Emergenza Nord Africa sono emblematiche in quanto rappresentano un fenomeno ripetibile in Italia, data la sua conformazione territoriale composta da comuni medio-piccoli: “in un piccolo comune possono fare anche finta che: oh, ho perso la pratica! L'ufficio è chiuso! È morto un dipendente comunale! Il comune di [nome comune] ha fatto una resistenza incredibile. Allora bisogna imparare un po’ di cose, un po’ di trucchi e aspettare un po’” (Coordinatore Ena, Intervista 8). Il riscontrato timore sta nella conseguente “ricaduta” delle persone accolte sui servizi sociali che sostengono, generalmente, di non poter svolgere presa in carico.

Anche nei casi di progetti da più tempo presenti sul territorio nazionale c'è la conferma di questo fenomeno, come racconta la coordinatrice di un progetto Sprar: “gli assistenti sociali sanno chi c'è sul territorio e noi cerchiamo di presentargli i casi più gravi. Il problema è che i comuni su questo dicono: c'è lo Sprar che supporta la persona, quindi bisogna evitare di

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Nei casi in cui le persone sono in possesso della ricevuta di richiesta del permesso di soggiorno, il cosiddetto cedolino, l'iscrizione anagrafica è difficoltosa poiché di fatto la normativa inerente il diritto di accesso alla residenza o alla dimora abituale “(...) non trovano tuttavia applicazione” (Ciac 2011, 64). In effetti, in riferimento alle more per i rinnovi dei permessi di soggiorno, vi è la Direttiva del 5 agosto 2006 del Ministero dell'Interno, attestante il fatto che “il mancato rispetto del termine di venti giorni per la conclusione del procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno non incide sulla piena legittimità del soggiorno stesso e sul godimento dei diritti ad esso connessi”. Tale direttiva, seppur non emanata con specifico riferimento alla protezione internazionale, sostiene in sostanza il diritto all'iscrizione anagrafica “dietro esibizione della fotocopia del permesso di soggiorno scaduto e della ricevuta comprovante la presentazione della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno” (Cramerotti et alii, 20).

http://www.serviziocentrale.it/file/server/file/Guida%20Iscrizione%20anagrafica%20%20Emilia% 20Romagna.pdf (10 febbraio 2014).

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ricadere sui servizi sociali” (Intervista 10). Le amministrazioni tendono a demandare ai progetti stessi la presa in carico delle persone accolte, basandosi sulla presenza stessa del progetto sul loro territorio.

Una pratica diffusa tra i progetti è inoltre la cancellazione delle iscrizioni anagrafiche delle persone che escono dai progetti; come racconta un funzionario del Comune di Firenze, rispetto al progetto Sprar del territorio:

“(...) c'è sempre stata la possibilità di prendere la residenza, questo ha facilitato altri percorsi, nel senso che il meccanismo che noi avevamo adottato era di una dichiarazione che io facevo all'ufficiale dell'anagrafe, che era in carico al progetto, dopo di che una volta che si dimettevano dal progetto se ne chiedeva la cancellazione” (Intervista 14).

Le persone in uscita dai progetti, dunque, si trovano spesso a dover ritrovare un luogo in cui eleggere la propria residenza e, non solo, non sono più titolate a far riferimento ai servizi sociali del territorio.

Anche a livello “centrale”, la difficoltà a mantenere una continuità nell'accesso all'iscrizione anagrafica al momento dell'uscita dai progetti, viene individuata come una problematicità che riguarda in modo preponderante la quotidianità di chi opera e vive il sistema-rifugio, come emerge dalle parole di Di Capua:

“(…) quando sono nello Sprar nulla osta perché loro vivono lì, vivono nel centro di accoglienza, nella struttura comunque nel progetto; al momento dell'uscita è complicato, è una questione annosa questa della residenza, perché a noi pare che andrebbe interpretata in maniera estensiva, cioè che tutti dovrebbero poter avere la residenza e l’iscrizione anagrafica, con relativo accesso ai servizi di diritto; invece l’interpretazione è molto difforme, anche su questo tema (...). Da questo riconoscimento, che non è tanto dove vive la persona ma il fatto che la persona è nell'ombrello di quella amministrazione, dipende tutto perché dipende la carta d'identità, dipende l'iscrizione, il mantenimento in questo caso dall'uscita, l'iscrizione al Servizio Sanitario, l'accesso alla casa, l'accesso alla formazione, ci sono tantissimi percorsi che sono legati alla residenza e quindi al riconoscimento che tu sei un cittadino di quel contesto“ (Intervista 32).

A livello nazionale anche l'Unhcr riconosce quanto descritto sino ad ora dalle esperienze toscane, confermando il senso di timore e l'importanza a che ciò venga superato:

“(...) c'è un problema di una certa riottosità dei Comuni a fornire l'iscrizione anagrafica perché significa prendersi in carico queste persone. Quindi il tema iscrizione anagrafica, che è un tema importante perché da questo deriva tutta un'effettiva accessibilità ai diritti sociali riconosciuti formalmente” (Andrea De Bonis, Intervista 34).

Il Servizio Centrale assieme all'Unhcr a fronte di ciò, stanno lavorando ad un protocollo che sottolinei proprio una maggiore chiarezza da parte dei comuni nell'accesso a tale diritto per i rifugiati:

“(...) Si sta lavorando insieme all'Unhcr, ad ASGI e all'Anci proprio a una guida sull'interpretazione della norma relativa alla residenza anagrafica, sia prendendo la norma e analizzandola, sia analizzando le prassi che vengono attuate sui territori” (Intervista 32)

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I rifugiati che hanno già beneficiato del ventaglio di possibilità offerte dal sistema asilo nazionale, qualora siano usciti dai progetti e non riescano ad ottenere un nuovo “address” in modo autonomo, vivono costantemente il rischio di rientrare in una dimensione di assenza e invisibilità (Dal Lago 2004, 224); questo avviene in particolare in quei territori dove l'amministrazione comunale non prevede la possibilità di eleggere un domicilio in una via fittizia piuttosto che in una qualche sede associativa, come avviene a Roma ad esempio con il Centro Astalli. Ciò determina la creazione di una zona d'ombra che segue perentoriamente l'impossibilità ad avere un indirizzo, necessario sia per accedere ai diritti sociali, sia per poter semplicemente rinnovare il permesso. Molte delle persone incontrate nelle occupazioni di Firenze convivono con elevate problematicità nell'accesso ai diritti, la cui origine verte in molti casi proprio sull'assenza di un indirizzo:

“dopo un po’ mi sento chiedere da uno di loro, giovane e con la faccia scaltra...”lui vorrebbe questo” e mi mostra una carta d'identità...”tu dove abiti? come è tuo indirizzo?” e si mettono a ridere...rido anche io e gli rispondo scherzando che, mi dispiace, ma a casa mia non posso dare le residenze... Di fatto è un problema enorme. Hanno i documenti, vorrebbero magari viaggiare e spostarsi ma sono ancorati alle occupazioni perché non possono entrare nei progetti. O perché ci sono già stati, o perché ci sono tempi di attesa enormi” (Note di campo, febbraio 2013)

Le narrazioni sull'accesso all'iscrizione anagrafica rappresentano, in un certo senso, un primo potente specchio per la lettura del sistema-rifugio e di come le persone che hanno una protezione in Italia siano effettivamente tutelate nei loro percorsi di accesso ai diritti sociali come pratiche di cittadinanza. Uno dei fattori più dirompenti è l'interpretazione dell'accesso ai diritti di cui i rifugiati dovrebbero poter beneficiare, che si basa in molti casi sulla singola relazione instaurata dagli operatori, o anche dagli stessi coordinatori, dei progetti con le amministrazioni pubbliche, andando di fatto ad intaccare il godimento di un ventaglio di diritti e ad alimentare una generalizzata condizione di precarietà nel passaggio da rifugiati a cittadini; “il rifugiato o il titolare di protezione umanitaria ha solo l'illusione di progredire, ma di fatto basta un piccolo intoppo e l'intero cammino deve ricominciare da capo” (Marchetti in Ambrosini e Marchetti 2008, 121).

Nel documento Abitanti di uno spazio (pagine 127-130)