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Capitolo 1 : Introduzione

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Capitolo 1 : Introduzione

1. L’ingegneria tissutale

1.1 Generalità

Nonostante i recenti progressi tecnologici ottenuti negli ultimi anni nel settore medico e biomedico, migliaia di persone muoiono ogni anno in attesa di un trapianto di organi a causa della mancanza di organi o di loro efficienti sostituti. Per questo motivo i medici hanno tentato di rimpiazzare la funzioni di organi malfunzionanti o gravemente danneggiati mediante sostituenti ex vivo (dialisi) o in vivo attraverso l’impianto di sostituti sintetici. Purtroppo tutte queste soluzioni sono solo temporanee e non permettono al paziente sottopostovi di riprendere completamente le normali attività. Altri seri problemi legati a queste procedure sono le infezioni ed i rigetti che possono conseguire.

L’emergente campo dell’ingegneria tissutale potrebbe aiutare a risolvere molti di questi problemi [1].

L’espressione “ingegneria tissutale” è la traduzione italiana dell’espressione “tissue engineering” coniata ufficialmente nel 1988 dal National Science Foundation a Lake Tahoe per definire un campo multidisciplinare che si avvale dei principi della scienza della vita e dell’ingegneria per realizzare sostituti biologici contenenti cellule viventi e funzionali per la rigenerazione, il mantenimento o il miglioramento delle prestazioni dei tessuti [2].

L’ingegneria tissutale si occupa della progettazione e della realizzazione di organi e protesi dal punto di vista dell’interazione materiale sintetico / sito biologico con lo scopo di realizzare la rigenerazione del tessuto originario in modo che il supporto bioartificiale si degradi in tempi rapidi, venendo sostituito con un tessuto del tutto simile a quello originale.

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Le strutture realizzate per l’ingegneria tissutale sono costituite da due elementi fondamentali:

1. componente cellulare necessaria per la generazione della matrice extracellulare e del mantenimento a lungo termine della stessa;

2. componente artificiale costituita dal supporto polimerico (scaffold) per la componente cellulare. Lo scaffold favorisce l’organizzazione tridimensionale delle cellule fino alla completa formazione del tessuto; parametro caratteristico di questa componente è la velocità di degradazione che deve essere paragonabile alla velocità di sintesi cellulare.

Il processo di assemblaggio di una struttura, costituita dalle due componenti suddette, comincia con l’identificazione del tipo di cellule più adatto per l’ottenimento del tessuto voluto e con l’isolamento di queste cellule da un tessuto nativo. Il secondo step consiste nella crescita cellulare la quale è fortemente influenzata dalla tipologia delle cellule; in questo processo è importante assicurarsi che la popolazione cellulare in fase di espansione mantenga la sua funzione fenotipica. Il fenotipo cellulare può essere regolato dallo scaffold su cui le cellule sono state seminate, ma comunque la tipologia del supporto influenza in maniera determinante la formazione del tessuto prodotto dalle cellule impiantate.

Le tecniche utilizzate nell’ingegneria tissutale seguono due vie differenti:

a) in vitro: la progettazione e la crescita dei tessuti avviene al di fuori del corpo e solo in un secondo momento si passa all’impianto dei tessuti artificiali sui tessuti danneggiati; tipico esempio è l’uso di pelle “coltivata” per il trattamento di pazienti affetti da gravi ustioni o da ulcere diabetiche;

b) in vivo: tecnica che consiste nell’isolamento delle cellule dall’ambiente biologico naturale, nella semina di queste su scaffold e infine nell’impianto di questo sistema nel corpo del paziente. Durante la produzione della matrice extracellulare da parte delle cellule, lo scaffold tende a biodegradarsi e a farsi sostituire dal tessuto biologico rigenerato.

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1.2 Scaffold

Per scaffold si intende un supporto poroso tridimensionale realizzato in un materiale biocompatibile e bioerodibile sul quale far avvenire l’adesione iniziale delle cellule e la successiva ricrescita fino a formazione del tessuto e in maniera tale che esso si biodegradi a velocità simile a quella di ricrescita.

Nel corso di vari studi sono stati individuati numerosi materiali che hanno permesso di definire le principali caratteristiche dei suddetti supporti; tali caratteristiche sono:

porosità elevata e tridimensionale con la presenza di una rete di interconnessione dei pori in modo da consentire la crescita cellulare, il trasporto delle sostanze nutrienti e l’eliminazione delle sostanze di scarto;

biocompatibilità elevata in modo da non generare alcuna forma di rigetto da parte delle cellule ospiti;

biodegradabilità controllata;

bioriassorbibilità con un grado di riassorbimento tale da consentire la crescita cellulare in vitro e/o in vivo ;

superficie chimicamente adatta all’adesione, alla proliferazione e alla differenziazione delle cellule;

proprietà meccaniche simili a quelle dei tessuti che si devono riprodurre sullo scaffold;

riproducibilità, in modo semplice, in diverse forme e dimensioni;

I materiali studiati sperimentalmente per l’applicazione come scaffold per l’ingegneria tissutale si possono raggruppare in quattro categorie:

1. materiali organici sintetici (poliesteri alifatici, polietilenglicole);

2. materiali inorganici sintetici (idrossiapatite, gesso, fosfato di calcio, vetro ceramico);

3. materiali organici di origine naturale (collagene, gel di fibrina, acido ialuronico, chitosano, gelatina);

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4. materiali inorganici di origine naturale (idrossiapatite corallina);

Diversi metodi sono stati sviluppati per creare scaffold altamente porosi; i metodi tradizionali sono:

fiber bonding [3]: questa tecnica consiste nell’unione di fibre di acido poli-glicolico (PGA) seguendo due diverse tecniche:

1. nella prima, le fibre di PGA sono immerse in una soluzione di acido poli-L-lattico (PLLA). Quando il solvente evapora, nella struttura costituita di fibre di PGA rimane intrappolato il PLLA. Il composito è poi riscaldato al di sopra della temperatura di fusione di entrambi i polimeri: il PLLA fonde per primo riempiendo tutti i vuoti lasciati dalle fibre. Questo accorgimento aiuta a mantenere l’arrangiamento spaziale delle fibre in modo tale che , quando il PGA inizia a fondere, la struttura non collassi. Invece, per minimizzare l’energia all’interfaccia, le fibre, nei punti di incrocio, iniziano a fondere insieme, formando una schiuma altamente porosa. Il PLLA è rimosso per dissoluzione con cloruro di metilene. Questa tecnica di fabbricazione genera una schiuma con porosità di circa 81% e diametro dei pori di 500 µm . 2. Il secondo metodo consiste nella nebulizzazione del polimero

(PLLA o PLGA) per rivestire le fibre. Il polimero è disciolto in cloroformio e spruzzato sulle fibre di PGA. Dato che solamente il PGA è

facilmente solubile in cloroformio, le fibre rimangono inalterate durante questo processo. Il solvente evapora lasciando le fibre incollate con il polimero [4,5].

Entrambe le tecniche producono scaffold altamente porosi con pori interconnessi che sono adatti per la rigenerazione tissutale, ma coinvolgono l’uso di solventi che potrebbero essere tossici per le cellule se non fossero rimossi completamente. Per rimuovere queste sostanze, i supporti devono essere essiccati sottovuoto per molte ore.

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solvent casting / particular leaching [6]: il primo passo in questo processo è la preparazione di una soluzione del polimero (PLLA o PLGA) in cloroformio o in cloruro di metilene. Alla soluzione, colata in dischi petri si aggiunge l’agente porogeno. Dato che la superficie della schiuma esposta all’aria ha una morfologia diversa rispetto a quella della superficie esposta all’interfaccia delle capsule petri, allora è stata sviluppata una modifica a questa tecnica. In breve i campioni di soluzione polimerica sono stampati per compressione in forme cilindriche a temperatura leggermente superiore alla temperatura di fusione (per il PLLA) o la temperatura di transizione vetrosa (per il PLGA). I cilindri sono poi tagliati in dischi dello spessore desiderato prima della lisciviazione in acqua. Ciò permette un controllo più preciso degli spessori degli scaffold e aumenta l’uniformità della superficie della schiuma, Anche se sono possibili fenomeni di degradazione termica del polimero durante lo stampaggio per compressione. E’ stata messa a punto da Shastri [7] una forma alternativa del metodo suddetto; essa consiste nella fabbricazione di scaffold con porosità maggiore del 87% e con pori di diametro maggiore di 100 µm, utilizzando idrocarburi paraffinici come porogeni. Dopo la miscelazione del porogeno e del polimero, la soluzione è messa in uno stampo di teflon; lo stampo è immerso in un solvente idrocarburico (pentano o esano) per rimuovere la parte paraffinica senza dissolvere il polimero. La schiuma ottenuta è essiccata sottovuoto per diversi giorni in modo da estrarre tutti i solventi rimasti nel suo interno.

gas foaming [8]: per eliminare la necessità di solventi organici nel processo di formazione dei pori, è stata introdotta questa tecnica che usa un gas come porogeno. Il processo inizia con la formazione di dischi solidi di polimero (PGA, PLLA o PLGA) usando uno stampaggio per compressione con stampo riscaldato. I dischi sono poi sistemati in una camera ed esposti a CO2 sotto

pressione (5.5 MPa) e trascorso tale tempo la pressione è fatta diminuire rapidamente fino a pressione atmosferica. Usando tale tecnica si ottiene uno

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scaffold con porosità maggiore del 93% e con dimensioni dei pori maggiori di 100 µm, ma i pori sono fortemente disconnessi, specialmente quelli sulla superficie della schiuma. Un’altra tecnica che usa gas come porogeno è stata sviluppata recentemente da Nam [9]; essa contiene aspetti del gas foaming e del particulate leaching. Il bicarbonato di ammonio è aggiunto alla soluzione di polimero in cloruro di metilene o cloroformio. Il solvente è evaporato ed il composito è essiccato sottovuoto o immerso in acqua calda: l’essiccamento induce il bicarbonato a sublimare mentre l’immersione in acqua causa la lisciviazione delle particelle e lo sviluppo concomitante di gas. La porosità della schiuma ottenuta è maggiore del 90% con dimensioni dei pori di 200 ÷ 500 µm.

separazione di fase / emulsione [10]: sono tecniche basate sul concetto di separazione di fase dopo l’aggiunta di un porogeno. Queste tecniche includono l’emulsione/ freeze-drying e la separazione di fase liquido/liquido. Con il primo metodo il polimero (PLGA) è disciolto in cloruro di metilene e poi è aggiunta acqua distillata per formare una emulsione; tale miscela è messa in uno stampo e sottoposta a quenching in azoto liquido. Dopo il quenching, gli scaffold sono essiccati per raffreddamento a –55 °C per rimuovere l’acqua e i solventi. Con questa tecnica si ottengono scaffold con porosità maggiore al 95% ma con piccole dimensioni dei pori (13÷35 µm). Queste caratteristiche sono fortemente dipendenti da diversi parametri come il rapporto soluzione polimerica/acqua, la viscosità della emulsione, ecc. Per la separazione di fase liquido/liquido, si impiegano principi termodinamici per creare fasi ricche o povere in polimero. La fase povera in polimero è poi rimossa, lasciando una struttura polimerica altamente porosa. Il polimero (PLLA o PLGA) è dissolto in un solvente con una bassa temperatura di ebollizione, per esempio naftalene, fenolo o 1,4-diossano. Sono poi aggiunte piccole quantità di acqua come non-solvente per indurre la separazione di fase. La soluzione è raffreddata a temperatura sotto la temperatura di ebollizione del solvente e poi essiccata

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sottovuoto per diversi giorni in modo da assicurare la completa evaporazione del solvente. I parametri che influenzano la morfologia dei pori sono: la concentrazione del polimero, il tempo e il modo di raffreddamento, il rapporto solvente/non-solvente. Si ottengono dunque schiume con porosità maggiore del 90% e con dimensioni dei pori di circa 100 µm.

Esistono anche nuove tecniche di produzione degli scaffold che permettono di superare i problemi di interconnessione dei pori; fra le più innovative, quella che ha dato i migliori risultati è la prototipazione rapida (RP) [11,12]. Questo è un processo con il quale si realizza un oggetto tridimensionale attraverso deposizioni successive di strati di materiale, utilizzano una serie di dispositivi controllati da un computer seguendo un modello bidimensionale della sezione dell’oggetto da ottenere.

Sono stati sviluppati diversi sistemi di prototipazione rapida, e i principali sono:

3-D printing (3-DP) [13]: i cui elementi fondamentali sono un sistema di stampa ink-jet, il materiale in forma di polvere e un solvente o collante del materiale stesso. Il processo consiste inizialmente nella stesura di un sottile strato di polvere su di un apposito supporto, successivamente il solvente viene spruzzato in modo che si abbia la coesione delle particelle di polvere che formano la geometria dell’oggetto, infine un pistone, collegato ad un supporto sul quale è stesa la polvere, permette, attraverso una traslazione verso il basso, di costruire il secondo strato e poi gli step si ripetono fino alla completa realizzazione dell’oggetto. Un parametro fondamentale per l’ottenimento di scaffold con le dovute caratteristiche è la granulometria della polvere.

Fused deposition modelling (FDM) [14]: tecnica che consiste nella deposizione piano dopo piano tramite una testina dalla quale fuoriesce un polimero semifuso. Tale testina può traslare su di un piano lungo le direzioni X e Y ed è controllata da un computer su di uno schema geometrico preacquisito. La piattaforma sulla quale il materiale è deposto trasla in verticale lungo l’asse Z dopo ogni deposizione di un intero strato. Il polimero, con caratteristiche

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termoplastiche, è estruso dalla testina dopo essere stato riscaldato fino a raggiungere condizioni semiliquide; il materiale è depositato sulla piattaforma, dove raffredda e prende la forma desiderata.

Stereolitografia (SL) [15]: tecnica che utilizza polimeri fotosensibili e che è suddivisa in quattro fasi principali: preparazione, costruzione, pulizia e post-trattamento. La preparazione avviene su un piano di lavoro e prevede la predisposizione di supporti per il sostegno del particolare da realizzare; la costruzione consiste in una reazione chimica di polimerizzazione a catena innescata e “guidata” da un fascio laser di opportuna potenza controllato da un calcolatore. Tale fascio colpisce la superficie di una vasca contenente il monomero allo stato liquido e genera una prima sezione. In seguito si ha l’abbassamento dell’elevatore di una quantità pari allo spessore del polimero solidificato, poi la ricopertura della sezione con monomero liquido e una nuova solidificazione con laser. A struttura completa si esegue un post trattamento con lo scopo di completare la polimerizzazione attraverso l’uso di raggi UV. Selective laser sintering (SLS) [16]: permette la sinterizzazione laser di un

materiale sotto forma di polvere. Le fasi di questa tecnica sono: la deposizione della polvere su un elevatore a mezzo di un rullo; la sinterizzazione della polvere, seguendo un profilo prestabilito, in una camera mantenuta in atmosfera inerte e a una temperatura prossima a quella di fusione della polvere; l’abbassamento dell’elevatore di una quantità pari allo spessore della sezione; in seguito si può riprendere il processo fino a completamento del prototipo. Questa tecnica è più vantaggiosa della precedente in quanto non necessita di supporti del particolare, non si ha la necessità di un post-trattamento, e la potenza del laser è minore di quella utilizzata nella stereolitografia.

Laminated object manifacturing (LOM) [17]: permette la produzione di modelli per la sovrapposizione successive di strati di carta termoadesiva. Le fasi di questa tecnica sono: il posizionamento della carta sulla zona di lavoro; l’incollaggio della carta al supporto per mezzo di un rullo riscaldato; il taglio

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dei contorni della sezione tramite una testa laser guidata via software; l’abbassamento del supporto di una quantità pari allo spessore della carta; il posizionamento di un nuovo foglio e la ripetizione del processo fino a completamento del prototipo; infine si ha l’estrazione del prototipo dal blocco di materiale stratificato.

Pressure Activated Microsyringe (PAM): tale sistema sarà descritto nel paragrafo 2.5 del capitolo 3.

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2. Stato dell’arte dei tessuti riprodotti

Lo sviluppo di tessuti a scopi medici è gia una realtà anche se al momento è limitato a pelle, cartilagine, osso, tendini e legamenti. In tabella 1 è riassunto lo stato dell’arte nell’ingegneria tissutale per vari organi e tessuti.

Organo/tessuto Tipo di cellule Problema Stato dell’arte

Pelle Fibroblasti Ustioni, Ulcere

Primo tessuto ingegnerizzato disponibile commercialmente Vasi sanguigni Cellule endoteliali Cellule muscolari lisce By-pass, arteriosclerosi

Vasi impiantati sui cani

Fegato Epatociti

Sistemi esterni con epatociti testati sui

pazienti Osso Osteoblasti

Osteoporosi, Tumori delle ossa,

infortuni

Test in vivo su animali

Tendini e

Legamenti Fibroblasti tendinei infortuni

Impianti in collagene, fibroblasti seminati su fibre bioerodibili impiantati su animali Cartilagine Condrociti infortuni Cellule seminate su

scaffold bioerodibili

Tessuto nervoso

(periferico) Infortuni, malattie

Canali di guida del nervo utilizzando

colla di fibrina, silicone, biopolimeri, testati

su animali

Tabella 1.1: Stato dell'arte della ricerca nel settore dell'ingegneria tissutale

La procedura per la riproduzione di tessuti e organi consiste in una prima proliferazione di cellule in coltura, in seguito esse sono seminate su una matrice costituita da polimero e da una proteina di adesione dove si ha la formazione del tessuto di cui il polimero è il supporto.

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Una volta note le modalità di sviluppo di un certo organo o tessuto, allora sarà possibile replicarlo partendo da poche cellule e quindi direttamente impiantarlo nel paziente.

Nei paragrafi successivi sono presentati i tessuti e gli organi che sono realizzati o che sono in via di sviluppo.

2.1 Pelle

La pelle è stato il primo tessuto ingegnerizzato ad essere impiantato su un paziente. Un esempio di pelle ingegnerizzata è il Dermagraft™ prodotto da Advanced Tissue Science. La base di questo prodotto è una coltura tridimensionale di fibroblasti, ottenuti dalla placenta dei neonati, posti su uno scaffold polimerico, in modo che essi producano una miscela di fattori di crescita e di proteine per la formazione di matrice extracellulare.

Altro esempio di pelle ingegnerizzata è prodotta dalla stessa azienda ed è chiamata Skin 2 ™; è composta da strati dermici ed epidermici attivi supportati da uno scaffold in nylon. Questi strati sono prodotti da due semine: la prima è di fibroblasti prelevati da placenta neonatale e la seconda è di cheratinociti della medesima provenienza dei fibroblasti [18].

2.2 Cartilagine

La cartilagine possiede caratteristiche che ne consentono una facile ingegnerizzazione. Essa infatti non ha grandi esigenze nutrizionali e non richiede la formazione di nuovi vasi per il sostentamento. In questo tipo di realizzazione è molto importante lo scaffold, che deve essere sviluppato in modo da avere un’elevata densità cellulare minimizzando le distanze diffusionali per nutrienti, ossigeno e scorie. Una tecnica di produzione della cartilagine prevede l’utilizzo di alginati, polisaccaridi composti da due sub-unità di carboidrati; la presenza di cationi bivalenti, come il calcio, genera delle reticolazioni tra le catene dei polisaccaridi che

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portano alla formazione di un gel a pori aperti dove le cellule possono aderire. Altra tecnica è la semina di condrociti su una matrice di acido ialuronico [19].

2.3 Osso

La formazione di un nuovo osso può avvenire secondo tre meccanismi: a) trapianto di cellule vive;

b) invasione di osteoblasti nascenti;

c) trasformazione di cellule ossee in osteoblasti.

L’aspetto importante per questa formazione è la realizzazione di uno scaffold adeguato, in quanto esso deve fornire stabilità meccanica, e inoltre deve fungere da ancoraggio e da indicatore strutturale per le cellule. I primi materiali per tali tipi di scaffold sono di origine ceramica, ma essi presentano lunghi tempi di biodegradazione; per questo motivo si sono adottati materiali polimerici nella forma di maglie fibrose, di spugne porose, di schiume o di idrogel, contenenti idrossiapatite [20].

2.4 Condotti vascolari

Per superare le problematiche legate all’utilizzo di protesi vascolari, sono stati eseguiti diversi studi nel corso dell’ultimo ventennio per produrre condotti vascolari ingegnerizzati. Il primo studio risale al 1986 ad opera di Bell e Weinberg e consiste nella produzione di condotti vascolari secondo questa procedura:

a) coltivazione con metodi standard di cellule endoteliali dell’aorta bovina, cellule del muscolo liscio e fibroblasti avventizi;

b) disposizione ad anello del mezzo di coltura, del collagene e delle cellule del muscolo liscio, a formare la tunica media;

c) ottenimento di una struttura tubolare a mezzo di un mandrino, dopo che la miscela è diventata gelatinosa;

d) ricopertura della struttura con un manicotto in Dacron™ per aumentare la resistenza meccanica;

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e) ricopertura di questa struttura con i fibroblasti per l’ottenimento della tunica avventizia;

f) estrazione dal mandrino della struttura e semina con cellule endoteliali; g) iniezione nella cavità di una soluzione di cellule endoteliali.

Il primo studio che ha portato alla formazione di un vaso completamente biologico è stato effettuato da L’Hereux et al. nel 1996. Con questa tecnica è realizzato un foglio per coltura di cellule del muscolo liscio in acido ascorbico; tale foglio è avvolto attorno ad un supporto tubolare per creare la tunica media. E’ realizzato un secondo foglio in fibroblasti umani che è avvolto attorno al precedente per creare la tunica avventizia. In seguito il supporto tubolare è rimosso ed è promossa la formazione della tunica intima [21].

2.5 Nervo

Quando un nervo è reciso o schiacciato, la sua funzione nervosa è persa e il tratto a valle della lesione muore, tuttavia il tratto prossimale può comunque essere in grado di ristabilire la funzione nervosa persa. Per fare ciò si adottano diverse tecniche:

i. autoimpianto, prelevando un nervo, che abbia un’importanza funzionale più bassa, dal paziente stesso. Questa tecnica porta una serie di svantaggi come una ulteriore operazione chirurgica per il prelievo del nervo donatore, una eventuale perdita di funzionalità del nervo donatore ed il rischio di formazione di un neuroma nel sito donatore. In aggiunta la rigenerazione nervosa può essere ostacolata dalla formazione di tessuto cicatriziale;

ii. utilizzo di tubi permanenti, i quali creano un ponte di collegamento tra i due tratti nervosi recisi, controllando e dirigendo la rigenerazione nervosa; anche questa tecnica comporta notevoli svantaggi legali alla permanenza in situ dei tubi-guida che possono portare alla formazione di processi infiammatori cronici;

iii. utilizzo di tubi bioerodibili, rappresenta l’ultima promettente alternativa per la rigenerazione nervosa, in quanto portano con se i vantaggi legati all’utilizzo

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dei tubi permanenti con l’ulteriore nota positiva della completa bioassorbibilità dei materiali che li compongono [22].

3. L’importanza delle proprietà meccaniche e della struttura dei

materiali utilizzati

Allo scopo di individuare quali biomateriali siano effettivamente utilizzabili nel settore dell’ingegneria tissutale, è necessario effettuare una opportuna caratterizzazione, analoga a quella che si effettua su un qualunque materiale. Per far ciò si sottopone il materiale a delle specifiche sollecitazioni esterne e si misura la conseguente variazione di opportune grandezze. Il risultato di ogni singola misura è verificato mediante la ripetizione della misura stessa su diversi provini, ritenuti identici, al fine di mediare i risultati e di minimizzare gli errori legati alla soggettività della singola prova.

In genere le proprietà principali dei materiali che vanno ad essere indagate sono le seguenti: chimiche, meccaniche, termiche, elettriche, ottiche ed altre proprietà secondarie [23].

Il presente lavoro di tesi vuole sottolineare l’importanza fondamentale delle proprietà meccaniche e della struttura dei materiali utilizzati.

Le cellule per riprodursi hanno bisogno di un ambiente adatto, per questo quando vengono seminate su uno scaffold polimerico è necessario che tale substrato abbia le necessarie caratteristiche di buona biocompatibilità, bassa citotossicità, buona biodegradabilità. Inoltre, affinché la crescita cellulare sia regolare, è necessario che ci sia similitudine tra le proprietà meccaniche dei tessuti da rigenerare e quelle dello scaffold su cui tali cellule sono seminate.

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La proprietà meccanica fondamentale da tenere presente è il modulo di Young, infatti ad elevati valori di questa grandezza corrispondono materiali duri e fragili che male funzionano come supporto per la ricrescita cellulare.

Il primo principio fondamentale è che i moduli di Young dei materiali, utilizzati come supporto per la ricrescita, abbiano valori confrontabili ai rispettivi moduli dei tessuti da rigenerare; se ciò non fosse si avrebbe una cattiva ricrescita cellulare con possibile morte delle cellule. La necrosi dei tessuti è dovuta allo stress che si crea all’interfaccia tra supporto e tessuto a causa del movimento che si genera tra scaffold e tessuto dovuto proprio alle differenze dei moduli di Young. Altro motivo possibile è la mancanza di trasferimento efficace di stress attraverso l’interfaccia supporto/tessuto [24]. Per questo motivo uno dei temi principali trattati nel presente lavoro è la determinazione sperimentale dei moduli di Young dei materiali utilizzati come scaffold.

Il secondo principio fondamentale è l’analisi del comportamento viscoelastico dei materiali di supporto, in quanto è necessario analizzare come le proprietà meccaniche si modificano in funzione del tempo, dato variabile, quest’ultima, che incide sul processo di ricrescita tissutale.

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Figura

Tabella 1.1: Stato dell'arte della ricerca nel settore dell'ingegneria tissutale

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