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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.30 (1903) n.1542, 22 novembre

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L ’ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno X X X - V o i. X X X IV

F iren ze, 22 Novem bre 1903

N . 1542

S o m m a r io : Le Acciaierie di Terni e lo Stato - La tassa di famiglia a Como - Il credrto sgrano del Banco di Napoli, III — L’ applicazione delle Leggi operaie in Francia — Lo scopo e le funzioni delle Bancho di emissione, VI - Rivista economica {La riforma tributaria di Bologna) — Industria mineraria e metallurgica in Italia - Cronaca delle Camere di Commercio (Firenze, Pavia) — Mercato monetario e Banche di emissione — Rivista delle Borse — Notizie commerciali - Avvisi.

Le Acciaierie di Terni e lo Stato

Il pubblico leggendo il resoconto del pro­ cesso che si dibatte a Roma e intentato dal- 1’ on. Bettòlo contro 1* on. Ferri, non può a meno di rimanere meravigliato per certe affermazioni di uomini autorevoli come 1’ on. Morin, afferma­ zioni che sembrano in una stridente contraddi­ zione coi fatti e perciò appunto danno luogo alle più fantastiche supposizioni.

L ’ on. Morin ha affermato che la Marina ita­ liana acquistò le corazze dallo stabilimento di Terni a prezzi inferiori a quelli che vengono pa­ gati dalle marine degli altri Stati ai loro stabi­ limenti.

In pari tempo risulta che alle azioni delle Acciaierie di Terni, che hanno un valore di 500 lire, vien dato da qualche anno un divi­ dendo di 75 od 8C lire, dopo aver fatti larghi ammortamenti sull’ impianto dello Stabilimento.

Questi due fatti, poiché è vero _ che la Ma­ rina italiana paga le corazze meno di quello che le paghino la Francia, la Germania, T Inghil­ terra, gli Stati Uniti, questi due fatti sembrano così contraddittori tra loro da non poter essere compresi ; e la confusione aumenta ancora quando si aggiunge che senza dubbio la Marina italiana potrebbe largamente risparmiare nella spesa, se volesse servirsi della industria estera, anziché di quella nazionale, comperando cioè le corazze dagli stabilimenti inglesi, francesi o tedeschi.

Dunque risulterebbe vero, ed è vero senza alcun dubbio : 1°, che l’ Italia paga più a buon mercato degli altri le corazze ; 2°, che lo Stabi­ limento di Terni ricava utili altissimi che per­ mettono larghi ammortamenti e dividendi dal 15 al 20 per cento ; 3°, che l’ Italia potrebbe ri­ sparmiare ancora di più se si provvedesse al- L estero

La ragione per la quale sono contraddittori questi fatti sta iu ciò; che i Governi esteri pa­ gano molto alto le corazze fornite dai loro sta­ bilimenti nazionali, affinchè essi possano nella

lotta di concorrenza internazionale, offrire ai terzi le loro corazze a prezzi bassissimi, talvolta infe­ riori al costo di produzione.

Il Governo Italiano non è mai entrato cosi addentro in questo sistema di protezionismo e non ha favorito le Acciaierie di Terni in misura tanto alta da permettere a quello Stabilimento di entrare nella lotta internazionale con suc­ cesso ; tuttavia i contratti fatti collo Stato hanno presentato alle Acciaierie di Terni margini così larghi da permettere la distribuzione di così alti dividendi agli azionisti.

Però conviene bene riflettere che nessun altro modo avrebbe l’Amministrazione italiana per conoscere se i prezzi accordati alle Acciaierie di Terni lascino un margine troppo largo, se non dagli utili ch e la Società distribuisce agli azio­ nisti. Utili che evidentemente sono ricavati non dai contratti in corso o da quelli che ora si sti­ pulano, ma da quelli che si sono stipulati alcuni anni prima.

E se la Amministrazione della Marina ad ogni contratto cercò di ottenere patti migliori, è evidente che credette di aver tutelati abba­ stanza gli interessi dello Stato; ignara come è, per necessità di cose, della ampiezza dei mar­ gini tra il prezzo convenuto ed il costo di produzione. Margine che non è costante, ma che anzi col perfezionamento dei sistemi e colla maggiore abilità tecnica dello Stabilimento, può diventare anno per anno molto piu largo del ri­ basso che la Amministrazione stessa otteneva.

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inte-resse più basso ohe in Italia e meno oneri fiscali, — gli Stabilimenti esteri in una gara internazionale, aperta a parità di condizioni, avrebbero offerti prezzi tali che lo Stabilimento di Terni non avrebbe potuto sostenere e ne sarebbe venuta la chiusura ed il fallimento delle Acciaierie.

D ’ altra parte lo Stabilimento di Terni è stato creato precisamente per poter fare in Ita­ lia le corazze, ed il lasciarlo fallire avrebbe sollevato tutto quel sentimento che così facil­ mente agisce quando si tratta della industria nazionale.

Si aggiunga 1’ effetto che produsse sempre sulle moltitudini il provvedere da noi stessi ai mezzi di difesa, e si comprenderà di leggeri che coll’ attuale sistema protezionista nessun Mini­ stro avrebbe mai osato di comperare le corazze da qualche acciaieria inglese, francese, o tedesca.

La contraddizione adunque stridente che dà luogo ai sospetti ripetuti ed insistenti, non è imputabile che al sistema. E se l’on. Bettòlo asserì che quasi ad ogni appalto di nuove co­ razze, ottenne dalle Acciaierie di Terni notevoli ribassi, è anche vero che il progresso mano a mano conseguito nello sviluppo tecnico dalle stesse Acciaierie, superò di gran lunga quel ribasso e permise i lauti dividendi che non potevano a meno di suscitare dei sospetti di connivenza tra l’ Amministrazione della Marina e quella delle Acciaierie.

E nel seno stesso della Amministrazione delle Acciaierie di Terni fu preveduto che la larghezza dei dividendi avrebbe generato dei sospetti; e lungamente fu lottato, alcuni anni or sono, perchè il passaggio da L. 20 a L. 25 di dividendo fosse fatto gradualmente; ma se al­ lora questi concetti di prudenza prevalsero, più tardi fu mutato indirizzo ed essendosi la spe­ culazione impadronita delle azioni di quella Società, l’alto prezzo a cui esse furono quotate forzò la mano agli amministratori che comin­ ciarono a distribuire dividendi corrispondenti al prezzo delle azioni, mentre forse sarebbe stato più prudente istituire delle riserve per gli anni magri, che certo non mancheranno.

E si noti bene; la contraddizione che ab­ biamo rilevata non può essere facilmente eli­ minata.

A chi consigliava prudenza, prevedendo i sospetti che ora si manifestano, il senatore Breda soleva rispondere: — di che può lagnarsi la Am­ ministrazione italiana se essa paga le corazze meno di quello che le pagano gli altri Stati?

Ed è chiaro che questo ragionamento del senatore Breda si basava sul sottinteso, che nessun Ministro avrebbe osato provvedersi di corazze all’ estero ; cioè si basava sulla sicurezza che il sistema di protezione alla industria na­ zionale non sarebbe stato mutato.

E nel processo che si svolge attualmente a Roma, nessuno degli accusatori dell’ on. Bet­ tòlo, osa alzare la voce contro il sistema, che è la causa delle contraddizioni, e vorrebbe in­ vece far risalire la causa alle persone, che po­ tevano avere o no altri piccoli peccati, ma che non ci sembrano imputabili di uno stato di cose che è il frutto del sistema.

Non diciamo nel processo attuale, ma alla Camera dove si- dovrebbero discutere gli inte­ ressi del paese, bisognerebbe che la questione di Terni fosse trattata da questo punto di vista :

La amministrazione della marina deve com­ perare le corazze in Italia, ovvero in qualunque luogo dove, a parità di qualità, le trovi più a buon mercato ?

Ma allora si può dire: — perchè l’Ammini­ strazione delia guerra compera il grano a 24 ed a 30 in Italia mentre può averlo a 15 ed a 17 all’ estero?

I Ministri sanno benissimo che colla spesa necessaria per avere due corazzate fatte in Ita­ lia, se ne acquisterebbero tre, per lo meno al­ trettanto eccellenti, in Inghilterra; ma i protet­ tori del lavoro nazionale che direbbero?

Un rimedio vi sarebbe : — lo Stato stipula collo stabilimento di Terni che al di là del 5 0[0 di dividendo, la marina avrà una compartecipa­ zione gradualmente crescente sugli utili. Ma al­ lora 1’Amministrazione di Terni direbbe : — però lo Stato mi garantisca il 5 0[0 anche quando non c’ è.

E sempre più appare che il sistema è sba­ gliato.

Lo Stato poteva benissimo fare le corazze noi suoi arsenali; sarebbero costate molto di più, ma si sarebbero evitate la contraddizioni della presente situazione dovuta a criteri ammi­ nistrativi che non potevano non portare le con­ seguenze attuali.

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22 novembre 1903 L ’ E C O N O M IS T A 763

ragioni di giustizia distributiva delle imposte che oggidì si impongono e della necessità di coadiuvare l’ opera legislativa tendente ad av­ viare l’ ordinamento delle imposte locali su di una base più democratica, vale a dire più equa.

L ’ intento della Giunta comunale è senza alcun dubbio nobilissimo e inspirato a quel sen­ timento della giustizia nei tributi che pur troppo manca spesso nelle sfere amministrative. A Co­ mo si vuole non soltanto sistemare il bilancio, « ma prepararlo alle necessarie trasformazioni che, in epoca non lontana, condurranno a quel razionale riparto delle imposte il quale, come suole avvenire di tutte le verità, intuito dap­ prima dagli studiosi, è ormai penetrato nella coscienza generale e non potrà quindi tardare ad attuarsi nella legislazione ».

Cosi scrive il relatore, il quale osserva poco dopo che critica ben più grave di quella che può farsi al dazio consumo nel comune chiuso si può muovere al dazio applicato (come av­ viene in Comune aperto) sulla minuta vendita. Poiché quest’ ultima non solo diventa una im­ posta progressiva a rovescio, ma un’ imposta che colpisce soltanto coloro che devono fare i loro acquisti al minuto, mentre non tocca i ric­ chi che possono fare provviste all’ ingrosso. La riforma da noi proposta, egli aggiunge, coordi­ nata alla già avvenuta completa abolizio'ne del dazio sulle farine, sul pane e sulle paste, riduce già sensibilmente il carico sui meno abbienti. Ma, a parte ogni altra considerazione, dessa non riuscirebbe comp’ eta ove non si trovasse modo di colpire con una imposizione diretta i più agiati, coloro che hanno cantine per riporre i vini, che possono acquistare riso, olio, salumi, eco., in più larga copia, e che frequentemente non ne fanno nemmeno acquisto dagli esercenti grossisti della città, ma se li procurano diretta- mente dai luoghi stessi più rinomati per la pro­ duzione. Una imposta diretta, adunque, che esclu­ dendo chi gode soltanto di redditi limitati vada a colpire progressivamente i cittadini meglio forniti, è necessaria come elemento di perequa­ zione e quindi di giustizia.

Siamo pienamente d’ accordo con 1’ egregio relatore avv. Casartelli, perchè abbiamo sempre sostenuto la necessità di ricorrere a una imposta diretta per riparare alle sperequazioni derivanti dal metodo con cui viene applicata la imposta del dazio consumo nei comuni aperti. Il male è che là dove già è in vigore una imposta diretta personale difficilmente può applicarsene un’ altra.

Però nulla impedisce in tal caso di sosti­ tuire a quella già esistènte nn’ altra imposta o di correggere 1’ ordinamento del vecchio tributo così da renderlo maggiormente produttivo. Uon diciamo che questo sia facile, anzi pensiamo che la difficoltà maggiore pei Comuni che vogliono abbattere le cinte daziarie sia proprio qui, cioè nell’ ottenere con imposte dirette una entrata che almeno in parte compensi la perdita deri­ vante dall’ abolizione della cinta. Ma qualche cosa, in generale, può sempre tentarsi e se anche i cittadini dapprincipio strillano, crediamo questo sia uno di quei casi in cui conviene lasciarli stril­ lare, perchè ciò è pel loro bene, è nel loro stesso interesse. Essi devono abituarsi alla imposta di­

retta e ciò non può aversi a un tratto ; le mole­ stie inevitabili sono però compensate da alcuni vantaggi, tra i quali la minore spesa di riscos­ sione non è certo l’ ultimo. Nondimeno, niuno può negare che quando esiste già nel Comune una imposta diretta personale la difficoltà sia maggiore e occorra procedere • con maggiori ri­ guardi.

E’ ciò che ha cercato di fare la Giunta di Como. Essa si schiera tra i fautori della tassa di famiglia piuttosto che della tassa sul valore locativo. La prima, dice il relatore, può indub­ biamente meglio rispondere all’ obbiettivo che vi proponiamo, purché venga regolata progressiva­ mente e per modo che possa adattarsi ai diversi gradi di agiatezza, perdendo così quel carattere quasi di odioso testatico che la rese invisa in alcuni Comuni, i quali limitandola in poche cate­ gorie, le diedero una rigidità che è contraria alla sua vera indole ed al vero ufficio suo.

Vuole quindi che sia colpita 1’ agiatezza dei singoli cittadini e non semplicemente 1’ entrata, « perchè ognuno vede quanto sarebbe iniquo, a parità di entrata, il colpire — a mo’ d’ esempio — in egual misura il cittadino carico di figliuolanza e il celibe ostinato che tutte a sè stesso dedica le sue risorse finanziarie e che al postutto può ben pagare la libertà che gli è cara ».

La tassa di famiglia s’ impone a Como an­ che per la ragione speciale, che se con la tassa sul valor locativo già in vigore si volessero ot­ tenere le 34,000 lire occorrenti al pareggio del bilancio, bisognerebbe o elevare artificiosamente gli apprezzamenti dei valori locativi, elevare cioè la materia imponibile, il che è assurdo poiché devesi ritenere che (salvo eventuali pic­ cole disparità inevitabili) 1’ accertamento attuale corrisponda al vero ; oppure riformare le cate­ gorie elevando la percentuale di tassazione. Ma essendo già applicata la massima percentuale del 10 0[0 sui valori locativi più elevati, tale riforma non potrebbe che aggravare le categorie più basse.

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alje spese del Comune, in equa misura, tutti co­ loro che approfittano abitualmente dei servizi che il Comune presta.

Ebbene, la Giunta di Como dandosi pensiero di coordinare razionalmente le due imposte, propone di lasciarle sussistere ambedue, ma di stabilire che « per coloro che già sieno sog­ getti nel Comune alla tassa di famiglia dovrà ritenersi compenetrata nella tassa stessa l’ im­ posta sul valore locativo dovuta sull’ abitazione nella quale essi risiedono abitualmente con la famiglia. » E ciò per impedire un duplicato di imposta sullo stesso ente. La legge non vieta una disposizione la quale tende a evitare ad un tempo e 1’ ingiusta sovrapposizione e gl' ingiu­ stificabili esoneri di cui si è fatto cenno.

Quanto ai limiti della imposta di famiglia pare alla Giunta che tenendo conto della agiatezza che esiste a Como e delle funzioni che deve esercitare il detto tributo —_ di pa- raggiare, cioè, a carico dei più abbienti il peso del dazio consumo che grava sulle classi più disagiate — rispondano ad equità il limite massimo di L 400 e quello minimo di L. 5 coordinando tale misura con la determinazione di completo esonero per le famiglie che si tro­ vano in condizione meno agiata. Tale limite di esonero è determinato nell’ annuo reddito di L. 1000, e in tal modo restano esonerate tutte le famiglie delle classi di operai, bassi impie­ gati, commessi, eco. Si aggiunga che quel limite di esenzione può ritenersi corrisponda al limite di esonero stabilito dal regolamento comasco sulla tassa locativa (valor locativo inferiore a 150 lire). Quanto al numero delle classi da isti­ tuirsi tra quei due limiti di 5 e di 400 lire, la Giunta ne propone 35; nelle prime classi la dif­ ferenza fra grado a grado e di 2 lire, indi sale a 3 lire, indi a 4, a 5, a 10 e infine a 25 lire. Einalmente, la Giunta ha preferito il sistema di fissare le categorie senza stabilire un reddito corrispondente, limitandosi a fissare soltanto, come si disse, il minimo imponibile. Sistema che le pare preferibile a quello di determinare un reddito per ogni categoria, perchè corrisponde meglio al criterio dell’ agiatezza, che va messo a base della tassa, invece del criterio del reddito, anche se si vuol considerare il reddito netto.

Dice egregiamente il relatore che la sosti­ tuzione delle imposte dirette alle indirette è possibile nei paesi più progrediti; poiché l’ im­ posta indiretta, confondendosi col prezzo delle merci, viene inconsciamente pagata per quanto più grave, per quanto ingiustamente distribuita, mentre 1’ imposta diretta trova ostacolo in quel­ la resistenza impulsiva contro i tributi che solo i popoli più civili non sentono, per la coscienza che hanno matura del dovere che ad ogni cit­ tadino incombe di concorrere agli indispensabili carichi della vita sociale. Pur troppo, tale co­ scienza non sempre si può trovare presso Isolassi più agiate ed è questa una delle cause che im­ pediscono non solo 1’ attuazione di una riforma completa, ma anche lo studio pratico della que­ stione e la sua soluzione. A Como però pare che si sia abbastanza progrediti, perchè secondo le notizie pervenute quando questo articolo era già scritto, il Consiglio Comunale ha già approvato

1’ abolizione della cinta daziaria. Noi, mentre ci rallegriamo con quella industre città per aver saputo raggiungere così utile intento, segnaliamo il suo esempio agli altri Comuni, specie a quelli che per numero di abitanti si trovano in condi­ zioni press’ a poco identiche.

E auguriamo che fra pochi anni le barriere del dazio sieno scomparse nel maggior numero dei Comuni che ancora sono chiusi ; gli altri dovranno pur finire per seguirne 1’ esempio.

IL CREDITO AGRARIO DEL BANCO DI NAPOLI

i n .

Nel precedente articolo dicemmo che il più grave ostacolo trovato dal credito agrario per diffondersi nelle provincie meridionali sta nel malvolere di quelli cho dovrebbero essere Isti­ tuti intermedi fra la Cassa di Risparmio del Banco di Napoli e i coltivatori. La Relazione del Direttore Generale comm. Miraglia ne dà prove irrefragabili.

Una Banca popolare agricola accusava il Regolamento di volere troppe formalità, dicen­ dolo inapplicabile, ma frattanto suggeriva di

aumentare il fido degli Istituti congeneri, evi­

dentemente perchè potessero servirsene per gli affari di loro maggior comodo. Un’ altra, ta­ cendo la stessa richiesta, e dichiarando di non volere istituire un vero servizio agrario, par­ lava anche più aperto : potendo così il nostro

Istituto estendersi in maggiori operazioni. Una

terza, più esplicita ancora, esprimeva buona vo­ lontà, purché il nuovo Credito agrario, pur sod­ disfacendo ai bisogni dell’ agricoltura, presen­ tasse un sicuro e proficuo impiego di capitali ! Altre poi non si peritarono di avanzare propo­ ste intese ad eludere la legge, ad inaugurare forme di operazioni che non costituiscono eser­ cizio di credito agrario. Sarebbe troppo lungo seguire passo per passo tutta questa parte della Relazione ; ma ci vien fatto di riferire ciò che scriveva alla sua Direzione Generale il Capo di una delle Sedi locali del Banco : « Non sono cessate le strane pretese, per ottenere prestiti, che più che a sollevare le difficili condizioni dell’ agricoltura, si desidererebbero ottenere per provvedere ai bisogni personali dell’ agricol­ tore. »

Ma c ’ è di peggio. Come notava un altro dei Direttori del Banco, quelli che sarebbero chiamati a funzionare da Istituti intermedi ri­ tengono che la provvigione loro serbata non valga a compensare il danno della perdita degli affari che ora compiono con gli stessi clienti, i quali poi farebbero capo al credito agricolo ; epperò sono i primi ad ostacolare 1’ attuazione

del credito stesso. Infatti il portafoglio delle

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scontata al 7, all’ 8, al 9 e al 10 OjO. « È ben chiaro, scriveva un avvocato di Reggio, che le piccole Banche, operanti al tasso dell’ 8, 7 e 6 OjO, per intima ragione di esistenza odiano siffatti mutui a mite interesse, specie in un paese eminentemente agricolo e dove l’ usura lussureggia. » Tutti concordemente i Direttori delle filiali del Banco di Napoli hanno ricono­ sciuto che gli Istituti esistenti, specie le Banche,

hanno interessi opposti all’ appii< azione del cre­ dito agrario, perchè essi già fanno il credito agli agricoltori, ma a tasso libero. E uno dei

detti Direttori scrive, con molta precisione : « Noi siamo andati a chiedere la collaborazione di quegli enti che manifestamente avevano un interesse opposto al nostro, chiedendo loro, im­ plicitamente, che rinunziassero a un benefizio maggiore per accontentarsi di uno minore. »

È vero che le Banche popolari non sono i soli Istituti che possono fungere da interme­ diari. Ma della loro schiera già sottile esse co­ stituiscono uno fra i manipoli più notevoli. R e ­ sta un piccolo numero di Consorzi agrari, di Casse rurali e simili enti. È assai poco.

Come si è già visto, 1’ apatia cede a grado a grado di fronte alle ingegnose insistenze del Banco di Napoli, l’ inesperienza e la erronea interpretazione del Regolamento sono vinte e corrette dalla instancabile solerzia con cui il Banco stesso provvede a dare istruzioni, a ret­ tificare inesattezze, a prodigare chiarimenti. Vi­ ceversa, non sembra possibile vincere la resi­ stenza, spesso larvata ma effettiva, di quelli tra gli Enti intermedi che hanno interessi opposti agli scopi del credito agrario. Quid agendum ? La Relazione del comm. Miraglia reca una serie di proposte, che il Banco presenta ai mi­ nistri competenti, per modificazioni da introdursi nel Regolamento. Esse sono frutto d’ una con­ ferenza tenuta in Napoli nel dicembre 1902, a cui intervennero i direttori dei Consorzi agrari e delle cattedre ambulanti delle provincie inte­ ressate, nonché delle risposte date dalle filiali del Banco ai quesiti presentati al loro esame. Non dubitiamo che le modificazioni state pro­ poste al Regolamento, dettate dalla breve espe­ rienza sin qui fatta, siano per riuscire utili. In genere poi ci paiono giuste le seguenti parole che troviamo nell’ ultima pagina della Relazione: « Non conviene avere impazienze, perchè tradi­ zioni inveterate ed interessi collegati non si mu­ tano da un giorno, e possiamo dire da un anno all’ altro. Seguiamo con ogni cura e con ogni affetto qualsiasi fatto si presenti, tragghiamone ammaestramento, cerchiamo di far penetrare nelle popolazioni il concetto vero del credito agrario ed affidiamoci anche alla svegliatezza delle popolazioni ed al pungolo degli interessi. » Ma v’ è un punto intorno al quale non ve­ diamo proposte di sorta: ed e la necessità di rendere più numerosi gli Istituti intermedi. Se questi sono in complesso troppo pochi, se di essi alcuni hanno mediocre zelo pel fatto della qualità delle persone che li amministrano, altri non hanno nessun interesse ad esercitare il cre­ dito agrario, altri infine sonò di dubbia solidità, non v’ è fuorché stimolare, potendo, la costitu­ zione di enti nuovi, in guisa che s’ allarghi il

campo della scelta, e la quantità e la qualità si avvantaggino insieme.

Enti nuovi, sta benissimo ; ma di che spe­ cie ? II sig. P. Manassei, il cui scritto ‘ ) abbiamo già citato in un precedente articolo, vorrebbe si coprisse il territorio meridionale di Casse agra­ rie di risparmio. Egli osserva che le Casse i risparmio italiane, disinteressate, autonome, ani- ministrate da cittadini che non hanno alcuna partecipazione sugli utili, saranno sempre le vertebre del credito libero e sociale, massime nei luoghi e nei tempi in cui alle classi lavora­ trici manca ancora lo spirito e la capacità di^ fare da sé. Il mezzogiorno non ha avuto come 1 alta Italia apostoli locali del credito, quali i W ol- lemborg e i Cerutti. Non chiediamo a classi che sono essenzialmente a g ric o le , che ignorano i congegni delle forme industriali e riguardano ancora la cambiale come un trabocchetto o una incognita pericolosa, iniziative bancarie propne. È da altra parte che le iniziative debbono ve­ nire. — E qui egli ricorda che fino dal 1898 il Governo aveva abbozzato una legge per 1 isti­ tuzione di piccole Casse agrarie con speciale ri­ guardo alle provincie meridionali che più ne di­ fettano. Il Senato respinse il disegno di legge, giudicandolo troppo complicato; ma si poti eb­ bero stralciarne alcune parti, da regolare con altre leggi, mantenendovi frattanto il concetto di dotare il mezzogiorno d’ Italia d’ una rete di piccole Casse agrarie, abilitate anche a ricevere ■ risparmi. In tal modo la grande Cassa di Ri­ sparmio del Banco di Napoli verr-ebhe a tro­ vare, per 1’ esercizio del credito agrario, quegli Istituti intermedi di cui abbisogna.

È opportuno notare che il predetto disegno di legge intendeva, fra altro, procurare ai pic­ coli Istituti a cui voleva dar vita un risconto di favore presso gli Istituti di Emissione, com­ pensando questi ultimi della differenza con una somma non maggiore di L. 6G0 mila. Or bene, chiede il Manassei, perchè non destinare ^addi­ rittura questa somma per istituire senz’ altro 200 Casse agrarie, assegnando loro cioè una piccola dotazione? Tra i provvedimenti — egli scrive — escogitati e discussi a favore del Mez­ zogiorno non sarebbe questo il più costoso ed il meno utile. Il Mezzogiorno ha bisogno di strade, di ferrovie, di porti, di scuole, ma sopratutto ha bisogno d’ istituzioni di credito bene ordinate e ben dirette.

Lo stesso autore fa poi anche un’ altra pro­ posta. Egli crede che per la fondazione delle piccole Casse di Risparmio agrarie non occor­ rerebbe neppure il diretto intervento pecunia­ rio dello Stato. Secondo lui, la Cassa di Ri­ sparmio del Banco di Napoli, senza altri soc­ corsi o presidii di nuove leggi, potrebbe desti­ nare alla costituzione delle Casse agrarie erigende 1|10 dei 6 milioni assegnati al Credito agrario, che in gran parte attendono tuttora un impiego agrario. Reputa perciò che non sarebbe difficile a f rappresentanti del Governo, prefetti e sotto prefetti, persuadere i più facoltosi intelligenti cittadini di quei Comuni meridionali che non •) Il Credito Agrario del Banco di Napoli, nella

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hanno ancora nessun Istituto di -credito a met­ tersi assieme per costituire una Cassa agraria di risparmio, mediante piccole azioni rimborsa­ bili, come in altra parte d’ Italia si è fatto, quando il Governo, che nel Mezzogiorno ha an­ cora molta autorità e prestigio, tenesse questo linguaggio : « La Cassa di Risparmio di Napoli vi darà le L. 3000 che occorrono come fondo iniziale ; voi amministrerete come promotori e socii la Cassa agraria e vi obbligherete a re­ stituire il fondo iniziale in un certo numero di anni e con gli utili della Cassa stessa. La vostra Cassa dovrà impiegare 3[5 del capitale ammi­ nistrato in operazioni agrarie con vincolo d’im­ piego e sarà ammessa al risconto della Cassa di Risparmio di Napoli in conformità al suo re­ golamento, e del resto concorrerà nei modi che reputerete migliori alla prosperità del paese ».

Qui non andiamo interamente d’ accordo. Ha facoltà il Banco di creare col proprio danaro Istituti nuovi, grandi o piccoli che siano ? Il Ma- nassei dice di sì. Noi ne dubitiamo.

L ’art. 1 della legge 7 luglio 1901 autorizza la Cassa di Risparmio di Napoli « ad impiegare gradatamente due decimi dei suoi depositi in operazioni di credito agrario con Consorzi ed Istituti legalmente costituiti designati a tal uopo dalla Amministrazione del Banco ».

Ma designare non significa mettere al mondo! Il Manassei scrive : « La costituzione di una Cassa agraria altro non è che una prima opera­ zione di credito agrario (?) fatta in un dato luogo, operazione importante in quanto è tramite e veicolo di molte altre e successive operazioni ».

Sarà, ma allora a una Società industriale costituitasi per la fabbricazione dei bottoni di corno, dovrà sembrare lecito e regolarissimo occuparsi e spendere nell’ allevamento dei bo­ vini : giacché le bestie bovine hanno le corna e queste danno la materia prima per i bottoni. A noi non pare che si possano, neache a fin di bene, interpretare tanto estensivamente le di­ sposizioni precise d’ una legge. Piuttosto si cerca di far modificare la legge.

Ma sarebbe buon consiglio modificarla in questo senso ? Su ciò, come sull’ altra proposta di fare assegnare dallo Stato una somma per la costituzione di Casse agrarie, piuttosto che ma­ nifestare un parere, esprimiamo il voto che si volga lo studio della Direzione Generale del Banco. Essa è competente più di nessun altro, sia perchè si tratta di materia su cui è chia­ mata a operare, sia perchè, servita a dovere coni’ è dalle Direzioni delle sue filiali, le cui informazioni importanti sono riferite nell’ accu­ rata Relazione del comm. Miraglia, è in grado di conoscere con esattezza i singoli ambienti in cui si sforza di diffondere il credito agrario : bisogni e mezzi, attitudini speciali e defìcenze, stato morale ed economico, uomini e cose.

Per ora, dopo un primo anno di esercizio, si è limitata a chiedere al Governo alquante mo­ dificazioni del Regolamento. In seguito e fra breve dovrebbe, ci sembra, unitamente col Go­ verno stesso, studiare e stimolare la moltipli­ cazione di quegli Istituti intermedi, che pel credito agrario le sono indispensabili come ferri del mestiere.

L ’ APPLICAZIONE DELLE LEGGI OPERAIE

in F r a n c i a

La commissione superiore del lavoro indu­ striale in Erancia, ha pubblicato la sua relazione sull’ opera degli ispettori del lavoro, diretta ad accertare come viene applicata la legislazione operaia. I recenti scioperi di Armentières, di Roubaix e di altre località preludiano all’ ap­ plicazione integrale della legge Millerand-Col- liard, che limita la durata del lavoro; è pertanto d ’ interesse non comune il vedere come proce­ dono ora le cose, rispetto all’ applicazione dei provvedimenti legislativi già in vigore, e la detta relazione offre appunto l’ opportunità di fare cotesto esame e presenta questa particolarità che appunto nel 1902 la giornata di lavoro da 11 ore è stata ridotta a 10 1)2, in quegli sta­ bilimenti dove sono occupati le donne e i fan­ ciulli.

La sorveglianza della ispezione del lavoro si estese l’ anno scorso a 322,289 stabilimenti i quali occupavano 2,888,687 persone.

Queste cifre nou comprendono del resto tutta la industria soggetta alle prescrizioni at­ tuali. Com’ è noto, gli stabilimenti della guerra e della marina, sfuggono al controllo degli ispet­ tori. Inoltre nelle miniere e cave gl’ ingegneri sono incaricati di vegliare all’ osservanza della legge del 2 novembre 1892. Senza influire in nulla su queste organizzazioni parrebbe che, se non altro per avere dei dati completi, la com­ missione del lavoro non dovrebbe trascurare i fatti e le cifre che ad essi si riferiscono.

Poiché la commissione si limita alla ricer­ che affidate alla ispezione del lavoro propria­ mente detta, sarebbe utile eh’ essa fornisse in dicazioni complete anzitutto sulla composizione di quel servizio tecnico; si vorrebbe poter se­ guirne i progressi, misurarne il costo. Invece la relazione è assai sobria di notizie su questi vari punti. « L ’ aumento di tredici unità sopravve­ nuto nel personale della ispezione del lavoro, dice, non è avvenuto che alla metà del 1902 ». Più avanti è fatta allusione al « rimaneggia­ mento di un gran numero di sezioni ». Eviden­ temente, non solo per noi, ma anche pei fran­ cesi, qualche notizia particolareggiata non avrebbe nuociuto. Quanto alle spese, la relazione è an­ cora più circospetta, se è possibile. « Per visi­ tare 19 mulini, leggasi in una citazione della relazione dell’ ispettore divisionario di Nantes, bisogna percorrere 33 chilometri di strada, ossia sostenere la spesa di fr. 16,50, che aggiunta ad una giornata e mezza di soggiorno (fr. 22,50), fanno la spesa totale di 39 franchi, pari a fran­ chi 2,05 per mulino visitato, ossia per i 650 mu­ lini della 3" sezione, la somma di fr. 1332,50 e per 4300 mulini della circoscrizione, la cifra di 8815 franchi ». Evidentemente non ci vorrebbero molti mulini di quel genere.

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pio-22 novembre 1903 L ’ E C O N O M IS T A 767

cola industria prevalga in Francia sulla grande. Infatti 93,30 0[0 degli operai soggetti alla legi­ slazione sul lavoro sono occupati in stabilimenti che hanno meno di 21 operai. E si può consta­ tare agevolmente quali difficoltà incontri l’ ap­ plicazione di quelle disposizioni legislative. La Francia è coperta di piccole industrie che hanno la loro autonomia, la loro propria originalità, i loro usi. Come piegare a una legge comune, a metodi identici, a una simultaneità d’azione tutte quelle vite individuali? Come trattarle quasi che fossero in un vasto convento, obbedienti a una sola e medesima regola monastica, in tutto ciò che concerne la durata, il principio, le interru­ zioni, le riprese del lavoro ? Le distanze che separano le une dalle altre, le installazioni in­ dustriali non sono che 1’ ostacolo materiale al controllo della ispezione, e si potrebbe vincere la difficoltà moltiplicando i posti d ’ ispettore; ma il principale ostacolo è quello economico ri sultante dalle differenti condizioni in cui il lavoro deve svolgersi. La relazione abbonda, a questo riguardo, di confessioni che sono del maggior interesse.

Le persone protette nel 1902 in numero di 2,888,687 — quelle almeno di cui la ispezione si è occupata — comprendevano : 480,414 ragazzi al disotto dei 18 anni (236,426 ragazzi e 233,989 ragazze) ; 670,413 ragazze al disopra di 18 anni e donne; 1,747,860 uomini al disopra di 18 anni. In realtà le visite nel 1902 non sono state ese­ guite che in 127,264 stabilimenti sopra 322,289, e il personale che vi è stato trovato non sor­ passava i 2,040,093 lavoranti, di cui ^ 1,193,267 operai adulti, 517,688 ragazzi maggiori di 18 anni e donne d’ ogni età, 320,138 ragazzi. Da queste cifre risulta che i tre quinti degli sta­ bilimenti esistenti sono rimasti al diluori delle visite degli ispettori. E ciò è molto, ma quasi i tre quarti del personale protetto era occupato nei due altri quinti del numero degli stabili- menti. La vigilanza della ispezione si è adunque esercitata principalmente sulla media o sulla grande industria, trascurando piuttosto i piccoli stabilimenti. Non è però in questi che la sorve­ glianza sarebbe meno utile. Una vasta officina provvista di un macchinario perlezionato offie generalmente dqlle condizioni di igiene e di co­ modità che non s'incontrano sempre a un grado eguale nella piccola industria.

Nel 1902 sono state accertate 621 contrav­ venzioni alla disposizione legale che interdice di impiegare fanciulli al disotto di 13 anni non muniti del certificato di studi primari previsto dalla legge scolastica del 1882, come pure d un certificato di attitudine fisica. Niente prova che il numero delle contravvenzioni effettive non sia sensibilmente maggiore. « Non si cita infatti quasi alcun esempio, dice la commissione supe­ riore, di certificati ricusati a fanciulli cu 12 a 13 anni. Si nota al contrario che i medici incari­ cati di rilasciare quei certificati considerano sem­ pre più quella missione come una semplice for­ malità. Alcuni rapporti segnalano soltanto che dei medici i quali avevano esitato dapprima a consegnare i certificati hanno poi ceduto per le suppliche o la situazione disgraziata dei genitori.

Così, leggi approvate per uno scopo umani­

tario rischiano nella realtà di diventare inumane e non si sottraggono a questa triste conseguenza che mediante le attenuazioni arbitrarie recate alla loro appligazione. Una parte del servizio della ispezione, reclama l’ interdizione assoluta avauti 1 13 anni dell’ ammissione dei ragazzi nelle fab­ briche.

La commissione superiore del lavoro non ha creduto di dover ammettere, nè respingere espres­ samente questa domanda. Ad essa pare tuttavia, dice la relazione, che le obbiezioni contro 1' am­ missione uniforme all’ età di tredici anni, non scomparirebbero con l ’ istituzione di quel regime, mentre le pare possibile di rimediare agli incon­ venienti che le sono segnalati dai partigiani della opinione contraria.

La relazione tratta pure della questione della durata del lavoro. Il 30 marzo 1902 il li­ mite relativo è stato ridotto da 11 ore a 10 1 [2 ; ciò in conformità alla legge 30 marzo 1900. In quali condizioni è avvenuto questo cambiamento? Quale successo ha ottenuto ? Quali conseguenze ha avuto ? La relazione getta un po’ di luce su coteste questioni.

Ricordiamo che per ateliers mixtes od opi­ fici misti, si intendono quegli stabilimenti indu­ striali che occupano negli stessi locali operai adulti e persone — donne, ragazze e fanciulli che hanno diritto alla protezione della legge 2 novembre 1892. È soltanto in favore dei mi­ nori e dei deboli che il legislatore aveva cre­ duto di potere, in origine, con la legge 1892, derogare al principio della libertà di lavoro. La legge 9 marzo 1848 si era limitata, per ciò che concerne gli operai adulti, a fissare a dodici ore al massimo nelle officine e nelle fàbbriche la durata del lavoro quotidiano effettivo. Per ritor­ nare su questa disposizione e limitare nella in­ dustria il diritto dei lavoranti maggiorenni, si è presa una via contorta ; dappertutto dove si trovano insieme a persone protette, essi parte­ cipano a questa protezione. Essi hanno perduto così la facoltà di lavorare più di 10 ore e mezza. Il 30 marzo dell’ anno prossimo, questa durata - sarà di nuovo ridotta ; essa scenderà a 10 ore.

Di qui si comprende quanto sia interessante 1’ esperienza che è stata fatta 1’ anno scorso.

Essa è stata facilitata, in una notevole mi­ sura, dalle circostanze sfavorevoli, contro le quali si dibatteva l’ industria. Se essa avesse coinciso con un periodo diattività, è certo che la prova sarebbe stata più decisiva. La riduzione della giornata a 10 ore e mezza « si è operata tanto più facilmente — leggesi nella relazione — che lo stato generale degli affari ha lasciato molto a desiderare quest’ anno ». E si legge anche la seguente osservazione : l’ ispettore divisionario di Lilla, constata al pari del suo collega di Parigi, che l’ attività industriale della regione del Nord, in sofferenza, al principio del 1902, non è stata senza influenza sulla realizzazione più facile della diminuzione nella durata del la­ voro. Nessun disturbo grave avrebbe quindi do­ vuto derivarne; ma invece le cose non andarono tanto liscie.

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minacciate da una diminuzione di lavoro. Yi sono degli stabilimenti nei quali, secondo la espres­ sione del rapporto « il lavoro dei fanciulli e delle donne è indissolubilmente legato al lavoro degli adulti ». Ma ve ne sono altre in cui una separazione può aver luogo. Quando l ’ isola­ mento delle donne e dei fanciulli è stato ricono­ sciuto relativamente facile, venne anche com­ piuto ; quando questo isolamento è parso troppo difficile da ottenere, una soluzione più semplice ha prevalso: « Negli stabilimenti nei quali la mano d’ opera infantile e femminile non è che accessoria, la questione si è troppo spesso riso­ luta con la esclusione pura e semplice del per­ sonale, la cui presenza traeva con sè la limita­ zione del lavoro degli adulti ».

Questa dichiarazione viene dal servizio della circoscrizione di Digione ; ma non è speciale a quella circoscrizione.

La maggior parte degli ispettori la formu­ lano. Ed è facile rendersi conto delle sofferenze e delle miserie che queste modificazioni del personale vanno creando. Esse ledono grave­ mente buon numero di famiglie, alle quali lo Stato si era lusingato di recare un miglioramento. Inoltre mettono in pericolo la stessa industria minacciata di non avere più apprendisti. « La conseguenza più dolorosa, dice un ispettore, è la scomparsa del tirocinio ; non si formano più operai ». Questo grido d’ allarme è ripetuto a Lione. « Il padrone avendo di rado vantaggio a tenere il fanciullo, si affretta a licenziarlo quando la sua sola presenza in mezzo a uomini adulti l’ obbliga a parlare di orario, di simulta­ neità dei riposi e di limitazione a 10 ore e mezza della durata del lavoro, perciò quasi tutti gli ispettori segnalano il rinvio di ragazzi; inoltre uno di essi comunica la decisione di alcuni co­ struttori meccanici, presso i quali la proporzione del personale protetto è debolissima, di non prendere più alcun ragazzo. Se una simile deci­ sione si estendesse, rischierebbe di recare un danno considerevole al tirocinio, già così ridotto, eppure così utile e necessario ». Sono dichiara­ zioni importanti, che non hanno bisogno di al­ cun commento.

La commissione superiore del lavoro non ha dissimulata la gravità della situazione, e si noti che non sono quelli accennati i soli ef­ fetti dannosi. Certo g l’ industriali hanno fatto tutto il possibile per conformarsi alle ingiun­ zioni dello Stato. Ma il loro buon volere, al quale gl’ ispettori rendono omaggio, è rimasto spesso impotente. « G l’ ispettori divisionari di Bor­ deaux, di Tolosa, Marsiglia e Lione, constatano la poca resistenza incontrata nelle loro circo- scrizioni e le varie misure adottate dagli indu­ striali per far fronte alla riduzione; aumento del materiale, lavoro a doppia squadra, separazione dei locali, ecc. Nella medesima circoscrizione, tuttavia, la diminuzione della durata del lavoro avrebbe prodotto per la maggior parte degli operai la diminuzione del salario.

Di qui, come in altre regioni, il malcontento che ha dato origine a qualche sciopero. Nel- l’ Oise si è notata « una diminuzione gene­ rale dei salari nelle filature, coincidente eviden­ temente con la diminuzione di prodotto ».

E la stessa osservazione fu fatta nelle fila­ ture della nona circoscrizione.

Sicché, crisi dei salari e anche crisi della produzione, perchè questa non potè essere man­ tenuta dappertutto al livello anteriore. Certo, in qualche caso la diminuzione delle ore di la­ voro non ha ripercussione sensibile sulla pro­ duzione, ma si tratta delle industrie, nelle quali le qualità personali dell’operaio sono un fattore importante della produzione e anche qui molto dipende, oltre che dalla importanza di questo fattore personale, dalla perfezione del macchi­ nario e dalla organizzazione del lavoro adottata dall’imprenditore. Il che dimostra la vanità delle formule generali e come leggi che si dicono protettrici del lavoro procurino invece troppo spesso dei danni sensibili. E quello che si dice pel lavoro va detto per l’ impresa, per la pro­ duzione.

Non si può quindi sorprendersi se la Com­ missione. superiore conclude che « per ciò che la concerne non può se non constatare le diffi­ coltà sempre più serie che incontra 1’ applica­ zione della legge e segnalarle ai poteri pub­ blici ».

Che sarebbe stato se invece di aver avuto luogo in un periodo di rallentamento degli af­ fari la diminuzione legale della giornata di la­ voro fosse avvenuta in un momento di sviluppo industriale e commerciale ?

Di tutto ciò va tenuto conto anche in Italia, dove evidentemente ci si avvia a far leggi in­ torno al lavoro, che se non saranno studiate con cura potranno essere causa di gravi perturba­ zioni.

Lo scopo e le funzioni ¿elio Banche di em issione

y i .

Quanto abbiamo esposto nel precedente ar­ ticolo sul significato della teoria monetaria quan­ titativa rispetto ai prezzi, ci permette di am­ mettere che lo stesso avv. Ambron non inter­ preti precisamente in un senso matematico la funzione della detta dottrina, poiché, sebbene in vari punti del suo importante lavoro accenni a questa esatta corrispondenza tra i prezzi e la quantità di denaro o di mezzi di scambio (vedi specialmente pag. 85 ed 86), tuttavia egli trae poi dalle stesse sue premesse una osservazione che è importantissima ma che toglie ogni signi­ ficato tilla teoria quantitativa ritenuta quale espressione esatta o matematica.

Ritornando ad una delle primarie funzioni della Banca di emissione, l ’Autore nota che quando esista una crise più o meno spiegata par la quale sia turbato l’ equilibrio normale tra la quantità dei beni, dei servizi offerti e la quan­ tità dei mezzi esistenti per richiederli, l’ inter­ vento della Banca deve essere diretto a ripri­ stinare l’ equilibrio per impedire la alterazione dei prezzi.

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22 novembre 1903 L ’ E C O N O M IS T A 769

dice — non è di evitare il pericolo di un so­ verchio impoverimento delle riserve metalliche, fenomeno eccezionale su cui troppo si è fermata di preferenza 1’ attenzione delle teoriche banca­ rie ; ciò che preme veramente è di curare il fenomeno ordinario e latente delle alterazioni dei prezzi, fonte di stimoli intermittenti e mor­ bosi della produzione, di cui disturbano 1’ effetto regolare, e fonte di disorganizzazione nei mer­ cati, a cui preparano le più deplorevoli disillu­ sioni. Cotale fenomeno funesto occorre preve­ nire con assidua cura ; e le emigrazioni metal­ liche, anco quando possono liberamente espli­ carsi, se valgono a modificare successivamente, non valgono ad impedire che si produca. »

Ed in ciò sta appunto il principale e meno noto ufficio della Banca di emissione, seb­ bene tale ufficio sia quasi continuo ; vigilare cioè sull’ effetto che i vari elementi di scambio pos­ sono produrre colla loro relativa abbondanza o scarsezza, sui prezzi, e regolarne quindi la cir­ colazione in modo da assicurare ai prezzi stessi la maggiore stabilità, od almeno impedire che le loro oscillazioni varchino una certa misura.

Ed è notevolissimo questo passo dell’Auto­ re : « Si comprende bene come la Banca, per ot­ tenere 1’ effetto che è necessario di produrre sul materiale della circolazione, non abbia bi­ sogno di spiegare una forza corrispondente alla quantità della massa di credito che si tratta di spostare ; ma debba essa stessa incaricarsi direttamente di togliere, o di aggiungere al me­ dio circolante, tutto ciò che è di troppo o che manca, ma, agendo semplicemente sopra il vo­ lume del suo numerario, abbia in mano una leva potente, di effetto pronto e sicuro, per produrre una azione di energia moltiplicata sopra l’ in­ tiero pesante apparato della circolazione e per ridurlo nei termini e nelle proporzioni vo­ lute. »

Ed ecco precisamente il concetto giusto e preciso che infirma il significato matematico della teoria quantitativa. Quando la Banca creda che il mercato subisca una pressione morbosa dalla speculazione e che sia conveniente impe­ dirne lo sviluppo, non ha bisogno per frenarla di usare sulla circolazione una azione eguale alla forza di quella pressione, ma basterà che agisca in proporzioni molto minori perchè im­ mediatamente si scorgono gli effetti salutari della sua azione.

È quell’ elemento psichico che, come già abbiamo avvertito, agisce sul cambio, sulla pro­ duzione e su tanti altri fenomeni economici, per il quale l’ effetto del preponderare della do­ manda o della offerta è neila maggior parte dei casi molto maggiore della entità di tale prepon­ deranza.

E vi sono molti esempi che l ’Autore stesso cita, nei quali appunto si vede che una azione della Banca di emissione, anche limitata, è stata sufficiente a frenare correnti che parevano impetuose, contro le sembravano necessari poderosi ripari.

Venendo poi alla parte pratica del suo lavoro, 1’ avv. Ambron analizza in qual modo una Banca di emissione possa esercitare tale sua funzione di regolatrice dall’ equilibrio necessario coi

prezzi ; e raggruppa le sue osservazioni in tre ordini :

a) le correnti metalliche ;

b) la natura delle domande di credito ;

c) l’ uso prudente delle disponibilità. Non abbiamo ti’ovato cose nuove nel pa­ ragrafo che riguarda le correnti metalliche ; l’ Autore insiste nell’ affermare che la Banca deve non solo vigilare sullo stock metal­

lico che il pubblico le ha affidato, ma deve an­ cora esaminare attentamente di qual natura siano le monete che tendono ad aumentare ed a diminuire tale stock, e ciò non solo nell’ inte­ resse della Banca, ma nella considerazione an­ che che la moneta metallica è il rapporto visi­ bile che lega la Banca agli altri consimili isti­ tuti degli altri paesi ed in genere ai mercati esteri. Quando però avremo detto che anche queste considerazioni sono esposte dal nostro Autore con abbondanza di argomenti e colla abituale perspicuità di espressioni nulla più avremo da aggiungere.

Importantissimo il paragrafo riguardante la natura delle domande di credito, lo riassumia­ mo brevemente.

L ’Autore crede che sia dovere ed interesse della Banca di emissione « la sorveglianza con­ tinua sulla natura dell’ impiego a cui il cre­ dito, che le è richiesto, deve servire » affine di provvedere soltanto a quei bisogni che « assi­ curino non solo il certo, ma anche il pronto ri­ tiro della circolazione del credito che essa vi versa ». In tal modo la Banca sarà in grado di distinguere i bisogni che provengono da una circolazione regolare e sana delle merci e dei valori, e quelli che sono prodotti da una ecci­ tazione anormale della speculazione soggetta a facili disillusioni, e cosi la Banca « non deve mo­ strarsi avara verso i primi, nè mai accondiscen­ dere verso i secondi ». Quando le domande, che hanno carattere di vero credito commerciale, prontamente redimibile, immuni da soverchio spirito di speculazione — osserva l’ Autore — si fanno ripetute ed insistenti, ciò indica alla Banca assai chiaramente « che i canali della circolazione hanno bisogno di maggior copia di elementi, e che essa non deve esitare a fornir­ glieli. »

Colla scorta della famosa relazione (Bullion

Keport) della Commissione parlamentare chia­

mata ad indagare le cause dell’aggio sul mercato inglese, l’ Autore dimostra che il volume della circolazione può, se eccessivo, determinare il de­ prezzamento della circolazione stessa, e se dimi­ nuito, produrre la sparizione dell’Jaggio, quando la circolazione non sia sotto il regime del corso forzato.

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ca dispone. Se nei tempi normali essa ha dato fondo a tutte le sue risorse nulla le rimarrà di disponibile quando sopraggiungauo circostanze che richiedano il suo intervento. Nè la scienza, nè l’ arte bancaria possono piecisare i termini di questo prudente uso delle disponibilità, e solo la oculata direzione della Banca può com­ prenderne bene i limiti.

E qui terminiamo queste fuggevoli note so­ pra un lavoro che richiedeva certamente uno studio più accurato, riportando per intero la conclusione con cui l’Autore chiude il suo libro.

« Lo svolgimento di alcune delle questioni trat­ teggiate in questo breve studio, avendo condotto a soffermarci alquanto sopra quei punti, nei quali sembrava più particolarmente necessario di sgom­ brare il terreno dall'influenza prevalente di idee ine­ satte o incomplete, può aver fatto perdere di vista la trama del concetto fondamentale che premeva di fare emergere con speciale rilievo. Fa d’ uopo perciò di riprenderne e riannodarle il filo, coordinando i sommi capi del pensiero cbe ci ba servito di guida con uno sguardo riassuntivo, che lo abbracci con la maggior possibile chiarezza.

« Una necessità imperiosa è coudizione suprema per permettere al meccanismo degli scambi, funzione principalissima della vita sociale, di agire con quella regolarità e con quella celerità che sono indispensa­ bili per assicurare il normale svolgimento di tutte le energie sociali, e per favorirne il continuo suc­ cessivo incremento. Questa necessittà che si è fatta sempre sentire da so stessa, anco quando gli uomini erano meno disposti a riconoscerla, consiste nell’as­ soluta sicurezza delle contrattazioni, garantita in modo, da permettere a colui che aliena una c^sa di essere completamente sicuro e tranquillo sulla equi­ valenza della cosa ohe in cambio riceve.

« Raggiunta con il progresso civile la tutela giu­ ridica più efficace dei contratti, la sicurezza delle persone e delle proprietà, 1’ umano consorzio aveva compiuto, per la regolarità degli scambii dei passi ragguardevolissimi, ma rimaneva ancora molto da fare. Occorrerà che la merce, che, in cambio della cosa offerta in vendita, ciascuno accoglie e ricerca, cioè il danaro, rappresentasse una utilità permanen­ temente immutabile, un valore messo al coperto, per quanto fosse possibile, da ogni fluttuazione.

« Istituite le Banche di deposito, che, con la loro moneta ideale di conto, unificano il tipo dell’ agente degli scambi e ne rendevano ben definito ed assai costante il valore ; condannate irremissibilmente le alterazioni monetarie, che pur anco nella scienza ed in tempi a noi non lontani avevano trovata indul­ genza presso spiriti elevati e sapienti, come quelli di Hume e di Gralliani ; perfezionati i processi tecnici di coniazione, un altro passo notevolissimo era fatto, ma rimaneva ancora molto da fare.

« Nuovi strumenti di scambio si erano andati creando, nuovi equipollenti alla moneta si andavano introducendo, in corrispondenza alla enorme molti­ plicazione della ricchezza mobiliare, avvenuta spe­ cialmente sotto la forma di una immensa diffusione di titoli di credito. La moneta aveva cessato di es­ sere 1’ agente principale degli scambi, ed a questo ufficio andavano partecipando, sempre più copiosa­ mente, mezzi potentissimi forniti dal credito. Come si era provveduto precedentemente a mantenere la inalterabilità del valore della moneta, occorreva pen­ sare di poi a mantenere l’ inalterabilità del valore del mezzo circolante, composto di moneta e di cre­ dito, ina più di credito che di moiiota.

« La sovrabbondanza o la scarsezza della mo­ neta metallica, causa di alterazioni del valore di essa, e perciò di sconcerto profondo nelle basi di tutte le contrattazioni, avevano un correttivo pronto e ga­ gliardo nella facilità del suo trasporto da un paese al­ l’altro e nella mobilità delle correnti di esportazione e di importazione del metallo, ma la sovrabbondanza o la scarsezza dei mezzi offerti d .1 credito, causa di alterazioni nei prezzi e di sconcerti nelle contratta­ zioni, in proporzioni tanto maggiori quanto mag­ giore è la potenza di espansione e di contrazione del credito, non presentavano più nessun correttivo

sollecito ed efficace, che valesse ad evitare le cata­ strofi finali di una crise.

« In questo stato di cose non bastavano più i provvedimenti intesi a mantenere inalterato il va­ lore della moneta ; non bastavano nemmeno le mi­ sure dirette a conservare in perfetto stato gl’ ¡stru­ menti della circolazione nei suoi materiali più co munemente in uso, rappresentati dalla moneta e dal biglietto, ma rimaneva ancora _ un fine ul­ teriore da raggiungere ; occorreva cioè stabilire la costanza e la regolarità nel governo delle ragioni stesse del credito. Perciò si è sentita nella pratica, prima assai che si sia riconosciuta dalla dottrina, la necessità di un organo potentissimo, investito di una diretta supremazia sopra tutto questo vasto ele­ mento del credito nel suo complesso, di un organo che De accentrasse tutte le forze, che ne vigilasse le facili sofisticazioni, le esagerazioni o lo depressioni, e che ne mantenesse le energie in corrispondenza con i bisogni, in modo tale da garantire la calma e al tranquillità nell’ ambiente della circolazione.

« L’ emissione del biglietto, che, per la sua diffu­ sibilità e la sua efficacia nel mercato interno, equi­ vale alla moneta, emissione disciplinata in modo da consentirne 1’ espansione o la contrazione regolare con perfetta elasticità, in pioporzione dei bisogni dell’ ambiente, è il mezzo che forn'sce all’ organo centrale la potenza di compiere adeguatamente la sua missione, lì il mezzo più adatto ed efficace a,tale scopo perchè il biglietto è uno strumento che si apre la strada da sè nel pubblico, e trova sempre il suo impiego nel mercato; è il solo strumento il cui uso, quando il credito dell’ organo emittente sia so­ lidamente stabilito, può dipendere unicamente dalla volontà dell’ organo emittente stesso, e trovare sem­ pre disposto il pubblico a profittarne. Ma è uno stru­ mento che va sempre più acquistando nn carattere di mezzo sussidiario, di mano in mano che l’ am­ pliarsi del credito ed il perfezionarsi del suoi si­ stemi raccolgano intorno al grande organismo cen­ trale una singolare potenza di attrazione delle forze finanziarie, e schierino spontaneamente sotto il suo comando dense falangi di altri me;zi cospicui.

<t E’ pertanto un errore il credere che a scon­

giurare le cause di malessere ed i pericoli dei mer­ cati, derivanti dalle perturbazioni della circolazione, possano bastare soltanto le misure più sapienti e meglio congegnate intese a disciplinare l’ uso e la sincerità di questo mezzo ed a regolare con sottili provvedimenti l’ emissione del biglietto. E’ assolu­ tamente indispensabile raggiungere un fine ulteriore spingere lo sguardo ad una mira più vasta, abbrac­ ciare tutta quanta la materia del eredito, ed avere presente in tuttala sua.ampiezza l’ Importanza dello scopo a cui il biglietto stesso deve concorrere ; scopo che consisto nel rendere tanto vigorosa la costitu­ zione dell’ organo centrale del credito, da metterlo in condizione di servire come potente congegno re­ golatore di tutto il complesso di elementi vari che compongono il materiale della circolazione.

« Questa missione di ordine, questo assiduo e minuto lavorio nell’ interesse della quiete dei mer­ cati, che costituisce il compito speciale della Banca di emissione, non è ancora generalmente ben com­ preso, e persiste invece sempre nelL’ animo dei piiù la preoccupazione che a questi Istituti siano prin­ cipalmente imputabili, i più gravi disordini finanziari Sussistono tuttora molti dei pregiudizi che impera­ vano in un tempo non ancora lontano, durante la prima metà del secolo scorso, quando essendo le idee in materia di credito affatto rudimentali, le Banche di emissione furono insistentemente accu­ sate di rendersi il fomite principale di numerosi di­ sastri. Possedendo il mezzo di aumentare a loro ar­ bitrio la massa della circólazione, e avendo interesse immediato di farne il più largo uso possibile per ingrossare i loro profitti, furono accusate di fomen­ tare l’over trading, di stimolare 1’ aumento dei prezzi, e con questo la febbre della speculazione, causa di inevitabili susseguenti rovesci. Critici più benevoli si limitavano a segnalare i pericoli a cui le Banche di emissione esponevan il paese con la sostituzione del biglietto al metallo, che si allontanava per diri gersi altrove, e cbe esse non sarebbero poi state più in grado di far ritornare, anco a costo dei più grandi sacrifici, nei momenti di bisogno.

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22 novembre 1903 L ’ E C O N O M IS T A 771

essere fino ad un certo punto giustificate sotto l ’im­ pero di una politica bancaria, la quale, considerando 1’ emissione come 1’ esercizio di una attività indu­ striale di diritto naturale, ne avesse lasciato il campo aperto alla libera concorrenza, sono state poi dimo­ strate infondate dagli studi degli economisti poste­ riori. Sono state anco smentite dalla condotta inap­ puntabile e severa degli Istituti, che divenuti sovrani e potenti, sono rimasti penetrati dal pensiero delle grandi ri sponsabilità derivanti dalla loro egemonia e compresi dal sentimento della stretta conformità dei loro particolari interessi con gli interessi gene­ rali, nonché della intima connessione del loro cre­ dito, geloso di ogni più sollecita cura, coli le con­ dizioni del credito di tutto il paese.

« La scienza dal canto suo aveva luminosamente dimostrato che quando sorgono circostanze in cui le previsioni di aumento dei prezzi trascinano i mercati alla speculazione, tutto un movimento di infatuazione si organizza al quale sono lasciate quasi del tutto estranee le Banche. La speculazione si alimenta di espedienti che negli stati primitivi non sono fora ti dalle Banche, ma sono forniti diretta- mente dal venditore al compratore, con anticipazioni con credito offerto sui libri, con obbligazioni, delle quali solò una minima parte va allo sconto presso le Banche. E’ questo il fatto che il Tooke ha rischia­ rato con magistrale perizia, e che il Fullarton, ci­ tato dal Mili, ha pienamente confermato con una raccolta di fatti innegabili, In tutte le crisi si è po­ tuto accertare, é vero, un certo periodo d’ accresci­ mento nelle emissioni bancarie, ma è stato dimo strato che in queste circostanze cotale dilatazione è un effetto, non una causa, del rialzo dei prezzi. Quando il commercio si è trovato fortemente impe­ gnato nella speculazione e ¡’ andamento dei prezzi ha incominciato a ripiegarsi, il primo impulso che ciascuno ha risentito è stato quello di resistere. In cosiffatte condizioni i compratori dell’ articolo in speculazione procurali naturalmente di sostenerne il mercato, non sanno risolversi a vendere, o se anche volessero tarlo s’ imbatterebbero nella impossibilità materiale di accingervisi tutti nello stesso tempo ; hanno allora bisogno di ricorrere al credito delle Banche per far fronte ai loro impegni e mantenere la loro situazione. Quando i prezzi cominciano a ri­ bassare il biglietto di banca, che non fu richiesto nel periodo delle compre è richiesto nel periodo in cui occorre soddisfare agli impegni senza vendere. Le Banche sono generalmente intervenute in que­ sto momento e perciò non risale ad esse la respon­ sabilità di aver prodotto la situazione dolorosa. Tutto al più potrà esser fatto ad esse rimprovero di non aver sempre avuto la forza o la previdenza di pre­ venirla; ma, se poi si'pon mente, invece, ai risultati, si dovrà riconoscere che il loro intervento, se tal­ volta ha valso soltanto a ritardare, è riuscito molto più spesso ad attenuare addirittura gli effetti delle crisi rendendole meno precip tose e calmandone la terribile irruenza.

« Tutto ciò ha luminosamente dimrstiato la scienza ; ma con ciò essa non ha ancora del tutto esaurito il suo compito. Non basta aver provato che le Banche di emissione, in un regime bene organiz­ zato, sono incolpevoli delle crisi, occorre ancora for­ nire la prova elio dalla sovranità e dalla potenza di quegli Istituti si trae il solo mezzo efficace di pre­ venire quegli eventi, che sarebbero inevitabilmente prodotti dagli eccessi del credito commerciale, anco indipendentemente da quello bancario ; occorre far risultare chiaramente che soltanto gli Istituti stessi possono esercitare tempestivamente sulla specula­ zione un’ azione moderatrice veramente efficace. Pa­ rimente non basta aver dimostrato ingiustificati i timori contro i loro abusi, timori che la stessa loro condotta, rigorosamento corretta sotto gli ordina­ menti più provvidi e meglio intesi, ha rivelati in­ fondati, occorre ancora stabilire il convincimento che le Banche d' emissione costituiscono un organo la cui attività permanente è in ogni momento neces­ saria per lo svolgimento normale delle forze econo­ miche della Società. La dimostrazione univoca ep a- lesè che si sono incaricati di darne - fatti, mercè la generalità dell’ estensione e della forma assunta da questi organi, deve essere confermata dall’ esame scientifico rivolto ad indagare per quale scope e con quali mezzi essi compiano una funzione che ha

im-portanza vitale nell’ esistenza della Società dei nostri

giorni. . . .

« Quando la convinzione scientifica dei veri in­ tenti e del delicato meccanismo delle Banche d’ emis­ sione sarà diventata patrimonio generale, cesserà completamente quell’ atmosfera di pregiudizi, di ge­ losie che ancora ne circonda l’ esistenza, e che oltre ad ostacolarne 1’ azione, nuoce alla bontà del loro governo ed alla regolarità della loro costituzione. La dimostrazione, per riuscire esatta e completa deve basarsi sopra due ordini di fatti essenzialissimi: la necessità cioè di evitare con la massima cura gli spostamenti dei prezzi, dovuti alle alterazioni nel valore del medio circolante, che investono la gene­ ralità di tutti i beni e sconvolgono le basi di tutte le contrattazioni, cagionando alla attività economica di un paese danni funesti oltre ogni comune cre­ denza ; la necessità a tal fine di esercitare una vi­ gilanza continua ed efficace su tutti quanti gli ele­ menti che compongono l’ intiero materiale della circolazione, il cui complesso è formato, non sol­ tanto dalla moneta metallica, non soltanto dal bi­ glietto, ma in proporzione grandissima e sempre crescente da una quantità di altri mezzi forniti sotto varie forme dal credito.

« La luce, sotto la quale si sono contemplate ge­ neralmente le Banche d’ emissione, non è la luce vera. Esse sono sempre considerate principalmente come ministre delle sorgenti attinte dal credito e dispensatrici generose ed a buon mercato di capitali rivolti a secondare le insaziabili domande del mer­ cato. con speciale riferimento alle aspirazioni e agli intenti della produzione di un paese. Il vero aspetto sotto il quale devono essere considerate, deve ricer­ carsi invece esclusivamente nella loro funzione mec­ canica, regolatrice degli scambi e tutrice suprema della sineer.tà e della uniformità del regime mone­ tario. Sotto questo aspetto molte opinioni e molte disposizioni di leggi a loro riguardo si troverebbero sfornite di senso o per lo meno di giustificazione».

Rivista (Economica

L a r if o r m a t r i b u t a r i a d i B o lo g n a . — La discussione seguita al Consiglio comunale di Bologna è terminata coll’ approvazione di massima del progetto di riforma tributaria, studiato da un socialista, Carlo Vergani, e appoggiato dall’ ammi­ nistrazione popolare.

Nell’agosto 1901, oom’ è noto, l ’ amministrazione moderata, presieduta dal Dallolio, allargava la cinta daziaria abolendo ad un tempo le tariffe che colpi­ vano le farine, la frutta fresca-, i legumi, gli ortaggi, il pesce secco, la crusca, ecc. eco., diminuendone altre, ed altre aumentandone

Per il Comune, il risultanto finanziario fu que­ sto : che nel 1902, malgrado una eccedenza di lire 107,000 sull’ aumento della spesa prevista, si ebbe un maggior provento di L. 508,720.

I popolari bolognesi andati al potere, special- mente per il malcontento creato dall’ allargamento della cinta, si guardarono bene dal toccarla, simili in ciò ai loro colleghi di Milano. Ma l’ on. Mare­ scalchi, che nel circondario esterno ha la propria base elettorale, non si adattò, e ideò un proprio progetto, che non fu accolto dai colleghi della Giunta. Questi staccatisi dal Marescalchi, affidarono l’ inca­ rico di studiare la questione a una Commissione, di cui il Vergani fu magna pars e relatore.

La Commissione dovette riconoscere l’ impossi- lità di rinunciare alla cinta allargata, che assicurò un provento maggiore, di cui il Comune ave re as­ solutamente bisogno, e che non avrebbe potuto ri­ cavare in alcun altro modo.

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