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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.34 (1907) n.1747, 27 ottobre

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(1)

S C IE N Z A E C O N O M IC A , F I N A N Z A , C O M M E R C IO , B A N C H I, F E R R O V I E , IN T E R E S S I P R IV A T I

Anno XXXIV - Voi. XXXVIII

Firenze, 27 Ottobre 1907

N. 1747

S O M M A R I O : Gli scioperi e l’opinione pubblica — Circolazione bancaria ed economia pubblica — Una nuova storia della Casa di S. Giorgio — La Germania moderna (sua evoluzione) — R i v i s t a b i b l i o g r a f i c a : Prof. A . Asturaro. La sociologia i suoi metodi e le sue scoperte - Prof. Dr. Ferdinand Baumgarten und P . Arthur Messtèny, Kartelle und Trust - Georg Simmel, Schopenhauer und Nietzsche — R i v i s t a e c o n o m i c a e f i n a n z i a r i a : Le condizioni demografiche di Londra - V orario di lavoro dei lavoratori dogli stabilimenti industriai1 in Austria - R a s s e g n a d e l c o m m e r c i o i n t e r n a z i o n a l e : Il commercio dell’ Algeria — Il commercio dell’Argentina — Il commercio della Spagna — Il commercio dell’Inghilterra — Il commercio dell’ Austria, Ungheria — Il commercio d ell’ Egitto — La legge ungherese sulla marina mercantile— Le imprese private di assicurazioni in Svizzera — Un progetto di legge per la legislazione del lavoro — Il riassunto dei lavori della Conferenza dell’A ja — Mercato monetario e Rivista delle Borse — Notizie commerciali.

per sentimento verso la maestà della legge, ma

solamente ed unicamente perchè hanno visto

che la opinione pubblica era in grandissima mag­

gioranza contro di loro e che la cessazione del ser­

vizio ferroviario avrebbe portato inevitabilmente

delle conseguenze politiche, profonde.

I socialisti, sindacalisti, integralisti, rifor­

misti ed altro, non hanno consigliato i ferrovieri

a non scioperare perchè il buon senso abbia pre1

valuto o perchè abbiano voluto fare omaggio alle

esigenze dello Stato ed alla maestà della legge;

—- nemmeno per sogno. Essi hanno agito così

perchè hanno avuto davanti agli occhi l’ atteg­

giamento della pubblica opinione e le possibili ele­

zioni generali.

Questo fu il solo motivo per cui si è avuto

questa specie di azione moderatrice nel partito

socialista ; ed il non tener conto di ciò è una illu­

sione pericolosa, perchè lascia ritenere possibile

modificare le pur gravi condizioni in cui si trova

il paese, con un contegno più fermo del Governo

e delle autorità, o con qualche modificazione della

legge in senso restrittivo.

Non ci pare di errare dicendo che abbiamo avuta

la impressione che la stampa censervatrice, quasi,

desiderasse lo sciopero, col pretesto di farla finita

con tale perpetua minaccia, ma nella speranza che

l’opinione pubblica si preoccupasse talmente da

rendere possibile un più energico contegno da

parte del Governo, e forse una modificazione in

senso restrittivo delle leggi che mirano a tutelare

1’ ordine pubblico.

Questa attitudine troppo trasparente dei con­

servatori è la conseguenza della illusione di cui

sopra parliamo, che cioè sia possibile in simile

materia migliorare la situazione con un sistema

di rigori, sia nella legge, sia nella sua applica­

zione.

Lo Stato non è abbastanza forte di per sè

per assumere una attitudine di violenza quando

ha davanti a sè le moltitudini ; e — lo si è visto

Gli scioperi e la opinione pubblica

Abbiamo sempre sostenuto il principio che il

diritto allo sciopero non possa esser negato, non

solo ai liberi lavoratori, ma nemmeno ai pubblici

funzionari dipendenti dallo Stato. Che possa es­

sere desiderabile evitare lo sciopero nei pubblici

servizi e dei funzionari dello Stato è cosà che

non occorre nemmeno, dire; la sospensione dei

pubblici servizi è un danno grave a tutta la eco­

nomia. del paese e nella maggior parte dei casi

il danno per tale sospensione è impari alla causa

che determina lo sciopero ; lo sciopero poi dei fun­

zionari dello Stato è un esautoramento della auto­

rità dello Stato stesso ed una diminuzione del

prestigio del Governo. Sarebbe quindi somma­

mente desiderabile che non avvenissero mai scio­

peri compromettenti il servizio pubblico o tali da

creare un conflitto tra lo Stato ed i suoi dipen­

denti.

Ma da questo desiderio all’ approvare i mezzi

coi quali gli scioperi stessi si è creduto di evi­

tare, corre un abisso ; per cui nulla, riteniamo, è

più dannoso alla funzione del Governo ed alla

civile convivenza, come la dimostrazione della

inapplicabilità di una legge generale. _

Ed i fatti avvenuti in questi ultimi giorni,

aggiunti a quelli del 1901-1902, dimostrano con

troppa chiarezza che il Governo stesso è perplesso,

incerto nell’ applicare la legge e che, se veramente

lo sciopero dei ferrovieri si fosse verificato, sa­

rebbe stato nella impossibilità di applicare l’arti­

colo 56 della recente legge ferroviaria e le pre­

scrizioni del Codice Penale.

(2)

in molti esempi del nostro e di altri paesi —

se mai trovasse in sè tanta forza da reprimere

con violenza certi movimenti, provocherebbe un

sollecito mutamento nella opinione pubblica, la

quale, se è seccata delle troppo frequenti violenze

degli scioperi, lo sarebbe ancori di più se la re­

pressione ne fosse violenta.

Il pubblico fu indignato per i tentativi di

rivolta del 1898, ma fu più indignato ancora —

e lo mostrò nelle elezioni — dall’ eccesso della

repressione.

Ora in certe materie non si può assoluta-

mente considerare lo Stato come « stante a sè »

nè la leggè come funzionante automaticamente. E

lo Stato e la legge sono in continua relazione

colla pubblica opinione; è la pubblica opinione

non vuole eccessi, nè da una parte nè dall’altra.

E dunque, si dirà, al solito, che cosa si

deve fare?

L ’arte di governo consiste appunto nel te­

ner conto di tutti questi fattori ; se ad ogni mi­

naccia di movimento pericoloso per l’ordine pub­

blico, si dovesse far venir fuori i soldati a tirar

sulla folla magari coi cannoni, l’ ordine pubblico

sarebbe certo salvaguardato, ma come lo è, in

certi limiti, in Russia; — se il Governo fosse

imprevidente al punto da non saper frenare i

movimenti incomposti delle moltitudini, che fa­

cilmente degenerano in rivolta ed in gravi per­

turbazioni dell’ordine pubblico, il paese sarebbe

governato dalla piazza.

Ora, non noi dobbiamo suggerire la linea di

condotta agli uomini di Governò; essi sono al

posto ambito, non per estrazione a sorte o per

altro cieco sistema di elezione; sono perchè la

Nazione ed il Parlamento li ritiene i più capaci;

spetta quindi a loro cercare e trovare i limiti

della loro azione, spetta a loro di conciliare i due

estremi ; evitare la violenza, ed agire energi­

camente.

Ma perchè ciò sia possibile, noi persistiamo

sulla nostra tesi : — le leggi repressive e limi­

tataci non valgono più, perchè non è contro i

singoli che al caso si deve operare, ma contro

le masse; ciò che occorre è seguire la pubblica

opinione, e fare in modo che essa sia sempre dalla

parte del Governo.

Nel 1901 i ferrovieri avevano favorevole la

pubblica opinione, perchè essi avevano ragione;

la legge non era stata eseguita e a loro danno;

nel 1907 l’opinione pubblica era contro di loro,

perchè non avevano ragione alcuna di scioperare.

La distinzione quindi che si desidera di fare

tra servizi pubblici e pubblici funzionari da una

parte e tutti, gli altri cittadini dall’altra, esi­

sterà soltanto quando i pubblici funzionari ad­

detti appunto ai servizi pubblici non avranno

ragione nè giusta nè sufficiente per scioperare. A l­

lora sentiranno che la opinione pubblica è con­

tro di loro e non sciopereranno. Ma se i pubblici

funzionari saranno trattati male o per insuffi­

cienza di retribuzioni, o per eccesso di lavoro, o

per ingiustizia di sistemi, essi sciopereranno

egualmente anche se la legge lo vieterà loro ;

e, sorretti dalla pubblica opinione, il Governo

sarà incapace di punirli.

Del resto questa questione dei ferrovieri è

una prova evidente del danno che anche da que­

sto lato deriva dall’esercizio di Stato; non perchè

l’esercizio privato eviterebbe lo sciopero se deve

avvenire, ma perchè tra le Società ed il suo per­

sonale, nel caso dell’esercizio privato, può met­

tersi lo Stato ; mentre così come siamo ora siste­

mati, lo Stato fa veramente davanti ai suoi di­

pendenti una figura tutt’ altro che edificante, e la

sua autorità, il suo prestigio saranno ad ogni ora

in questa continua discussione.

Circolazione bancaria ed economia pubblica

Due importanti scritti sono stati pubblicati

in questi giorni sull’ importante argomento della

circolazione bancaria: due articoli del prof. Tan-

gorra nella Tribuna ed un articolo non firmato

nella Nuova Antologia. Prendendo in esame que­

sti due scritti, corrispondiamo alla promessa fatta

ai nostri lettori nell’ ultimo fascicolo dell’ E cono­

mista.

E prima di tutto desideriamo chiarire un

punto che cela, a nostro avviso, un feticismo.

Il consolidato 3 Ij2 per cento netto si quotava

giorni sono in borsa a 100,56 circa, e, toltine gli

interessi maturati, ciò vuol dire 99.61 ; dunque il

nostro 3 3[4 è sotto la p a ri e questa espressione

sembra 1’ annuncio di qualche fatto veramente

grave per il credito pubblico. Ora la p a ri o sotto

la p a ri o sopra la p a ri non sono che parole che

indicano la coincidenza o no con un punto, d i­

remo così, di conto, ma il corso di 99.61 non ha

differenza da 100 diversa da quella che abbiadi

100.61 col 101. Il fatto solo vero è che il con­

solidato è ribassato mezzo punto, un punto, un

punto e mezzo o due punti ; che sia poi il ribasso

avvenuto tra la pari, o sotto la pari o sopra la

pari è indifferente, e considerare la p a ri come un

gradino di passaggio diverso da tutti gli altri

punti, è niente altro che un feticismo del quale,

è vero, talvolta la Borsa tien conto come di un

sistema, ma solo come di tante altre supersti­

zioni tien conto il giuocatore.

In un momento nel quale il denaro rincara

notevolmente, sarebbe puerilità il pretendere che

il consolidato italiano dovesse rimanere fermo al

suo posto. Il consolidato inglese 2 1[2 per cento

è a 82.90 circa ; il consolidato francese 3 0[o è

a 94.50 circa e non è da meravigliarsi se non

della resistenza che ha mostrato il consolidato

italiano il quale non si è mosso che di poco più

di un punto e mezzo.

Infatti i tre consolidati danno da un anno

all’ altro, cedole comprese :

(3)

dell’ Italia, non hanno motivo di disperarsi per­

chè il loro consolidato è rispettivamente sette e

cinque punti sopra la pari, non vi è davvero ra­

gione per allarmarsi se 1’ Italia vede il soo con­

solidato un mezzo punto sopra la pari ; nè di

dolersi di aver compiuto la conversione, come non

se ne dolgono certo i francesi e gli inglesi che

1’ hanno compiuta prima di noi e videro i loro

consolidati così deprezzati.

Anzi è da meravigliarsi che se il 3 per

cento francese sta al 94.15 il 3 3[4 italiano stia

alla pari o quasi ; ma la meraviglia deve essere

solo di compiacenza vedendo come resista meglio

dei consolidati dei due potenti paesi ; tale fenomeno

è dovuto, a nostro avviso, al fatto che la con­

versione tecnicamente fu compiuta nel 1906, ma

virtualmente il paese l’aveva già compiuta al­

cuni anni prima e perciò il consolidato è già

classato presso un pubblico che ha accettato il

3 3[4 che diventerà fra quattro anni 3 1[2. Che

se in questi ultimi mesi si sono verificate alcune

vendite, non siamo d’avviso che esse derivino da

persone che vendono il consolidato perchè rende

poco ; ma da persone che, per la speculazione di

borsa, o per i bisogni delle industrie vendono il

consolidato per far denaro e pagare debiti od

accrescere la dotazione industriale.

Ed egualmente è esagerato il vedere dall’este­

ro un rigurgito sensibile di titoli italiani. Quando

si sono cominciati gli studi sulla conversione, si

riteneva con fondate ragioni, che non vi fossero

all’estero più di 800 milioni di consolidato; e

quando, due anni più tardi, si fece la conversione,

si ebbe motivo per credere che non più della metà

di detta somma si trovasse all’estero ; ora un simile

stock non può dare un notevole movimento di

entrata e uscita del nostro titolo maggiore; ed è

poi noto che le obbligazioni ferroviarie e le azioni

di alcune società importanti, da gran tempo, hanno

in massima parte varcato il confine.

Se in quest’ ultimo tempo si fosse verificato

un rimpatrio considerevole di titoli italiani, si

avrebbero avuti inasprimenti e non raddolcimenti

costanti dei cambi. Tutto ciò è sfuggito allo scrit­

tore della Nuova Antoloqia, e quindi la proposi­

zione: « il mondo finanziario estero non è ancora

disposto ad accettare alla pari un 3 3[4 italiano »

è senza significato, perchè non è più l’estero che

fa il prezzo del consolidato italiano, il quale è in

possesso dei moltissimi

italiani che vogliono

soltanto un titolo di Stato facilmente realizza­

bile, e si sono già acconciati per averlo al 3 lj2

per cento. E noi crediamo che, tranne il caso di

gravi perturbazioni, il consolidato non si muoverà

molto, perchè i possessori non hauno grande in­

teresse di tener dietro alle oscillazioni del capi­

tale; ciò che più importa è che per 20 anni sanno

quale rendita riscuoteranno. E d è pertanto un pa­

radosso paragonare la conversione della rendita

del 1906 alla abolizione del corso forzato nel 1883;

situazione e fatti non sono paragonabili tra loro

in nessun modo; ed è a sperarsi che il Governo

non commetterà gli errori commessi dopo il 1883 ;

i quali del resto, se si commettessero, influireb

bero sul consolidato tanto se fosse al 4 per cento

come se al 3 3[4 od al 3 1]2.

Un’ altro punto ci parve esagerato nell’articolo

della Nuova A ntologìa: gli effetti che sul mer­

cato potranno avere le maggiori spese per la ma­

rina da guerra. Non vogliamo qui discutere sulle

spese militari in genere, ma per ciò che riguarda

esclusivamente gli effetti della possibile spesa di

300 milioni per le quattro grandi corazzate, con

fessiamo di non comprendere come possa spaven­

tare i portatori di consolidato che vedono un te­

soro con una cassa di 450 milioni, ed un bilancio

con avanzi di 50 milioni, non ostante le sempre

crescenti spese.

In conclusione, ammettendo che tutti i mer­

cati finanziari passano ora un momento difficile,

non crediamo, alla stregua dei fatti che, tranne

per ciò che riguarda le borse, si possa aver mo­

tivo di gettare un grido d’ allarme ; ma che oggi

si deve notare con compiacenza che il credito

dello Stato italiano è molto più resistente di quello

di altri Stati più ricchi e più potenti.

*

* *

. .

Ma, fatte queste considerazioni su alcuni

particolari, siamo lieti di trovarci d ’accordo tanto

coi prof. Tangorra come colla Nuova Antologìa,

nel distinguere nel presente momento il bisogno

di aumentare la circolazione, nei due punti: o si

tratta di deficienza di medio circolante, sopratutto

di biglietti di piccolo taglio, e si può aumentare

la circolazione di qualche diecina di milioni, senza

alcun pericolo; o si domanda l’aumento della cir­

colazione per venire in aiuto delle industrie e dei

Comuni che hanno bisogno di capitali, ed in tal

caso si tratterebbe di molte centinaia di milioni e

nessuno può consigliare una circolazione scoperta

o parzialmente coperta di tale entità e per tale

scopo.

Il prof. Tangorra dopo aver fatto una accu­

rata analisi della circolazione, viene su tale ar­

gomento ad una conclusione veramente deficiente.

Egli crede che si debba aumentare la circolazione,

ma poiché i bisogni sono di due categorie: il com­

mercio e la speculazione, si deve badare che a

quello e non a questa debba servire 1’ aumento.

Ma si tratta precisamente di trovare il modo

che ciò possa avvenire; e questo doveva dirci il

prof. Tangorra colla sua dottrina ed esperienza.

Poiché si tratta ora non più di studi vaghi

e teorici, ma di concretare in un progetto di

legge alcune riforme che non sieno ritocchi, come

ben dice l’on. Luzzatti, ma riforme radicali; bi­

sogna portare la discussione sopra i punti posi­

tivi da riformare. Tentiamo un’enumerazione :

1° Pare che siamo tutti d’accordo sulla con­

venienza di dare al saggio dello sconto una

funzione quale esso ha in altri paesi, e renderlo

cioè oscillante colla situazione del mercato. Non

vi è altro mezzo se non quello di lasciare il

saggio dello sconto in mano agli Istituti di emis­

sione, poiché, siccome vi saranno sempre quelli

che proporranno di diminuirlo e quelli che pro­

porranno di aumentarlo, il Ministro — uomo po

litico — per non disgustare nè gli uni nè gli

altri lo lascierà immobile, come si è fatto sin

qui, almeno nelle apparenze; un esperimento di

qualche anno di libertà nel saggio degli sconti

ci sembra utile.

(4)

è concessa ai tre Istituti nella somma comples­

siva di 62.5 milioni. Si potrebbe portarla a 120

milioni e ridurre la tassa ad un terzo del saggio

dello sconto, od anche solo all’ 1 per cento, visto

che ora la tassa di circolazione dovrà essere uni­

formatamente stabilita nella misura del 0.10 per

cento per la Banca d’ Italia ed il Banco di Si

ciba, e del 0.50 per cento per il Banco di Napoli.

3° Anche ai depositi in conto corrente, che gli

Istituti sono .autorizzati a ricevere fino alla somma

complessiva di 195 milioni, all’ interesse eguale

al terzo della ragione dello sconto, può essere au­

mentato il limite almeno fino a 300 milioni, la­

sciando libertà nehsaggio di interesse, purché non

superi il 2 e mezzo per cento.

4° Non proporremo che sia concesso alle

Banche di emissione di fare riporti, sebbene nulla

vi sia da.tem ereper simile operazione: temiamo

che il Parlamento continuerà ad avere per tale

operazione quel grande orrore che gli ha ispirato

Fon. Maggiorino Ferraris, non sappiamo bene

perchè; ma crediamo che si possa riformare l’ope­

razione delle anticipazioni, sia riducendo la tassa

proporzionale ad una tassa fissa, per esempio di

L . 1.20; sia autorizzando l’anticipazione sui ti­

toli di Stato fino al 5 per cento, meno del valore

di Borsa; e vorremmo che agli zolfi, agli spiriti

ed al cognac, come merci su cui possono essere

fatte anticipazioni, si aggiungessero la ghisa,

l’acciaio, le farine e lo zucchero.

5° Finalmente sottoponiamo agli studiosi il

seguente punto riguardante i limiti della circo­

lazione.

I tre Istituti di emissione sono autorizzati

a tenere una scorta di rendita italiana fino a

113 milioni ; estendendo tale autorizzazione sino

a 200 milioni ad esempio, non si potrebbe au­

torizzare una circolazione eccedente fino al 70 per

cento della rendita di cui gli Istituti fossero pro­

prietari.

Questa circolazione si attaccherebbe al si­

stema delle Banche americane, che ha i suoi in­

convenienti, ma ha anche i suoi grandi vantaggi.

Limitata a 200 milioni questa circolazione po­

trebbe fornire, senza pericolo, un utile esperimento

di un sistema che pure fa eccellente prova al di

là dell’Atlantico.

*

* *

Abbiamo fatta una enumerazione dei prin­

cipali punti che domandano qualche riforma ed

abbiamo cercato di rimanere nei limiti più ri­

stretti ; ma presentate così le proposte, spe­

riamo che dieno luogo ad utili discussioni che

accoglieremo ben volentieri.

(Ina nuova storia della CASA DI $. GIORGIO

Non è propriamente intitolato cosi il lavoro

storico di cui vogliamo, dar notizia. Si tratta della

seconda parte d’ una vasta òpera, chiamata dal

suo autore prof. Enrico Sieveking, studio sulle

finanze genovesi del medio evo, del cui primo vo­

lume parlammo nel nostro numero 4 marzo 1906.

Si è fatta lungamente, aspettare ed ora è com­

parsa da qualche mese la traduzione italiana del

secondo volume, nel quale è svolta la materia

corrispondente alla seconda parte del titolo, che

dice : e in particolare sulla Casa di S. Giorgio. ( 1 )

Rilevammo a suo tempo come le spese in­

genti a cui doveva sobbarcarsi, per sostenere

tante guerre, il Comune di Genova, divenute pos

sibili col crescere delle industrie e dei traffici e

quindi coll’aumento della privata ricchezza, aves­

sero dato luogo a un sistema larghissimo e com­

plicato di prestiti interni, ora volontari ed ora

forzosi ; e come lo Stato si trovasse costretto a

dare la riscossione delle imposte in pegno ai

propri creditori e questi ultimi, organizzati in

sodalizi che vennero poi detti compere, venissero

così ad essere amministratori della più gran parte

del debito pubblico. Verso il 1400, una di tali

compere, che prendeva nome da S. Giorgio, con

sentì a secondare lo Stato nel riordinamento ge­

nerale dei suoi debiti, coll’ assumere il servizio di

tutti i prestiti e con 1’ unificare (mantenendo il

loro nome di luoghi già da un pezzo in uso) i

titoli rappresentativi.

Per siffatte operazioni occorsero non meno

di quattro anni. Tale fu intanto l’ origine della

Casa di S. Giorgio, come organismo che a mano

a mano si fece sempre più vasto, più solido, più

potente. Giunse anzi ad essere uno Stato dentro

lo Stato.

« Ogni governo di Genova doveva giurare

i privilegi alla Casa di S. Giorgio, e se il go­

verno si trovava in bisogno, si rivolgeva ai pro­

tettori ed al consiglio delle compere come ad

un potere indipendente. Entro le mura d’ una città

stavano di fronte 1’ una all’ altra l’organizzazione

dello Stato coi suoi funzionari ed i suoi consigli

e l’ organizzazione dei creditori dello Stato coi

suoi procuratori e il suo consiglio ».

Essa pertanto assumeva una parte delle fun­

zioni dello Stato. Era un organizzazione politica

separata a favore della classe dei capitalisti, nelle

cui mani si concentravano i titoli del debito pub­

blico. Non era però una Società Commerciale, e

a giudizio del Sieveking, che in ciò dissente da

alcuni altri-scrittori, non può venire considerata

come la più antica associazione per azioni.

Di cotesto Istituto una gran parte del vo­

lume descrive la struttura e narra le vicende, le

trasformazioni, l’ influsso esercitato sugli altri or­

gani della cosa pubblica e specialmente sulla

pubblica economia. L ’ analisi storica viene così a

toccare le imposte sulla rendita, le forme della

compra vendita dei luoghi, il valore variabile

della moneta e i vani tentativi per assegnare a

quella d’ oro un costo fisso, il sistema tributario in

genere e in specie quello dello gabelle ; e di cosa

in cosa, vengono esaminate le condizioni dell’ in­

dustria e del commercio, la politica dei viveri, e

via dicendo.

E ’ importante notare come la Casa di S.

Giorgio esercitasse la propria azione anche nelle

Colonie. A d essa lo Stato, sempre a corto di de­

naro, dovette successivamente cedere, contro an­

ticipi di somme, la loro amministrazione. Ciò non

(5)

costituiva sempre un vantaggio, spesso soltanto

un minor male, affinchè pei creditori dello Stato,

dei quali la Casa era rappresentante, non andas­

sero perduti i redditi che le colonie potevano

fruttare, consistenti specialmente nei dazi. L ’ au­

tore qui espone il sistema amministrativo rispet­

tivamente seguito per la Corsica, pel Tauro, per

Cipro, per Caffa, per gli scali del Mar Nero.

Istituisce quindi un confronto caratteristico tra

la politica coloniale di Genova e quella di Venezia.

Trova poi alquanta analogia, pur non senza pa­

recchie diversità, tra la Casa di S. Giorgio, quale

signora delle colonie, e la Compagnia inglese delle

Indie Orientali.

La casa di S. Giorgio è stata spesso chia­

mata anche Banca o Banco di S. Giorgio. Pro­

babilmente ciò proviene dall’ avere essa compreso

tra le sue forme di attività, dal 1408, fino al

1444, anche le operazioni bancarie vere e proprie.

Non ci è possibile qui riferire come e perchè

siffatto nuovo indirizzo le riescisse dannoso e met­

tesse a repentaglio la sua solidità. E ’ solo da no­

tarsi che alla fine del suindicato periodo ebbe a

rinunziarvi, per tornare al proprio originario uf­

ficio, cioè all’ amministrazione del debito pubblico.

Riprese poi l’ esercizio bancario, entro certi limiti,

nel 1586, tantoché servì di modello per la fon­

dazione della Banca Ambrosiana a Milano. A

proposito di che, viene dall’ Autore minutamente

analizzata la diversa indole dei due Istituti. Del

resto sono frequentissimi e accurati anche i con­

fronti tra quello di Genova ed altri dell’Europa

settentrionale (Germania e Olanda) che gli furono

in certo modo analoghi, non mai interamente, ma

non di rado sotto alcuni rispetti.

È innegabile che la Gasa di S. Giorgio, nel

corso dei tempi, rese preziosi servigi allo Stato

genovese. Sagace amministratrice la prima, mentre

il secondo non era tale sia per indole propria, sia

perchè di continuo agitato da fazioni interne e

spesso impegnato in qualche guerra, essa potè

sempre fornirgli quei mezzi pecuniari di cui abbi­

sognava e di cui gli erano venute sempre più

a scarseggiare le sorgenti. Ma ogni più bella me­

daglia ha il suo rovescio. Allo Stato rimanevano

pochi mezzi, perchè aveva dovuto cedere ai propri

creditori, rappresentati dalla Casa, la riscossione

di tutti i dazi e di tutte le imposte, o quasi.

Per ogni necessità ricorreva a lei, che lo sovve­

niva con grosse somme, ma essa non prestavo

servizi disinteressati ed ogni volta si faceva con­

fermare i privilegi ottenuti e ne acquistava di

nuovi, consolidando sempre più la propria posizione.

Siffatto andamento di cose suggerisce al Sie-

vekino- un altro interessante parallelo tra V e ­

nezia e Genova. Con tutti gli occorrenti particolari

egli dimostra come Venezia lavorasse alacremente

per la graduale estinzione del debito pubblico :

cosa sempre consigliabile in tempi tranquilli, per

mantenere alto il credito di uno Stato in caso di

complicazioni politiche ed (economiche e per gio­

vare frattanto ai contribuenti delle imposte ; una

cosa per lo più vista di mal occhio dai creditori

dello Stato, che vorrebbero conservata questa ot­

tima forma d ’ impiego dei loro capitali. A Genova

i contribuenti non poterono far prevalere il loro

interesse su quello dei creditori dello Stato, che

costituivano una importante plutocrazia.

Per abbattere un Istituto più volte secolare

e così solidamente piantato, non ci voleva meno

della Rivoluzione francese,. propagatasi anche in

Italia, che nel 1797 dette luogo alla formazione

della nuova repubblica ligure. Dichiarata la sua

giurisdizione incompatibile colla sovranità del

popolo, la Casa fu abolita, poi ripristinata nel 1804,

poi nuovamente disciolta nel 1805 quando da Na­

poleone fa annessa la Liguria alla Francia. Ca­

duto Napoleone e ricostituita la repubblica ligure,

venne pure ricostituita l’organizzazione dei cre­

ditori dello Stato, ma restò liquidata definitiva­

mente quando, coll’ annettersi Genova, il Regno

di Sardegna ne assunse anche i debiti.

Nella prefazione premessa al volume l’ A u­

tore, tra l’ altro, scrive : « I miei amici genovesi

rimarranno certamente in parte disillusi, se il

mio lavoro distruggerà in alcuni punti l’aureola

di cui la tradizione aveva circondato San Gior­

gio. Essi devono però riflettere sui gravi danni

sociali di cui la Casa di S. Giorgio fu l’espres­

sione, e allora potranno rendersi ragione del come

la rivoluzione francese potè d ’ un tratto soppri­

merla. Se questo istituto avesse posseduto tutte

le eccellenti qualità che la tradizione gli attri­

buisce, sarebbe incomprensibile come il commer­

cio genovese avesse potuto fare a meno della

Casa, e che nulla sia stato fatto per rimetterla

in piedi quando le condizioni politiche ricevettero

uno stabile e sicuro assetto ».

Non è però da credersi che il Sieveking di­

sconosca 1’ importanza massima, e inoltre meri­

tata, che l’ Istituto, di cui narra con documenti

la storia, ebbe sempre nella vita gloriosa di G e­

nova. Prescindendo dall’ osservare eh’ egli non lo

avrebbe, in tal caso, fatto oggetto d’ uno studio

tanto coscienzioso e profondo, basta spigolare tra

le considerazioni da lui esposte nell’ ultimo capi­

tolo del libro.

« Lo Stato moderno potè sopprimere forzo­

samente questa organizzazione troppo privilegiata,

facendo entrare il suo ufficio nella sfera dell’ am­

ministrazione della pubblica finanza. Però il te­

soro della esperienza tecnologica, accumulato dalla

Casa di S. Giorgio attraverso i secoli, non andò

perduto. Uno dei suoi ultimi direttori, il conte

Luigi Corvetto, ne trasse profitto, come ministro

delle finanze, nel riordinamento delle finanze

francesi ».

E più sotto: « Siccome l’ essenza della Casa

di S. Giorgio non era in armonia collo Stato mo­

derno, doveva necessariamente cadere anche tutto

quello di buono che essa aveva fino allora recato.

Non è però senza importanza notare che lo svi­

luppo in materia bancaria della moderna Italia

ha le sue radici a Genova. Alcune banche di

recente istituzione di Genova presero il nome

della Banca di S. Giorgio e la Banca nazionale

nel Regno, fondata a Genova nel 1844, diventò

il massimo istituto bancario del nuovo regno ».

E per ultimo : « Queste organizzazioni, alle

quali, come ai monti e alla Casa di S. Giorgio,

si univa una serie di operazioni capitalistiche,

saranno sempre degne di essere ricordate come

precursori della società moderna ».

(6)

LA GERMANIA MODERNA

(S U A . E V O L U Z I O N E )

Abbiamo accennato, nel precedente fascicolo,

alla Introduzione e al libro primo, relativo alla

Evoluzione sociale della Germania, dell’ottimo vo­

lume di Henri Lichtenberger sulla evoluzione della

Germania moderna.

Il libro secondo è dedicato alla Evoluzione

politica germanica.

Questa, unitaria e imperialista nel seco­

lo X I X , tende a realizzare l’ unità politica, a

restaurare da capo l’ Impero e poi a sviluppare

la sua organizzazione nel senso unitario.

Nel 1815, all’ indomani dei trattati di Vienna,

non vi è in Germania nè unità nè libertà. Era

questa la resultante normale di uno stato di fatto

contro il quale gli auguri dei patriotti non potevano

niente.

La Germania restava, in fatto, profonda­

mente particolarista. I principi non volevano una

unità che rischiava di compromettere la loro so-

vranità.

E come la Prussia e l’Austria si facevano

equilibrio, nessuna potenza era abbastanza forte

per imporre la sua egenomia in Germania. L ’Au­

tore esamina a fondo questa situazione: esamina

la condizione della Prussia da un lato che si

sforza di accrescere più che può la sua sfera d ’ in­

fluenza ; quella dell’Austria, d’altra parte, che

cerca mantenere la sua egemonia tradizionale e

a portare i principi germanici nell’orbita della

sua politica: e tra le ambizioni rivali delle due

grandi potenze, i principi germanici manovrano

meglio che possono per salvaguardare la loro in­

dipendenza.

Dopo questa situazione, comincia, alla prima

metà del secolo X I X , la lotta per l’ unità, che si

confonde con la lotta per la libertà politica e

presenta un carattere altamente idealista.

I partiti che si costituiscono in questo mo­

mento in Germania combattono meno per la con­

quista del potere o per la realizzazione delle ri­

forme pratiche nettamente definite, che per il

trionfo d ’ una dottrina morale, una specie di reli­

gione politica.

L e prime aspirazioni alla unità germanica

sono idealiste: si formano primieramente presso

la classe intellettuale della Nazione e si mostrano

strettamente associate a considerazioni letterarie

o filosofiche. E Fichte apparisce come il tipo ca­

ratteristico di questi unitari della prima ora: se­

condo lui, la patria germanica è costituita dalla

universalità degli uomini che usano la lingua ger­

manica, che partecipano alla cultura filosofica, let­

teraria e religiosa, nata presso popoli di lingua

germanica. L a Germania è un popolo primitivo,

che crede alla libertà, alla perfettibilità indefi­

nita, al progresso eterno della razza umana.

L ’ unità germanica è essenzialmente agli occhi

di Fichte, una unità morale: l’ unità politica gli

appare come inutile: egli considera la divisione

della Germania in Stati indipendenti còme una

garanzia di libertà: e solo quando la libertà si

sarà realizzata dagli Stati germanici particolari,

allora solamente si potrà costituire una R epub­

blica germanica, senza principe ereditario nè Casa

sovrana.

L ’ Autore nostro confuta la teoria di Fichte :

indi segue il movimento politico germanico fino

al 1840, verso il quale anno in seno al partito

liberale si disegnò un duplice movimento : e cioè

nazionalista e unitario da un lato, radicale dal-

l’al tro.

Nel 1848 la Rivoluzione francese è seguita

tosto da una conflagrazione generale, da un mo­

vimento rivoluzionario, il quale pose capo alla

riunione del Parlamento di Francoforte, di cui

la convocazione e l’ organizzazione sono prepa­

rate dal popolo medesimo.

Il Parlamento trovò ostacoli. nella difficoltà

di trovare una soluzione che permettesse di con­

ciliare gli interessi divergenti che si trovavano

presenti. Esso cercò la formula della unità g e r­

manica con una sincerità, e un fervore e una

buona fede rispettabile ; e credè — pericolosa il­

lusione — che, trovata la formula, l’ unità fòsse

stata raggiunta.

L ’ Autore traccia poi le linee della fonda­

zione dell’ unità germanica durante la R ivolu ­

zione del 1848-49, che da idealista diviene com­

pletamente realista e pratica: determina i punti

principali di questo periodo, accenna alla teoria

del Principe di Bismarck ; il tipo tutto partico­

lare dello statista germanico che volle « con una

violenza di passione inaudita » il potere per lui,

pel suo partito, pel suo paese, per la sua razza.

Henri Lichtenberger passa alla guerra del

1870 e ai suoi effetti sulla politica germanica,

indi entra a pax-lare dell’ Impero germanico e

della sua politica estera. La Germania è giunta

alla sua unità, non in virtù di una decisione del

popolo, ma grazie alla indomabile volontà della

potenza dello Stato prussiano. L o Impero era

restaurato, e da allora la Germania divenne sin­

ceramente pacifica : le guerre precedenti consi­

gliarono lunghi anni di tranquillità alla Germania,

per digerire le sue conquiste, per organizzarsi

all’ interno, per sviluppare la sua industria.

Ma conveniva mantenere questa situazione

conquistata colla forza, tenendo in rispetto gli

avversari.

E qui l’ Autore esamina lungamente i rap­

porti della Germania coi singoli paesi esteri, lo

sviluppo crescente e continuo della sua influenza

in Europa, la trasformazione del carattere dello

stato germanico in nazionale: la politica germa­

nica tende non più all’ Impero germanico reale e

concreto, ma alla universalità della Germania e

degli interessi germanici : tende a favorire l’e-

spansione germanica sotto ogni suo aspetto.

(7)

della missione sociale che gli incombe: si apre

un’era di rilorme sociali, un miglioramento delle

condizioni dei lavoratori, un’evoluzione nuova in­

somma, che diviene intensa nel 1890, e che sembra

possa bene interpretarsi come un sintomo inte­

ressante della evoluzione generale dove oggi la

Germania si trova impegnata.

Continua.

R

i v i s t a

B

i b l i o o r a h c a

P r o f A . A s tu r a r o - La sociologia, i suoi me­

todi e le sue scoperte. — Genova, libreria

Moderna, 1907 pag. 357 (L . 5).

Questo lavoro del prof. A . Asturaro ha già

dato luogo, quando fu pubblicato molti anni or

sono nella prima edizione, a molte discussioni,

parendo a molti che l’ Autore esagerassse nel de­

lineare i confini della sociologia e nella soverchia

funzione al metodo di studio, cosi da sopraffare la

sostanza stessa della scienza.

Tuttavia non si può negare che il metodo

ha una grande importanza specialmente se si

tien conto che occorre precisare se le scienze so­

ciali possono avere un metodo loro proprio nello

studio dei fatti.

Questo volume non contiene che una dis­

cussione sui « Metodi generali » il che costi­

tuisce la l a sezione della l a parte della intera

opera. Dopo alcune idee generali, l’ Autore studia

i sistemi di Comte e di Spencer, i metodi gene­

rali nella biologia e nella psicologia. Ed avendo

sin da principio l’Autore divise le scienze in fon­

damentali e derivate,

dimostra la sociologia

essere una scienza derivata. Analizzando poi i

metodi deduttivo e induttivo in sociologia si pro­

nuncia per quello « deduttivo e progressivo » cri­

ticando i diversi concetti ed esaminando le rela­

tive obiezioni. Termina il volume una classiiicazione

della sociologia umana.

Lo stile un po’ esuberante dell’Autore toglie

alquanto di efficacia alle sue dimostrazioni, che

però hanno l’ impronta, non solo della dottrina,

ma anche del profondo convincimento con cui

sono esposte le teorie che formano la base del

lavoro.

P r o f. D r. F e rd in a n d B a u m g a rte n u n d P . A r ­

th u r M e s s lè n y - Kartelle und Trusts. —

Berlin, Otto Liebmann, 1906 pagg. 362

(M. 8.50).

Gli Autori avvertono che, mentre la lettera­

tura economica e la pubblica opinione in Ger­

mania si occupano frequentemente di Trusts e

e di Kartelle da differenti punti di vista, manca

uno studio completo teorico di tale materia, si

propongono quindi gli Autori di riempire tale

lacuna e di esporre scientificamente l’argomento,

analizzandolo in tutte le sue parti.

Perciò, dopo una breve prefazione, vengono

a trattare ’in via generale dei Trusts e dei K ar­

telle nelle loro origini, nei rapporti col prote­

zionismo e colla scienza economica; analizzano

quindi la classificazione dei Kartelle e dei Trusts,

i metodi con cui si creano e le loro diverse specie ;

successivamente danno conto del loro movimento

in Germania, in Austria-Ungheria, negli Stati

Uniti, e di quelli internazionali. Un capitolo, il

quarto, è dedicato allo studio della influenza dei

Kartelle e Trusts nella produzione, nell’ intrapresa,

nelle posizione dei lavoratori, nel commercio, nel

consumo e nei prezzi.

Interessantissimo, perchè approfondito, il quinto

capitolo tratta della posizione dei Kartelle e dei

Trusts di fronte al diritto nei vari Stati; final­

mente l’ ultimo capitolo cerca e dà una soluzione

del problema.

Segnaliamo questo volume come un trattato

completo sulla interessante materia meritevole di

favorevole giudizio.

G e o r g S im m e l. - Schopenhauer und Nietzsche.

—-Liepzig, Duncker et Humblot, 1907, pag. 260

(M. 4.20).

Ci limitiamo a dare un cenno di questo la­

voro, irto di osservazioni ed analisi filosofiche;

riesce difficile tra le complessità del pensiero dei

due filosofi discernere ciò che a loro veramente

appartenga e ciò che l’Autore, in perfetta buona

fede, loro attribuisce. Quando si arriva a certe

sottili sfumature della idea, l’ afferrare chiaramente

il concetto diventa soverchiamente laborioso ; e

gli sforzi dell’Autore per sviscerare il pensiero

dei due scrittori, riescono, è vero, a rendere più

facile la concezione delle loro teorie, ma lascia

dubitare che una parte almeno degli schiarimenti

sieno idee e concetti del commentatore.

Ad ogni modo l’Autore prima ricerca la po­

sizione di Schopenhauer e di Nietzsche nella storia

dello spirito; e quindi espone la teoria della vo­

lontà del Schopenhauer, la metafisica del vo­

lere, il pessimismo, la metafisica dell’arte, ed in­

fine la morale e la indipendenza del volere; quindi

passa alle dottrine del Nietzsche: il volere della

umanità e la decadenza, e la morale dei culti.

J.

RIVISTA ECONOMICA E FINANZIARIA

R London County Council ha pubblicato

un volume di statistiche concernenti

le condi­

zioni demografiche di Londra.

Da tali statistiche risulta che la popolazione

della Contea di Londra, propriamente detta, am­

monta a 4,758,217 abitanti, mentre quella della

metropoli intera della « Grandissima Londra »

come viene chiamata, ammonta a 7,217,939 abi­

tanti, il che corrisponde ad un sesto circa della

popolazione dell’ intero Regno Unito.

La quota di nascite in Londra è del 27 per

mille, mentre quelle della mortalità è del 15.58

per mille. I poveri della Contea ammontano nor­

malmente a 150,000, dimoranti nelle Workhouses,

ed in altre istituzioni del genere.

(8)

migliaia di depositi'ove vini e liquori possono es­

sere comperati al dettaglio, ma non consumati

sul posto.

Nell’ interno di Londra si trovano 666 miglia

di ferrovie ed un totale di 585 stazioni ferroviarie

per passeggieri ; inoltre sono in esercizio 2964

omnibus a cavalli e 783 owmf&MS-automobili. Il

numero totale dei passeggeri trasportati nel-

P interno di Londra, dui-ante il 1905, fu di

1,074,505,420.

Nel porto di Londra entrarono durante lo

stesso anno 27,323 navi con una portata di

17,602,315 tonnellate. Londra ha pagato allo Stato

in contribuzioni dirette, sterline 22,470,300 e cioè

il 18 per cento del reddito totale che dalle im­

poste si ricavano nel Regno Unito.

Nelle scuole di Londra si accolgono 721,773

allievi, con una frequenza annuale dell’ 88 per

cento.

Londra è governata oltre che dal County

Counc.il da 101 corpi elettivi dei quali fanno parte

3,783 membri.

Esistono in Londra 56 teatri propriamente

detti, 48 music-halls e 348 locali adibiti a pub­

blici divertimenti di vario genere.

Le stazioni dei pompieri ammontano a 112

e sono servite da 1313 uomini. Durante il 1905

si ebbero in Londra 5676 incendi.

Secondo le statistiche sembra che P età ma­

trimoniale dei giovani londinesi sia particolar­

mente quella dei 25 anni, mentre il maggior nu­

mero di ragazze si marita a 21 anni. Durante

il 1906 due ragazze di 15 anni si sono sposate,

una si è maritata con un uomo di 25 anni e

P altra uno di 35 anni, Il numero totale dei ma­

trimoni fu di 39,658 con una diminuzione del 2

per mille in confronto della quota data dai ma­

trimoni nell’ anno precedente.

Le nascite furono 126,559 mentre le morti

furono 73,002. Per P eccesso delle nascite sulle

mortalità e per P alluso immigratorio dalle cam­

pagne, da altre città, o dall’ estero, la popolazione

di Londra aumenta in ragione di 110,000 per­

sone all’ anno.

La Direzione della polizia metropolitana ha

poi pubblicato un rapporto sul lavoro che tale or­

ganizzazione ha compiuto.

Il rapporto mostra che durante il 1906 sono

stati impiegati nel distretto metropolitano 17,743

policem en, ai quali vennero pagati, complessiva­

mente, in salari, sterline 1,5268,75.

Il numero degli arresti compiuti fu di 119,897.

Furono identificati, col sistema delle impronte delle

dita, 7,776 delinquenti. Yennero applicate 4,65(1

multe a conduttori di automobili ed omnibus a

motore, in conseguenza di contravvenzioni ai re­

golamenti di polizia circa la velocità, il rumore,

la perdita di grassi o di materie infiammabili, etc.

Gli accidenti che si ebbero a deplorare nelle

strade ammontarono a 14,060, dei quali 312 con

esito fatale.

I policemen feriti nell’ esercizio delle loro fun­

zioni ammontano a 2491. I suicidi commessi in

Londra furono 642, mentre 12,695 persone scom­

parvero senza lasciare traccia alcuna.

— L ’ Ufficio Austriaco di statistica del la­

voro ha eseguito una inchiesta sull’

orario di

lavoro degli stabilimenti industriali in Au­

stria.

L ’ inchiesta venne condotta per mezzo di

ispettori del lavoro mediante quistìonari distri­

buiti ai singoli stabilimenti nel marzo aprile 1906.

Nel Maggio 1906 esistevano in Austria 12.594

stabilimenti in cui erano occupati 1,037,601 operai,

cioè 729,920 uomini (39,673 non ancora sedicenni),

e 308,681 donne (26,579 non ancora sedicenni).

Fra le industrie erano in prevalenza le tes­

sili, le alimentari, quello della pietra, dei metalli,

delle macchine.

Negli stabilimenti ad esercizio continuo erano

occupati 16,285 operai, in quelli ad esercizio non

continuo 763,633, negli stabiliménti poi ad eser­

cizio parte continuo e parte discontinuo erano

occupati 257,683 operai.

Negli stabilimenti e riparti ad esercizio di­

scontinuo erano occupati 930,930 operai: di essi

1’ 8.8 per cento avevano un orario di 8 ore o meno,

il 45.9 per cento da 9 a 10 óre, il 43.8 per cento

da 10 a 11 ore, e 1’ 1.5 per cento avevano un

orario di oltre 11 ore o indeterminato.

Lo condizioni di orario sono peggiori per le

donne : mentre fra gli uomini il 10.4 per cento

hanno un orario di 9 ore o meno ; il 46.3 per cento

da 9 a 10, e il 41.6 per cento da 10 a 11, per

le donne le aliquote sono rispettivamente di 5.5

per cento, 42,2 per cento, e 48.5 per cento.

L e condizioni migliori di orario si trovano

nei distretti di Trieste, Vienna, Praga e Graz :

le condizioni peggiori si trovano invece nei di­

stretti di Gorizia, Feldkirch, Troppau. Il 3.3 per

cento dei lavoratori hanno un orario inferiore a

9 ore. L ’ orario massimo legale di 11 ore è sta­

bilito solo per 160,381. Orari superiori a 11 ore

o irregolari sono rari.

In singole industrie i lavoratori più qua,;fi-

cati hanno generalmente un orario più breve.

Nelle grandi città si hanno condizioni di orario

migliori che nei minori centri.

Il numero dei lavoratori occupati

di

giorno

e

di

notte è 148,304

di

cui 136,731 uomini e

11,573 donne :

i

lavoratori non ancora

sedicenri

occupati

di

notte sono 5222.

RASSEGNA DEL [O I D I O INTERNAZIONALE

Il commercio dell’ Algeria. — Il valore

complessivo degli scambi dell’Algeria con la Fran­

cia, i paesi del protettorato e 1’ estero ascese nel

1906 a fr. 667.635.000, di cui fr. 389.054.000,

d’ importazione e 278.581.000, d’ esportazione.

In confronto del 1905 si verificò un aumento

di fr. 5.167.000 nell’ importazione, 49.818.000 neì-

l’ esportazione e 54.985.000 nell’ insieme degli

scambi.

(9)

Vengono poi i vini per un valore di fr. 9.743.000,

i legumi freschi per fr. 3.175.000 : i mandarini

per fr. 1.008.000, i fichi per franchi 3.315,000,

gli olii d’ oliva per fr. 7.161,000, le patate per

fr. 2.463.000, le uve fresche per fr. 1.992.000, ecc.

L e materie minerali sono in aumento di 4

milioni sull’ anno scorso, e le materie animali di

3.891.000.

Principale- fornitore e cliente dell’ Algeria è

naturalmente la Francia. Essa vendette nel 1901!

all’Algeria per fr. 342 milioni, e comprò da essa

per 259 milioni, con aumento, riguardo al 1905,

di 15 milioni nella vendita e di 43 nella compera.

Dopo la Francia, vengono l’ Inghilterra, le

Colonie francesi ed i paesi del protettorato, il

Belgio e la Germania, con le seguenti cifre com­

prendenti l’ importazione e l’ esportazione :

Inghilterra fr. 21.256.000; Colonie francesi

16.878.000; Belgio 11.269.000; 10.146.000 Ger­

mania.

Ma tutti questi paesi comprano in Algeria

assai più che non v i vendano.

Il commercio dell’Argentina. — Durante

il primo semestre del 1907 le importazioni della

Repubblica Argentina si sono eie vate a 130.561.685

dollari d’ oro contro 117.508.881 dollari d’ oro pel

primo semestre 1906; a 185.434.453 dollari d’oro

le esportazioni, sulle importazioni la Grande Bre­

tagna ha contribuito per 46.173.241 dollari d’ oro,

la Germania per 26.037.876 dollari d’oro e gli

Stati Uniti per 17.022.139 dollari d’ oro.

Il commercio della Spagna. —- Le im­

portazioni in Spagna durante gli otto primi mesi

del 1907 si sono elevate a 623,549,572 pesetas

contro 682,715,555 degli otto mesi corrispondenti

del 1906. Le esportazioni, nello stesso periodo,

sono giunte a 579,069,710 pesetas di fronte a

574,758,156 del 1906. Gli introiti doganali dal

1° gennaio al 31 agosto 1907 sono stati di

146,916,761 pesetas, con un maggior valore di

22 milioni sulle previsioni del bilancio.

Ecco come si decompongono tali cifre :

Importazione (pesetas) 1907 1906 Materie prime Articoli fabbric. Prodotti alim. 318,764,415 187,720,355 114,205,845 284,155,772 206,687,415 187,903,673 Oro Argento 620,690,618 589,650 2,269,304 678.779,910 207,250 3,728,395 613,549,572 682,715,555 Esportazioni. Materie prime Articoli fabbric. Prodotti alim. 250,751,413 147,587,400 170,193,433 245,389,745 156,491,724 179,470,681 Oro Argento 568,832,236 89,584 10,147,890 571,351,550 135,040 3,271,566 579,069,710 574,758,156

Il commercio dell’ Inghilterra, — U

Board o f Trade pubblica le statistiche delle im­

portazioni e delle esportazioni del Regno Unito,

durante il mese di settembre ultimo scorso.

Le importazioni salirono a 45,341,276 sterline

con un aumento di 281,441 sterline, in confronto

del settembre del 1906.

Le esportazioni salirono a 35,156,320 sterline,

con un aumento di 4,631,167 sterline in confronto

dell’ anno precedente.

Le maggiori importazioni si ebbero per i

commestibili, le bevande e il tabacco ; le espor­

tazioni per le navi, costruite in Inghilterra e

vendute all’ estero, le macchine, gli utensili elet­

trici, il ferro e 1’ acciaio presentarono aumenti

rilevanti ; la esportazione del carbone è salita da

sterline da 2,685,361 a 3,779,592 sterline. Ecco

le cifre del commercio particolare del settembre :

Importazioni

Valore Diff. 1906 Prodotti alim. 20,265 + 342 Materie e artic. manif. 13,215 + 62

Artic. manif. 11,668 164 Diverse 196 + 41 45,341 4- 281 Esportazioni Valore Diff. 1906 Prodotti alim. 3,327 | 188 Materie e artic. manif. 4,852 -f- 1,213 Artio. manif. 27,510 -j- 3,227

Diverse 467 -f- 2

35,156 + 4,630

Durante i primi nove mesi del 1907 le im­

portazioni ammontarono ad un totale di 475,744,838

sterline con un aumento di 32,129,083 sul corri­

spondente periodo del 1906 ; le esportazioni alla

loro volta nei primi nove mesi dell’ anno corrente,

ammontarono a sterline 319,281,164 con un au­

mento di sterline 41,226,019 sulle cifre dell’ anno

precedente.

Il commercio deH’Austria-Ungheria. —

Da una nota statistica del Ministero di commercio

sul commercio esterno del territorio doganale

austro-ungarico, le importazioni durante il mese

di agosto, sono state di 171 milioni di corone, e

le esportazioni si sono elevate a 198,300,000, di

guisa che il bilancio è stato favorevole all’ Austria

Ungheria di 27,300,000 corone.

Il commercio dell’ Egitto. — L e impor­

tazioni totali in Egitto, dal 1° gennaio al 31

agosto 1907, si sono elevate a 16,416,068 lire

egiziane e le esportazioni a 15,356,338 lire egi­

ziane, contro 14,360,868 lire egiziane e 12,734,575

lire egiziane, rispettivamente per il periodo cor­

rispondente al 1906.

La logge ungherese sella manna loeuantile

Continuiamo a riportare questa importante legge un­ gherese :

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