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UNIVERSITA DEGLI STUDI DELL AQUILA

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Academic year: 2022

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELL’AQUILA

Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente

CORSO DI LAUREA IN OSTETRICIA

Presidente: Chiar.ma Prof.ssa Angela D’Alfonso

Nasce una madre: aspetti psicologici e sociali in gravidanza, parto e puerperio.

STUDENTESSA RELATRICE

Claudia Fiordigigli Chiar.ma Prof.ssa A. D’Alfonso

A.A. 2019/2020

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Al mio Blu.

Ai miei nonni.

A Bruce.

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Indice

-Introduzione….………...………..…p.3

-Capitolo1

La gravidanza………...………...p.5

-Capitolo2

Il parto….…………..………..p.22

-Capitolo3

Il puerperio………..………p.36

-Conclusioni……….…...……….p.61

-Bibliografia……….p.64

-Ringraziamenti………...…….p.66

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Introduzione

Si sente spesso dire che la maternità sia una questione di istinto e, per parecchio tempo, è stata considerata come il momento di massima realizzazione per una donna, è stata a lungo simbolo cardine della femminilità e si è creduto, inoltre, che lo stesso aumento fisiologico degli ormoni in gravidanza avesse un ruolo protettivo nei confronti della donna. Chi tra noi non ha mai dato per scontato che una donna in gravidanza sia felice o debba esserlo per l’imminente arrivo del nascituro? La gravidanza, tuttavia, non viene vissuta da tutte le donne nello stesso modo: essa, infatti, può arrivare nel momento giusto, troppo presto o troppo tardi, dopo tanti tentativi, può essere desiderata o non programmata, può avvenire senza che si abbia un partner stabile, si potrebbe essere soli in un paese straniero o in difficoltà economiche. Questi fattori influenzano il proprio modo di vivere la gravidanza e le emozioni conseguenti e, a seconda del proprio vissuto, possono emergere soprattutto sensazioni positive di gioia e speranza, o emozioni negative durature ed intense di ansia o tristezza. Tuttavia, anche nelle situazioni in cui l’evento è desiderato e rappresentato positivamente nella propria mente, possono alternarsi figure positive e negative, gioie ed ansie, speranze e delusioni. In una modernità dove predomina la tecnologia si sta perdendo il sapore della nascita, del suo percorso emozionale, della sua funzione importante per gli effetti duraturi su corpo e psiche della persona che nasce e per la salute psicofisica della

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psichici durante i nove mesi di gestazione e, dopo che ha vissuto la magia della gravidanza e il mondo l’ha circondata di mille attenzioni, una volta partorito si trova sobbalzata in una dimensione parallela e nuova, che richiede un’ulteriore preparazione.

Mutamenti ormonali, stanchezza e pressioni esterne non facilitano l’essere madri serene. L’allattamento al seno, l’essere in grado di nutrire il proprio figlio, è un altro compito che grava sulla madre in maniera importante e la buona riuscita o meno può incidere sul benessere psichico della donna. In generale la gestione della cura del piccolo è complessa. Questa tesi si propone di riportare l’attenzione sull’essenza della nascita ma, soprattutto, su quello che è in gioco a livello profondo per la donna, per la madre, parlando della dimensione umana, fisiologica e sociale che si sviluppa durante tutto il lungo percorso pre e post nascita. Suddividendola in tre capitoli si cercherà di illustrare i diversi aspetti psicologici e sociali con i quali la donna andrà a scontrarsi rispettivamente durante gravidanza, parto e puerperio.

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Capitolo 1 La gravidanza

‹‹GRAVIDANZA: La condizione (detta anche gestazione) della donna, e in genere delle femmine dei mammiferi, nel periodo che va dall’inizio del concepimento al parto (o comunque all’espulsione del feto), e la durata stessa di tale periodo.››1 Senza alcun dubbio possiamo affermare che la gravidanza è un evento fondamentale nel processo maturativo della donna: la modificazione dello schema corporeo, i cambiamenti della propria femminilità, la ridefinizione delle posizioni all’interno del sistema familiare comportano una non semplice destrutturazione e ridefinizione del senso di identità. Se da un lato oggi la decisione di diventare madre è passata da destino ineludibile di un tempo dove la capacità generativa rappresentava l’essenza della femminilità, nonché l’unica via per la realizzazione femminile, a progetto desiderante, dall’altro porta la donna a dover imparare a destreggiarsi nei diversi ruoli con delle conseguenti nuove difficoltà. Secondo la psicoanalista Therese Benedek, la gravidanza si può considerare un ‹‹evento di origine psicosomatica durante il quale è importante la modulazione psicologica ed emozionale sugli eventi somatici››2; la psicoanalista Bibring, invece, introduce il concetto di “crisi

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infantili principalmente legati alle prime relazioni ed identificazioni con la figura materna. Tali conflitti trovano in questa fase una risoluzione che implica una rielaborazione delle proprie esperienze fino ad arrivare all’acquisizione di un livello di integrazione più maturo; questi profondi mutamenti, che avvengono in un così importante periodo della vita di una donna, potrebbero essere paragonati alle altre due fasi critiche dello sviluppo femminile, ossia pubertà e menopausa. La vita di una donna è infatti caratterizzata da cosiddette “crisi ormonali” e tutte queste fasi di labilità ormonale ed emozionale portano ad inevitabili cambiamenti nella vita, a trasformazioni;

questi stessi eventi possono essere sia fonte di grande forza, gioia ed espressione della parte più autentica della donna, sia fonte di grande stress ed ansia, sofferenze, traumi e blocchi. Durante la gravidanza gli ormoni che intervengono possono essere considerati una grandissima risorsa biologica, essenziali per attivare i necessari processi di adattamento sia fisici che psicologici, o essere pensati come vie di comunicazione tra corpo e mente. In questo periodo così delicato è fondamentale il corretto equilibrio tra i vari ormoni coinvolti, prodotti in un primo momento dalle ovaie e, successivamente, dalla placenta: essi, infatti, mantengono le giuste condizioni affinché tutto si concluda al meglio sia per la madre sia per il nascituro. Gli ormoni entrano in gioco fin dai primi istanti della gravidanza: è infatti la gonadotropina corionica umana che, innescata dalla fecondazione dell'ovulo, "avvisa" il corpo di prepararsi alla gravidanza. D'altra parte è ovvio che, subito dopo il concepimento, l'embrione debba avere modo di comunicare all'organismo materno la sua presenza, in modo che questo possa “organizzarsi” di conseguenza. Il compito principale della gonadotropina corionica è tuttavia un altro, e cioè quello di regolare i livelli di altri due ormoni fondamentali: l'estrogeno ed il progesterone. Livelli elevati di progesterone sono richiesti durante tutta la gravidanza.

Nelle prime settimane dell'attesa il progesterone è prodotto dal corpo luteo, una ghiandola endocrina temporanea che deriva dai resti del follicolo ovarico dopo la sua rottura, e consente un normale svolgimento della gravidanza. In particolare questo ormone:

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 aumenta il flusso sanguigno verso l'utero;

 stimola la mucosa interna dell'utero (endometrio) a produrre nutrienti per l'embrione;

 stimola l'endometrio a sviluppare la decidua, che rappresenta il punto di contatto tra l'utero e il tessuto embrionale che costituirà la placenta.

Una volta formatasi la placenta poi, sarà quest'ultima a produrre progesterone convertendo il colesterolo presente nel sangue materno grazie al trofoblasto, un tipo particolare di tessuto della placenta. Tra la sesta e la nona settimana di gravidanza la produzione di progesterone passa completamente dalle ovaie alla placenta, e giunti a questo punto il progesterone si arricchisce di nuovi compiti:

 controlla il regolare sviluppo del feto;

 previene la contrazione dei muscoli dell'utero prima dell'inizio del travaglio;

 impedisce la lattazione prima del parto;

 rinforza i muscoli della parete pelvica.

Tutte queste importantissime attività svolte dal progesterone, però, necessitano degli estrogeni che ne stimolano sia la produzione sia la funzionalità. Anche gli estrogeni sono prodotti prima dal corpo luteo e poi dalla placenta o, meglio, da quella che gli specialisti chiamano unità feto-placentare. In pratica: il feto produce un ormone chiamato estriolo che, dopo il passaggio alla placenta, viene trasformato in altri estrogeni. Anche i livelli di questi ormoni crescono fino alla nascita e i loro effetti sono diversi:

 mantenimento, controllo e stimolazione della produzione di altri ormoni della gravidanza;

 contributo al corretto sviluppo di molti organi del feto (polmoni, reni, fegato);

 stimolazione della crescita e del corretto funzionamento della placenta;

 preparazione del tessuto mammario all'allattamento.4

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Elevati livelli di progesterone ed estrogeni sono importanti per la gravidanza, ma possono anche essere causa di qualche effetto collaterale di questo momento, come i cambiamenti d'umore che possono caratterizzare soprattutto le prime settimane della dolce attesa, quando l'organismo materno si sta ancora abituando ai cambiamenti endocrini in corso. Anche le tipiche nausee della gravidanza potrebbero avere una causa ormonale, anche se non è mai stato chiarito definitivamente che cosa le provochi; in ballo potrebbero esserci cambiamenti nei livelli di estrogeni, progesterone e di un ormone tiroideo chiamato TSH, ma anche la presenza di gonadotropina corionica.

Inoltre molte donne sperimentano già nel primo trimestre dolore o fastidio alla pelvi o alla zona lombare della schiena; potrebbe dipendere dalla relaxina, un ormone prodotto a partire dalle 7-10 settimane di gravidanza e poi per tutti i nove mesi con la funzione di rilassare muscoli, articolazioni e legamenti per fare spazio al feto. Il rilassamento delle articolazioni pelviche, però, può portare a disagio o a dolore e la relaxina potrebbe avere anche un ruolo nell'insorgenza di stitichezza. Non meno importante è l’ossitocina, definibile primo ed ultimo ormone nel percorso della maternità: è “attivo” nella fase del concepimento, risucchiando gli spermatozoi in alto verso le tube, e dà il via al parto, protegge dall’emorragia, e, con l’aiuto delle endorfine, produce prolattina . Durante la gravidanza, oltre a quelli ormonali, hanno luogo molteplici cambiamenti, alcuni visibili ad occhio nudo ed altri meno tangibili, ma sicuramente rilevabili negli occhi di chi li vive. Tra i più evidenti ci sono sicuramente le trasformazioni corporee, che possono essere vissute con emozioni contrastanti: se da un lato si teme di perdere il controllo su un processo che segue il proprio corso senza poter fare nulla, dall’altra è proprio attraverso questi mutamenti che si attesta la presenza della vita che cresce nel grembo materno. Ciò che avviene nel corpo, però, ha una sua controparte nella mente: mentre il corpo della futura mamma cambia per accogliere e contenere il bambino, la mente inizia a fantasticare sul nascituro, su se stessa nel ruolo di madre e sulla relazione che si verrà a creare. Si parla, infatti, di “travaglio fisico” e di “travaglio psicologico”: da un lato la gravidanza dà alla madre il tempo fisico di riorganizzare uno spazio concreto nel

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mondo reale, dall’altro le consente di gestire il suo spazio interno per creare ed accettare l’idea di sé come genitore e madre. Lo psicoanalista Daniel Stern evidenzia come ‹‹l’assetto materno scaturisce dal lavoro intrapsichico della donna durante tutto l’arco della gravidanza, non si forma nel momento del parto, ma affiora poco a poco durante la gestazione e nei mesi successivi alla nascita.››5 I primi mesi di gestazione sono per la donna un periodo di incertezza ed incredulità. I cambiamenti fisici non sono ancora visibili, ma i mutamenti fisiologici ed ormonali possono causare stanchezza, nausea, cambiamenti umorali; inoltre sin da subito la donna si trova a dover attuare dei cambiamenti nelle abitudini alimentari, lavorative ed anche nei ritmi di vita. E’ proprio attraverso questi cambiamenti di abitudini e comportamenti in funzione di qualcuno che c’è, ma ancora non c’è, che la donna gradualmente si adatta ai nuovi ritmi ed alle necessità della nuova vita che sta per arrivare.

‹‹Aspetti un bambino! La verità ti si è rivelata prima con un vago sospetto, o forse ne avevi la certezza fin dal momento del concepimento, forse l hai cercato, tanto, poco, per niente, ma a un certo punto questa realtà ti si è manifestata con certezza. Può essere il test di gravidanza, ma ancora di più sono gli strani segnali che ti manda il corpo. Non sei più la solita. Qualcosa si è insinuato nella tua vita vegetativa, viscerale, e tocca le tue abitudini basilari: il sonno, il mangiare, il modo di percepire la sessualità, i sensi, l’attenzione emozionale. Quasi vedi il mondo “con altri occhi”. E sai: “la mia vita non sarà più la stessa”. Onde di gioia, onde di paura ti investono, e per un periodo si alternano in un carosello caotico che ti fa girare la testa e perdere l’orientamento. Tante domande, tanti dubbi emergono.

Chi sono?

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Che cosa vuole da me?

Come cambierà la mia vita, la nostra relazione di coppia?››6

Dal primo al terzo mese la donna scopre di essere incinta ed iniziano le gioie e le preoccupazioni insieme ma ha timore di lasciarsi andare all’entusiasmo fino alla fine di questo periodo, per cui fatica a realizzare. In questo trimestre è come se la donna fosse avvolta in una bolla: si sente stanca, assonnata, con un senso di torpore, in alcuni casi con nausee e mostra fatica ad immaginare il proprio bambino. Il fisico inizia a cambiare, ma sono cambiamenti che avverte solo lei. Dal quarto al sesto mese il fisico inizia a mutare vistosamente, la donna assume anche davanti agli altri il ruolo di gestante. Il periodo più a rischio, per quanto riguarda gli aborti, è passato e la donna può lasciarsi andare all’entusiasmo ed all’accettazione di avere un bambino. Nelle prime ecografie si inizia ad intravedere qualcosa di formato e si iniziano a sentire i movimenti fetali. Inizia in questo periodo un “dialogo con il bambino” che porta alla relazione di attaccamento, innescando la fantasia ed il processo di immaginazione del nascituro; è durante il quarto mese ,infatti, che la donna comincia a giocare con le proprie fantasie che si faranno via via sempre più specifiche, sul fisico e sul carattere che il bambino potrebbe avere. Lo scrittore psicologo Joan Raphael-Leff 7 ha definito tre stili materni: la madre “facilitante”, la madre “regolatrice” e nel mezzo colloca lo stile della “reciprocità”. La madre facilitante vive la maternità come un’esperienza positiva che le consente di rivivere l’unione vissuta con la madre durante l’infanzia; la donna costruisce la propria identità di madre, accetta la gravidanza, si prepara adeguatamente al parto e dopo la nascita tende a ricercare la vicinanza del piccolo e a rimandare la ripresa dell’attività lavorativa. Talvolta, però, può idealizzare eccessivamente l’idea del nascituro negando qualsiasi forma di imperfezione; in genere questo tipo di donna non coglie nessun difetto o problematica nella gravidanza, la vive come un’esperienza meravigliosa rischiando a volte di sacrificare completamente sé stessa, la sua realizzazione professionale e personale, per il bambino. La madre

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“regolatrice”, invece, non tollera le trasformazioni corporee, considera il feto come un intruso, considera il parto come esperienza negativa e la gravidanza le riattiva conflitti infantili; tende a tornare velocemente allo svolgimento delle sue attività quotidiane e a delegare la cura del bambino ad altre figure significative. In una posizione intermedia si colloca lo stile della reciprocità: la donna è felice di aspettare un bambino, ma presenta anche rimpianti rispetto ai cambiamenti inevitabili che subiranno la sua vita professionale, personale e di coppia. In ogni caso è più o meno verso il settimo mese che il “bambino immaginario” arriva al massimo della sua elaborazione; dall’ottavo mese, però, la madre inizia a disfare questa immagine elaborata, a smantellarla: al momento della nascita il bambino reale e quello immaginato si “incontreranno” e la madre non può permettersi che tra i due esista una differenza troppo marcata, deve proteggere se stessa ed il bambino reale da eccessive discrepanze derivanti dalle aspettative che ha creato nella propria mente. Negli ultimi due mesi la gestante si concentrerà più su aspetti concreti per l’arrivo di un bambino; lo spazio fisico è pronto, quello mentale si sta adeguando ed è il momento in cui inizia a creare uno spazio all’interno della propria casa e della propria vita: si concentrerà sul momento del parto, sul ritorno alla propria abitazione, sulla logistica della casa, sul corredino e tanto altro ancora. Inizierà così a realizzare che a breve arriverà un bambino, sul ruolo che avrà all’interno della sua vita ed ai cambiamenti che apporterà. Non è raro, però, che una donna possa convincersi di non essere adatta per rivestire il ruolo di madre o di avere qualche grave difetto, ed è proprio tra questi pensieri che entrano in gioco le aspettative che si hanno verso le proprie capacità materne e tutto l’ entusiasmo iniziale, se sopraffatto da questi scomodi pensieri, potrebbe lasciare spazio al senso di inadeguatezza, di fallimento. E’ proprio in questi momenti così delicati, che vedono la donna affrontare e confrontarsi con diversi cambiamenti su molteplici piani della sua vita quali fisici, emotivi e sociali, che stati di sofferenza e di disagio transitori o permanenti faticano ad essere riconosciuti, diagnosticati e trattati in maniera adeguata.

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che, se non trattati nei giusti tempi, possono portare a conseguenze importanti per la salute materna e del bambino e sul conseguente sviluppo di quest’ultimo; questi rischi, e tutte le possibili conseguenze che ne potrebbero derivare, giustificano l’importanza che dovrebbe essere data alla prevenzione ed al monitoraggio della futura mamma durante e dopo la gravidanza. I disturbi dell’umore ed i disturbi d’ansia sono i più frequenti a cui una donna in dolce attesa può andare incontro. Appartiene ai disturbi dell’umore la depressione perinatale, da distinguere dai cosiddetti baby blues, ovvero dagli sbalzi d’umore dovuti al brusco calo di ormoni successivi al parto.8 Ci può essere una difficoltà di ordine psicologico nel prendere confidenza con la nuova condizione, specialmente se si tratta di una gravidanza non programmata o, a maggior ragione, non desiderata. Questi momenti di ansia e preoccupazione, di umore riflessivo o un po' cupo, però, sono in genere condizioni temporanee e saltuarie, ben diverse dalla depressione vera e propria, per arrivare alla quale occorre la partecipazione di altri fattori come, ad esempio, una sorta di predisposizione individuale, dal momento che ad essere più vulnerabili alla depressione in gravidanza sono soprattutto donne che hanno già sofferto prima di problematiche simili. I sintomi specifici di questa condizione che debbono far necessariamente suonare un campanello d’allarme sono:

 abbattimento dell’umore costante e protratto nel tempo, che provoca pensieri pessimistici, negativi, di preoccupazione, relativi sia al proprio stato di salute attuale sia alla progettualità della vita futura;

 molto comune, anche se spesso in maniera infondata, pensare che il bambino possa avere delle malformazioni;

 disturbi del sonno, ad esempio dormire poco o male, o dormire troppo;

 disturbi dell'appetito, dall'inappetenza all'appetito eccessivo;

 senso di apatia e fatica a portare avanti le attività quotidiane;

 pensieri negativi sulla capacità di portare avanti la gravidanza.

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In realtà non sempre è facile capire che si sta vivendo uno stato depressivo, perché alcuni sintomi sono sfumati e possono essere confusi con manifestazioni fisiologiche della gravidanza. La mancanza di appetito, per esempio, potrebbe essere attribuita alla nausea tipica della gestazione e l'insonnia all’ingombro del pancione o all’esigenza di andare spesso in bagno durante la notte. Se queste manifestazioni sono associate a stati d’animo negativi che perdurano per giorni o settimane, però, la prima cosa da fare è rivolgersi ad un medico di fiducia, che può essere il medico di famiglia, il ginecologo o l’ostetrica poiché sono figure di riferimento facili da reperire, che possono dare una mano a capire quel che succede alla donna e, se necessario, consigliare un centro specializzato al quale rivolgersi. Con diagnosi certa di depressione, bisogna capire che si tratta di una vera e propria malattia, in forma lieve o grave che sia, che ha bisogno di procedure specifiche per essere debellata. Molte volte per le forme più lievi può bastare anche qualche colloquio psicologico mirato, non una vera e propria psicoterapia, ma una sorta di psicoeducazione, che aiuti a far capire alla donna ,ma anche alla sua famiglia e a chi le sta intorno e che magari non si rende ben conto del problema, come stanno effettivamente le cose, e che la aiuti a organizzarsi di conseguenza. Spesso, già il semplice fatto di parlarne, di capire che si tratta di una condizione comune a molte donne e per la quale non ci sono colpe, è di grosso aiuto. Per forme un po' più importanti, le strategie fondamentali sono due: la psicoterapia, in genere di tipo cognitivo-comportamentale, e la terapia farmacologica: a seconda dei casi e della gravità della situazione possono essere utilizzate singolarmente oppure insieme. Come afferma Cesario Bellantuono, psichiatra e psicofarmacologo perinatale, "le ricerche condotte negli ultimi dieci anni dicono chiaramente che alcune specifiche categorie di farmaci non comportano rischi particolari per il neonato. Per esempio, per quanto riguarda l'assunzione nel primo trimestre di gravidanza, antidepressivi come fluoxetina, sertralina, citalopram e velafaxina non sono associati a un aumento del rischio di malformazioni del feto. L'assunzione nel secondo e terzo trimestre può talora essere

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suzione, tremori, disturbi del sonno. Nella maggior parte dei casi, però, questi sintomi non rivestono particolare gravità e tendono a regredire spontaneamente in pochi giorni".9 Quindi, se c'è bisogno, ci sono farmaci per la depressione che effettivamente possono essere utilizzati, con estrema attenzione, anche in gravidanza. Possiamo dunque affermare con convinzione che, se viene diagnosticato uno stato depressivo, è bene non trascurarlo. Studi mostrano che individuare e trattare la depressione in gravidanza riduce in modo significativo il rischio di depressione post parto, con tutte le conseguenze che questa condizione può comportare; inoltre gli effetti positivi del trattamento riguardano anche l'andamento della gravidanza e il benessere del feto e del bambino. "Una donna depressa che non viene trattata oppure è trattata in modo inadeguato spesso assume comportamenti 'scorretti', a rischio per la gestazione e per il bambino" afferma Bellantuono. "Per esempio, può alimentarsi 'male', abusare di sostanze come alcol, fumo o droghe, trascurare i controlli medici. Tutto questo può tradursi in un aumento del rischio di aborto spontaneo, parto pretermine e complicazioni mediche per il neonato"9. Studi recenti, inoltre, suggeriscono che i figli nati da madri che hanno sofferto di grave depressione non trattata in gravidanza hanno più rischi di andare incontro loro stessi a depressione o disturbi del comportamento durante l'infanzia e l'adolescenza. L’approccio alla depressione, quindi, non si deve collocare solo nel periodo post-natale, come spesso si pensa, altrimenti risulterebbe tardivo e solo parzialmente efficace sul decorso dei sintomi psichici che si possono verificare durante tutta la maternità. Per quanto riguarda i disturbi d’ansia, invece, sono state individuate delle ansie specifiche della gravidanza, pregnancy specific anxiety, ovvero un quadro clinico caratterizzato proprio da paure e preoccupazioni legate alla condizione gestazionale. È un fenomeno molto più diffuso di quanto si crede, che si manifesta attraverso forme di timori, agitazioni, paure vere e presunte. Una donna che appura di essere incinta, lo scopre innanzitutto attraverso i mutamenti del corpo.

Difficilmente si riesce ad accettare con serenità la metamorfosi fisica e i vari stati di disagio, come gonfiori e nausee. Come afferma la dottoressa Daria Russo “l’ansia in

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gravidanza è proprio quella sensazione che alcune donne provano mentre osservano il proprio corpo cambiare, iniziano a temere di non riconoscersi e di non avere la capacità di supportare i cambiamenti e la gravidanza con tutto quello che richiede. Le future mamme si ritrovano a vivere l’ansia a causa dei loro pensieri e delle loro preoccupazioni.”10 E’ a questo punto che l’insieme di tutti i timori porta la gestante a chiedersi se il proprio fisico tornerà mai quello di una volta, se il proprio compagno l’accetterà e l’amerà come sempre e in tutte le fasi della gravidanza, se sarà in grado di essere una buona mamma, il tutto unito da tanti altri interrogativi che faranno piombare la donna in un enorme stato di ansia; a questi, inoltre, si associano paure e timori di conoscenti future madri, neomamme e persone che credono di dover dire, sempre e comunque, la propria opinione, suscitando così una spirale di emozioni e apprensioni eccessive. Se alle persone esterne si può porre rimedio, non ascoltandole e, nei casi peggiori, allontanandole, ben più difficile è il compito di placare i pensieri della futura madre. Inoltre l’assetto strutturale stesso della personalità della donna può contenere elementi di rischio, come tratti di perfezionismo e di controllo, che possono rendere complessa la gravidanza, vissuta come elemento nuovo da imparare a gestire senza perdere l equilibrio e la stabilità. Anche l’ambiente, il contesto nel quale vive e si confronta una donna, è importante perché capace di modulare il suo assetto biopsichico.

Così eventi di vita accaduti nell’anno prima della gravidanza, ed individuati dalla futura madre come particolarmente stressanti o negativi, possono essere predittori di disturbi psichici pre e post-natali. Anche lo scarso supporto del proprio partner sembra incidere negativamente ed essere un fattore di rischio per lo sviluppo di una o più psicopatologie in gravidanza. Ci sono vari modi per aiutare la gestante a calmare l’ansia, ma il primo è certamente quello di cercare di vivere serenamente questo momento di cambiamento, senza farsi coinvolgere da inutili preoccupazioni e, quando proprio non si riesce a sostenere fisicamente e psicologicamente il mutamento, parlandone con qualcuno, dal compagno, a un amico a una figura specializzata come il medico o l’ostetrica. Se queste

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soluzioni non dovessero bastare, si può ricorrere ad altri metodi per combattere ed allontanare l’ansia gravidica; alcuni di questi sono:

 corsi preparto: oltre alle classiche lezioni, si possono seguire dei corsi di Hypnobirthing, che insegna alle donne come il pensiero positivo abbia un enorme impatto sulla gestione dell’ansia e come attraverso le meditazioni profonde questa possa calmarsi;

 gruppi di supporto: frequentare dei gruppi di supporto terapeutici per donne in gravidanza aiuta a confrontarsi e non sentirsi sole in questa esperienza;

 il partner accanto: aggrapparsi al proprio compagno è davvero utile e consolatorio durante i 9 mesi. Non pensare al futuro, che è in quel momento sconosciuto, ma vivere il qui e ora;

 attività fisica: in gravidanza si può fare attività, salvo diverso consiglio medico e ginecologico; è salutare per la donna ed un ottimo rimedio per rilassarsi;

 terapia cognitivo-comportamentale: le donne che ritengono necessario un parere esperto, chi ha bisogno di sentirsi ascoltata, può ricorrere alla terapia cognitivo- comportamentale, che aiuterà a superare ansie e preoccupazioni.

Vivere nove mesi di ansie e frustrazioni non fa sicuramente bene alla madre, ma neanche al nascituro; sebbene l’attenzione verso queste tematiche sia cresciuta molto negli ultimi anni, le donne quando si trovano in queste situazioni sono ancora restie a rivelare la reale entità del malessere interiore di cui soffrono, forse perché hanno timore di essere giudicate o liquidate dai professionisti in modo superficiale. A volte si può pensare che la scelta meno difficile sia quella di tenere nascoste le proprie preoccupazioni ed i propri timori con la speranza che tutto si risolva da se ma proprio in questi momenti, quando la donna realizza che qualcosa non sta funzionando e che i sintomi non tendono a diminuire nonostante il passare del tempo, è fondamentale che riesca almeno a parlarne con qualcuno, buttando fuori tutto il malessere interiore.

Moltissime donne, infatti, pensano di essere le sole e da sole nell’affrontare tutto quello che sta capitando loro; ciò fa si che l’ansia e la paura divengano ancora più grandi quando, invece, il solo fatto di riuscirne a parlare può contribuire non poco al

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miglioramento della situazione. A dare supporto a queste patologie vi è il rischio di interruzione spontanea della gravidanza, possibile in questa fase, che non consente alla donna di gioire pienamente e fa insorgere preoccupazioni e paure dettate dalla mancanza di segnali, tipici delle fasi successive, che indicano la vitalità del bambino.

Le preoccupazioni più frequenti sono quindi quelle relative alla salute del nascituro, al fatto che cresca adeguatamente e che non abbia malformazioni o altre patologie.

Durante la gravidanza spesso insorgono timori relativi ai cambiamenti che avverranno nel rapporto di coppia, in particolare a come verrà vissuta la sessualità. Molto spesso le donne vivono l’atto sessuale in opposizione alla maternità, ed i rapporti sessuali tendono a diminuire anche in relazione alla credenza che si possa nuocere all’embrione in una fase così delicata. L’intimità della coppia, quindi, durante la gestazione, necessita di nuovi equilibri. Si è ormai dimostrato come l’attività moderata non possa nuocere al feto, mentre fa sicuramente bene alla coppia, altrimenti il rischio è di trasformare il figlio in un ostacolo per l’intimità. L’assetto ormonale femminile in gravidanza e durante l’allattamento non favorisce desiderio e attività sessuale: non si è più votati ai propri bisogni, ma si diventa un organismo concentrato sul benessere della prole. Un dato costante nella letteratura sulla psicologia della gravidanza è il riconoscimento che quest’evento radicalizza nelle donne una dissociazione tra femminilità e maternità, quindi anche tra attività sessuale e funzione materna, il corpo non è più oggetto di desiderio, bensì involucro. I componenti della coppia devono far posto al bambino nel sistema familiare, preparandogli uno spazio fisico ed emotivo in un processo che implica una profonda ristrutturazione della relazione coniugale. Il tempo della gravidanza è un periodo necessario per costruire questo spazio. Il decorso della vita sessuale durante questo periodo è correlato a diverse variabili:

la donna potrebbe sentirsi meno attraente; già da prima dell’arrivo del pancione ci possono essere preoccupazioni su come cambieranno le parti intime e le sensazioni di piacere. Non sono state riscontrate differenze tra la vita sessuale delle donne dopo il

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parto vaginale o con parto cesareo perché si è naturalmente predisposte a ritornare come si era, con il tempo;

timore di danneggiare il feto;

la frequenza dei rapporti prima della gravidanza;

problematiche ostetriche pregresse;

numero di figli vivi e di precedenti aborti spontanei;

false credenze e miti: alcune credenze sottolineano come non ci sia affatto spazio per il sesso durante questa delicata fase di vita, altre più “minacciose” delineano possibili conseguenze negative sulla gravidanza e sulla salute del bambino. Tali convinzioni errate creano confusione e preoccupazione, andando ad ostacolare la sana e soddisfacente vita sessuale della coppia in attesa; andrebbero pertanto sfatate. L’unica controindicazione al mantenimento della sessualità in questo periodo è il caso di gravidanze a rischio;

informazioni sulla sessualità in gravidanza, spesso omesse o errate;

alterazione del tono dell’umore ,donne con esperienza di psicoterapia sono più favorevoli all’attività sessuale;

fattori fisici come dolori alla schiena, dispareunia, infezioni urinarie, nausea.11

Molto spesso, invece, la sessualità in gravidanza può addirittura migliorare: nel secondo trimestre molte donne rivelano come il sesso faccia attenuare possibili dolori; quando vissuta serenamente, è un periodo molto favorevole per la sessualità, perché dal punto di vista fisiologico il corpo femminile può essere maggiormente recettivo alle stimolazioni sessuali. Gli ormoni gravidici, infatti, possono facilitare la lubrificazione, la vasocongestione e quindi favorire l’eccitazione; inoltre si intensifica la risposta orgasmica, permettendo così di provare un maggiore piacere durante i rapporti. Il muscolo uterino aumentato di “massa” permette di percepire meglio le contrazioni uterine durante l’orgasmo; ovviamente questa maggiore recettività fisica da sola non è capace di produrre un maggiore piacere, in quanto dipende molto da quanto la donna è coinvolta a livello soggettivo durante il rapporto e se quindi è emotivamente

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disponibile. Se non c’è una serenità di base e se sono presenti delle preoccupazioni relative alla propria salute, a quella del bambino, al non sentirsi attraente, alla percezione di una scarsa vicinanza del compagno, possono attivarsi dei pensieri negativi durante il rapporto che non permettono di lasciarsi andare alle sensazioni di piacere. Un altro grande timore che può affliggere la donna, soprattutto nel primo trimestre di gravidanza, è quello legato all’aborto. Quando si parla di vita, bisogna parlare anche di morte: nella nascita la sicurezza al cento per cento non esisterà mai, in nessun contesto.

La percentuale di rischio di un aborto spontaneo è compresa tra il 10% e il 25%: con l'aumentare dell'età della donna aumenta il rischio. Simili percentuali giustificano il timore di molte donne, soprattutto all'inizio della gravidanza, in particolare nel primo trimestre, e a maggior ragione quando si è già verificato un aborto in precedenti gravidanze. È bene ricordare che un aborto rappresenta un lutto vero e proprio e quindi, in quanto tale, necessita di tempo e sostegno per essere elaborato. A tal proposito potrebbe essere d’aiuto un gruppo di preparazione al parto e alla genitorialità, incentrato non solo su aspetti medici, ma anche su dinamiche psicologiche, rivolto sia alle mamme sia ai papà; nei casi di poliabortività, invece, sarebbe opportuno indirizzare la donna ad appoggiarsi ad uno psicologo specializzato che la aiuti ad esternare le proprie emozioni e ad affrontarle poiché ‹‹un lutto di cui non si parla, è un lutto che non guarisce››.12 Molte e diverse sono le cause che possono provocare un aborto spontaneo. Tra queste ricordiamo:

 anomalie cromosomiche: è sicuramente la causa più frequente di abortività spontanea.

La frequenza aumenta con l’aumentare dell'età materna;

malformazioni congenite, utero setto, unicorne ecc., o acquisite, polipi, fibromi dell’utero;

incontinenza cervicale: il collo uterino tende a dilatarsi in epoca molto precoce di gravidanza, anche in assenza di contrazioni, conducendo all’espulsione del feto;

malattie autoimmuni o trombofiliche in cui aumenta, cioè, la coagulazione del sangue;

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patologie infettive come toxoplasmosi, rosolia, infezione da citomegalovirus che possono contagiare il feto e causarne la sofferenze e poi la morte;

infezioni vaginali non trattate;

insufficienza del corpo luteo che non produce abbastanza progesterone, l'ormone che favorisce l'impianto e il mantenimento della gravidanza nel primo trimestre.

Esistono aborti silenti, ossia privi di sintomi, ed in questo caso, la diagnosi è clinica, attraverso l’ecografia ostetrica. In altri casi, invece, si manifesta attraverso perdite ematiche o contrazioni uterine; i sintomi con cui si può presentare possono essere molto diversi tra loro e variabili in rapporto alle diverse situazioni cliniche. I trattamenti preventivi nei confronti dell'aborto spontaneo differiscono molto tra di loro a seconda della causa che vi è all'origine. Il riposo è generalmente il primo e principale trattamento che viene consigliato mentre una terapia preventiva a base di progesterone può essere efficace nei casi in cui si sospetti una insufficienza del corpo luteo. In caso di patologie autoimmuni, come la sindrome da antifosfolipidi, o in condizioni di eccessiva trombofilia, possono essere prescritti l’utilizzo di eparina o di acido acetil- salicilico; nei casi di incompetenza cervicale verrà eseguito il cerchiaggio della cervice.

È bene provvedere al trattamento di patologie a carico della tiroide o del diabete già prima dell’inizio di una gravidanza. Diagnosticato un aborto spontaneo, le strade possibili sono generalmente due:

1) terapia chirurgica: è il cosiddetto "raschiamento" mediante isterosuzione. In pratica, si procede all’aspirazione del materiale abortivo ritenuto in cavità uterina, mediante una cannula inserita attraverso il canale cervicale;

2) in alcuni casi si può decidere di attendere la spontanea espulsione del materiale abortivo dall'utero o facilitarne l’espulsione stessa tramite la somministrazione di farmaci che facilitino la contrazione uterina. Si parla in questo caso di "condotta di attesa", che viene applicata soprattutto nei casi di aborto incompleto e soprattutto se l’aborto è avvenuto nelle settimane iniziali di gravidanza.4

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La donna si trova ad affrontare “da sola” un evento che non ha ripercussioni solo sul proprio stato fisico ma, soprattutto, come abbiamo visto, su tutta la sua vita psichica, rimette in gioco dinamiche collegate all’intero sviluppo psicologico, sulla propria femminilità, sulla propria sessualità, sul rapporto futuro con il partner, sull’eventualità o meno di avare altri figli, ecc..., e la pone comunque di fronte ai problemi della perdita e del lutto. L’aborto provoca la brusca interruzione del lungo processo fisico e psicologico che accompagna la donna nella sua crescita femminile e che costituisce il preludio alla sua esperienza di maternità, infatti si rende necessaria l’elaborazione sia della perdita dell’oggetto sia della perdita simultanea e concreta di un parte del sé. Il vissuto elaborato può diventare quello di una violenza subita e le sensazioni dopo l’evento sono, soprattutto, moti d’aggressività verso sé stessa, verso il partner visto come causa di ciò che le è accaduto e che l’ha lasciata sola, verso la società, perché non ha saputo aiutarla prima, durante e dopo, sensi di colpa. Aborto e perdita perinatale sono associati a considerevoli problemi psicosociali. Una parte sostanziale delle donne che hanno sofferto della perdita di un bambino sviluppa un disturbo psicologico;

depressione, disturbi d’ansia, disturbo da stress post-traumatico sono stati tutti collegati a reazioni di dolore in risposta alla perdita perinatale. Spesso il lutto perinatale fa rinchiudere, tacere, porta a nascondersi. Senza forzature e con il tempo necessario, però, è importante provare a fare qualche passo fuori da sé, magari cercando le persone e le situazioni capaci di ascoltare la donna e darle accoglienza autentica, tra le persone care, tra i servizi, i professionisti e le organizzazioni che possono offrire un aiuto, un ascolto e un accompagnamento mirato e competente.

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CAPITOLO 2 Il parto

‹‹PARTO: espulsione o estrazione del feto dei mammiferi dagli organi genitali.

Avviene al termine della gravidanza, quando lo sviluppo prenatale può considerarsi concluso: l’utero contraendosi ritmicamente (travaglio di p.) determina l’espulsione del feto e, successivamente, il secondamento degli annessi fetali dall’organismo materno.››1

Il parto è un evento di portata simbolica enorme, sicuramente uno dei pochi momenti della vita tanto intriso di carnalità e poesia, timore e meraviglia. Molto viene detto in merito al parto, quasi fosse un punto di arrivo, e solo in seguito ci si accorge che è un punto di partenza. Sicuramente ogni donna in dolce attesa ha sentito raccontare da altre mamme la loro esperienza: c è chi dice di aver avuto bisogno di tre giorni per partorire, a chi è bastata un’ora, c è chi ha sofferto terribilmente, chi del dolore a malapena si ricorda, chi ha subito interventi terribili, chi ha avuto un’esperienza bellissima. Ascoltando questi racconti ci si sentirà di fronte ad un’incognita, un mistero, che porterà inevitabilmente la donna prossima al parto a domandarsi come sarà il suo. Nell’ultima parte della gravidanza la voglia di conoscere il bimbo che si porta in grembo si alterna e, in un certo senso, si scontra con la paura del travaglio e del parto e con la fatica fisica data da un corpo che diviene sempre più ingombrante: si fa sempre più vivo il timore di provare dolore e di non riuscire ad

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affrontarlo. L’ultimo trimestre della gravidanza è un momento di preparazione in cui si riduce l’interesse per le situazioni circostanti e vi è una maggiore concentrazione sulla nascita: nascono così anche molteplici ansie e paure per il parto stesso. Con il parto, la donna si prepara ad “allentare” la relazione simbiotica formata in gravidanza con il feto e a dare al proprio partner lo spazio per creare il rapporto con il bambino:

‹‹Un viaggio così impegnativo va preparato. Infatti non inizia con le prime doglie, ma circa dieci giorni prima del giorno della nascita. Il ritmo crescente tra momenti di attività energica e stanchezza-pesantezza del terzo trimestre si arresta in favore dell’energia a un livello costante. Le contrazioni sono presenti ogni giorno, sono di intensità crescente; tutti i sintomi della gravidanza regrediscono:

digerisci meglio, l’intestino si muove, eventuali vene varicose ed emorroidi migliorano, la pancia pesa meno, la sonnolenza svanisce, sei piena di energia e/o agitazione ed irritabilità. La tua irrequietezza ti porta a pensare di essere di fronte ad una scadenza imminente ed assoluta, tutto deve essere fatto e deve essere pronto, come se non ci fosse un tempo del dopo. ››6

La paura del parto si chiama tecofobia: può essere presente un grande terrore del parto fin dall’adolescenza, oppure può essere secondario ad altre esperienze di parto precedenti, vissute in modo traumatico; secondo degli studi dal 5% al 16% delle donne in gravidanza soffrono di questo specifico stato fobico.13 Mentre una paura lieve e moderata esprime una preoccupazione adattiva, una paura eccessiva, tale da portare la donna a vivere con costante terrore la gravidanza o anche evitare il momento del parto, si configura come un vero e proprio disturbo psicologico. Nella pratica clinica, la fobia

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valutarla; in taluni casi questo stato fobico risulta grave, causando ansia, disturbi fisici ed incubi durante la gravidanza: porta ad evitare di affrontare l’evento temuto, ovvero il parto naturale. Di conseguenza, spesso, chi ha questa paura desidera partorire con taglio cesareo o richiede un aiuto per alleviare questo specifico timore. Possiamo distinguere in tecofobia primaria e secondaria: la prima è caratterizzata da un terrore ed un’intensa sofferenza al pensiero del parto già prima del concepimento, mentre la seconda condizione si rintraccia prevalentemente in conseguenza a precedenti esperienze traumatiche relative al parto come l’avere avuto un travaglio complesso e prolungato, la necessità di manovre ostetriche invasive, o un taglio cesareo di emergenza effettuato in condizioni di criticità. La percezione da parte della partoriente di aver subito una violenza sul proprio corpo può rappresentare un fattore di rischio, anche nel caso in cui il parto abbia avuto un decorso regolare, ed in taluni casi esso può determinare un disturbo da stress post-traumatico o depressione post-partum. La paura del parto sembra essere associata a personalità inclini all’ansia, più vulnerabili, con bassa autostima e storie di eventi traumatici. Alcuni studi ,inoltre, hanno dimostrato la connessione tra tecofobia e problemi di salute mentale come depressione, disturbi d’ansia e disturbi alimentari. Tuttavia, ci sono anche risultati che suggeriscono che solo una piccola parte della paura è correlata all’ansia e alla depressione. La paura del parto sembra essere in relazione a fattori come:

il timore e la sfiducia circa le capacità e competenze dello staff ostetrico;

la paura del dolore ed il timore di perdere il controllo associati all’evento;

la paura di morire durante il parto;

la paura che il proprio bambino muoia;

Le complicazioni ostetriche ed il timore di morire sono correlati in modo significativo alla tocofobia: in letteratura viene documentato come alcune donne arrivino a ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza per paura del parto. E’ stato dimostrato come tutto ciò non sia un disturbo che si manifesta in assenza di desiderio di maternità ma che, anzi, esso è presente nonostante il forte desiderio di avere un figlio. E’ stato inoltre

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osservato come la tocofobia , soprattutto di tipo primario, sia associata, a volte, a casi di abusi subiti durante l’infanzia. Tale dato si può spiegare alla luce del fatto che questo genere di eventi traumatici portano la vittima a sviluppare un’avversione per qualsiasi tipo di trattamento ostetrico-ginecologico. La paura del parto, se pervasiva e se associata al rifiuto dell’esperienza stessa, porta ad un aumento della rigidità muscolare e dei tessuti; l’intolleranza della paura e la non accettazione dell’andamento del dolore, generano un circolo vizioso di male continuo e un abbassamento della soglia del dolore.

Una funzione rilevante nel percorso della nascita è rappresentata dalle ostetriche e dai ginecologi: se tra questi e la donna si stabilisce una buona alleanza terapeutica, si creano i presupposti per favorire una maggiore tolleranza al dolore durante il travaglio e il parto. Molto utili possono essere anche i corsi di preparazione alla nascita, soprattutto se prevedono la presenza di uno psicologo o di un’ostetrica che, con esercizi di respirazione e di rilassamento, lavora su sentimenti, ansie e preoccupazioni relativi al parto. E’ anche possibile pensare ad interventi di prevenzione primaria con attenzione all’ individuazione dei soggetti a rischio, e di prevenzione secondaria con intervento precoce sui sintomi. Attori della prevenzione primaria dovrebbero essere gli operatori ostetrici: una buona raccolta anamnestica, fatta durante le visite di controllo, può aiutare nel rilevare la presenza di fattori di rischio nelle future mamme, come disturbi psicologici precedenti, o esperienze di abusi fisici e sessuali. E’ anche importante spiegare bene alle donne in gravidanza quali potranno essere le procedure durante il parto: un dislivello esagerato tra aspettative e reali condizioni del parto è connesso con una percezione molto negativa della situazione da parte delle donne. E’ sempre bene mantenere una buona comunicazione con le pazienti: dopo la nascita del bambino, infatti, è importante incoraggiare la discussione con gli operatori su come si è svolto il parto, sul perché siano state fatte determinate scelte, in modo da enfatizzare ciò che di positivo è accaduto e minimizzare in tal modo il rischio di potenziali sintomi da stress postraumatico facilitando, così, l’accettazione dell’esperienza.

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‹‹Ci sono due sorgenti del dolore che si uniscono in un’unica eruzione vulcanica. La prima sorgente del dolore nasce dalla tua pancia. Non è proprio la contrazione dell’

utero a creare il dolore, ma piuttosto la trazione e la pressione che esercita sui tuoi tessuti, sui tuoi nervi sacrali.

Non tutti gli stimoli vengono percepiti come dolore, solo quelli che superano una certa soglia di intensità che varia da donna a donna. Quindi è possibile che tu percepisca come dolorose già le prime doglie, oppure solo le ultime, più intense. La seconda sorgente del dolore nasce dal centro del tuo cervello, là dove sono depositate le tue memorie antiche, le tue esperienze precoci e rimosse, i tuoi dolori e le tue gioie. Là è già presente un bagaglio costituitosi prima del parto. La percezione del dolore può essere amplificata da condizionamenti negativi, da esperienze traumatiche di precedenti vissuti con il dolore, o da racconti di esperienze negative, da lutti, da esperienze di abuso e violenza subite ed altro ancora. Questi fattori abbassano la soglia di tolleranza e aumentano la percezione del dolore, con reazioni emotive di avversione, di chiusura. La percezione del dolore può essere invece ridotta da condizionamenti ed esperienze positive, da una buona motivazione, dall’amore, dal lavoro psichico di consapevolezza, e da altro. Questi fattori alzano la soglia di tolleranza e riducono la percezione del dolore con reazioni emotive di accettazione e di apertura.››6

Il dolore è sicuramente l’ingrediente meno gradevole, meno conosciuto e meno accettato del parto. Seguendo il linguaggio del corpo, però, la donna può imparare che anche il dolore è una risorsa importante: non solo mette in moto e fa funzionare il

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travaglio ma protegge anche la donna da possibili danni ed il suo bambino dal dolore stesso. La funzione generica del dolore è quella di proteggere il corpo da danni, dando l’allarme quando c’è un aggressione in atto, portando l’attenzione sul pericolo, di modo che l aggredito possa agire per sottrarsi alla vessazione. Dal punto di vista strettamente fisiologico il corpo del bambino aggredisce l’integrità del corpo della madre: per dare vita ad un’altra persona la partoriente subisce un attacco al proprio istinto di autoconservazione ed è proprio qui che scatta l’allarme, il dolore segnala il pericolo e produce fisiologicamente delle reazioni di difesa. Proprio perché il parto è finalizzato al mantenimento della specie, però, i pericoli di questo “attacco” sono fortemente compensati da meccanismi paradossali di protezione, che non solo lasciano la donna viva, ma anche con una profonda soddisfazione dell’esperienza. Nonostante ciò il processo di apertura, la forte pressione che viene esercitata sulle arterie e sui nervi sacrali, non è esente da pericolo quindi il dolore è una preziosa guida per segnalare queste modificazioni e per correggere la situazione facendola volgere al meglio. Spinta al movimento proprio dal dolore, la donna cercherà le posizioni che la faranno soffrire meno, che sono anche quelle di minore resistenza e compressione e di maggiore apertura del canale della nascita; in questo modo ci si potrà proteggere dai danni al bacino, al collo dell’ utero, al perineo, risparmiandosi dolori futuri. Tante sono le forze del parto che spingono la donna al movimento, all’abbandono: il dolore, l’ossitocina, l’adrenalina, la pressione della testa del bambino, i suoi spostamenti nella pancia:

l’immobilità è praticamente impensabile e come la donna si muoverà dipenderà dal suo temperamento, dal ritmo del travaglio, dal suo vissuto, dalla sua condizione psichica e dalle condizioni specifiche che si andranno a creare durante il parto. Importantissimo che la donna, per quanto possibile, venga assecondata: il movimento facilita il parto, riduce il dolore, migliora la respirazione della madre e del bambino, rende più plastico il perineo, aiuta la bocca uterina ad aprirsi, porta sangue alla placenta, stimola in modo fisiologico il sistema nervoso autonomo ed invia segnali calmanti al cervello. Per una

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bloccare l’istintività del suo corpo proprio in questa circostanza significherebbe renderla impotente proprio nel momento della sua massima espressione. Il dolore è il vero motore del parto: oltre a stimolare il movimento, stimola gli ormoni necessari per la sua progressione; l’intermittenza delle contrazioni pone periodicamente la partoriente in uno stato di stress acuto al quale il corpo risponde con un picco di produzione di adrenaline che, in questo modo, stimolano l’ossitocina e contemporaneamente le endorfine: le adrenaline daranno alla donna una forza da leone e le endorfine un minimo di analgesia. L’intermittenza del dolore è fondamentale per una corretta produzione ormonale, ed il rilassamento completo tra una doglia e l’altra permetterà alla madre di reinstaurare una situazione fisiologica di calma profonda, totalmente libera da stress;

l’aumento graduale dell’attività contrattile sarà accompagnato da una crescente capacità di tolleranza al dolore con il progredire del parto. La valutazione della percezione del dolore è soggettiva ed influenzata da fattori culturali, cognitivo-emotivi e familiari: gli aspetti cognitivi costituiscono una struttura di esperienze passate, valutazioni su di sé e sull’idea del parto, credenze e pensieri, anche dal punto di vista culturale che condizionano l’esperienza nella sua fase preparatoria, durante la gravidanza e nel corso del parto, pensieri volti a fare bene, dare il massimo, non fallire poiché tutti si aspettano che tale evento si svolga in modo spontaneo e naturale. A livello sociale emerge la preoccupazione di dover inibire le espressioni e le manifestazioni di dolore con un’obbligata tendenza all’autocontrollo. La localizzazione e la qualità del dolore, intensità, durata della contrazione, tempo del travaglio, influiscono sulla percezione che ovviamente è soggettiva e si modifica a seconda del significato personale attribuito alla propria capacità di sopportarlo ed alle risorse che in quel momento si pensa di avere per affrontarlo. Per aiutare la partoriente e garantirle un parto il più agiato possibile, sono state messe in atto nuove metodiche; il parto in acqua, per esempio, è un'alternativa alle modalità più consuete di affrontare il travaglio e le fasi che si susseguono prima della nascita di un bambino, una tecnica che aiuta la partoriente ad avere un parto più sereno e rilassato. Da un punto di vista pratico, la futura mamma si trova parzialmente immersa

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in una vasca piena d'acqua, riscaldata a circa 37°C, dove è libera di assumere le posizioni che preferisce per affrontare le contrazioni uterine. Rispetto alle modalità tradizionali, questa tecnica sembra avere degli effetti positivi sia sulla futura mamma, che sul nascituro: innanzitutto, il calore dell'acqua riduce la secrezione di adrenalina, indotta dal dolore e dalla tensione emotiva associata al particolare evento che la donna si trova a vivere; se rimane a livelli elevati durante il travaglio, quest'ormone

"irrigidisce" il collo dell'utero, rendendo necessarie più contrazioni per raggiungere la dilatazione completa. Il parto in acqua sembrerebbe associato, quindi, ad una riduzione dei tempi di travaglio: meno la mamma è stressata, più la fase di espulsione risulterà breve. Tra gli altri benefici sono stati ipotizzati un'aumentata elasticità del canale del parto e del perineo, riducendo la necessità di ricorrere all'episiotomia; pare, inoltre, che abbia la capacità di stimolare anche il rilascio di endorfine, che consentono alla donna in travaglio di rilassarsi meglio tra una contrazione e l'altra. Il parto in acqua è indicato per tutte le donne, purché la gravidanza sia considerata fisiologica, cioè a basso rischio e con decorso regolare, ed il travaglio sia ben avviato. Più nel dettaglio può essere eseguito quando:

 la gravidanza è singola;

 la partoriente non ha febbre o altre patologie che richiedano assistenza specifica;

 il tracciato cardiotocografico ,che fornisce informazioni sul battito cardiaco del bambino, sul tipo e sulla frequenza delle contrazioni dell'utero della mamma, è regolare;

 il liquido amniotico è chiaro, segno che tutto sta procedendo bene;

 l'ospedale è attrezzato per questo tipo di assistenza;

 vi è presentazione cefalica del feto;

 la gravidanza è a termine, 37-41 settimane;

 esito negativo per test sierologici per malattie contagiose, come epatite B o infezione da

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 assenza di infezioni cutanee.

Il parto in acqua viene proposto nelle strutture ospedaliere appositamente attrezzate, e, durante la procedura, il benessere del nascituro è monitorato grazie a strumenti senza fili che rilevano il battito fetale e possono essere immersi nell'acqua, senza limitare i movimenti della mamma. Avviene in vasche realizzate con tecniche costruttive ben precise: le dimensioni di questa struttura devono consentire alla partoriente di muoversi liberamente e di assumere le posizioni che preferisce, quindi la profondità deve permettere di contenere almeno 70-80 centimetri di acqua. Per quanto riguarda i materiali di realizzazione, invece, la vasca deve essere molto resistente e garantire la perfetta igienizzazione. La temperatura dell'acqua deve essere abbastanza calda: nelle fasi preliminari del travaglio, va dai 35 ai 37°C; in seguito, quando la nascita del bambino è imminente, è portata a 37-37,5°C. Così come avviene in quelle da idromassaggio, nelle vasche per il parto, questo parametro può essere facilmente regolato mediante un dispositivo che la mantiene costante per tutta la durata del parto.

Altro elemento da considerare è il ricambio dell'acqua, che dev'essere continuo, affinché il contenuto della vasca risulti sempre pulito. Durante il travaglio ed il parto, infatti, è normale il verificarsi di emissioni di urine, feci, sangue e liquido amniotico.

Per questo motivo, è importante la presenza di un dispositivo che permetta di cambiare velocemente l'acqua e garantire, quindi, l'igiene necessaria per la donna e per il bambino al momento della nascita. Il momento ideale per entrare nella vasca, coincide con l'inizio della fase attiva del travaglio. Il parto in acqua inizia, dunque, quando la donna presenta una dilatazione del collo dell'utero di almeno 3-5 cm. La posizione nella vasca è libera e si possono assecondare i movimenti indotti dalle contrazioni: in acqua, la gestante può stare seduta, supina, semisdraiata o in ginocchio; l'ostetrica che segue il parto a bordo vasca, poi, si preoccuperà di compiere tutte le manovre necessarie per l'assistenza. Il parto in acqua sfrutta il "riflesso di apnea" del bambino appena nato;

questo sistema di auto-protezione si attiva bloccando l'atto respiratorio, quando l'acqua entra in contatto con i recettori cutanei del viso: un bimbo sano non rischia, quindi, in

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alcun modo di "bere". L'atto respiratorio si innesca solo al contatto con l'aria, quando viene accolto nell'abbraccio della madre. Premesso che la scelta di far nascere il bambino nell'acqua è consentita solo alle donne con una gravidanza "a basso rischio", i vantaggi sono numerosi:

 il parto in acqua favorisce una sensazione di benessere: la possibilità di galleggiare nella vasca e di scegliere in piena autonomia la posizione da assumere per affrontare le contrazioni influisce positivamente sulla progressione del travaglio e riduce lo stress associato all'evento;

 l'immersione in acqua calda è in grado di alleviare il dolore, poiché stimola il rilascio di endorfine, le quali agiscono come una sorta di analgesico: il parto in acqua può ridurre, quindi la necessità di usare antidolorifici, come l'epidurale;

 il parto in acqua aumenta il senso di controllo della donna sul proprio corpo e, come avviene quando si nuota, ha il vantaggio di contribuire a sostenere il peso del bambino con un significativo sollievo per la zona lombare;

 grazie all'umidità, il parto in acqua facilita la respirazione profonda e regolare utile, in particolare, in chi soffre di asma;

 lo stato di calma della gestante ottimizza l'apporto di ossigeno al bambino attraverso la placenta: più rilassata è la mamma, meno agitato è il neonato;

 l'acqua calda rilassa i muscoli del bacino e distende il perineo, riducendo la necessità di ricorrere all'episiotomia.

Per il bambino, è stato ipotizzato che nascere nell'acqua renda meno traumatico il passaggio brusco e repentino dal mondo liquido, rappresentato dall'utero, a quello aereo. Una volta nato, egli si trova in un ambiente per conformazione e temperatura simile a quello che lascia nel ventre della mamma. Le controindicazioni del parto in acqua sono sostanzialmente tutte quelle che fanno temere una possibile complicanza durante il travaglio e/o durante il periodo espulsivo. In particolare, il parto in acqua è sconsigliato in tutte le condizioni che richiederebbero un'assistenza più attenta, come:

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 presenza di patologie della madre come: preeclampsia, diabete, nefropatie, patologie polmonari o cardiache e malattie infettive come, per esempio, epatite B;

 placenta previa;

 gravidanza gemellare;

 irregolarità nel ritmo cardiaco del feto;

 parto prematuro o gestazione protratta;

 grave malformazione fetale;

 presentazione del bambino anomala come, per esempio, posizione podalica;

 feto troppo grande per l'età gestazionale;

 perdite anomale di sangue o di liquido amniotico tinto di meconio, cioè materiale contenuto nell'intestino del feto.

Il parto in acqua è controindicato, inoltre, se il periodo espulsivo non procede con la dovuta regolarità o quando si manifestano segni di sofferenza fetale in travaglio. La procedura non è adatta alla donna che presenta nervosismo e non si sente a proprio agio nella vasca; andrebbe sospesa anche se la futura mamma presenta un'eccessiva stanchezza durante il travaglio. Oltre al “come”, anche il “dove” e “con chi” sono interrogatori che sempre più spesso la donna prossima al parto si pone; la ricerca di un ambiente familiare e della vicinanza dei propri cari, sembra essere sempre più un obiettivo richiesto dalla maggior parte delle partorienti: sono punti cardini capaci di far sentire la donna più sicura nell’ affrontare questo delicato momento. A tal proposito si sono moltiplicate le offerte strutturali e organizzative da parte degli ospedali, alle quali si aggiungono quelle delle organizzazioni per il parto a domicilio, in numero sempre crescente, e il fiorire delle Case da parto. Può risultare davvero difficile per una coppia riuscire a orientarsi tra le tante offerte ed arrivare a decidere in modo cosciente e obiettivo cosa per loro sia meglio. In Italia, nel 1932 partoriva in ospedale una donna su venti; nel 1958 una su tre e nel 1990 più del 99% dei parti è avvenuto in ospedale:

questo ha permesso una forte diminuzione dei problemi connessi al parto, per la madre

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e per il neonato, ma ha dato il via anche ad un’eccessiva medicalizzazione che snatura e disturba un evento che di per sé è naturale e fisiologico. Da qui la richiesta crescente di una maggiore libertà e partecipazione da parte della coppia e di un’assistenza al parto che dia più spazio alla libera espressione degli aspetti relazionali e alla componente emozionale dell’evento. Proprio per soddisfare questo bisogno, dagli anni ’80 si sono moltiplicate le esperienze alternative, dal recupero del parto domiciliare alla creazioni di spazi più o meno protetti. Le case da parto sono realtà fra loro anche molto diverse:

ne esistono di private e di pubbliche, possono essere localizzate all’interno dell’ospedale o all’esterno, e essere a questo funzionalmente collegate o no. Quando sono realizzate all’esterno di una struttura ospedaliera, in genere assumono una valenza più vicina al parto a domicilio; all’interno dell’ospedale sono invece strutturate cercando di unificare tutto il percorso travaglio-parto-postpartum in ambienti che risultino quanto più possibile simili a una camera da letto, mimetizzando quanto di tecnologico può essere necessario avere a portata di mano. La filosofia che le sostiene è di offrire alla donna e alla coppia la massima libertà di scelta e di movimento, in uno spazio protetto e rassicurante, una via di mezzo tra la casa e l’ospedale: lontane, come a casa, dagli eccessi della medicalizzazione che spesso l’ospedale comporta, ma con una sala operatoria e una terapia intensiva neonatale accessibili facilmente. L’opportunità o meno di scegliere queste strutture per il parto quindi è legata all’andamento della gravidanza: appositi protocolli di screening individuano le gravidanze fisiologiche che possono accedere in sicurezza a questi spazi. Da tempo si è chiaramente delineato anche il desiderio di poter tornare a partorire in casa: per questo sono nate numerose organizzazioni, prevalentemente private, ma non solo, che assistono il parto della donna al suo domicilio. Per quanto riguarda il vissuto della donna e della coppia, in questo caso anche il ruolo del padre risulta decisamente amplificato, si tratta sicuramente della scelta che offre il massimo dell’intimità e del coinvolgimento affettivo relazionale: nel proprio ambiente, nei propri spazi, senza forzare le proprie abitudini, il parto risulta un

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