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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.20 (1893) n.1010, 10 settembre

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L’ ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno IX - Voi. XXIV

D om enica IO S ettem b re 1893

'

N. 1010

LO STATUTO DELLA B A IA D’ ITALIA

Nell’ ultimo numero abbiamo scritte alcune con­ siderazioni generali sullo statuto della Banca d’ Italia, del quale non conoscevamo ancora il testo. Oggi abbiamo sottocchio lo schema sottoposto all’ appro­ vazione dei tre Consigli d’ Amministrazione riuniti e quindi possiamo abbandonare le osservazioni ipote­ tiche per esporre qualche giudizio critico positivo. E prima di tutto ci rallegriamo che la idea del Comitato permanente, 'rappresentante il Consiglio Superiore, sia stata accolta; nè ripeteremo qui le ragioni che ci consigliarono a propugnarne la isti­ tuzione. Se non che crediamo che la istituzione del Comitato non avrà grande importanza se non saranno bene e chiaramente definite le sue attribuzioni, non soltanto di fronte al Consiglio Superiore, ma anche di fronte alla Direzione Generale. Persistiamo a cre­ dere che quando il Consiglio Superiore si riserva come dice l’ articolo 40 « l’ amministrazione gene­ rale della Banca », ih Comitato che lo rappresenta debba per conseguenza avere, entro certi limiti, tu tti i poteri e non possa la Direzione Generale avere altro compito se non quello della esecuzione delle deliberazioni del Consiglio e del Comitato.

Ecco perchè, mentre troviamo giustissimo il se­ condo alinea dell’ art. SI che dice : « il Direttore Generale rappresenta la Banca in faccia ai terzi, è incaricato dell’ esecuzione delle deliberazioni del Con­ siglio Superiore e del Comitato ; e dà le istruzioni necessarie per attuarle » pare a noi esorbitante il i° ed il 5° alinea dell’ articolo stesso dove statuisce che il Direttore Generale « provvede alle operazioni in titoli dello Stato e in divise estere nei limiti sta­ biliti dalla legge, ed ha facoltà, in casi eccezionali di allargare o di restringere le assegnazioni mensili alle Sedi e Comitati, salvo a riferirne al Consiglio Superiore nelle prime sue tornate ».

Tali attribuzioni della Direzione Generale ci sem­ brano esorbitanti, giacché eccedono la semplice ese­ cuzione delle deliberazioni del Consiglio e sono veri e propri atti di amministrazione. Anzi, per la stessa loro natura sono (ed è troppo evidente perchè occorra dimostrarlo) gli atti straordinari più importanti della amministrazione. Nè vale il dire che la Direzione Generale deve riferirne al Consiglio, dappoiché questo non sarebbe più chiamato ad am m inistrare, ma a pren­ dere cognizione degli a tti am m inistrativi più importanti eseguiti dalla Direzione Generale. Non vediamo che alcuna obbiezione seria possa sorgere a far sì che la Direzione Generale debba compiere quei due u f ­

fici indicati dall’art. 51, quarto e quinto capoverso, in seguito a deliberazione del Comitato. Il timore del tradimento a scopo di guadagno personale non ci 1 sembra un buon motivo ; perchè sta di fronte a tale pericolo anche il timore della possibile dipendenza della Direzione Generale del Governo, specie quando si rifletta al primo alinea dello stesso articolo 51, che vuole approvata dal Governo la nomina del Diret­ tore Generale. Ripetiamo che abbiamo la massima fiducia nella saggezza e nel buon criterio del com- mendator Grillo, ma lo Statuto dura 20 anni, e quanto più il commendator G rillo sapesse resistere alle pressioni governative per esercitare sul mercato un’ influenza che, vantaggiosa alla politica del M in i­ stero, egli creda dannosa al paese od alla Banca, tanto più i Ministri cercherebbero di fargli succedere persona che sia più docile e più sottomessa.

Come abbiamo cercato di dimostrare pertanto, la Direzione generale non deve avere che una sem­ plice attribuzione esecutiva; spetti al Consiglio od al Gomitato deliberare. Saranno più liberi tutti : la stessa Direzione generale, il Governo ed il Comitato.

In ogni caso l’ art. 51 nei due alinea indicati va corretto almeno col prescrivere che gli atti delibera­ tivi compiuti dalla Direzione-generale debbano essere subito fatti conoscere al Comitato, poiché il Consiglio superiore si raccoglie troppo raramente.

Per analoghe considerazioni non possiamo lodare che non sia vietato alla Direzione Generale di fare dirottamente operazioni di sconto. È ben vero che l’ articolo 25 dello statuto stabilisce che « nessuna operazione di sconto potrà essere fatta dalla Banca senza il volo delle apposite commissioni » ma a que­ sta saggia disposizione evidentemente contraddice la facoltà lasciata alla Direzione generale di operare lo sconto direttamente, cioè senza il suffragio di quei congegni amministrativi che sono appunto il più va­ lido e più serio sindacato perchè le operazioni di sconto rimangano, per quanto è possibile, affatto di­ sgiunte dalla politica, colla quale la Direzione gene­ rale, per necessità di cose, ha tanti contatti.

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Ma appunto per questo, tale sua influenza sarà lim i­ tata al giusto, cosi che le operazioni passamente vietate dallo statuto ed i fidi che non hanno la loro ragione commerciale, non potranno facilmente nè essere imposti dalla Direzione generale, nè accettati dalle sedi o dalle succursali, colle quali la Direzione generale si potrà mostrare più severa sindacatrice, quanto più rigorosamente si sarà astenuta dall’ in­ frangere le regole stabilite.

Abbiamo veduto all’art. l o ripetuta la solita l'or mula che lo cambiali debbono essere munite della firma di non meno di due persone « notoriamente solvibili. » Ora che la legge ha ridotto anche per la Banca d’ Italia da tre a due il minimo delle firme, vorremmo che fosse rigorosamente osservata sotto tutti gli aspetti questa disposizione che generalmente non costituisce nella pratica un canone, a cui si presti abbastanza attenzione. Avviene infatti nella maggior parte delle Banche che si ammettano allo sconto effetti che non hanno di notoriamente solvibile se non una sola firma, sia perchè le altre firme sono notoriamente non solvibili, sia perchè sono effetti­ vamente sconosciute, sia perchè all’altra firma è già stalo accordato tutto il credito possibile. Codesto si­ stema non può andare. 0 si crede che basti la firma di un solo negoziante « notoriamente solvibile » ed in tal caso aboliamo la seconda firma, che il più delle volte è una firma per lo meno inutile; o ve­ ramente crediamo necessario per l’ Istituto due firmo ed in tal caso hanno ad essere firme solide e sol­ vibili tutte e due. Dunque la conclusione deriva fa­ cile assai dalle premesse: — o abolire l’ obbligo della seconda firma, od esigere che anche la seconda firma sia veramente seria.

A raggiungere questo scopo gioverà molto il si­ stema del Castelletto non solo, ma anche la tenuta di libri che facciano sapere al più presto alla Direzione Generale la esposizione diretta ed indiretta di tutti coloro che chièdono alla Banca degli sconti. Nessuno firma pósta sugli effetti, sieno essi direttamente od indirettamente scontati, deve avere una esposi­ zione che oltrepassi la cifra del castelletto. Ci si dice che questo concetto, buono in teoria, non può essere praticato ; ed allora noi domandiamo o che si muti la teoria, o che nella pratica la si segua con tutte le sue conseguenze.

Pericoloso poi ci sembra il secondo alinea dello stesso articolo 15 che dispone: « la Banca può accet­ tare, a maggiore garanzia, titoli di qualunque na­ tura, tanto nominativi quanto al portatore ». Ma la recente esperienza non ha insegnato che per questa porta sono passati a « maggiore garanzia » titoli che non aggiungevano alcun valore alle firme, che od erano già scadenti prima dello sconto e lo diven­ teranno poi? La Commissione d’ inchiesta non ci dice di crediti che non si ricupereranno mai, sebbene abbiano garanzia di titoli altra volta molto apprez­ zati? La Banca con simile facoltà si espone a tutti i pericoli della aleatorietà ed a tutti gli incomodi delle pressioni di ogni genere. Risanamento, Marmifera, Banche industriali, Fondiaria Italiana, Esquilino, T i­ berine, ec. ec. tutti titoli che poterono essere un tempo o maggiori garanzie » sono andati decadendo ed alcuni hanno affatto perduto ogni prezzo sul mercato. La le­ zione quindi approfitti e « a maggior garanzia » non si accettino che titoli dello Stato o dallo Stato diret­

tamente garantiti, obbligazioni fondiarie, obbliga— gazioni ferroviarie e via dicendo, ma sempre titoli

ammessi dal Consiglio superiore. La frase titoli eli qualunque natura, sembra fatta apposta per indurre in tentazione nei momenti più pericolosi c più an­ gustiati.

Sappiamo che in seno alla Assemblea dei tre Con­ sigli fu lungamente discusso anche il tema della autorizzazione a stare in giudizio concessa al Diret­ tore Generale. Opiniamo che anche qui sia necessa­ rio andar molto guardinghi. L ’autorizzazione di stare in giudizio può in molti casi, sotto la apparenza di tutelare un piccolo interesse, nascondere una facoltà importantissima che impegni la Banca a gravi con­ seguenze. Non è quindi fuor di luogo che interven­ ga sempre una deliberazione della Amministrazione; cioè del Comitato nei casi di evidente minore impor­ tanza, del Consiglio superiore negli altri. I casi ili vera urgenza possono essere previsti facilmente ed in ogni caso deve essere immediata la sanatoria della A m ­ ministrazione.

Notiamo ancora che l’art. 27 dello Statuto se­ conda allinea dove è disposto che possono interve­ nire alla Assemblea generale « gli Azionisti posses­ sori da tre mesi almeno, di 20 o più azioni della Banca » ci sembra in contraddizione coll’ art. 157 del Codice di Commercio dove dice : « ogni-socio ha un voto ed ogni azionista ha un volo sino a cinque azioni da lui possedute ». Subitochè i Ministri hanno dichiarato che la nuova Banca non è sottratta per nulla alle disposizioni del Codice di Commercio, — tanto che l’ordine del giorno del Senato, accettato lini Governo, afferma che lo Statuto della nuova Banca d’ Italia sia da compilarsi in conformità dello regole generali del Codice di Commercio e dello leggi speciali - la disposizione dell’ articolo 15 ci sembra assolutamente inaccettabile. E richiamiamo la attenzione degli Amministratori della Banca sulla stessa questione sollevatasi, crediamo, a proposito della Società Mediterranea.

Altro osservazioni di minoro importanza avremmo da fare sullo Statuto, ma non ci mancherà occasione di occuparcene; intanto prima di terminare, racco­ mandiamo alcune correzioni di forma,che non saranno certo sfuggite alla perspicacia degli Amministratori ed alla oculatezza del Direttore Geuerale.

L ’articolo I I « la Banca esercita il diritto di pre­ lazione sulle azioni spettanti ai suoi'debitori morosi », ci sembra un pleonasmo se si riferisce al diritto comune, una inutilità se pretendesse di stabilire un nuovo diritto.

A ll’ articolo 18 « le anticipazioni su pegno di mo­ nete d’ oro e d’ argento nazionali ed estere, e sopra verghe d’oro, possono essere fatte per l’ intero loro valore legale ». Bisogna invertire la frase, perchè le verghe d’ oro o d’ argento non hanno valore legale come le monete.

A ll’articolo 28 al 2° alinea, occorre correggere la espressione, poiché comparandolo all’ alinea prece­ dente, sembra che ogni azionista possa farsi rappre­ sentare anche se non fosse nelle condizioni volute dal primo alinea.

A ll’ articolo 39 ci pare necessario che si contempli il caso in cui il Consiglio superiore possa convo­ carsi anche per iniziativa di un certo numero di Consiglieri.

All' art. IO sarebbe bene che fosse indicato se il turno dei membri del Comitato sia semestrale, an­ nuale od altrimenti periodico,

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bligo al Direttore Generale di riferire al Consiglio Superiore soltanto sulle deliberazioni prese intorno ad attribuzioni straordinarie conferitegli dal Consiglio stesso. Evidentemente l’obbligo, almeno tacilo, deve essere di riferire su tutto I’ andamento defl’azienda.

Crediamo poi che debbano essere meglio chiariti gli articoli 70 e 7 1 ,che riguardano l’ accertamento degli utili e la loro ripartizione.

Infine crediamo incompatibile col Codice di Com­ mercio l’ articolo 91 che designa nello Statuto il nomo dei Consiglieri a tutto il 1894.

L’ITALIA E L’ UNIONE LATINA

Verso la metà del corrente mese si raduna a Parigi una Conferenza, in cui sono rappresentati tutti gli Stali della Unione monetaria latina, per discutere in­ torno ad alcune richieste mosse dall’ Italia, causa la particolare condizione in cui si trova, circa le sue difficoltà monetarie.

Como il solito in Italia il Governo nulla fa sapere sugli argomenti che saranno discussi dalla Confe­ renza ; in Italia il Governo parlamentare per le que­ stioni economiche non esiste; si risolvono per de­ creto reale anche gli aumenti d’ imposte e la opi­ nione pubblica non viene mai interrogata prima che i fatti sieno compiuti. Così, malgrado qualche comu­ nicato ufficioso, siamo ancora incerti se la Confe­ renza sia chiamata ad esaminare la domanda di na­ zionalizzazione degli spezzati d’ argento, o semplice­ mente se si sia trovato necessario un voto degli Stali della Unione, perchè I’ Italia possa emettere i biglietti da una lira contro altrettanta riserva di spez­ zati d’ argento. Il fatto che non sieno stati ancora emessi tali biglietti, sebbene da un mese sia stato pubblicato il decreto che li crea e sebbene le difficoltà dei traffici minori sieno andate aumentando, lascia credere che veramente gli altri Stati della Unione abbiano posto una specie di veto alla deliberazione presa dal Governo italiano. Non si potrebbe spiegare altrimenti il ritardo frapposto nel fornire al paese il medio circolante di cui ha urgente bisogno, subi- lochè si è stabilito che questo medio circolante abbia ad essere la carta.

Non crediamo che veramente nella lettera e nello spirito della Convenzione vigente vi sia una proibi­ zione ad emettere biglietti di piccolo taglio contro altrettanta riserva metallica, ma la Unione latina è proceduta fino a qui, nei rapporti tra Stato e Stalo, con una buona fede su i generis, così che non dob­ biamo nè possiamo meravigliarci di nulla.

Chi non ricorda che la clausola della liquidazione degli scudi fu respinta con orrore dalla Francia e dall’ Italia nel 1878, quando il Belgio la richiedeva; e chi non ricorda che nel 1885 la stessa clausola fu chiesta dalla Francia ed appoggiata dall’ Italia quando il Belgio la respingeva? Chi non rammenta che quella clausola sancisce il più assurdo dei diritti, quello di restituire la moneta che si è ricevuta per pagamento, quando, senza limite di tempo, quella moneta deprezzi?

Ora gli spezzati d’ argento che qualche anno fa la Banca di Francia si dichiarava non obbligata a r i­ cevere quando non avessero il conio francese, sem­ brano diventi la moneta dell’Unione per eccellenza,

e Francia e Svizzera fanno molte difficoltà a rico­ noscerne la nazionalità. Quanto ciò sia assurdo per una Lega che ha accettato la clausola della liquida­ zione degli scudi, che pur sono coniati a pieno titolo, non occorre dire. Il fatto è che, a quanto pare, della nazionalizzazione degli spezzati nella prossima Confe­ renza non si parlerebbe, e ci si limiterebbe a discu­ tere se l'Italia possa emettere biglietti da una lira in rappresentanza di spezzati costituiti a riserva. Non valse nemmeno che per tentare di togliere ogni dif­ ficoltà il decreto stabilisse che gli spezzati da rin ­ serrarsi nelle casse debbano essere tutti di conio italiano (ed evidentemente questa disposizione fu data per evitare che i nostri buoni alleati monetari gridassero che togliamo loro il medio circolante, non pensando che lasciavamo loro il nostro); la Svizzera, a quanto si afferma, obbietta che si rarefò in qua­ lunque modo la moneta circolante nei diversi Stati della Unione e quindi si porta un danno probabile a lutti.

Così resta dimostralo dalle discussioni del 1893 che la lega monetaria latina, ha servito è vero a far sì che alcuni Stati dell’ Unione prestassero gratuita­ mente agli altri delle somme, ma all’infuori di questa operazione finanziaria — estranea affatto agli intendi­ menti della Unione — essa ha contribuito ad inasprire le difficoltà monetarie di alcuni degli Stali. Si può dire che I’ Unione rappresenta un piano inclinato verso il territorio dove maggiore è la ricchezza e la abbon­ danza della moneta ; mano a mano ehe in una parte del territorio della Unione le difficoltà aumentarono l’ inclinazione del piano si accrebbe e le monete vi ruzzolarono rendendo piu sensibile il vuoto. Nè a questo fatale e dannoso effetto mancò di influire la politica bancaria della Banca di Francia; quivi la Banca quasi senza limite nella sua circolazione che ha già spinto a tre miliardi, è diventata la grande assorbitrice delle monete degli altri Stati. Così, mentre la Banca di Francia ha aumentato la sua circolazione immagazzinando gli scudi e gli spezzati italiani, la Italia non può emettere trenta milioni di biglietti immagazzinando spezzati propri.

Così la Svizzera, che notoriamente non ha moneta metallica sufficenle per i suoi bisogni e quindi con la attrazione che deriva dal vuoto usufruisce della moneta degli Stati, coi quali monetariamente è al­ leata, non pensa già a mettersi essa in condizione normale di parità cogli altri Stati, ma interpreta la Convenzione in modo da sembrarle diritto proprio impedire che le monete estere, che circolano nel suo territorio, ritornino alla nazione, da cui furono co­ niate.

Quando i posteri studieranno la Convenzione mo­ netaria latina nelle sue diverse fasi, la giudicheranno senza dubbio un contratto mostruoso. Nè vale il dire che per l’ Italia risultò un prestito vantaggioso; la Convenzione non fu nè studiata, nè discussa, nè stipulata con questo scopo, che è un risultalo di cir­ costanze impreviste.

L ’ effetto monetario della Lega, per I’ Italia fu disastroso.

E d in verità, di fronte allo stato di cose presente, noi ci domandiamo perchè non la si fa finita, non si denuncia la lega, non si decreta il corso forzato, e non si provvede allora liberamente almeno ad avere una buona e razionale circolazione di carta.

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tutto e di non aver bisogno che nessuno lo illu ­ mini.

Guardando però ai fatti è il caso di esclamare : — Santa ignoranza !

LA SMANIA DI LEGIFERARE

« Q u a n d l ’ig n o ra n c e e s t a u sein des so cié tés e t le d é s o rd re dai^s les e s p r its , les lois d e v ie n n e n t n o m b re u se s. Lea hom m es a tte n - d e n t to u t d e la lé g is la tio n , et c h a q u e loi n o u v elle é t a n t u n nou- v e a u m éco m p te, ils so n t portóa à lu i d e m a n d e r sa n s cesse, ce q u i n e p e u t v e n ir q u e d ’e u x m èm es, d e le u r é d u c a tio n , d e l ’é ta t de le u r s m o e u rs. »

Daluoz.

Una delle panacee, ai nostri giorni più in voga, per portare rimedio ai mali veri o supposti che si imputano all’ordinamento sociale è certo quella della legislazione. Il far leggi, il proporre nuove leggi e nuovi regolamenti, nel giudizio di molti, e special- mente degli uomini politici, dei giuristi e dei socia­ listi della cattedra, è il mezzo più acconcio, è quello cui più spesso essi ricorrono con la mente per prov­ vedere ai bisogni della collettività, per curare qualche malattia sociale, per dare l’indirizzo, che più collima con l’ una o i’altra teorica, a qualche fatto econo­ mico o d’altra natura.

Mentre gli anarchici, sul tipo del Kropotkine e del Róclus, gridano : non più leggi, e s’ industriano a mettere in luce i mali che, a loro credere, l’au­ torità e la legge generano, vi è per contro una scuola che se fosse lasciata libera di fare a suo ta­ lento, finirebbe a poco a poco col regolare ogni fatto mediante articoli di legge. È una vera smania che non si può spiegare altrimenti, se non ricorrendo alla teoria psicologica delle illusioni, secondo la quale in tutte le nostre operazioni mentali vi è una allucinazione, almeno allo stato nascente, e in conseguenza di questa condizione psichica siamo indotti talvolta a imma­ ginare effetti che la legge è impotente a dare, a credere possibile per l’azione sola dell’ autorità ciò che non può essere se non il risultato finale di una serie di cause, grandi e piccole, messe successiva­ mente o contemporaneamente in opera.

C i esageriamo insomma la portata, la efficacia, le conseguenze probabili dello strumento — la legge — che adoperiamo, tanto più dacché essa stessa riveste un carattere mistico che le tradizioni, la storia, il rispet­ to per essa, ereditariamente trasmesso da una genera­ zione all’altra, hanno fino ad ora consacrato e solo in quest’ epoca di prevalenza del dubbio su ogni cosa la ragione va scuotendo con risultati pur sempre inferiori a ciò che sarebbe desiderabile.

La critica di cotesto indirizzo mentale e politico è stata fatta più volte. Filosofi individualisti, come lo Spencer, economisti liberali, anarchisti teorici, da punti di vista differenti, con intenti e in una m i­ sura pure assai diversi, hanno indicato già da tempo gli effetti illusori e quelli dannosi prodotti dalle leggi. Nè sarebbe necessario di tornare su questo argomento, se non fossimo sempre minacciati da una colluvie di leggi su ogni specie di fatti, di relazioni * sociali e di manifestazioni della vita individuale e collettiva; e se non si rivelasse sempre più grave

la illusione di coloro che mettono la maggior fiducia nella legge, quale mezzo per dare alla società l’in­ dirizzo che a loro più piace.

Può quindi giovare il rammentare di tanto in tanto agli smemorati che stanno escogitando nuovi provvedimenti legislativi, quali sono gli effetti di cui ci è prodiga, in tesi generale, la legge - salvo s’ intende a specificare quelli che da ogni singola legge derivano - e vediamo con piacere che la rea­ zione contro la smania del legiferare trova aderenti anche fra qualche giurista. Cosi I’ avv. E. A. Porro, direttore del M onitore dei Tribunali, analizzava acu­ tamente in un suo articolo la situazione disastrosa che è fatta specialmente dalla legislazione punitiva e i pericoli, ai quali ci espone la manìa di far leggi. Poiché non è un economista, ma un giurista che sorge a dare l’ allarme, ci pare tanto più interes­ sante di segnalarne ai nostri lettori le idee principali. L ’ avv. Porro dopo aver rilevato una cosa curiosa e vera, e cioè, che mentre nella legislazione civile si usano tutti i riguardi per i debitori e per coloro che contravvengono alla legge, nella legislazione pe­ nale si fa tutto il contrario perchè si tratta con molto rigore chi urta contro un articolo magari ignorato dai più e per un reato non così evidente come il furto, l’omicidio ecc., ma per la sua lieve infrazione, si chiede più specialmente questo:

È bene che si vengano a moltiplicare le nostre prescrizioni restrittive e creando pene per una quan­ tità di fatti che prima non erano trattati come de­ litti ? È bene che si ricorra con tanta frequenza al sistema di erigere a delitto la violazione di alcune regole di ordine generale ? E per dimostrare che bisogna rispondere di no, l’avv. Porro incomincia a ricordare che le cause di questa smania di fare un delitto anche dello stormir delle foglie possono ri­ dursi a queste quattro: La prima sta, a suo credere, nel crescente raffinamento morale della società, onde si prova ripugnanza a pensare che le cose vadano ancora come pel passato ; la seconda sta nel bisogno, nella mania di sollecitudine, di rapidità uniforme che invade tutta la vita moderna e che si sviluppa an­ che nella legislazione, onde una regola di morale sociale avvertita prima dalle persone più elevate si vuol farla subito infiltrare anche nei minori strati sociali e per ciò se ne formula uri articolo di legge; la terza ragione sta nella manìa accentratrice dello Stato, il quale crede di adempiere alla sua missione col moltiplicare i precetti di buona convivenza e così accompagnare la gente con sanzioni penali ; donde le esagerazioni delle nostre leggi ; l’ ultima sta nella comodità del sistema. Infatti mentre si po­ trebbero applicare delle sanzioni civili e adoperare vari mezzi di propaganda della regola nuova, di v i­ gilanza e di influenza si trova più spiccio e più semplice non far nulla di direttamente efficace per­ chè quella regola si diffonda e si osservi e si stabi­ lisce senz’altro una sanzione penale, la quale serva sopratutto come mezzo preventivo.

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generale economico, politico, forse anche appena estetico, con un diritto vero e proprio, si invade il campo della libertà individuale, inceppando restrin­ gendo, costringendo la iniziativa privata, inaridendo le risorse delle varie altitudini, e ingenerando l’ idea che non sia già lecito di fare tutto ciò che non è espressamente proibito, ma che sia invece vietato tutto ciò che non è espressamente consentito.

Il secondo effetto è che la legge diventa ingiusta. La ingiustizia che commette quotidianamente la legge è di limitarsi a registrare un obbligo per i cittadini, di accompagnarlo spesso con una sanzione non in ­ differente, senza far nulla allo scopo di portare a notizia degli interessati le nuove prescrizioni, abu­ sando cosi della presunzione della conoscenza della legge. L ’ abuso che commettiamo di questo princi­ pio è infatti veramente grande ; ce ne serviamo in una quantità di casi in cui esso è in urto e in contrasto assoluto colla verità dei fatti quali emer­ gono anche da un esame superficiale. La presun­ zione della conoscenza della legge può ammettersi per le norme già acquistate alla coscienza comune, ma non per fenomeni, istituti, negozi nuovi, pre­ scrizioni e precetti che prima non facevano parte del corpo delle leggi, i quali quindi non sono ancora come gli altri penetrati a poco a poco nei vari strati sociali. Si commette quindi una ingiustizia, perchè si comminano sanzioni a carico dei cittadini colla certezza che esse saranno inopinatamente applicate in mezzo ad un vasto pubblico che ne è affatto ignaro. E l’ ingiustizia diventa tanto maggiore, quanto minore è la coltura del popolo.

Terzo effetto è che la legge diventa demoralizza­ trice. Se la legge è opprimente, se si fonda soltanto sulla comoda base di un principio abusato, se esa­ gera nella elezione dei mezzi punitivi, la legge d i­ venta strumento di demoralizzazione. Ma si ìia di più. L ’ aumentare le pene, il disseminarle larga­ mente qua e là nella legislazione, anche per le cose più innocenti o quasi, produce due effetti diversi, egualmente dannosi. Il primo è quello di togliere valore morale alla pena, famigliarizzandola col cit­ tadino onesto, che si trova anche ad inciampare, talvolta perfino necessariamente, nel fitto reticolato degli obblighi legali. Difatti, come si può pensare che il fatto di aver commesso una contravvenzione alla legge sul bollo, tolga stima e rispettabilità ad una persona, specialmente se questa poteva esserne ignara o se le circostanze in cui ebbe a trovarsi spiegano come avesse dovuto o avesse potuto talora in buona fede violare la prescrizione ? E ciò avverrà tauto più tra persone rozze, che vivono in ambienti ristretti.

Ma vi è un effetto che è anche più grave. La varietà numerosa delle sanzioni fa sì, come si è detto, che frequentissime debbano essere le loro violazioni. Se si_ facesse una statistica delle nostre prescrizioni punitive, intendendo questa qualifica nel suo signi­ ficato più ampio, si troverebbe una serie numero­ sissima, la quale contempla gli atti, le omissioni più diverse, più curiose, più svariate e le contempla con una minuziosità pettegola e quasi inverosimile. In generale, è vero, molte di quelle sanzioni non sono applicate, esse di solito vivono tranquille, indiscusse e inoperose nella raccolta ufficiale, disturbate solo fratto tratto da qualche studioso solitario che viene a farne, stupefatto, la conoscenza teorica. Se si doves sero davvero mettere in moto tutte quante — scrive

if Porro — se ad un tratto ad un segno stabilito, tutte quante prendessero inesorabilmente a funzio­ nare, ben pochi, ma pochi assai, lo diciamo con profonda persuasione, sarebbero coloro che se ne potrebbero salvare. Ma in pratica la cosa non è in tutto così. Si dice bensì che le prescrizioni e le sanzioni relative sono dettate e registrate nel corpo delle leggi per esercitare una funzione preventiva ; ma accade talvolta che I’ applicazione improvvisa, al primo che capita, d’ una prescrizione disusata, ri­ veste di fronte alla persona colpita e al pubblico, il carattere d’ una suprema ingiustizia, quando non si possa ritenere che si tratti, peggio, d' una forma di rappresaglia personale d’ un pubblico funzionario. Tanto nel primo, come nel secondo caso, è deleterio l’ effetto che produce l’ applicazione cosiffatta della legge. La persona colpita si forma una opinione sulla giustizia, che non occorre dire quanto sia dannosa moralmente alla convivenza civile. E nulla diciamo qui, sebbene il Porro se ne occupi con idee giustis­ sime, sulla diversità delle pene adottate per questi precetti, pene corporali e pene pecuniarie, che creano una grande diversità di trattamento ; nè crediamo necessario di riferire i criteri, che secondo l’ egregio giurista si dovrebbero adottare e seguire per arri­ vare a un sistema meno ingiusto, perchè egli si oc­ cupa delle legislazioni punitive, mentre a noi ba­ stava ora di indicare le cause di perturbazione e di danno in esse riposte.

Concludendo, pare a noi che, specie ai nostri giorni, urga combattere la tendenza a sviluppare l’ immane edifici r della legislazione, se non si vuole che la li­ bertà individuale nelle sue varie manifestazioni esuli dalle società civili e si instauri il regime conven­ tuale a base di disposizioni regolamentari; sono tagli cesarei che vanno fatti sul corpo delle leggi e non sempre nuove riproduzioni. La tendenza odierna a legiferare su tutto, non è che un sintomo di quel disordine delle idee, di cui parla giustamente un altro giurista, il Dalloz, nelle parole che abbiamo prese per epigrafe. A quel disordine delle idee b i­ sognerebbe provvedere e provvedere senza indugio, se la società non deve cadere in mano ai nuovi bar­ bari che si avviano alla conquista del potere.

LE FOIE, LE TEORIE E L'EVOLUZIONE DEL SALIMI) *>

XVIII.

F in qui ci siamo occupati della retribuzione del singolo operaio che lavora per conto d’ altri; dobbiamo ora vedere le forme che può assumere il salario collettivo. Finché il lavorante basta da solo a com­ piere una data operazione, finché si può misurare il lavoro compiuto da ciascun operaio la mercede alla mano d’opera può essere individuale, raggua­ gliarsi cioè al lavoro del singolo salariato. Ma quando è necessario il concorso di parecchi operai per la esecuzione di una operazione industriale o la determinazione del lavoro compiuto da ciascuno è malagevole, allora il salario collettivo si presta meglio

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a regolare i rapporti tra imprenditore e lavoranti. Questo compenso collettivo è il più spesso un vero salario a cottimo, ma può assumere varie forme.

Una prima distinzione può l'arsi secondo il modo con cui si organizza la produzione.

Il lavoro può essere dato in appallo a un capo operaio, il quale prenda sotto di se degli operai a giornata. Si hanno così rispetto a lui i vantaggi del salario a compito ; egli è interessato alla massima produttività del lavoro, e non trascurerà nulla per ottenerla. Quanto agli operai si hanno ¡ difetti del salario a giornata, ma diminuiti dalla maggiore faci­ lità ed efficacia della sorveglianza, perchè questa si esercita in un campo ristretto e perchè l’appaltatore del lavoro, che generalmente è o fu operaio, conosce tutte le astuzie con cui si tenterebbe di eluderla. Però l’appaltatore cerca sopratutto che il lavoro sia compiuto a buon mercato, preoccupandosi .Iella sua qualità solo in quanto I’ imprenditore la può verifi­ care e quindi sarà molto facile che ricorra ad operai cattivi per pagarli meno.

Si può, invece, dar in appalto il lavoro ad una società di operai ; in questo modo i vantaggi del salario a compito si hanno pel complesso dogli operai e non per un solo appaltatore. Perchè poi sia stimo­ lato l’interesse individuale di ciascuno bisogna che il gruppo sia composto di pochi, i quali si possano facilmente sorvegliare tra loro *). Ma se questi sono i caratteri fondamentali, non si possono dire i soli che assume il salario collettivo, e noi dobbiamo spingere le ricerche più innanzi. E vediamo subito l’ ultima delle due forme ora indicate.

Può aversi la mercede collettiva quando l’ impren­ ditore accetta di pagare a un gruppo di operai una remunerazione consistente in un salario a tempo, purché il gruppo slesso eseguisca un deterniinato quanlum di lavoro in un tempo stabilito. È una forma di salario che si scosta da quello a cottimo precisamente per l’ ultima condizione, cioè pel tempo fissato ; lo Schloss la chiama collective lask-wage in analogia al task-wage, o salario a tempo pa­ gato al singolo operaio per un dato lavoro da farsi nel periodo di tempo pattuito. Non è la forma più frequente di salario collettivo, perchè presenta svan­ taggi per gli operai, i quali se non giungono nel tempo fissato a dare il lavoro pattuito si trovano esposti a una riduzione di mercede. E l’ alea del tempo è tanto più pericolosa quanto più numeroso è il gruppo di lavoranti, la efficacia del loro lavoro potendo essere assai differente, anche supposto che ciascuno senta lo stimolo di fare il più che gli è possibile.

Il salario collettivo a cottimo, il collective piece- wage, è invece praticato in varie industrie e si di­ mostra conveniente e necessario in molli casi, nei quali è il solo lavoro associato di più persone, di­ retto da un capo, che può dare il prodotto. Così nelle industrie della ceramica e vetraria il salario col lenivo a cottimo è di applicazione estesissima, ap­ punto perchè nella fabbricazione delle stoviglie, dei vetri, delle bottiglie e simili, le capacità richieste dalla specialità del lavoro sono di vario grado, e le diverse operazioni sono dirette da un capo che ha sotto di sè, artefici, manuali e ragazzi, ha la re­ sponsabilità dell’opera fatta e ottiene, naturalmente, un compenso più elevato degli altri. Lo Schloss

!) Gobbi, I l lavoro e la sua retribuzione, p a g . 43.

cita il caso dei gruppi di lavoranti per la produ­ zione di bicchieri formati dal capo operaio (detto gaffer) da un lavorante (servitor) da un manuale (footmalier) e da un ragazzo (ta k e r -in ) ; ciascun membro del gruppo ha un compenso in proporzione del grado di capacità richiesto per l’opera che gli viene affidata. Così in un gruppo di tal genere, che lo Schloss vide all’opera, il capo riceveva 0 denari per ora a condizione che il gruppo producesse sei bicchieri l’ora, vale a dire, aveva 1 denaro per bicchiere, il lavorante o servitor aveva 5 denari l’ ora, il manuale 3 denari e il ragazzo I denaro e ‘ /2. In ogni periodo di sei ore il gruppo in parola fa­ ceva ottanta bicchieri, e il compenso collettivo am­ montava per tal modo a 17 scellini e 2 ’ /, denari dei quali 6 scellini e 8 den. spettavano al capo, 5 scell. 6 8/s den. al lavorante, 3 scell. e 4 den. al manuale e 1 scell. e 8 den. al ragazzo *).

In questo e in consimili casi conviene che la somma totale, pagata al gruppo dei lavoranti, come salario collettivo a compito, sia divisa dall’ intrapren- ditore tra i membri del gruppo in quella propor­ zione che da essi può essere accettata come equa, cioè fondata sull’abilità relativa richiesta dal lavoro di ciascuno di essi e non in modo da indurre il capo a costringere i suoi compagni all’ eccesso di la­ voro col dare a lui una parte indebitamente larga del salario collettivo. Il gruppo poi può essere più o meno numeroso secondo i casi. Lo stesso Schloss indica come un esempio di salario collettivo a cot­ timo sopra grande scala l’ organizzazione del lavoro nei cantieri navali governativi dell’ Inghilterra (Rogai Dockyards). Ivi il lavoro è affidato a gruppi di cen­ tinaia di operai, di duecento, trecento ed anche di sei o sette cento uomini ; ciascuno è separatamente valutato a un dato saggio per giorno e la somma totale pagata per l’ opera complessiva di un gruppo, in riguardo a una data quantità di lavoro, è divisa dai funzionari deH’Ammiragliato tra tutti i membri del gruppo, in proporzioni corrispondenti con accurata approssimazione al differente saggio di mercede fis­ sato per ciascun operaio. Pare che questo sistema introdotto nei detti cantieri da poco tèmpo abbia dato risultati soddifacenti, perchè da una parte gli operai occupati nella costruzione di varie navi hanno guadagnato in qualche caso sino il 23 per cento in più del salario giornaliero loro valutato e dall’altra affermasi che le navi sono state costruite con il 23 per cento di minor tempo e col 23 per cento di minor costo di prima. Non ostante questi risultati il sistema non è accettato sempre con favore dagli operai.

L ’ obbiezione principale che vien fatta a questo caso speciale di salario collettivo è che il compenso al la­ voro non è stabilito in base a un accordo espresso fra

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l’ imprenditore e l’operaio ; quest’ ultimo dovendo ac­ cettare o respingere le condizioni che gli son fatte dal primo. Nella pratica la cosa procede così: i fun­ zionari preparano un preventivo del costo totale del bastimento, e quindi della spesa per la mano d’ opera; il lavoro fatto ogni settimana viene misurato e con­ frontato colla quantità totale del lavoro che dev’ es­ sere compiuto per quella data nave. Stabilito così un rapporto tra il fatto e il da farsi, una parte più o meno esattamente proporzionale dell’ ammontare totale della spesa per mano d’ opera è divisa fra gli uomini del gruppo. In nessun caso però essi rice­ vono meno del salario giornaliero calcolato in pre­ cedenza. Ma è dalla cifra prevista per mano d’ opera che dipende l’altezza del compenso che verrà a per­ cepire l’ operaio ed è di non poter concorrere a de­ terminare quella cifra che si lagnano i lavoranti.

Lasciando altre minori obbiezioni, può osservarsi che quando il gruppo è numeroso vi sono tutte le probabilità che si perdano i vantaggi del cottimo. Pochi operai uniti insieme possono sorvegliarsi a vi­ cenda facilmente, così che il lavoro proceda con la maggiore speditezza ; i meno zelanti trovano uno sti­ molo costante nell’attività spiegata dai compagni più alacri e diligenti. Ma quanto più diventa compatto il gruppo tanto minore è lo stimolo a una attività uni­ formemente intensa. Il vincolo della solidarietà ap­ punto perchè dovrebbe tener stretti centinaia di uo­ mini, è meno efficace e ciascuno crede che sia in­ differente se lavora intensamente o no, dacché i suoi sforzi particolari possono produrre sul resultato totale soltanto un effetto insignificante.

È necessario insistere sopra il carattere fonda- mentale del salario collettivo, e ciò allo scopo di non confonderlo con altri melodi di remunerazione del lavoro, di cui ci occuperemo in seguito. Nel sa­

lario collettivo è l’ intrnpreuditore che distribuisce tra gli operai la somma totale fissata quale compenso per il lavoro che il gruppo degli operai ha da com­ piere. L ’ intraprenditore assegna un dato compenso, come si è veduto nell’ esercizio della fabbricazione dei bicchieri, a ciascuno dei componenti il gruppo, il quale, lavorando a cottimo, percepisce un salario collettivo corrispondente alla quantità di prodotto ot­ tenuto, salario che viene diviso in base agli asse­ gnamenti individuali fatti in precedenza. Che l’ im ­ prenditore debba stabilire quale sarà il compenso dei singoli lavoranti per unità di prodotto è evidente, perchè diversamente verrebbe a mancare qualsiasi criterio di ripartizione del salario che il gruppo di operai si è guadagnato. Se invece un gruppo qual­ siasi assume di compiere un dato lavoro a un certo prezzo e l ’ imprenditore non si occupa menomamente 'Mella divisione di quel prezzo, abbiamo il lavoro coo­ perativo, che non va confuso col lavoro a cottimo retribuito con salario collettivo.

L ’ effetto principale di quest’ ultimo metodo di retribuzione - il quale ha naturalmente i pregi e i difetti del salario a cottimo - è di promuovere il reciproco sindacato degli operai tra loro, ciascun membro del grappo avendo un interesse diretto non solo a fare bene il proprio dovere, cioè la parte del lavoro che gli incombe, ma ad incoraggiare lo zelo e la diligenza di tutti i suoi compagni. Il pericolo eli’ esso presenta è che se la remunerazione del capo del grappo dipende in gran parte dalla speditezza nel lavoro dei suoi operai subordinati, e special­ mente se gli è concessa una certa libertà d’ azione

circa il numero, la scelta e il licenziamento dei la­ voranti, egli è probabilmente indotto a sfruttarli il più possibile, a cercare cioè di ottenere il massimo prodotto, anche al prezzo di un deplorevole su r­ menage fisico. Il pericolo è in ragione diretta dello interesse e del potere che ha il capo del gruppo, ed è a questo riguardo che I’ intraprenditore (leve impedire qualsiasi eccesso, regolando egli stesso, con equità, i rapporti tra i membri del gruppo.

Ma come il salario individuale a cottimo può es­ sere perfezionalo eoi premi,•cosi può farsi pel sa­ lario collettivo, ed è ciò che dobbiamo vedere.

Rivista Bibliografica

E. Nlasè-Dari. — L. A. Muratori come economista. — Bologna, tip. Fava e Garagnani, 1893, pag. 114.

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584

L’ E C O N O M I S T A

10 settembre 1893

Edward Atkinson. — Taxation and Work. — A series of treatises on tlio Tariff and thè Currency. — London e New-York, G. P. Putnam’s Sons, 1893, pag. XVII-296.

L ’ Autore di questo libro è un valoroso Ubero scambista, che gode agli Stati Uniti di una meritata stima ; è pure uno statistico reputato e noto anche in Europa per i vari studi, nei quali con molta abi­

lita sono raggruppate le cifre più interessanti. In questo suo nuovo volume, che è una raccolta di scritti sulla questione della tariffa e su quella mo­ netaria, il signor Atkinson combatte col gran vigore che è in lui caratteristico, contro il protezionismo e contro la politica monetaria che ha condotto il suo paese a farsi acquirente e protettore dell’ argento e a creare così una pessima moneta. Le sue varie di­ mostrazioni dei danni che procura la tariffa prote­ zionista sono degne di studio, perchè se gli argo­ menti che egli adopera non sono nuovi sono però appoggiati a cifre e a fatti recenti, che hanno grande valore sull’ argomento e che ciascuno può accertare da se medesimo.

L ’ Atkinson insiste a dimostrare che la protezione non aumenta i salari, che essa promuove la guerra, mentre il libero scambio favorisce la pace, mette in luce i danni derivanti dalla pace armata, come la protezione non possa essere che parziale e quanto viene a costare al paese. Sono trentun capitoli scritti in forma facile, ricchi di dati e se anche possono rilevarsi alcune inesattezze, specie riguardo alla E u ­ ropa, il libro del E A tkinson è pur sempre un lavoro polemico che si legge con interesse.

Rivista Economica

V industria degli zolfiL’immigrazione italiana in

BavieraLa produzione del carbon fossile nella

Gran Bretagna.

L’industria degli zolfi. — Il ministero degli esteri allo scopo di conoscere le cause del.deprezzamento, che da qualche anno si verifica negli zolfi che si esportano all’estero, onde porsi in grado di adottare quei provvedimenti che possono giovare alla indu­ stria solfifera, ha testé diretto ai nostri agenti di­ plomatici e consolari una circolare al fine di rac­ cogliere cifre più che è possibile esatte, circa la quantità di zolfo adoperato nei vari usi industriali, nonché un listino mensile dei prezzi dello zolfo nelle principali piazze commerciali. Questi dati avranno una grande importanza per giudicare sull’ avvenire dell’ industria solfifera e sui provvedimenti che il go­ verno potrebbe essere chiamato ad adottare per ve­ nire ad essa in aiuto.

Infatti una delle industrie più importanti in Italia è quella delle miniere solfifere, la quale da sè sola rappresenta più di metà della produzione mineraria e dà lavoro a più di 33,000 operai.

Negli ultimi anni la produzione complessiva del regno non ha subito grandi variazioni. Essa viene consumata parte in paese e per circa tre quarti si esporta all’ estero.

Anche l’esportazione non ha avuto, in questi anni, grandi oscillazioni, e in ogni caso non così forti come

quelle subite dal prezzo unitario, ciò che meglio si rileva dallo specchio seguente :

Produzione Esportazione Prezzo

tonnellate tonnellate p er tonnellata

1 8 8 2. . . . 4 4 5 , 9 1 8 2 7 3 , 3 4 6 1 0 4 , 5 9 1 8 8 3 . . . . 4 4 1 , 5 0 8 2 8 8 , 381 9 4 , 9 4 1 8 8 4... 4 1 1 . 0 3 6 2 7 7 , 2 1 0 8 8 , 8 5 1 8 8 5... 4 2 5 , .347 2 8 9 , 2 5 7 8 1 , 1 8 1 8 8 6... 3 7 4 , 3 4 3 3 0 0 , 8 8 1 7 4 , 6 9 1 8 8 7... 3 4 2 , 2 1 5 2 7 9 . 6 2 8 6 9 , 2 5 1 ' 8 8... 3 7 6 , 5 3 8 3 3 3 , 7 9 0 6 6 , 4 5 1 8 8 9... 3 7 1 , 4 9 4 3 3 1 , 9 0 2 6 6 . 3 6 1 8 9 0... 3 6 9 ,2 .3 9 3 2 8 , 7 0 4 7 7 , 5 5 1 8 9 1... 3 9 5 , 5 2 8 1 6 9 , 3 7 6 1 1 2 , 5 7 1 8 9 2... — 2 9 1 , 0 8 0 9 5 , 1 7

Il prezzo che prima del 1882 fu sempre superiore a L. 100 per tonnellata, cominciò, dopo Quell’ anno, a discendere per l’aumentata produzione sino a L. 66 negli anni 1888-80. Salì bruscamente nel 1891 a L. 112 e si mantenne a L . 93 nel 1892 per pre­ cipitare in quest’ anno a sole L. 60, il prezzo più basso verificatosi finora.

L ’ impiego più importante del nostro zolfo nella prima metà del secolo era quello della fabbricazione dell’ acido solforico. Ma essendosi trovato più econo­ mico di adoperare per questo uso le piriti (bisolfuro di ferro), che tanto abbondano in natura, special- mente nella Spagna e nel Portogallo, ne derivò che minore quantità del nostro zolfo fu chiesta dalle fabbriche di acido solforico ; ed anche in Italia, ove lo zolfo si ha a miglior mercato, sia per le minori spese di trasporto, sia perchè non gravato dal forte dazio di esportazione di L. 11 per tonnellata, le fabbriche di acido solforico adoperano oggidì le piriti.

La sola America del Nord ha fatto eccezione poi­ ché ivi esistono ancora molte fabbriche che consu­ mano lo zolfo in quantità di circa 100,000 tonnellate all’anno, ossia un terzo circa della nostra esportazione.

Se malgrado la sostituzione delle piriti, la nostra esportazione si è mantenuta nelle rilevanti cifre sud­ dette, e se anche i prezzi furono per molti anni assai sostenuti, ciò è dovuto al grande consumo che se ne fa in agricoltura, specialmente per la cura delle malattie che infestano la vite, ed in altre in ­ dustrie.

Il ministero d’agricoltura ha riunite alcune notizie sui vari_ usi dello zolfo e sulle quantità che per cia­ scuno di essi si consumano, esse non sono però complete e talune poco recenti, di qui la necessità di raccoglierne di nuove. Gli usi principali dello zolfo sono i seguenti : esso viene impiegato nell’ agri­ coltura, come si è detto, per combattere le malattie della vite e per curare alcune malattie del bestiame, e si calcola che circa il 40 per cento dell’ intera produzione zolfifera sia a ciò adibita. Ad esempio, in Italia, si consumano annualmente, da 30 a 60 ton­ nellate di zolfo quasi interamente per la viticoltura. Un secondo uso dello zolfo è quello della fabbri­ cazione del solfuro di carbonio, che ne contiene l ’84 per cento e si adopera per combattere la fillossera ed anche per il trattamento delle materie grasse e e per l’estrazione degli olii da grani e semi oleosi. In Inghilterra per quest’ ultimo uso si consumavano pochi anni or sono circa 10,000 tonnellate di zolfo e 8000 circa in Francia.

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Un terzo uso, che deve avere una certa impor- l.inza perchè divulgato in tutti i paesi, è quello della fabbricazione delle polveri piriche e dei preparati pirotecnici in genere.

Un quarto uso è quello accennato sopra, della fab­ bricazione dell’ acido solforico, una volta molto esteso, ora ridotto all’America del Nord e ad alcune fabbriche d’ Europa, le quali hanno bisogno di acido solforico purissimo per speciali industrie, come quelle del­ l’acido citrico e prodotti medicinali.

Qualche anno fa in Inghilterra si consumavano 12,000 tonnellate all’anno di zolfo a tale uso; sa­ rebbe interessante conoscere quale è oggi in Inghil­ terra e negli altri paesi la quantità di zolfo trasfor­ mata in acido solforico puro, perchè questo impiego può prevedersi duraturo.

Altre minori applicazioni sono fatte dello zolfo nelle industrie per la fabbricazione del caoutchouc, del­ l’ ebanite, dei fiammiferi e dell’imbianchimento della paglia e della carta.

Da ciò che si è detto risulta che il nostro zolfo ha due specie di impieghi, l’uno che può prevedersi duraturo e comprende tutti quelli enumerati, meno la fabbricazione dell’acido solforico comune; l’altro costituito appunto da questa fabbricazione il quale è minacciato, anche per quello che oggi rimane, dalla concorrenza delle piriti.

Il costo dell’acido fabbricato con queste ultime è minore che adoprando zolfo e si calcola che i no­ stri produttori dovrebbero offrire lo zolfo nei porti d’ imbarco a non più di 60 lire la tonnellata, se vo­ gliono mantenere la loro esportazione in America. Ecco la ragione del ribasso odierno.

L ’ immigrazione italiana in Baviera. — Un re­ cente rapporto del cav. Oldenburg, regio console italiano a Monaco, ci rende conto della immigrazione italiana in Baviera nell’anno 1892 e da esso spigo­ liamo le notizie di maggiore interesse.

Gli operai italiani immigranti in Baviera durante lo scorso anno furono in totale, a quanto almeno risulta dallo spoglio delle schede presentate al Conso­ lato, 5454, quindi 256 meno dell’ anno precedente. Continua quindi Ja scala decrescente accentuatasi dopo il 1880.

In tutto 1’ anno ne rimpatriarono 5454.

La linea Salzburg-Pontebba, benché la più inco­ moda e la più lenta, è la maggiormente frequentata dai nostri operai, perchè la meno costosa, compien­ dosi ora un viaggio di quasi due giorni di ferrovia da Monaco ad Udine, con la modicissima spesa di marchi 12.

Nel 1892 furono rimpatriati a spese del nostro governo 228 persone colla spesa di 3012 m archi: e molti di codesti rimpatriami a spese dello Stato provengono da altri paesi, sussidiati dai nostri consoli fino a Monaco e qui muniti di viatico fino alla pa­ tria, o fino ad Ala, a seconda delle condizioni del rimpatriando.

I rimpatriami del 1892 sono così divisi per sesso; maschi 5299, femmine 155 soltanto. Sotto il rap­ porto del mestiere da essi esercitato in Baviera si ripartiscono così : Fornaciai 4122 ; muratori 623 ; minatori e scalpellini 195; boscaiuoli 1 0 4 ; figuri­ nai 92; fruttivendoli 77; modelli, suonatori ece. 79. E in sensibile diminuzione la immigrazione dei frut- ùvendoli e figurinai; a causa della severa proibizione per parte dell’autorità di polizia dello smercio giro­ vago delle loro merci in città; provvedimento del

resto assai lodevole, perchè ha tolta una vera piaga della nostra immigrazione in Baviera, qual’era l’ in­ contro ad ogni piò sospinto di un ragazzo sudicio o di un uomo male in arnese e spesso ubbriaco, ohe insistentemente presentava per la compera una figu­ rina di gesso o un cartoccio di castagne o nocciuole. A ciò deve anche in parte attribuirsi la notevole diminuzione nella immigrazione dei ragazzi sotto ai 15 anni e dai 15 ai 20, che venivano appunto impiegati, o meglio sfruttati nelle industrie suac­ cennate.

I 5454 immigranti dell’anno passato così si d iv i­ dono per età :

Sotto ai 15 anni 112 Dai 15 ai 20 » 194 Dai 20 ai 30 » 989 Dai 30 ai 40 » 1896 Dai 40 ai 50 » 1522 Dai 50 ai 60 T> 683 Sopra i 60 » 58 Totale 5454

La causa della diminuita immigrazione dei ragazzi sotto ai 15 anni e dai 15 ai 20, oltre alle ragioni dette, va anche attribuita alla severissima applicazione, per parte dell’autorità politica, della legge sulla istru­ zione obbligatoria, in esecuzione della quale vennero processati e condannati a pene pecuniarie,coloro che, nei giorni ed ore fissate dai regolamenti, non man­ davano i ragazzi da loro dipendenti alla scuola.

Dispetto alle provincie, cui appartengono gli im m i­ granti del 1892, si dividono come segue:

Udine 4697, Belluno 206, Lucca 88, Treviso 163, Venezia 108, Padova 40, Gaserta 82, Milano 22, Verona 34, Novara 14.

Le condizioni dell’ operaio in generale nella Ba­ viera non sono mutate nell’ anno decorso, si sono migliorate invece quelle dei capi-fornaciai. Infatti una vertenza di grande importanza, di cui ebbe l ’anno passato ad occuparsi il nostro Consolato, fu la rego­ larizzazione della posizione dei capi-fornaciai colà occupati, di fronte alla imposta sulla industria. Da parecchi anni ed in modo sempre crescente, questa categoria di lavoranti si era appellata al Consolato, dicendosi ingiustamente aggravata da quella imposta.

D i quale importanza materiale per gli interessati sia stata quella vertenza risulta dal fatto che 45 capi- fornaciai, dei quali il r. Console ha rilevato l’ importo dell’ imposta da essi richiesta per l’ anno 1892, avreb­ bero dovuto pagare, compresa la tassa comunale ed industriale, in cifra tonda più di 10,000 marchi. Il governo provinciale, cedendo alle giuste pretese del consolato italiano, ridusse alla quarta parte la tassa­ zione primitiva.

In altro argomento eminentemente umanitario era richiamata l ’ attività e l ’ intervento del Consolato, cioè sulle denuncie e liquidazioni delle indennità per infortuni sul lavoro di operai italiani, definite di per­ fetto accordo fra le varie Società di assicurazione e gli aventi diritto all’indennità.

Il r. Console termina lodandosi grandemente delle direzioni degli ospedali bavaresi, e più specialmente di quello della città di Monaco, ove gli italiani vengono amorevolmente accolti e curati.

Non tutto il mondo è paese !

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ferro-580

L’ E C O N O M I S T A

10 settembre 1893

vie e della navigazione, la produzione del carbon fos­ sile ha preso negli ultimi 40 anni proporzioni colos­ sali, agevolata com’è dai più perfetti metodi di esca- vazione.

Ecco quali sono state, di dieci anni in dieci anni, le cifre della produzione annuale del carbone, nella Gran Bretagna, a cominciare dal 1854, epoca dalla quale datano le cifre della statistica ufficiale :

P ro d u z io n e E s p o rta z io n e T o n n e ll. T o n n e ll. 1854 64,661,000 4,305,000 1863 86, 292,000 8,275,000 1873 127,017,000 12,617,000 1883 163,737,000 22,775,000 1892 181,787,000 30,454,000 Lo specchio seguente segna le cifre della produ­ zione, il valore ed il prezzo medio per tonnellata, per ciascun anno nell’ ultimo decennio:

P ro d u z io n e V alo re L ir e s te ri. P e r to n n e ll. T o n n e ll. — sceli. d en . 1882 156,500,000 44,118,000 5 7 Va 1883 163,737,000 45,054,000 5 7 Va Va 1884 160,758,000 43,446,000 5 4 1885 159,351,000 41,139,000 5 1 / 4 1886 157,518,000 38, 146,000 4 10 1887 162,120,000 169,935,000 39,093,000 4 9

II*

•Í:

1888 42,971,000 5 0 1889 176,917,000 56,175,000 6 4 1890 181.614.000 185.479.000 74,954,000 8 3 1891 74,100,000 8 0 1892 181,787,000 66,050,000 7 8

La produzione del lino in Italia nel ! 892

Il seguente specchietto riassume la produzione il commercio e il consumo del lino nel quinquen­ nio 1888-92. ANNI S u p erficie a lla q u ale si è este sa la c o ltiv a z io n e d el lin o E t t a r i Produzione Q u in ta li d i fib ra Importazione Q u in ta li d i fib ra Esportazione Q u in ta li d i fibra Q u a n tità r im a s ta a d isp o si­ zio n e del consum o 1888.. 55,271 132,975 891 642 133,224 1889.. 65,271 135,734 262 233 135,763 1890.. 55,271 209,221 252 569 208,904 1891.. 52,09» 187,452 311 440 187,323 1892.. 51,858 196,983 1,003 187 197,799

La superficie del terreno data alla coltura del lino nel 1892 fu di ettari 51,858, mentre nel 1891 era stata di ettari 52,098 con una differenza in meno pel 1892 di ettari 240; però il prodotto r i ­ sultò maggioro in quest’anno perchè venne general­ mente favorito dal tempo. Si ottennero infatti 9,531 quintali in più del 1891.

La media produzione per ettaro risultò massima con quintali 9,57 nella provincia di Avellino e risultò minima con quintali 1.39 nella provincia di Reggio Em ilia.

Nel Piemonte il lino è poco coltivato, specialmente perchè i terreni sono poco adattati a tale coltura, che quest’ anno fu assai contrariata prima dai geli e poi dalla siccità.

Nella Lombardia il lino è coltivalo su larga scala nelle provincie di Cremona, Breseia, Milano e Pavia e la stagione generalmente propizia ha favorito il prodotto.

Nei Veneto, nella Liguria, nell’Em ilia, nella To­ scana e nel Lazio la coltivazione del lino è piuttosto limitata, ma si ottenne un prodotto abbondante perchè se in qualche provincia i geli, le brine e la siccità apportarono danni, questi furono lievi e lim i­ tali a pochi comuni. In generale il raccolto venne favorito assai dalla buona stagione.

Nella meridionale adriatica , nella meridionale mediterranea o nella Sicilia, la coltivazione è abba­ stanza importante specialmente nelle provincie di Teramo, Chieti, Bari, Lecce, Caserta, Cosenza, C a­ tanzaro, Catania e Trapani.

In queste regioni il lino venne dapprima alquanto dannegiato da una siccità persistente, ma infine le pioggie cadute, ad opportuni intervalli rianimarono il raccolto, tanto che la produzione media riuscì quasi dappertutto abbastanza alta.

Nella Sardegna la ristretta coltivazione del lino venne danneggiata prima dalle brine e poi dalla siccità.

Il Credito fondiario Italiano nei primi sei mesi del W

Gli Istituti esercenti il Credilo fondiario in Italia, le cui operazioni sono riassunte dal Bollettino d i no­ tizie sul Credito e sulla Previdenza erano alla fine di giugno i seguenti : Banco di Napoli, Banco di S i­ cilia, Monte dei Paschi di Siena, Opera pia di San Paolo in Torino, Cassa di rirparmio di Milano, Cassa di risparmio di Bologna, Banco di S. Spirito di Roma e Banca Nazionale nel Regno dTtalia.

Al 1° gennaio 1893 i mutui ipotecari già stipu­ lati da tutti questi Istituti ascendevano a n. 15,579, per l’importo di L. 750,195,254.51.

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Al 50 giugno i mutui ipotecari, tenendo conto dei nuovi contratti stipulati, ascendevano a n. 45,895 per la somma di L. 765,644,254.51. Calcolando peraltro i vari ritiri fatti dagli Istituti per rate di ammor­ tizzazione, rimborsi ed estinzioni di mutui per l’ im ­ porlo di L. 17,975,904.40 alla fine di giugno ri­ manevano numero 45,657 mutui per l’ importo di L 747,728,349.4 4.

Tutti questi mutui con la loro respeltiva garanzia si dividevano fra i vari Istituti nel modo che segue :

IS T IT U T I NUM. DEI M UTUI AMMONTARE GARANZIA IPO T EC A R IA Banco d i Napoli . . 2,431 L ire 165,315,253.39 L ire 330,510,000.00 Banco di Sicilia . . 683 29,030,348.73 62,184,700.00 Monte dei Pascili di

S ie n a . . . .. . 636 21,867,199.94 58,912,158.29 Opera pia di S. Paolo

in Torino . . . 2 069 67,176,482.00 186,566 528.00 Cassa di risparm io di Milano . . . . 3,575 163,883,379.74 335,590.000.00 Cassa di risparm io di Bologna . . - . 1,053 31,010,549.35 74,473,590.44 Banco di S. Spirito di R om a... 511 26,513,323.19 63,756,435.54 Banca N azionale nel

Regno d ’Ita lia . 4,676 242,931,782.77 524,890,495.00

Totali . . . 15,637 747,728,319.11 1,636,883,907.27

Le fabbriche di spirito, birra, acque

gassose, zucchero, glucosio, cicoria

preparata e polveri piriche nell’eser­

cizio 1892-93.

Le tasse di fabbricazione, comprese quelle di ven­ dita, ed altri accessori dal 4° luglio 4 892 a lutto giugno 4895, dettero i seguenti prodotti:

D ifferen z a L u g lio -g iu g n o L u g lio -g iu g n o n e l lu g lio -g iu g n o

1892-93 1891-92 1892-93 S p i r i t i ... n . 24,771,830.96 26,931,503.49 — 2,159,972.53 B irra...» 1,303,380.60 1,430,865.44 — 127,484 84 Acque g a s s o s e . > 495,409.59 492,388.59 -t- 3,021.00 Z u cch ero ... * 596,165.46 879,779.13 — 283,613-67 Glucosio... » 546,259.40 446,560.90 -1- 99,698.50 Polveri p ir i c h e . . 1,851,057.09 1,312,041.19 -+• 539,015.90 Cicoria p rè p a r..» 989.4S0.54 1,099,284.43 — 109,803.89 T o t a l e ....L . 30,553,283.64 32,592,423.17 - 2,039,139.53

Le tasse di fabbricazione nell’ esercizio 4892-95, dettero L . 2,039,439.55 in meno dell’ esercizio pre­ cedente.

Passeremo adesso a dettagliare la produzione per ciascuno dei vari articoli di fabbricazione.

Le fabbriche di spiriti, nelle quali si distillano cereali ed altre sostanze amidacee, i residui della fabbricazione dello zucchero, i tartufi di canna, le barbebietole e alcune materie indicate nelle lettere i e c dell’ articolo 5° del testo unico delle leggi sugli spiriti, come vino e vinaccie, furono 20 e produs­ sero ettolitri 69,040.66 di spirito. N ell’ esercizio pre­ cederne le fabbriche produttrici erano state 22 e ave­ vano fabbricato ettolitri 400,764.92 di spirito.

Le fabbriche di spirito che distillano vino, vinac­

cie ed altre materie vinose, si distinguono in agrarie, non agrarie, cooperative e agrarie col misuratore. Le fabbriche di questa categoria furono nell’ esercizio 4892-95 N. 3600 e produssero ettol. 439,973.74 di spirito. Nell’ esercizio 4891-92 erano state 2823 e avevano prodotto ett. 449,682.92 di spirito.

Le fabbriche di birra che esercitarono la loro in­ dustria nel 4892-95 furono 4 IO e produssero etto­ litri 99,498.82 di birra. N ell’ esercizio precedente erano state 4 36 e avevano fabbricato ett. 4 27,099.86 di birra.

Le fabbriche di acque gassose in attività di eser­ cizio furono 735 e produssero ettolitri 4 49,061.90 di bevande gassose. N ell’ esercizio 4894-92 erano state 755, che fabbricarono ettol. 421,822.38 di be­ vande gassose.

Le fabbriche di zucchero che esercitarono la loro industria furono due in ambedue gli esercizi, situate l’ una in Sa vigliano provincia di Cuneo, e l’ altra a Rieti in provincia di Perugia. Ambedue produssero nell’esercizio 4892-93 quint. 40,655.25 di zucchero contro 45,725.73 nell’esercizio precedente.

Le fabbriche di glucosio che lavorarono furono 2 in ambedue gli esercizi. Nel 4 892-93 produssero quint. 25,532.40 di glucosio contro 28,206.55 nel- 1’ esercizio precedente. *

La fabbricazione delle polveri piriche prodotte da polverifici e da fabbriche di altri esplodenti, nel­ l’ esercizio 1892-93 ascese a quint. 15,409.46 di polvere contro 13,644.48 nell’ esercizio precedente.

Le fabbriche di cicoria che lavorarono furono 254, che produssero quintali 49,781.22 di cicoria prepa­ rata. N ell’esercizio 4891-92 erano state 257 e ave­ vano prodotto quint. 24,775.37 di cicoria.

La produzione dello zolfo in Sicilia

Il Console britannico in Palermo sig. Lew is Du- puis ha inviato al suo Governo un importante rela­ zione sull’ industria dello zolfo in Sicilia. Ritenendo che sia per riuscire utile anche al commercio ita­ liano il conoscere i resultati delle ricerche _e osser­ vazioni di un intelligente e studioso straniero, ne faremo un breve riassunto.

L ’ autore della relazione ha riscontralo che nel 4886 le cave di zolfo erano 274 nella provincia di G ir— genti, di 226 in quella di Caltanisetta, 45 in quella eli Catania e 25 a Lercara presso Palermo. Dello 567 cave esistenti 376 erano in esercizio e 491 chiuse. Dal 4886 in poi si calcola che esse siano salite a 800, di cui almeno due terzi in attività di

servizio.

La produzione media che fra il 4884 e il 1894 è stata di circa 4 milioni di cantari di Sicilia ossia più di 300,000 tonnell. inglesi, si calcola che abbia raggiunto nel 4892 i 5 milioni della detta misura

locale.

L ’ esportazione non è peraltro cresciuta nella stessa misura. Nel 1880 essa fu di 3,600,000 cantari. Dal 4886 al 1890 eccedette i 4 milioni di cantari ed ora è stazionaria intorno a questa cifra. Da ciò ne con­ seguì che il deposito dello zolfo si è quasi raddop­ piato, dal 4880 in poi, la produzione avendo pro­ gredito in proporzione molto maggiore dell’ aumento dell’ esportazione.

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