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L’OSSERVATORE ROMANO

GIORNALE QUOTIDIANO POLITICO RELIGIOSO Unicuique suum Non praevalebunt

Anno CLXI n. 47 (48.670) Città del Vaticano venerdì 26 febbraio 2021

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V

IA

C

RUCIS

• Sguardi che si in-Crociano negli ambienti di un ospedale

Il grido di Giovanna, una madre

IV

stazione Gesù incontra la madre

APA G I N A 8I VERSI DIDANIELEMENCARELLI

Marko Ivan Rupnik, Via Crucis Mengore - Slovenia Simeone li benedisse e a Maria, sua

madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddi- zione — e anche a te una spada tra- figgerà l’anima — affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

(Lc 2, 34-35).

N

o, non si può vive- re questo dolore immenso. Non è giusto!

Il mio Patrizio, di soli venti anni, è in lotta tra la vita e la morte, per uno stupido inci- dente con il motorino.

La mia vita urla e non c’è nessuno che può ascoltare, nessuno che può capire il gri- do di una madre. Non voglio abbracci, non voglio parole, non voglio consolazioni. Vo- glio solo mio figlio.

Guardo senza capire. Sono persa nel vuoto del mio cuo- re .Mi sono aggrappata al me- dico, ho chiesto se lui avesse figli e mi ha detto: «Sì, ho due ragazze, la prima, Mirel- la, ha l’età di Patrizio». «E al- lora mi aiuti!».

Di chi è la colpa? È di mio

marito, che ha insistito perché avesse un motorino? Di quel- la buca e di chi non l’ha ripa- rata? O è la mia, che non vo- levo che uscisse quella sera?

Sento solo il mio grido senza più lacrime e mi ag- grappo ad ogni respiro di Pa- trizio.

Dio non può togliermi ciò che mi ha dato… Ma non rie- sco a parlare con Dio, non se lo merita.

Solo quando ho sentito la mano di suor Carla, che mi ha stretto e condotto in fondo al corridoio, solo con lei, da-

vanti alla statua della Vergine, sono riuscita a dire un’ “Ave Maria”. Mi ha detto: «Grida a lei; Maria sa cosa significa ciò che stai passando».

O Dio che per redimere il genere umano, hai associato alla passione del tuo Figlio la Madre Addolorata, fa’ che tutti i figli di Adamo, risana- ti dagli effetti della colpa, siano par- tecipi della creazione rinnovata in Cristo. Egli è Dio e vive e regna nei secoli dei secoli.

PAOLORICCIARDI

vescovo ausiliare di Roma

Altre trecento ragazze rapite in Nigeria

N

igeria, un altro sequestro di massa a scuola. Un com- mando ha fatto irruzione sparando in un istituto del nordovest del Paese ed ha portato via le alunne. Lo conferma il governo locale, ammettendo il secondo se- questro nell’arco di una settimana. Si tratterebbe di almeno 300 adolescenti, trascinate nella foresta. La pratica di accanirsi sui bambini e sulle scuole, razziate a scopo di sequestro, è in genere opera del gruppo jihadista Boko Haram, di altre sigle della galas- sia fondamentalista ma anche di gang armate. Nei giorni scorsi anche uno studente era rimasto ucciso. (Nella fotografia Afp, l’aula di un scuola a Kagara, assaltata il 18 febbraio scorso)

La prima predica di Quaresima

D alla tiepidezza

al fervore

D

alla mediocre tiepi- dezza al fervore del- lo Spirito e quindi alla gioia: per sug- gerire un itinerario di conver- sione concreta il cardinale Ra- niero Cantalamessa non ha usato giri di parole nella prima predica di Quaresima, tenuta venerdì 26 febbraio, alle 9, nel- l’aula PaoloVI.

Avendo per tema «Voi chi dite che io sia?» (Matteo 16, 15), il predicatore della Casa ponti- ficia ha rilanciato il «sempre attuale appello»: «Convertite- vi e credete nel Vangelo» (Ma r - co 1, 15).

E «di conversione — ha spie- gato — si parla in tre momenti o contesti diversi del Nuovo Te- stamento. Insieme, i tre pas- saggi ci danno un’idea comple- ta su che cosa è la metanoia evangelica. Non è detto che dobbiamo sperimentarle tutte e tre insieme, con la stessa in- tensità. C’è una conversione per ogni stagione della vita.

L’importante è che ognuno di noi scopra quella che fa per lui in questo momento».

Anzitutto «la prima conver- sione è quella che risuona all’i- nizio della predicazione di Ge- sù e che è riassunta» appunto

«nelle parole: “Convertitevi e credete nel Vangelo”». E così

«cerchiamo di capire cosa si- gnifica la parola conversione», perché con la venuta di Gesù

«sono cambiate le cose» e

«convertirsi non significa più

“tornare indietro” ma fare un balzo in avanti ed entrare nel

A

LL

INTERNO

Oggi in primo piano

«D izionario B e rg o g l i o : le parole chiave di un pontificato»

NELLE PA G I N E 2E3

Nei luoghi della passione

Dominus flevit:

lì dove

il Signore pianse

ALESSANDROCONIGLIO A PA G I N A 3

Tre vite spezzate

nel cuore del Nord Kivu

NELLINSERTO« ATLANTE»

N

OSTRE

I

NFORMAZIONI PAGINA7 SEGUE A PA G I N A 8

Nuovo attacco a una scuola da parte di un commando armato

È il secondo nell’arco di una settimana

(2)

L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 2 venerdì 26 febbraio 2021

Oggi in primo piano - «Dizionario Bergoglio: le parole chiave di un pontificato»

Un linguaggio radicalmente

pastorale

di ANTONIOSPA D A R O

B

ergoglio è un grande

comunicatore. Lo è non perché adotti strategie specifiche, ma perché si sente libero di essere e di comunicarsi. Il suo

messaggio è dunque capace di toccare le persone in modo immediato, diretto, intuitivo.

In particolare, la sua capacità comunicativa è radicata in un vissuto pastorale e in una torsione di corpo e di parola.

Torsione del corpo: la sua autorità non si esprime mai in maniera statuaria, ma perfino la sua propria corporeità si sbilancia sull’interlocutore. A volte sembra addirittura che perda l’equilibrio.

Torsione del linguaggio: il Papa ama usare un vocabolario di verbi, ma anche di immagini indimenticabili e di neologismi.

Anche il linguaggio perde l’equilibrio della formalità. A volte Francesco usa pronunce inconsuete di parole italiane ma torte in forme dialettali che lui

tira fuori dalla memoria dei suoi avi, la nonna soprattutto.

In una parola: realizza una comunicazione autentica, disinvolta ed efficace.

Il suo linguaggio è

radicalmente “orale” p erché radicalmente pastorale. Anche la riflessione scritta è la

formalizzazione di un testo che è pensato dentro una

interlocuzione. Ecco perché il Papa è sempre dentro l’evento comunicativo, lo crea e lo sviluppa dall’interno: non è l’attore di una parte scritta o di un discorso scritto. Dunque, più che “c o m u n i c a re ”, Papa Francesco crea “eventi comunicativi”, ai quali si può partecipare attivamente.

A questo proposito notiamo una cosa: Papa Francesco e Giovanni Paolo IIsono due grandi figure di comunicatori, ma per motivi opposti, in un certo senso. Giovanni Paolo II,

cultore della densità della parola, e della parola poetica, modellava il gesto al ritmo della parola. Era la parola che faceva fiorire il gesto e il ritmo.

Per Francesco è il contrario: è il gesto che sprigiona la parola e la plasma.

C’è dunque una oralità radicale della parola di Bergoglio: la lettera, la corrispondenza, la parola scritta per essere c e rc a t a deve portare con sé le radici dell’oralità. E questa oralità è spesso materna, misericordiosa.

Per Papa Francesco il

predicatore, in modo particolare, è una madre, deve usare un linguaggio “materno”, cioè quello che abbia il sapore originario della “lingua madre”, semplice, dal latino sine plica. La semplicità riguarda il linguaggio che deve essere ben

comprensibile per non correre il rischio di essere un parlare a vuoto.

Come si fa ad adattarsi al linguaggio degli altri per poter arrivare ad essi con la Parola di Dio? Risponde il Papa nella Evangelii gaudium: «Si deve ascoltare molto, bisogna condividere la vita della gente e prestarvi volentieri attenzione»

(n. 158). Il linguaggio del Papa è molto semplice, immediato, comprensibile da chiunque.

Questa abilità viene a Francesco dalla sua vita a costante contatto con la gente.

Francesco parla il linguaggio della vita e della fede, che è ovviamente fraintendibile poiché non procede per rigide argomentazioni logico-formali.

Non intende stilare comunicati stampa o dare lezioni; vuole aprire un dialogo. Chi lo accusa di ambiguità non ha capito il terreno esistenziale ed empirico da cui muove il suo discorso. È sulla relazione diretta, autentica e priva di asimmetrie che vive l’incisività e la novità della sua trasmissione del messaggio. In questo senso è un linguaggio radicalmente pastorale.

Ma è proprio questa pastoralità che gli conferisce vibrazione poetica. Il linguaggio bergogliano è ricchissimo in metafore, proverbi, idiomi, di neologismi e figure retoriche che vengono non dal culto della parola elegante, ma al contrario dal gergo, dal porteño, dal parlato di strada assorbito dalla quotidianità o dal rapporto pastorale con i fedeli.

Francesco — così come lo è stato Roland Barthes, grande studioso del linguaggio ignaziano degli Esercizi spirituali

— sa che dire l’amore, anche l’amore di Dio, significa affrontare il guazzabuglio del linguaggio: quella zona confusionale in cui il

linguaggio è insieme troppo e troppo poco, eccessivo e povero. Anche quelli di Francesco, a loro modo, sono

«frammenti di un discorso amoroso». È il linguaggio, insieme poetico e popolare, dei Profeti dell’Antico Testamento.

I

L LIBRO

Con un evento online è stato presentato nei giorni scorsi il libro di Francesc Tor- ralba Dizionario Bergoglio: le parole chiave di un Pontificato (Edizioni Terra Santa, Milano, 2021, 320 pagine, euro 18). L’autore, do- cente di filosofia e di antropologia presso l’università Ramón Llull di Barcellona e consultore del pontificio Consiglio per la cultura, ha raccolto in questo volume «al- cuni dei termini più originali e caratteri- stici del magistero sociale di Papa France- sco» con l’intento di promuovere, come si legge nell’introduzione, «la diffusione del suo pensiero sociale e chiarire alcuni vo- caboli ed espressioni che, secondo noi, non sempre sono stati interpretati in mo- do corretto».

Pubblichiamo in queste pagine alcuni stralci della prefazione firmata dal diret- tore de «La Civiltà Cattolica» e alcune voci del “dizionario”.

Pa ro l a

di Francesco

Raccolte da Francesc Torralba alcune espressioni che rappresentano la spina dorsale

del pensiero sociale di Papa Bergoglio

che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradig- mi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città. Non biso- gna dimenticare che la città è un ambito mul- ticulturale. Nelle grandi città si può osservare un tessuto connettivo in cui gruppi di persone condividono le medesime modalità di sognare la vita e immaginari simili e si costituiscono in nuovi settori umani, in territori culturali, in città invisibili. Svariate forme culturali convivono di fatto, ma esercitano molte volte pratiche di segregazione e di violenza. La Chiesa è chiamata a porsi al servizio di un dialogo difficile. D’altra parte, vi sono citta- dini che ottengono i mezzi adeguati per lo svi- luppo della vita personale e familiare, però so- no moltissimi i “non cittadini”, i “cittadini a metà” o gli “avanzi urbani”. La città produce una sorta di permanente ambivalenza, per- ché, mentre offre ai suoi cittadini infinite pos- sibilità, appaiono anche numerose difficoltà per il pieno sviluppo della vita di molti. Que- sta contraddizione provoca sofferenze laceran- ti. In molte parti del mondo, le città sono sce- nari di proteste di massa dove migliaia di abitanti reclamano libertà, partecipazione, giustizia e varie rivendicazioni che, se non vengono adeguatamente interpretate, non si potranno mettere a tacere con la forza.

(Esortazione apostolica Evangelii gau- dium, 74)

Balconear

(Starsene alla finestra) La prima accezione del verbo balco- n e a r, nel Dizionario della lingua spagnola, è «osservare gli avvenimenti senza prendervi parte». Un secondo signi- ficato è «esaminare una situazione».

Balconear significa inoltre «guardare, osservare con curiosità da un balco- ne, o da un qualsiasi altro luogo ele- vato».

Posto che si tratta di un verbo spa- gnolo chiaramente attestato — rico- nosciuto dai dizionari accademici della lingua e degli americanismi — non è necessario scriverlo tra virgo- lette. Oltre a quest’accezione di balco- n e a r, di uso corrente in Argentina e Uruguay, il Dizionario degli americani- smi, della Asociación de Academias de la Lengua Española, elenca altri significati, tra i quali spicca: «Rende- re in qualche modo pubbliche le fac- cende private di una persona» (Mes- sico), e «perdere del tempo» (Uru- guay).

Sia questo verbo sia il derivato bal- coneo furono portati all’attenzione dei mezzi di comunicazione quando vennero utilizzati da Papa Francesco nella XXVIIIGiornata mondiale della gioventù, tenutasi a Rio de Janeiro, in Brasile.

In seguito a quello che fu uno tra i vite spezzate, le loro disgrazie e scia-

g u re .

Questi sono gli avanzi urbani: in- dividui di scarto, eccedenze della grande città. Fanno parte integrante del paesaggio delle immense metro- poli. Giacciono addormentati sotto i portoni, mentre la gente si sposta fre- netica da un luogo all’altro. Stanno lì abbandonati e spesso neppure sap- piamo se siano vivi, malati o morti.

Scrive Ilija Trojanow: «In questo sistema, alcune persone sono spazza- tura. A volte non si sa che cosa fare di loro. Quanto più aumentano le per- sone, tanta più spazzatura si accumu- la, anche spazzatura umana. Quanto più a lungo ci pieghiamo alle pressio- ni di una frenetica ideologia della crescita, che conduce in tutto il mon- do all’apice dell’ingiustizia sociale, tanto più si finisce col cancellare i li- miti tra essere umano e rifiuto».

Gli avanzi urbani sono cittadini dimenticati, esseri invisibili. In quan- to cittadini, godrebbero di tutti i di- ritti, però non li reclamano, né spera- no in alcun tipo di giustizia sociale.

Non protestano, non si organizzano, non si fanno valere. Sopravvivono come possono, sia grazie alla benefi- cenza, sia commettendo reati minori.

Il cristiano è chiamato a fermarsi e a rispondere al loro richiamo, a cerca- re modi per fornire dignità a quelle vite, per ricostruirle, per risarcirle, in definitiva per umanizzarle. L’indiffe- renza davanti agli avanzi urbani si scontra in modo violento con l’etica del Vangelo, che impone di proteg- gere, di vigilare, di praticare la mise- ricordia, di soccorrere i derelitti e of- frire loro un po’ di dignità umana.

Si rende necessaria un’evangelizzazione

Avanzi urbani

Uno degli ambiti ad avere suscitato maggiore attenzione teologica e pa- storale nel pensiero di Jorge Mario Bergoglio, già prima che diventasse vescovo di Roma, è la grande città.

Un simile interesse ha motivazioni biografiche, dal momento che il Sommo Pontefice trascorse buona parte del proprio ministero di arcive- scovo a Buenos Aires e potè visitare altri immensi agglomerati urbani del- l’America meridionale. Per questo motivo, conosce a fondo le grandi sfi- de e i problemi che affliggono la vita di una metropoli.

Uno dei mali più tangibili di que- sti vasti conglomerati umani è la ca- duta nell’anonimato, nell’i n d i f f e re n - za, nella massificazione e nella di- sgregazione. Gli individui non si co- noscono l’un l’altro, vivono ammas- sati e, contemporaneamente, segre- gati, e si dimostrano indifferenti alle vite altrui. Spesso soffrono di una so- litudine non voluta, ma resa obbliga- toria dalle circostanze.

Gli avanzi urbani sono persone che si sforzano di sopravvivere nelle grandi città. Stanno lì, come rifiuti, sui marciapiedi, nei viali, nelle stazio- ni ferroviarie, nei parcheggi, vicino ai bancomat, alle uscite della metropo- litana, abbandonati in mezzo agli scatoloni. Nessuno li reclama, nessu- no li piange, nessuno li riconosce.

Sono semplicemente esseri umani in esubero, che danno fastidio, che rien- trano ormai nella scenografia delle metropoli. Nessuno li cerca, nessuno si accorge della loro presenza, e nep- pure della loro assenza, quando scompaiono. Non conosciamo le loro

(3)

L’OSSERVATORE ROMANO

venerdì 26 febbraio 2021 pagina 3

Oggi in primo piano - «Dizionario Bergoglio: le parole chiave di un pontificato»

Nelle settimane di Quaresima abbiamo chiesto ai Padri professori dello Studium Bi- blicum Franciscanum di Gerusalemme di accompagnarci lungo i luoghi della Pas- sione di Gesù. Contributi che (specie in questo periodo di ridotta mobilità), attra- verso le alte competenze bibliche, storiche ed archeologiche degli accademici francesca- ni, speriamo possano consentire ai lettori una maggiore vicinanza al mistero centrale della nostra fede.

Iniziamo con padre Alessandro Coniglio e il santuario del Dominus Flevit. Segui- ranno p. Matteo Munari: il Getsemani; p. Frédéric Manns: il Gallicantu; p. Eu- genio Alliata: il Pretorio; p. Giovanni Claudio Bottini: la Via Crucis.

Ringraziamo lo Studium Biblicum Franciscanum e la Custodia di Terra Santa per l’avvio di questa collaborazione che ci auguriamo permanga nel tempo. (A.M.)

Dominus flevit:

lì dove il Signore pianse

più apprezzati discorsi tenuti dal Pontefice, molti giornalisti, soprat- tutto spagnoli, cominciarono a pub- blicare articoli in cui impiegavano il verbo, dandogli un certo risalto:

«Francesco non intende “b a l c o n a re ” davanti alla immane tragedia della Siria», «Possiamo “b a l c o n a re ” da- vanti alla realtà o impegnarci per cambiarla».

B a l c o n e a r, nel gergo argentino, si- gnifica letteralmente «starsene a guardare dal balcone». Si tratta di un atteggiamento di pura curiosità, co- me quello di uno spettatore che non prende parte a ciò che sta contem- plando. Si riferisce all’attitudine di chi, pur avendo un’opinione precisa riguardo a ciò che non gli piace o gli sembra sbagliato, non si butta nella mischia.

Jorge Mario Bergoglio critica con forza quest’atteggiamento, che con- sidera estremamente passivo, da sem- plice spettatore. Si verifica quando qualcuno guarda dal balcone di casa propria, e da qui considera i drammi del mondo, senza tuttavia compro- mettersi e trasformare minimamente la realtà.

In questo senso, il “b a l c o n a re ” si iscrive nella logica dell’i n d i f f e re n z a , poiché è espressione di disinteresse di fronte al mondo.

Esiste però qualcos’altro, nel “bal- c o n a re ”: un giudizio spregiativo. Dal balcone, lo spettatore non soltanto contempla passivo ciò che avviene sulla pubblica piazza, nell’agorà del mondo, ma addirittura critica coloro che cercano di fare qualcosa per mi- gliorare la situazione, per alleviare le

sofferenze, per modificare la realtà.

In completa coerenza con il mes- saggio di rinnovamento spirituale della Evangelii gaudium, Papa France- sco ci ricorda che il cristiano è chia- mato a scendere dal balcone, a im- mergersi nel fango del mondo per diffondere speranza, per collaborare attivamente con coloro che agiscono per la trasformazione della realtà, al- la luce del Vangelo di Cristo.

Il tuo cuore, cuore giovane, vuole costruire un mondo migliore. Seguo le notizie del mon- do e vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e frater- na. I giovani nelle strade. Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento.

Per favore, non lasciate che altri siano prota- gonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Voi... Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di es- sere protagonisti di questo cambiamento.

Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mon- do migliore. Cari giovani, per favore, non

“guardate dal balcone” la vita, mettetevi in essa, Gesù non è rimasto nel balcone, si è im- merso, non “guardate dal balcone” la vita, immergetevi in essa come ha fatto Gesù.

Resta però una domanda: da dove comin- ciamo? A chi chiediamo di iniziare questo? Da dove cominciamo? Una volta hanno chiesto a Madre Teresa di Calcutta che cosa doveva cambiare nella Chiesa, se vogliamo comincia- re, da quale parete? Da dove — hanno chiesto a Madre Teresa — bisogna iniziare? Da te e da me! rispose lei. Aveva grinta questa don-

na! Sapeva da dove iniziare. Anche io oggi le rubo la parola a Madre Teresa e ti dico: ini- ziamo? Da dove? Da te e da me! Ognuno, an- cora una volta in silenzio, si chieda: se devo iniziare da me, da dove inizio? Ciascuno apra il suo cuore perché Gesù gli dica da dove ini- z i a re . (Veglia di preghiera con i giova- ni durante il viaggio apostolico a Rio de Janeiro per la XXVIII Giornata mondiale della gioventù, 27 luglio 2013)

Rivoluzione della tenerezza

Rivoluzione della tenerezza è una formula molto amata da Papa Francesco.

Venne utilizzata dal Santo Padre in occasione del sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. Secondo le sue stesse parole, si tratta del modo mi- gliore di scoprire ciò che Gesù istituì con la propria vita, le proprie parole e le proprie azioni. Ciò che venne ad annunciare è, per l’appunto, la rivo- luzione della tenerezza, una trasfor- mazione radicale del nostro modo di guardare la realtà e di agire nel mon- do, una rivoluzione che ha il suo epi- centro nel cuore.

Di contro alla rivoluzione promos- sa dalle armi, sostenuta dalla rabbia e dall’indignazione, Jorge Mario Ber- goglio propone la rivoluzione della tenerezza, che consiste nel conceder- si interamente, nel perdonare tutti, nell’agire gratuitamente, nel mante- nere l’innocenza di un bambino.

Bernardo Pérez la descrive in que- sti termini: «Questa rivoluzione tota- le implica l’incamminarsi verso un nuovo paradigma: il paradigma del dono in cui si è grati del puro dono dell’esistenza. In questo contesto il cuore umano viene “turbato” dalla natura, che penetra in lui ed esplode in un’armonia universale. Ed è anche commosso dalla presenza dell’altro e di coloro che chiedono la sua com- passione. Infine, questo cuore parte- cipe di ciò che lo circonda è sopraf- fatto dalla presenza dell’a l t ro .

Potremmo chiamare questo para- digma del dono anche “paradigma della tenerezza”. La tenerezza è con- dizione essenziale dell’essere umano, il movimento interiore dell’uomo che esce da se stesso per andare incontro a ciò che è altro, all’altro, e se ne la- scia colmare. Lascia che il suo intimo venga sconvolto alla presenza del mi- stero che avvolge la realtà. Quando l’uomo vive una simile esperienza, il suo essere spegne i suoi desideri e aspira soltanto alla pienezza della presenza di ciò che è altro e dell’a l t ro . Questa tenerezza lo eleva alla con- templazione della natura come mani- festazione di una presenza trascen- dente».

Pur nelle loro difficoltà, esse [le giovani alle quali state al fianco e che aiutate] testi- moniano spesso quelle virtù essenziali che sono la fraternità e la solidarietà. Ci ricor- dano inoltre che siamo fragili e che dipen- diamo da Dio e dagli altri. Che lo sguardo misericordioso del Padre ci tocchi e ci aiuti ad accogliere le nostre povertà per andare avanti con fiducia, ed impegnarci insieme in quella “rivoluzione della tenerezza”, — que- sta è la sfida per voi: fare la rivoluzione del- la tenerezza. Di questa rivoluzione Gesù ci ha aperto il cammino mediante la sua In- carnazione. È bello essere suoi discepoli-mis- sionari, per consolare, illuminare, lenire, ascoltare, liberare, accompagnare. L’espe- rienza che Lui ci ha donato mediante la sua Risurrezione è una forza vitale che penetra il mondo (cfr. Esortazione apostolica

«Evangelii gaudium», 276) e sulla quale potete appoggiarvi ogni giorno, perché ri- sponde alle aspirazioni più profonde del cuore. (Discorso ai membri dell’Asso- ciazione cattolica internazionale al servizio della giovane [ACISJF], 18 aprile 2015)

Nei luoghi della passione

di ALESSANDROCONIGLIO

L

a Custodia francescana di Terra Santa ha la tradizione di percorrere durante il tempo sacro della Qua- resima delle stazioni particolari: si sosta nei santuari della Passione ogni mercoledì (a cominciare dalla seconda settimana di Quaresima) in un itinerario di avvicinamento progressivo al mistero pasquale.

Questo significa, nei termini della geografia sacra di Gerusalemme, che si parte da più lontano (nello spazio fisico della Città Santa) e da più indietro nel tempo (nella cro- nologia dei racconti evangelici), per accostarsi piano piano, quasi con la lentezza di un cammino me- ditativo, al mistero centrale della salvezza, la Pasqua di morte e risur- rezione di Gesù, che si celebra lì dove gli antichi ponevano l’ompha - los, l’ombelico del mondo (ancora oggi indicato da una particolare pietra nel Katholikon greco-orto- dosso della basilica del Santo Se- polcro di Gerusalemme).

La prima di queste stazioni qua- resimali si celebra quindi fuori del- le mura della Città Vecchia di Ge- rusalemme, sul Monte degli Ulivi, nel santuario conosciuto con il no- me latino di «Dominus flevit», cioè

“il Signore pianse”. La seconda si celebra al Getsemani, poi la setti- mana successiva si entra nel peri- metro delle mura cittadine per fare sosta al santuario della Flagellazio- ne, e quindi a quello della Condan- na, e così, in sempre maggiore pros- simità temporale e geografica, si giunge alle celebrazioni del Triduo sacro nella Basilica del Sepolcro.

Vorrei allora soffermarmi an- ch’io sulla prima di queste tappe di pellegrinaggio pasquale, il santua- rio del Dominus flevit.

Il fondamento biblico di questo luogo va ricercato in un episodio raccontato dall’evangelista Luca nel contesto dell’ingresso messia- nico di Gesù a Gerusalemme all’i- nizio della settimana di Passione, in quella che noi chiamiamo la Do- menica delle Palme. Nell’a p p ro s s i- marsi alla città, scendendo l’erta del Monte degli Ulivi, Gesù

«pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in que- sto giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderan- no di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; di- struggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai ricono- sciuto il tempo in cui sei stata visi- tata”» (Luca 19, 41-44).

Il pianto di Gesù di fronte alla cecità di Gerusalemme riguardo al tempo della sua visita, cioè al mo- mento in cui Dio veniva a lei per scrutare i cuori dei suoi abitanti e offrire loro la sua salvezza, ricorda il pianto di Dio nel profeta Gere- mia. È un cantico che la Liturgia della Chiesa mette sulle labbra dei fedeli il venerdì alle lodi mattutine:

«I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, per- ché da grande calamità è stata col-

pita la vergine, figlia del mio popo- lo, da una ferita mortale» (Ger 14, 17). Siamo abituati a pensare che il soggetto di questo pianto sia il pro- feta, ma in realtà il versetto biblico si apre con un invito di Dio a Gere- mia a riferire una parola che viene da lui stesso. Dunque il profeta de- scrive il pianto di Dio sulla Città Santa (chiamata “la vergine, figlia del mio popolo”, secondo uno sti- lema tipico delle culture del Vicino Oriente antico per parlare della cit- tà capitale).

Il pianto di Dio (quale miste- ro!), che ritorna a distanza di secoli a solcare le gote del Figlio di Dio, che sta per iniziare la sua Passione redentrice a favore del suo popolo, non poteva non essere stato regi- strato dagli antichi discepoli di Ge- sù. E non solo registrato per iscrit- to nel racconto del Vangelo di Lu- ca, ma anche fissato nella memoria viva delle pietre di Gerusalemme, antiche testimoni di quel pianto!

È così che la tradizione ha posto lungo la discesa dalla cima del Monte degli Ulivi la memoria del- l’evento in un santuario che ne commemorasse il perpetuo ricor- do. Purtroppo le più antiche docu- mentazioni scritte, attualmente co- nosciute, di questo ricordo partono solo dal XIIIsecolo (Burcardo del Monte Sion; Ricoldus de Monte Crucis). Nel XIV secolo Giacomo da Verona e Niccolò da Poggibonsi descrivono la pietra su cui Gesù avrebbe pianto, così come farà Fe- lix Fabri nel 1480 e Greffin Affagart nel 1533-1534. I frati francescani vi costruirono nelle adiacenze una piccola cappella nel 1890-1891.

L’attuale chiesa francescana fu edi- ficata invece nel 1955 dall’a rc h i t e t t o Antonio Barluzzi, sui resti di un monastero di epoca bizantina, di cui erano state appena portate alla luce le rovine (databili tra il VIe il IX

secolo): in particolare un bel pavi- mento musivo policromo con rap- presentazioni di frutta, fiori e parti di pesci, e iscrizione dedicatoria, ancora oggi visibile ai pellegrini. Al tempo di Gesù l’area doveva essere usata per sepolture, dato l’alto nu- mero di kokim (tombe a fornetto, ti- po loculi scavati nella roccia) trova- te da p. Bellarmino Bagatti dal 1953 e databili tra il 135 a.C e il 135 d.C., insieme a sepolcri ad arcosolio e a fossa, di un periodo posteriore (IV

secolo). In questa area funeraria il celebre archeologo francescano to- scano trovò anche molti ossuari, cioè piccole cassette per le ossa, che attribuì alla primitiva comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme, in base ai nomi incisi su di esse e ai motivi ornamentali.

Il moderno santuario di Barluz- zi spinge il pellegrino a rivivere gli stessi sentimenti di Gesù, grazie al- l’ampia finestra posta dietro l’alta - re maggiore, che guarda alla spia- nata dell’antico Tempio (ora delle moschee). Sull’altare, in mosaico, è rappresentata una chioccia con i suoi pulcini sotto le ali, immagine evangelica che ci aiuta a ricordare la cura continua di Dio per noi, suo popolo ingrato (cfr. Ma t t e o 23, 37- 39; Luca 13, 34-35).

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L’OSSERVATORE ROMANO

GIORNALE QUOTIDIANO POLITICO RELIGIOSO

Unicuique suum Non praevalebunt

Città del Vaticano w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

ANDREAMONDA

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L’OSSERVATORE ROMANO

pagina 4 venerdì 26 febbraio 2021

Proposto dalla Casa Bianca tra le misure anti covid

Il senato Usa blocca

l’aumento del salario minimo

I militari chiedono le dimissioni del premier che in risposta chiama la folla in piazza

Caos in Armenia

D

AL MOND O

La Gran Bretagna annuncia nuove sanzioni per i vertici militari del Myanmar

Il governo britannico del premier Boris Johnson ha annuncia- to un ampliamento delle sanzioni dei vertici militari birmani, aggiungendo ai precedenti 19 generali altri sei tra cui il capo dell’esercito del Myanmar, in risposta al recente colpo di Stato e alle successive repressioni delle proteste. La decisione è stata diffusa con una nota dal ministro degli Esteri, Dominic Raab.

Argentina: risarcimento per i familiari

delle 44 vittime del sottomarino Ara San Juan

Le famiglie dei 44 membri dell’equipaggio del sottomarino Ara San Juan, affondato nel novembre 2017 nell’O ceano Atlantico riceveranno un indennizzo equivalente a 100 volte lo stipendio dei dipendenti di “Gruppo A”, che dovrebbe rag- giungere i sette milioni di pesos (oltre 64.000 euro). Lo ha sta- bilito ieri il Senato argentino approvando una legge con cui si è cercato in qualche modo di «riparare l’irreparabile» come af- fermato durante il dibattito preliminare da alcuni senatori.

Allarme delle Nazioni Unite sul deterioramento dello stato di diritto in Nicaragua

«Mentre il Nicaragua si avvicina alle elezioni generali del 7 novembre, lo stato di diritto continua a deteriorarsi». La de- nuncia è contenuta nel rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhchr) sul Paese latinoa- mericano, presentato ieri da Michelle Bachelet, responsabile dell’Agenzia Onu, alla 46.ma sessione del Consiglio per i di- ritti umani, in corso a Ginevra. «La recente adozione di nume- rose leggi contrarie ai diritti alla libertà di associazione, espressione, partecipazione politica e garanzie di giusto pro- cesso — ha dichiarato Bachelet — costituisce un chiaro esempio della continua restrizione dello spazio civico e democratico».

WASHINGTON, 26. Il Senato degli Stati Uniti non si occu- perà, al momento, dell’au- mento del salario minimo orario a 15 dollari che la pre- sidenza Biden aveva inserito nel piano anti covid da 1.900 miliardi. Il provvedimento è stato espunto da quello prin- cipale e, per essere approva- to, avrà dunque bisogno di sessanta voti: dieci in più di quelli sui quali può contare il partito democratico. Una so- glia quasi impossibile da rag- g i u n g e re .

L’amministrazione Biden è determinata a portarlo co- munque avanti alle Camere.

Ma, a differenza del piano nazionale sulla pandemia, al quale basterà una maggio- ranza semplice, potrebbe non superare la determinata op- posizione dei repubblicani che già l’hanno definito «an-

tidemocratico». Il commento della Casa Bianca è stato af- fidato alla portavoce Jen Psaki: il presidente — ha det- to — rispetta la decisione ma, allo stesso tempo «lavorerà con i leader dei partiti in Congresso per disegnare il migliore percorso verso l’o- biettivo che nessuno in que- sto Paese debba lavorare a ci- clo continuo e vivere in po- vertà». In teoria si potrebbe forzare la mano e tenere uni- te le sorti dei due provvedi- menti sotto la soglia di sicu- rezza di 50 voti. Ma Psaki ha chiarito che il presidente Bi- den non lo farà.

Dal 2009 il salario minimo previsto per un lavoratore è fermo a 7,25 dollari. Joe Bi- den aveva fatto della promes- sa di raddoppiare la paga oraria un importantissimo impegno elettorale.

Siria: raid statunitense contro milizie sciite Il primo dell’era Biden

DA M A S C O, 26. Diciassette morti: questo il bilancio del raid Usa avvenuto nella not- te in Siria, in una zona vici- no al confine con l’Iraq. A riferirlo è l’Osservatorio si- riano dei diritti dell’uomo (voce dell’opposizione in esilio a Londra) secondo cui l’obiettivo del raid erano mi- lizie legate all’Iran. «Gli at- tacchi hanno distrutto tre camion di munizioni — a f- ferma l’Osservatorio — ci so- no molti morti. Secondo un primo bilancio sono rimasti uccisi almeno 17 combatten- ti, tutti appartenenti alle Unità di mobilitazione po- polare irachene (una coali- zione di milizie paramilitari sciite nata nel 2019 e vicina all’Iran, ndr)» ha detto il di- rettore dell’O sservatorio, Rami Abdel Rahmane.

L’operazione è avvenuta

— in base a quanto riferisco- no i media internazionali — in un’area nei pressi del va- lico di al-Qaim nella provin- cia siriana di Deir Ezzor.

Il Pentagono ha confer- mato la notizia. Si tratta del primo attacco militare in ter- ritorio straniero autorizzato dal presidente Joe Biden.

«Questi raid sono stati auto- rizzati in risposta ai recenti attacchi contro personale americano e della coalizione in Iraq e alle minacce conti- nue a questo personale» ha fatto sapere il portavoce John Kirby. L’operazione è stata «una risposta militare proporzionata decisa dopo consultazioni con gli alleati della coalizione» ha aggiun- to il portavoce.

Una risposta in particola- re ai recenti lanci di razzi contro la base militare della coalizione internazionale a guida Usa che si trova Erbil, la capitale del Kurdistan ira- cheno. Nell’attacco rimasero uccisi un agente di sicurezza e un soldato americano. «Il messaggio è inequivocabile:

il presidente Biden agirà per proteggere il personale ame- ricano e della coalizione».

ER E VA N , 26. Caos in Arme- nia, dove, nel mezzo di una grave crisi politico-istituzio- nale, i militari hanno intima- to al primo ministro, Nikol Pashinyan, di dimettersi as- sieme a tutto il governo. In risposta, il premier — che po- co prima aveva rimosso il co- mandante dell’esercito — ha chiamato la folla in piazza, evocando un tentativo di gol- p e.Anche l’opposizione, che da tempo chiede le dimissioni del premier, è scesa in strada, in una sorta di manifestazio- ne parallela, sostenendo la posizione dei militari. Attivi- sti dell’opposizione hanno bloccato con barricate viale Baghramyan, la strada cen- trale della capitale, Erevan, dove si trovano il Parlamento e l’ufficio presidenziale.

La dichiarazione in cui le forze armate hanno chiesto la rimozione dei vertici politici armeni — a causa, si legge in un documento, della «mani- festa incapacità di prendere decisioni in una fase crucia- le» del Paese — è stata firmata

dal capo dello Stato maggio- re dell’esercito, generale Onik Gasparyan, dai suoi vi- ce, dai capi dei dipartimenti e dei corpi operativi. Pashi- nyan ha subito reagito, fir- mando un decreto di rimo- zione contro il generale Ga- sparyan.

«Il colpo di Stato non ci sarà, tutto finirà pacificamen- te», ha detto il primo mini- stro alla folla. Il diritto del popolo di «scegliere i suoi rappresentanti» non dovreb- be essere «messo in dubbio», ha sottolineato, minacciando al contempo i suoi avversari politici di correre il rischio di finire in carcere se avessero

«sorpassato il limite».

L’Ue ha fatto sapere di

«seguire molto da vicino» gli sviluppi della situazione.

«Chiediamo calma a tutti gli attori e di evitare ogni retori- ca o azione che possa portare a un’ulteriore escalation», ha affermato in una nota l’Alto rappresentante per la Affari esteri e la Politica di sicurez- za dell’Ue, Josep Borrell.

«Le divergenze politiche

vanno — prosegue la nota — risolte in modo pacifico e con assoluto rispetto dei principi e dei processi della democra- zia parlamentare». In linea con la Costituzione armena, ha aggiunto Borrell, «le forze armate devono mantenere la neutralità nelle questioni po- litiche e devono essere sotto il controllo dei civili». «Mante- nere l’ordine democratico e costituzionale è l’unico modo per l’Armenia per affrontare veramente le sfide che ha di fronte», conclude la nota.

Il braccio di ferro fra eser- cito e politica, nato dopo la fine del sanguinoso conflitto nella regione contesa del Na-

gorno-Karabakh, ha messo in allerta anche la Russia e la Turchia, ormai in aperta com- petizione per il controllo del Caucaso meridionale.

Da Mosca, principale al- leata dell’Armenia, il Cremli- no ha dichiarato di seguire la vicenda «con apprensione», ma pure di giudicare quanto accaduto «un fatto interno».

In questo clima sempre più incandescente, il presidente armeno, Armen Sarkissian, ha invocato la calma, ricor- dando che il Paese «sta af- frontando un periodo delica- to» e che la crisi dovrà essere risolta «rigorosamente nel quadro della Costituzione».

Intesa tra India e Pakistan per il cessate il fuoco nel Kashmir

NEW DELHI, 26. L’India e il Pakistan hanno raggiunto un’intesa per il cessate il fuo- co lungo il confine della re- gione contesa del Kashmir.

In un comunicato con- giunto diffuso dai due eserci- ti, si legge che «le parti han- no analizzato la situazione lungo la linea di controllo e i vari ambiti in un’atmosfera li- bera, franca e cordiale». Gli eserciti di New Delhi e di Islamabad — prosegue il do- cumento — hanno quindi

«concordato di interrompere le azioni armate lungo la li- nea di controllo e in tutti gli altri settori», del Kashmir.

Pur non essendo un accor- do di pace vero e proprio, e pur non risolvendo l’annosa disputa territoriale sul Ka-

shmir, l’intesa annunciata è molto importante, perché è la prima di questo tipo da 18 an- ni e potrebbe contribuire a diminuire la tensione tra In- dia e Pakistan, Paesi storica- mente rivali ed entrambi do- tati di arsenale nucleare.

Già nel 2003, i comandanti militari pakistani e indiani avevano accettato di cessare il fuoco lungo il confine conte- so. Da allora, però, ci sono state più di 13.500 violazioni, che hanno provocato 310 morti e circa 1.600 feriti.

Nel corso degli ultimi de- cenni, India e Pakistan hanno combattuto tre conflitti per rivendicare la sovranità sul Kashmir, nel 1965, nel 1971 e nel 1999 (quest’ultimo molto più limitato).

Le tende dell’opposizione armena accampata di fronte

al Parlamento a Erevan (Afp)

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L’OSSERVATORE ROMANO

venerdì 26 febbraio 2021 pagina I

A atlante

C R O N A C H E D I U N M O N D O G L O B A L I Z Z A T O

Piano d’azione dell’O nu

a favore dell’ambiente

ANNALISAANTONUCCI A PA G I N A II

Un tetto per i profughi cristiani etiopi in Sudan

ELISAPINNA A PA G I N A III

di ALICIALOPESARAÚJO

L’

attacco armato nella Repubblica

Democratica del Congo contro il convoglio del Programma ali- mentare mondiale (Pam), che lunedì scorso ha spezzato le vite dell’ambasciatore italiano, Luca Attanasio, del carabiniere, Vitto- rio Iacovacci, e dell’autista Mu- stapha Milambo, ha squarciato il sipario sulla realtà della mar- toriata regione orientale del Ki- vu, dove da oltre 30 anni si con- sumano nell’indifferenza e nel silenzio conflitti e violenze che hanno causato milioni di vitti- me. Come noto, l’imb oscata, non ancora rivendicata, ha avuto luogo lungo la strada che colle- ga Goma (capitale del Nord Ki- vu) a Rutshuru. Le Forze demo- cratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr), una milizia ruandese hutu accusata da Kin- shasa di essere responsabile del- l’agguato, hanno smentito qual- siasi implicazione.

Per chiarire le dinamiche del- l’agguato sono state aperte tre inchieste: una italiana, della

Procura della Repubblica di Ro- ma, una congolese e una dell’O- nu. Il vice-segretario generale delle Nazioni Unite a capo del Dipartimento per le operazioni di pace (Dpo), Jean-Pierre La- croix, ha annunciato già lunedì scorso l’avvio di un’indagine in- terna. A breve il Direttore Ese- cutivo del Pam, David Beasley, farà pervenire alle autorità italia- ne un primo rapporto riguar- dante sia il programma della vi- sita sia le misure di sicurezza adottate a salvaguardia della de- legazione.

Il rapimento per ottenere un riscatto sembra al momento il movente più verosimile dell’im- boscata, avvenuta all’interno del parco nazionale dei Virunga, una delle prime aree protette in Africa, dichiarata nel 1979 patri- monio dell’umanità dall’Une- sco. In questo cuore verde del continente agiscono indisturbati innumerevoli attori non statali, forze ribelli e milizie, con decine di migliaia di paramilitari. Al- meno 150 gruppi armati si con- tendono il controllo di un terri-

torio selvaggio, lontano da qual- siasi autorità statale. Un’econo- mia informale che vive non solo dello sfruttamento illegale delle risorse minerarie, ma anche di contrabbando e di estorsione ai danni della popolazione civile. I crimini commessi sono indicibi- li: traffici illeciti, villaggi sac- cheggiati, taglieggiamenti, re- clutamento di bambini soldato e stupri come arma di guerra.

La perenne instabilità e la conseguente “balcanizzazione”

dell’est congolese incontrano evidentemente l’interesse di molti attori. La Regione dei Grandi Laghi è instabile per una molteplicità di conflitti e di inte- ressi economici di player locali, regionali ed esterni al continen- te. I territori a confine fra Con- go, Rwanda e Uganda sono una faglia che riflette molte criticità:

violenze, povertà e incalcolabili risorse naturali, dove si trova un quarto dell’oro globale, un terzo dei diamanti, la seconda riserva al mondo di rame, per non par- lare degli enormi giacimenti di coltan e petrolio. Questa regio-

ne è un paradosso vivente: ric- chissima, ma ridotta alla mise- ria.Oggi, oltre all’epidemia di ebola, la Repubblica Democrati- ca del Congo — che ha più del cinquanta per cento di cattolici e oltre duecento gruppi etnici — è teatro della maggiore crisi di profughi in Africa. Nello scac- chiere cresce inoltre il radicali- smo islamista, rappresentato dal gruppo ribelle delle Forze De- mocratiche Alleate (Adf), una milizia salafita di origine ugan- dese che è legata alla Provincia dell’Africa centrale dello stato islamico (Iscap).

Dopo l’indipendenza dal Bel- gio nel 1960 e l’assassinio di Pa- trice Lumumba, nel 1965 prese il potere Mobutu Sese Seko, per 32 anni alla guida del Paese, fin- ché nel 1997 Laurent-Désiré Ka- bila lo costrinse all’esilio, procla- mandosi presidente. Il Paese fu attraversato da numerose violen- ze. Alla morte di Laurent-Désiré Kabila, nel 2001, gli succedette il figlio, Joseph Kabila, rimasto in carica fino al 2018, anno in cui le

elezioni hanno visto l’afferma- zione di Felix Tshisekedi. In un difficile processo di pacificazio- ne la Missione di stabilizzazione dell’Onu nella Rdc (Monusco) è subentrata nel 2010 alla Mo- nuc, istituita nel 1999. Il manda- to prevede di utilizzare tutti i mezzi necessari per proteggere i civili e il personale umanitario.

Tuttavia, per capire a fondo le radici della conflittualità nella Repubblica Democratica del Congo occorre guardare alla si- tuazione regionale nella quale il Paese è inserito, un’area dove fra il 1998 e il 2002 si scontrarono una decina di nazioni africane in quella che fu definita “la prima guerra mondiale africana”, pro- vocando 5 milioni di morti. Gli esiti dello scontro tra hutu e tut- si, deflagrato nel genocidio ruandese dell’aprile del 1994, che causò circa 800 mila morti, sono all’origine di questa con- flittualità non ancora sopita. Le cause del genocidio furono mol- teplici; tra queste le tensioni in- teretniche, alimentate anche dal- le precedenti potenze coloniali.

Tre vite spezzate

nel cuore del Nord Kivu

L’attacco nella Repubblica Democratica del Congo porta alla ribalta il dramma di un Paese ricchissimo ma costretto alla miseria e alla fame

Forze dell’Onu sul luogo in cui hanno perso la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo (Reuters)

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L’OSSERVATORE ROMANO

pagina II venerdì 26 febbraio 2021 venerdì 26 febbraio 2021 pagina III

A

atlante atlante

A

El Salvador: il cibo come diritto umano.

I partiti firmano un impegno pubblico Un nuovo passo in avanti è stata raggiunto nel percorso per l’approvazione definitiva della ri- forma della Costituzione che preveda i diritti umani all’acqua e all’alimentazione in El Salva- dor. Dopo la vittoria ottenuta, nell’ottobre 2020,

con l’inserimento dell’accesso all’acqua e ai servi- zi igienici come diritto umano, il 28 gennaio l’As- semblea legislativa ha approvato, con 57 voti fa- vorevoli su 84, la riforma dell’articolo 69 che ora include il cibo come diritto umano. La Chiesa cattolica e l’Alleanza per la riforma costituziona- le di El Salvador hanno ottenuto la firma di un documento in cui i partiti si impegnano a votare a favore della riforma definitiva degli articoli 2 e 69 che riguardano questi diritti. Il documento è stato diffuso, martedì scorso, sui social media dell’Arcidiocesi di San Salvador.

Repubblica Democratica del Congo: avviato un progetto per integrare i giovani pigmei I Comboniani hanno promosso un progetto di scolarizzazione per aiutare i giovani pigmei che abitano nella zona di Mungbere, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo, ad in- serirsi nel tessuto sociale. La percentuale di iscri- zione dei bambini e degli adolescenti nelle scuo- le è molto bassa. Il tasso di analfabetismo è supe- riore al 97% e quello delle donne è intorno al 99%. Discriminazione, matrimoni in età precoce, alcolismo e dipendenza dalle droghe sono tra le

Dalle periferie

Piano d’azione dell’O nu a favore

dell’ambiente

di ANNALISAANTONUCCI

S

e non vogliamo cambiare le no-

stre abitudini per sensibilità ambientale facciamolo per pau- ra. Il covid ha dimostrato, infat- ti, che il degrado degli ecosiste- mi aumenta il rischio che gli agenti patogeni si trasferiscano dagli animali all’uomo e dun- que che le pandemie possano ripetersi, con il fardello di ma- lattie e morti che portano con sé.L’approccio “One World, One Health” che considera la

salute umana, animale e globa- le in modo congiunto deve di- ventare la stella polare perché senza l’aiuto della natura «non possiamo sopravvivere». Lo ha ricordato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, presentando il nuovo rapporto dell’Onu sull’ambien- te dal titolo significativo Fare pa- ce con la natura. «Da troppo tem- po — ha detto — combattiamo una guerra insensata e suicida contro la natura». Il risultato

«sono tre crisi ambientali inter- dipendenti»: il cambiamento climatico, la perdita di biodi- versità e l’inquinamento. Que- ste rappresentano una triplice minaccia per la salute e la pro- sperità umana, che può essere scongiurata solo trasformando il modo in cui alimentiamo le nostre economie e ci nutriamo.

«Le scelte delle persone conta- no» ha detto Guterres, notando che circa due terzi delle emis- sioni globali di CO2 sono legate alle famiglie ed auspicando che gli individui riconsiderino il lo- ro rapporto con la natura, im- parino a conoscere la sostenibi- lità e cambino le loro abitudini per ridurre l’ uso di risorse, lo spreco di cibo, acqua ed ener- gia.Secondo l’ultima relazione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep),

«l’atmosfera e gli oceani sono diventati discariche per i nostri rifiuti e i governi continuano a pagare di più per sfruttare la natura che per proteggerla». Il

rapporto indica che l’economia globale è aumentata di quasi cinque volte negli ultimi cin- quanta anni, ma ciò ha avuto un costo enorme per l’ambiente.

Nonostante una diminuzione delle emissioni di gas serra do- vuta alla pandemia, il riscalda- mento globale è in aumento di 3 gradi Celsius, le malattie legate all’inquinamento continuano ad uccidere circa nove milioni di persone ogni anno e più di un milione di specie vegetali e animali sono a rischio di estin- zione. Inoltre, l’acqua inquina- ta uccide 1,8 milioni di persone, la maggior parte bambini.

Infine, il degrado ambientale ostacola i progressi per la ridu- zione della povertà e della fa- me, delle disuguaglianze e per la promozione di una crescita economica sostenibile, del lavo- ro per tutti e delle società paci- fiche e inclusive. Infatti nel mondo restano ancora 1,3 mi- liardi di poveri e circa 700 mi- lioni di persone che soffrono la fame. «L’unica risposta per mi- gliorare il benessere delle per- sone e del pianeta è lo sviluppo sostenibile» ha ribadito Guter- res, richiamando l’attenzione sulla necessità di fissare un prezzo del carbonio, trasferire sussidi ai combustibili fossili e adottare soluzioni rispettose della natura come rinunciare al- le colture agricole che distrug- gono e inquinano. «È necessa- rio prevedere misure urgenti e ambiziose per cambiare il mo- do in cui produciamo il nostro cibo, gestiamo le nostre acque, la terra e gli oceani» ha aggiun- to.Gli esperti del programma Onu per l’ambiente sottolinea- no infatti che un’agricoltura e una pesca sostenibili, combina- te con cambiamenti nelle diete e riduzione dello spreco ali- mentare, potrebbero contribui- re a porre fine alla fame e alla povertà, migliorare l’alimenta- zione e la salute e preservare terra e oceani dall’inquinamen- to.E questo è l’anno giusto per cambiare, oltre che l’ultimo per evitare che l’emergenza climati- ca diventi irreversibile. Due so- no i fattori propizi, secondo le Nazioni Unite, il reingresso de- gli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sui cambiamenti climati- ci e lo sforzo dei Governi per la ripresa economica dalla crisi pandemica, un’opportunità che non può essere vanificata. «Il percorso verso un’economia so- stenibile esiste» ha concluso Guterres, aggiungendo che è

«guidato dalle energie rinnova- bili, dai sistemi alimentari so- stenibili e dalle soluzioni basate sulla natura» e «porta a un mondo inclusivo in pace con la natura».

di FRANCESCOCITTERICH

I

colloqui mediati dall’Onu sul- l’annosa questione cipriota — l’aspra e irrisolta contesa terri- toriale tra Nicosia e Ankara — dovrebbero riprendere a breve dopo quattro anni di interru- zione.

A gennaio, l’inviato specia- le delle Nazioni Unite, la sta- tunitense Jane Holl Lute, ha confermato la disponibilità a nuove trattative da parte del Governo di Nicosia e dell’am- ministrazione turco-cipriota, che controlla la parte setten- trionale dell’isola, occupata militarmente da Ankara dal 1974, oltre che dei Paesi garan- ti: Regno Unito, Turchia e G re c i a .

Le posizioni di partenza permangono molto distanti.

Gli ultimi colloqui su Cipro si sono conclusi infruttuosamen- te nel 2017 a Crans-Montana, in Svizzera.

La questione cipriota è una disputa che si trascina da qua- si mezzo secolo. L’isola — da secoli strategicamente impor- tante per il controllo del Me- diterraneo orientale — è di fat- to divisa in due dal 15 luglio del 1974, dopo una massiccia invasione dell’esercito turco nella zona settentrionale, in seguito a un fallito attentato contro l’arcivescovo greco-or- todosso Makarios III.

Attentato propugnato dalla giunta dei colonnelli ad Ate- ne, i militari che avevano rove- sciato il Governo greco nel 1967, favorevoli all’annessione di Cipro alla Grecia.

Proprio la presenza dei mi- litari turchi nel nord (equiva- lente a poco meno del 40 per cento dell’intero territorio del- l’isola) rappresenta uno dei te- mi più spinosi, controversi e finora irrisolti dei negoziati per la riunificazione di Cipro, separato tra uno Stato greco- cipriota, membro dell’Unione europea dal 2004, e uno turco- cipriota, riconosciuto solo dal- la Turchia. Nove anni dopo l’occupazione militare, nel 1983, venne infatti proclamato unilateralmente da Ankara uno stato federato turco (la cosiddetta “repubblica turca di Cipro del nord”).

Questa entità, con una pro- pria costituzione, un’assem- blea legislativa e un proprio presidente, non è però mai stata riconosciuta dalla Comu- nità internazionale. Nicosia, con i suoi 183 chilometri di ce- mento e filo spinato, è l’unica capitale del mondo ancora di- visa da un muro.

Il primo tentativo organico di risoluzione si ebbe nel no- vembre del 2002, con il piano presentato dall’allora segreta- rio generale dell’Onu, Kofi Annan. Il documento cercava

di sfruttare l’iter associativo di Cipro all’Ue e prevedeva una impalcatura costituzionale di tipo svizzero, con il riconosci- mento di due componenti al- l’interno di un unico Stato fe-

L’attesa di Cipro

Multilateralismo A p p ro f o n d i m e n t o

India: ancora proteste dei contadini

di ANDREAWA LT O N

L

e proteste dei conta- dini indiani non ac- cennano a placarsi.

Una nuova, oceani- ca, dimostrazione ha avuto luogo nello Stato del Punjab dove più di 130 mila lavoran- ti, secondo le stime della po- lizia, sono scese in piazza per chiedere l’a b ro g a z i o n e della riforma agraria. L’ese- cutivo indiano, guidato dal premier conservatore Naren- dra Modi, ha favorito il pas- saggio di una serie di leggi che intendono liberalizzare il mercato agricolo e che con- sentono ai contadini di ven- dere i propri prodotti a chi

vogliono. La mossa è stata però respinta dai piccoli pro- duttori che temono le insidie del libero mercato che, se- condo loro, tenderebbe a fa- vorire i grandi proprietari terrieri ed a schiacciare verso il basso i prezzi dei prodotti da loro venduti. L’agricoltu- ra fornisce sostentamento al 58 per cento della popolazio- ne indiana ed i contadini so- no un importante blocco elettorale in vista delle ele- zioni generali previste per il 2024.

Il dialogo tra le parti, tut- tavia, stenta. Sin dal settem- bre 2020 si sono verificate le prime proteste di contadini che, dopo alcune settimane,

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L’OSSERVATORE ROMANO

pagina II venerdì 26 febbraio 2021 venerdì 26 febbraio 2021 pagina III

A

atlante atlante

A

cause principali dell’abbandono scolastico. Per far fronte a questa situazione i Comboniani han- no costruito un collegio nel centro di Mungbere che attualmente ospita circa 110 ragazzi. La strut- tura accoglie anche i ragazzi di etnia Bantu, per promuovere l’integrazione tra loro. Solo negli ul- timi 20 anni è stato avviato un programma di sco- larizzazione, sanitario e di sviluppo che coinvol- ge direttamente i pigmei, riferisce all’agenzia Fi- des padre Pierre Latevi, missionario e promotore di questa iniziativa. «Fin dall’arrivo dei primi pa- dri comboniani in Congo, negli anni ’60, l’imp e-

gno nei confronti di questa gente è stato fin da subito quello di combattere i pregiudizi e fare in modo che i pigmei non fossero più costretti a vi- vere emarginati ai confini della foresta».

India: lo Stato di Uttar Pradesh approva la legge anti-conversione religiosa

L’Uttar Pradesh — lo stato più popoloso dell’In- dia settentrionale — ha approvato mercoledì il di- segno di legge che vieta la conversazione religio- sa con mezzi fraudolenti o con qualsiasi altro mezzo indebito, incluso il matrimonio. Approva-

to dall’assemblea legislativa, sostituirà l’o rd i n a n - za promulgata nel novembre 2020. Le violazioni prevedono la reclusione fino a 10 anni e una mul- ta fino a 50.000 rupie per i trasgressori. Le orga- nizzazioni per i diritti umani e i leader della chie- sa hanno, però, espresso preoccupazioni per il numero crescente di Stati che stanno optando per leggi anti-conversione in India, che spesso sono strumentalizzate e abusate per penalizzare le minoranze religiose o i missionari.

Un tetto per i profughi cristiani etiopi

in Sudan

di ELISAPINNA

I

primi ad arrivare sono stati un uomo, la moglie, la figlia adolescente, e due loro vicine di casa. Le scarpe piene di polvere, lacerate, dopo quattro giorni di cammino nelle foreste e tra le sterpaglie dell’Etiopia nord-occidentale, per sfuggire al fuoco incrociato e ai massacri dell’ennesimo conflitto scoppiato tra il governo di Addis Abeba e i ribelli del Tigray. Alla fine della loro fuga hanno guadato un fiume di confine con il Sudan e sono entrati nel villaggio di Hamdavet, qualche centinaia di case, strade sterrate, abitato da musulmani arabi. I fuggitivi erano cristiani, parlavano amarico o tigrino ed avevano, come è usanza tra molti etiopi, il simbolo della croce tatuato sulla fronte. Si sono buttati per terra in un vicolo, affamati e stravolti dalla stanchezza, ed hanno cominciato a chiedere l’elemosina. È qui che li ha trovati Mohamed Ali Ibrahim, cameriere-cuoco in un ristorante del villaggio. Non ci ha pensato due volte, li ha portati a casa sua, li ha rifocillati ed ha offerto loro una capanna di fango di sua proprietà. Da quando l’Etiopia ha lanciato la nuova offensiva contro il Tigray, più di 61 mila etiopi — secondo dati recenti delle Nazioni Unite — hanno sconfinato in Sudan e di loro 43 mila sono approdati, dopo aver

attraversato il fiume Tezeke, proprio nel tranquillo e pacifico villaggio di Hamdavet. La maggior parte sono stati trasferiti dalle Nazioni Unite in campi profughi all’interno del Sudan. Molti però hanno preferito rimanere nel paesino musulmano, nella speranza di poter tornare presto nelle proprie case in Tigray, al di là del confine. Ad Hamdavet, un villaggio di allevatori di bestiame, senza energia elettrica e acqua corrente, si è creata una

convivenza inaspettata tra persone di lingua, religione e cultura diverse. «Abbiamo fatto del nostro meglio per offrire ai profughi cibo, da bere e vestiti. Sono nostri fratelli e abbiamo agito secondo la volontà di Allah» ha spiegato Mohamed Ali Ibrahim, il cameriere cuoco che ha aperto la strada della solidarietà collettiva. «Quello che è successo ad Hamdavet riscalda veramente il cuore ed è un inno alla vita, nonostante le guerre e le povertà di questa regione» ha commentato Will Carter, responsabile sudanese del Norwegian Refugee Council, che ha visitato il villaggio, ormai assediato dai giornalisti locali, dagli operatori umanitari, da funzionari della sicurezza. «La cosa incredibile è che la prima linea di aiuto verso i rifugiati etiopi non è stata attivata dalle autorità o dalla gente del posto, da persone per lo più povere». Sudanesi ed etiopi hanno imparato a condividere cibo e fuoco.

Gli etiopi danno una mano nel trasportare carichi di banane e altri prodotti agricoli nell’unico mercato del posto. Sono stati improvvisati — riferiscono i giornali sudanesi — piccoli locali dove i giovani rifugiati, per lo più uomini, bevono thè o caffè, parlano di politica, ascoltano la musica del loro paese e talvolta ballano. «Hanno bussato alla nostra porta e ci hanno chiesto se avevamo spazio per loro. Cosa dovevamo fare? Li abbiamo ospitati» spiega Hassina Mohamed Omar che ha accolto in casa tre rifugiati. C’è persino chi, come Harum Mohammed Omar, si è trovato ad un certo punto ad avere 20 ospiti nella sua abitazione. Certo vi è la consapevolezza che la situazione non potrà andare avanti a lungo. Le risorse del villaggio sono limitate. I primi scricchiolii nella convivenza cominciano ad essere percepiti. «I sudanesi sono uno dei popoli più generosi del mondo», dice Thomas Weldu, uno studente universitario etiope che si è trovato in mezzo alla guerra mentre era andato a trovare la propria famiglia ad Humera, cittadina del Tigray, ed è finito, insieme ad altri fuggitivi, a Hamdavet. «Dobbiamo però capire che c’è un limite al cibo, all’acqua, all’ospitalità. Ha ragione chi chiede una soluzione politica. Non dobbiamo diventare un peso insostenibile».

derato, la cui presidenza sa- rebbe dovuta essere a rotazio- ne, e una progressiva smilita- rizzazione dell’isola.

Frutto di non facili e lunghi negoziati tra le parti, il “piano Annan” fu sottoposto a refe- rendum nell’aprile del 2004, ma — contrariamente alle aspettative — venne affossato dai greco-ciprioti.

Anche grazie alla pressione di Bruxelles in vista di una possibile adesione di Ankara all’Unione europea, i turco-ci- prioti lo approvarono, mentre le autorità greco-cipriote vota- rono contro perché — a loro dire — avrebbe portato alla na- scita di una confederazione con il riconoscimento dell’en- tità nata dall’occupazione mi- litare turca.

Da allora ci sono state nu- merose riunioni e trattative per dipanare la matassa su Ci- pro, senza però raggiungere un accordo definitivo sulla riunificazione dell’isola, da sempre un fondamentale pun- to di scambio tra le zone ne- vralgiche d’Europa, d’Africa e del Vicino oriente.

Una terra divisa, che oggi più che mai si trova al centro di nuove dispute. Negli ultimi mesi le tensioni sono aumen- tate anche per via delle riserve di gas naturale che sono state scoperte di recente a largo del- le coste di Cipro, che già ven- de riserve energetiche a Egitto e Israele. Le riserve di gas na- turale hanno causato un ulte- riore forte attrito con Ankara, che ha inviato missioni di tri- vellazione nelle acque al cen- tro di una disputa territoriale.

Cipro, in particolare, conside- ra tali acque facenti parte della sua Zona economica esclusiva.

La Turchia, invece, sostiene di trovarsi in acque internaziona- li o, quanto meno, in quelle della repubblica turca di Ci-

pro del nord. In questo conte- sto, la Turchia è stata accusata dall’Unione europea di prati- che scorrette e violazioni del diritto internazionale, motivo per cui aveva imposto sanzio- ni economiche su Ankara. E le continue difficoltà nell'indivi- duazione di un accordo pre- sentano tutt’ora un ostacolo insormontabile all’avvio del dialogo per l'ingresso della

Turchia nell'Unione europea.

Il Governo di Nicosia ha infatti sempre detto che porrà il suo veto all’adesione di An- kara all’Ue finché Cipro reste- rà divisa.

La risoluzione della lunga crisi porterebbe indubbi bene- fici alle parti. La fine degli em- barghi incrociati comportereb- be vantaggi nel settore dei tra- sporti, in quello finanziario e

massicci risparmi nelle spese per la difesa di Atene e Anka- ra. Inoltre, la riunificazione darebbe una maggiore stabili- tà all’isola, incrementando gli investimenti esteri vitali per sviluppare le infrastrutture.

In particolar modo, il turi- smo avrebbe un sicuro benefi- cio all’apertura del mercato della Turchia, così come i ser- vizi finanziari.

Riprenderanno a breve, a quattro anni di distanza, i colloqui sulla riunificazione dell’isola mediterranea, separata in due dal 1974 dopo una massiccia invasione militare della Turchia.

Ma le parti rimangono distanti. Una terra divisa,

che oggi più che mai si trova al centro di nuove dispute

Appunti di viaggio

hanno scelto di marciare sul- la capitale New Delhi e di accamparsi ai margini della città, dove sono stati bloccati dalla polizia. Centinaia di migliaia di agricoltori bivac- cano alla periferia della città da allora e non intendono andarsene finché le loro ra- gioni non saranno ascoltate.

In un’occasione una parte del gruppo ha occupato, bre- vemente, il Forte Rosso di New Delhi dando vita ad una serie di scontri con le forze dell’o rd i n e .

Il movimento dei contadi- ni è guidato dai Sikh del Punjab, una comunità basa- ta nel nord dell’India e sog- getta a violenze e discrimina- zioni già in occasione della Partizione del 1947 ed ancora nel 1984. Il gruppo vede la partecipazione di persone provenienti da diverse caste, religioni, orientamenti politi- ci e tende ad unire quelle co-

munità locali timorose di es- sere spazzate via dalle divi- sioni e dalla ingiustizia eco- nomica. Dall’altro lato della barricata ci sono invece il go- verno del premier Narendra Modi e il suo movimento Bharatija Janata Party. I due schieramenti in campo non potrebbero essere più diversi per composizione ed ideali e questo stato di cose rischia di allontanare il raggiungi- mento di una possibile solu- zione.

La convivenza pacifica tra i diversi segmenti della so- cietà indiana è stata spesso turbata, nel corso degli ulti- mi decenni, da sporadici epi- sodi di violenza e discrimi- nazione che, però, hanno la- sciato il segno. I traumi delle violenze rischiano di mettere una persona contro l’altra, un gruppo contro l’a l t ro , una regione contro l’altra co- me in una complessa spirale

che si può rivelare difficile da spezzare. Si sono già svolti undici round di collo- qui tra il governo ed i rap- presentanti degli agricoltori, ma non si è ancora trovato un terreno comune attraver- so cui far maturare un dialo- go fruttuoso. Le tensioni tra le parti rischiano di trasfor- marsi in una vera e propria bomba ad orologeria, pronta a deflagrare all’i m p ro v v i s o ed a dare vita a gravi proble- matiche. La questione agri- cola ha peraltro dato vita ad un dibattito più ampio all’in- terno della società indiana.

Sono stati criticati alcuni comportamenti del governo, tra questi la decisione di dare più potere alla polizia, di ta- gliare la connessione ad in- ternet in parti del vicino Sta- to dell’Haryana e di rafforza- re la sicurezza ai confini di D elhi.

Sullo sfondo, poi, ci sono

anche altre questioni da ri- solvere. In primis la pande- mia di covid, al momento in regressione ma comunque pericolosa a causa del possi- bile ruolo giocato dalle va- rianti del virus. In seconda battuta c’è l’irrisolta questio- ne del Kashmir, l’unica parte dell’India popolata in mag- gioranza da musulmani e do- ve le tensioni, negli ultimi anni, hanno raggiunto picchi pericolosi. La questione del Kashmir è legata alle relazio- ni diplomatiche con il vicino Pakistan, potenza nucleare come l’India e con cui i rap- porti sono spesso conflittuali e tesi. Il futuro di New Delhi passa dalla risoluzione delle sue problematiche, una riso- luzione che necessiterà di dialogo ed apertura. La pace sociale può rivelarsi l’arma decisiva in grado di far ripar- tire l’economia una volta su- perata la pandemia.

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