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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.04 (1877) n.148, 4 marzo

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L'ECONOMISTA

GAZZ ET T A S E T T I M A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno IV - Voi. VII

Domenica

ÜH

PROGETTO DI LEGGE FORESTALE

Nella tornata del 22 gennaio 1877 l’onore­

vole Ministro di Agricoltura, Industria e Com­

mercio presentava alla Camera dei Deputati

una nuova proposta di legge forestale prece­

duta da una relazione assai elaborata.

Noi abbiamo avuto altravolta occasione di

esprimere la nostra opinione intorno a que­

sto argomento. Esaminando il progetto che

l’onor. Finali il quale reggeva allora il Mi­

nistero di Agricoltura e Commercio aveva pre­

sentato alla Camera nella tornata del 19 di­

cembre 1874, dicemmo che reputavamo una

legge forestale non necessaria e non conforme

alle sane dottrine economiche e per di più

inefficace.

La lettura della relazione deH’onor. Maio-

rana Calatabiano non ha potuto cambiare la

nostra opinione. A buon conto l’onor. Mini­

stro, appoggiandosi a gravissime autorità, con­

sente che le ragioni climatologiche e igieni­

che non possono per ora condurre a nessuna

conclusione assoluta. Egli crede però che non

possa dirsi lo stesso per quel che riguarda il

corso delle acque e la consistenza del terri­

torio.

Non neghiamo il peso delle autorità addotte

a questo proposito, ma non crediamo che an­

che per questo lato si possa sentenziare in

modo assoluto che il vincolo forestale è indi­

spensabile, perchè uomini competentissimi han­

no ritenuto e ritengono il contrario. — Ripe­

tiamo quello che altra volta dicemmo, che le

colmate in monte possono rimediare ai danni

derivanti dalle acque che scendono precipito­

samente dai monti dilavati e che in Toscana

intere valli sono state prosciugate e bonificate

mediante il savio uso delle acque scendenti

dai monti diboscati.

D’altra parte sappiamo che le leggi restrit­

tive le più severe, le quali giunsero talvolta

a comminare il carcere e la forca non riusci­

marzo 1877

N. 118

rono mai ad impedire il malgoverno dei bo­

schi. E fu questa la ragione per cui Pietro

Leopoldo guidato dall’esperienza sciolse mano

a mano i vincoli che inceppavano la proprietà

delle foreste e che si giunse in tal modo al

celebre editto del 1780, che regge ancora la

Toscana e nel quale si manteneva una sola

restrizione, che avrebbe molto probabilmente

finito coll’essere anch’essa levata di mezzo.

Ebbene, non potrebbe affermarsi che in To­

scana non si sia verificato alcun danno per

la imprevidenza dei proprietari, ma è anche

certo che i mali non sono stati maggiori che

nelle altre provincia soggette a restrizioni ed

a vincoli moltiplici : anzi può dirsi il contra­

rio, come lealmente riconosceva V onor. Val-

perga di Masino relatore alla Camera intorno

al progetto Finali.

Del resto se noi passiamo ad esaminare la

proposta ministeriale, vi troviamo anzitutto

stabilita la massima che il vincolo forestale

può imporsi per certe categorie di boschi

senza indemnizzo percausa di pubblica utilità.

Queste categorie appariscono a prima vista

più ristrette assai di quel che non lo fossero

nei progetti precedenti, poiché all’articolo 1.

è detto che sono sottoposti al vincolo fore­

stale i boschi e le terre spogliate di piante

legnose sulle cime e' pendici dei monti fino al

limite superiore della zona del castagno. Ma

un largo arbitrio è lasciato ai Comitati fo­

restali, i quali hanno facoltà di sottoporre al

vincolo quei terreni che per la loro specie e

situazione possono diboscandosi e dissodandosi

dar luogo a scoscendimenti, smottamenti, in­

terramenti, frane, valanghe, e con danno pub­

blico disordinare il corso delle acque, o alte­

rare la consistenza del territorio nazionale.

(2)

L ’ E C O N O M IS T A 234

4 marzo 1877

E quanto ai tagli è stabilito che i proprie­

tari devono uniformarsi a quelle prescrizioni

di massima che ciascun comitato forestale ri­

conoscerà necessarie di adottare, affine di as-

sicasare la consistenza e la riproduzione dei

boschi.

0 c’inganniamo, o qui non si tratta di sem­

plici restrizioni, come sono le servitù prediali

pia di una limitazione che abbraccia, per cosi

dire, tutto quanto l’uso della proprietà. Ora

ci pare che se v’è principio di giustizia sia

evidontemente questo, che quando il privato

cittadino viene impedito di godere a proprio

talento della sua proprietà, debba venire in­

dennizzato della perdita che soffre. Noi cre­

diamo ingiusta e dannosa l’intromissione della

pubblica autorità negli affari dei cittadini,

pensiamo che l’interesse privato sappia trovar

meglio i rimedi della provvidenza governa-’

tiva. Nondimeno quando fosse dimostrato in

modo assoluto ohe un diboscamento potesse

nuocere all interesse generale, ammetteremmo

il rimedio, ma non sapremmo trovarlo altrir

menti che nelle norme comuni che regolano

la espropriazione forzata, per causa di puh-r

blica utilità e dietro indennizzo.

Abbiamo notate le facoltà eccessive accor­

date ai Comitati forestali. La relazione ci dice

che in tal modo si entra nella via del decen­

tramento. Ebbene, noi intendiamo il decen­

tramento quando esso consiste nello sgravare

il potere centrale di oerte ingerenze per affi­

darle alle autorità locali, ma quando si tratta

di accordare al potere pubblico la facoltà di

entrare in quel campo che dovrebbe essere ri­

servato esclusivamente ai diritti individuali,

la cosa cambia di aspetto. Si tratta sempre

di un dispotismo, e la questione sta tutta nel

sapere se nel caso concreto il dispotismo vi­

cino sia preferibile a quello lontano.

Le pene comminate dalla proposta di cui è

parola sono più miti di quelle comminate g-ià

dal progetto Finali, sebbene siano calcate sul

medesimo stampo. La multa per ogmi ettaro dis­

sodato, diboscato invece che da L. 100 a 5Q0

è fissata da 100 a 250, e quella per il taglio

non conforme alle prescrizioni non giungerà

piu fino al decuplo, ma soltanto fino al qua­

druplo del valore delle piante lagliate o degli

alberi deperiti. Si dioa qnel che si vuole in

contrario, ma a noi sembrano ben singolari

queste multe inflitte a chi dispone del suo. I

Comprendiamo che data la legge, esse ne sono

una logica conseguenza, ma questa loro sin­

golarità dimostra appunto l’ assurdità della j

legge.

i

La proposta ammette la espropriazione per

causa di pubblica utilità e la conseguente in­

dennità quando non si tratti più di impedire

il diboscamento, ma si voglia rimboscare. A

questo proposito è stabilito che il Ministero

di agricoltura e commercio, le provincie e i

comuni potranno d’accordo o ciascuno con o

senza sussidio degli altri promuovere il rim ­

boscamento dei terreni che’ si trovano nelle

condizioni specificate nell’articolo 1°, e un ap­

posito capitolo nel bilancio del Ministero prov-

vederà alla parto di spese di rimboscamento

a carico dello Stato. Noi confessiamo che. non

saremmo senza preocupazione intorno alla ma­

nia di spendere che invaderebbe facilmente

l’amministrazione forestale e i Comitati pro­

vinciali non che intorno ai modo e alla opporr

tunità della spesa.

Quanto poi all’applicazione della legge essa

non potrebbe non cagionare una spesa assai

grave. Le spese infatti pel mantenimento de­

gli ufficiali forestali sono a carico dello Stato,

quelle del personale di custodia a carico delle

provincie.

Ora noi non sappiamo veramente a che cosa

possa riuscire tutto questo apparato. Non du­

bitiamo che non mancheranno le vessazioni

e le liti e non dubitiamo nemmeno che non

mancherà la corruzione tanto più facile, e agli

occhi di molti tanto più scusabile, quando si

tratta di ludere una legge ingiusta.

Ci duole di dover concludere che per quanto

la relazione faccia le più larghe proteste di ri-,

spetta ai principii di libertà, la proposta se. ne

discosta nel fatto e è, a parte alcune disposizioni

accessorie, che una riproduzione della proposta

Finali.

Pur troppo il còmpito degli amici delle li­

bertà economiche è sempre assai grave. Non

conviene dissimularsi che la corrente del mor

mento non è per loro la più favorevole. Co­

munque sia, noi non verremo meno alla fe-

deità della nostra bandiera, e continueremo

a combattere qualunque proposta che accenni

a discostarsi da quei principii, nei quali ab­

biamo una fede inconcussa, fede che ha suo

fondamento nella ragione e nella esperienza,

LA IMPOSTA SULLA RICCHEZZA MOBILE

n e l l ’a n n o 187 6

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---

---4 marzo 1877 L’ E C O N O M IS T A

255

di ricchezza mòbile, la quale da sola figura nel bi­ lancio attivo dello Stato per oltre 18“2 milioni di lire. L’esame del modo con cui procede l’assetto di cotesta principalissima fra le entrate è adunque in­ teressantissimo, ed a cotesto studio ci abilita oggi la relazione statistica sui resultati dei ruoli di cotesta imposta pubblicati e messi in riscossione nell’anno 1876 diramata agli ufficii finanziarii dalla direzione generale delle imposte dirette in data del 20 di­ cembre dell’anno decorso con il suo Bollettino uffi­ ciale di numero XVII.

Primario intento che con coleste annuali pubbli­ cazioni si propone la citata direzione si è quello di spronare lo zelo delle Intendenze di Finanza e delle dipendenti Agenzie delle tasse allo scoprimento ed alla tassazione dei redditi imponibili mettendo loro soli’occhio i redditi già scoperti e tassati; però co­ testi documenti, oltre a sodisfare a cotesto scopo semplicemente finanziario, riescono di sommo inte­ resse anche all’economista, dappoiché da essi rilevasi non solo lo stato di questa imposta e come essa proceda, ma fino ad un certo punto anche quello della ricchezza mobiliare nel Regno e nelle singole sue provincie. A cotesto propòsito giova però avver­ tire che le cifre raccolte nel voluminoso prospetto statistico compilato dalla direzione generalo delle imposte dirette se possono darci un concetto suffi­ cientemente esalto relativamente ai redditi mobiliari resultanti da capitali investiti con ipoteca o per atti soggetti alla formalità del'Registro od a quelli de­ rivanti da stipendi e salari corrisposti da pubbliche amministrazioni, lo stesso non potrebbe dirsi riguardo ai redditi derivanti da industrie e professioni pri­ vate delle quali è assai difficile, per non dire im­ possibile, lo stabilire cifre che si approssimino alla verità, e tanto meno per i redditi dei capitali inve­ stiti a credito cambiario, i quali sfuggono comple­ tamente all’accertamento fiscale ed all’ imposta. — Chiunque prenda ad esaminare cotesti dati statistici sotto il punto di vista dell’economia nazionale deve perciò avvertire come la maggiore o minore entità delle cifre dei redditi mobiliari assegnati alle sin­ gole provincie può dipendere non solo dalla mag­ giore o minore quantità effettiva di ricchezza mobi­ liare in esse prodotta, ma anche, e più, dal grado di moralità nei denunzianti e da quello della ocu­ latezza e del rigore degli agenti e delle Commissioni tassatrici.

Altra osservazione importante da farsi, prima di scendere all’esame di questo prospetto statistico, si è che in cotesto non figurano che i redditi tassabili mediante ruoli nominativi e le relative imposte, ma non quei redditi sui quali l’ Erario si prende da per se l'imposta di ricchezza mobile mediante rite­ nuta che fa ai proprii creditori ed assegnatarii nel- 1 atto del pagamento. Cotesta tassa di ricchezza mo­

bile che si esìge per ritenuta raggiunge quasi la metà dell’ intiero contingente che a questo titolo figura pel 1876 nel bilancio dello Stato per 182 milioni circa, residuandosi così a soli 93 milioni la ricchezza mobile che si riscosse mediante ruoli e I conseguentemente questi soli figurauo nella relazione

statistica che prendiamo ad esaminare.

Il prospetto pubblicato dalla Direzione delle im­ poste dirette si compone di 21 tavole riunite in un grosso fascicolo di oltre 200 pagine. Le prime 7 tavole ci danno i resultati dei ruoli del 1876 rela­ tivamente agli articoli di ruolo, ai redditi imponi­ bili ed alle imposte distintamente per ogni provincia del regno e quello cbe vanno; dalla 10* alla 16a ripetono coleste stesse notizie, ma unicamente per i Comuni capiluoghi di provincia, sui quali, come centri maggiori di ricchezza mobiliare è specialmente richiamata l’attenzione delle autorità finanziarie. Le tavole 8* e 9a distinguono i redditi mobiliari e le imposte secondo che appartengono ad enti collettivi od a privati cittadini. La tavola 17a confronta i red­ diti e le imposte dell’anno 1876 con quelle del 1875, mentre la 18a e la 19* dimostrano la entità complessiva dei ruoli d’ imposta dati in esazione nel 1876 e nel 1875, sieno essi relativi a cotesto ge­ stioni od a gestioni precedenti. Le ultime due tavole, che più delle altre dovrebbero riuscire interessanti per le ricerche economiche, analizzano i redditi mo­ biliari, industriali e professionali, per ogni singola provincia, secondo le varie industrie o professioni dalle quali derivano.

La prima tavola adunque riepiloga, distinti per provincie, gli articoli di ruolo, i redditi mobiliari classati per categorie e le imposte comprese nei ruoli proprii della gestione 1876, sieno essi princi­ pali o suppletivi. In cotesto prospetto si contengono pure i dati relativi all’imposta speciale sulle cotome

agricole, la quale, avendo una base tutta diversa

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do-256 V E C O N O M IS T A

4 marzo 1877 vuta allo Stalo sugli enunciati redditi mobiliari rag­

giunse la cifra di 92,140,000 lire e se a cotesta somma si aggiungono la tassa sulle colonie, le spese di distribuzione e riscossione dovute allo Stato, alle Provincie ed ai Comnni si ottiene per i ruoli del­ l’anno 1876, un carico generale e complessivo di lire 97,551,211.

Confrontando i resultati dei ruoli 1876 con quelli del 1875 (e questo fa la tavola II del prospetto) si trova che gli articoli di ruolo crebbero da un anno all’altro della rilevante cifra di 27,810, lo che ci addita come in quest’ultimo anno siensi potuti tas­ sare molti contribuenti nuovi sfuggiti per l’avanti all’imposta. Cotesto numero maggiore di contribuenti produsse l’aumento di lire 35,644,000 di redditi imponibili con una corrispondente maggiore imposta di lire 4,481,000. Il maggiore reddito ora indicato si riferisce a tutte e quattro le categorie nelle quali si classano i redditi mobiliari agli effetti imponibili e die di sopra abbiamo specificate, e difatti la ca­ tegoria A concorse a cotesto aumento per lire 15 milioni e 309 mila, la Categ. B per L. 11,-423,000, la Categ. C per lire 5,622,000 e quella D per lire 1,269,000. A questo punto osserveremo, cosi alla sfuggita, come gli aumenti delle categorie B. e C. possono rallegrare l’economista, dappoidiè possono rappresentare effettivamente un miglioramento nelle condizioni economiche della nazione, non cosi però quelli delle categorie A e D, il primo dei quali come vedremo meglio in ultimo, rappresenta in gran parte un aumento delle passività degli enti morali, ed il secondo un vistoso aumento di personale e di sti­ pendi negli uffici comunali e provinciali.

E da notarsi come quasi tutte le provincie del regno abbiano concorso a cotestp aumento di red­ diti mobiliari imponibili, giacche sole sette pronincie manifestano una diminuzione dal 1875 al 1876, cioè quelle di Aquila, Cagliari, Catanzaro, Firenze, Ge­ nova, Sassari e Torino. Per Firenze e per Torino è però da avvertire come le diminuzioni dei respet­ tivi redditi derivino dalla circostanza della emigra-, t o zione in altre provincie di enti collettivi godenti di cospicui redditi, piuttostochè da effettivo deteriora­ mento di condizioni ; difatti scomparve dai ruoli del Comune di Firenze il reddito di lire 7,004,000 ap­ partenente alle Società della Regìa dei tabacchi e della vendita dei beni demaniali che si stabilirono nel 1876 a Roma e da quelli di Torino il reddito di lire 19,605,000 appartenente alla Società ferro­ viaria dell’ Alta Italia che in detto anno si stabiliva a Milano. — Senza contare Roma e Milano, per le quali il vistoso aumento di reddito imponibile re­ sultante dal confronto dei ruoli 1876 con quelli del 1875 si spiega agevolmente per le circostanze ora indicate, troviamo che, Uopo coteste le provincie nelle quali i redditi mobiliari crebbero in cifra as­

soluta maggiore sieno Napoli,- Bari. Caserta, Venezia e Vicenza, tutte con aumenti superiori al milione di lire. Se per l’aumento dei redditi mobiliari si considera in proporzione di un tanto per cento pei redditi del 1875, allora con la scorta della tavola IV si vede come le provincie nelle quali cotesto aumento proporzionale si verificò nel 1876 in grado maggiore sono: Milano col 37 per cento, Ascoli- Piceno col 20 per cento, Siracusa col 19 per cento, Napoli e Benevento col' 18 per 100; e che quelle dove si ebbe diminuzione più sensibile sono, Torino col 30 per 100, Catanzaro col 4,58 per 100 e Fi­ renze col 2,59 per 100. Nel complesso di tutte le provincie del regno i re Iditi mobiliari crebbero nel 1876 del 6, 65 per 100 su quelli del 1875.

È interessante l’esame dei dati statistici che si comprendono nelle Tavole V, VI e VII le quali ri­ portano le proporzioni fra la popolazione delle sin­ gole provincie ed i redditi mobiliari, gli articoli di ruolo e le imposte, e la graduazione delle medesime in ordine al numero degli articoli, ed all’ ammon­ tare dei redditi imponibili e delle imposte tanto in cifra assoluta quanto in proporzione con le popola­ zioni respettive. — In tutto il Regno nel 1876 si ebbero 30 articoli di ruolo per ogni 1000 abitanti, e per ogni abitante un reddito imponibile di L. 26,04 con un'imposta di L. 5,50. — Se ad ogni articolo di ruolo corrispondesse, (lo che non si verifica esat­ tamente) un contribuente distinto, potrebbe dirsi che nel regno vi fossero 852,724 contribuenti all’ im­ posta di ricchezza mobile con un reddito medio im­ ponibile di L. 853, 03 e con un’ imposta media di L. 109,90.

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4 marzo 1877 L’ E C O N O M IS T A

257 sopra abbiamo accennato, con L. 112,16 di reddito

per abitante, poi Livorno con L. 75, 81, indi Milano con L. 72,40, Roma con L. 6 8 ,5 4 ; ultime troviamo le provincie di Catanzaro con L. 7, 74 di reddito medio per abitante, Chieti con L. 7,22, Teramo con L. 6,91 ed ultima Campobasso con L. 6,83.

Il numero maggiore di contribuenti alla tassa di ricchezza mobile, desunto presuntivamente dal nu­ mero degli articoli di ruolo, si riscontra in cifra assoluta nelle provincie di Napoli, Torino, Genova, Alessandria e Milano, il numero più scarso in quelle di Sassari, Belluno, Sondrio e Grosseto; se però cotesto numero si considera in ragione di popola­ zione, allora troviamo più popolata di contribuenti le provincie di Porto Maurizio, Massa Carrara, Ales sandria e Cuneo, più spopolate quelle di Reggio di Calabria, Catania e Girgenti.

Come abbiamo accennato in principio di questa nostra rassegna, le Tavole Vili e IX distinguono i redditi mobiliari secondo che appartengano ad Enti collettivi od a privati cittadini. Presi insieme tutti i ruoli principali e suppletivi del 1876 per tutto il regno troviamo che gli articoli in essi compresi ap­ partengono per 56,409 ad Enti collettivi, e per 759,010, a privati cittadini. — Su 1000 lire di reddito im­ ponibile totale resultante dai ruoli sopracitati 381 spettano agli Enti collettivi e 619 ai privati, e così dei 698 milioni, che a tanto ammonta cotesto red­ dito, 286 milioni spettano a cotesti Enti. Però co- testa proporzione varia enormemente se si conside­ rano i Comuni capiluogo di provincia piuttostochè le intiere provincie, e se si tratta di una o di altra provincia o di una o di altra città. — Considerando difatti i redditi mobiliari delle sole città capi luoghi di provincia troviamo che sopra 1000 lire di cotesti redditi 520 spettano agli Enti collettivi e sole 480 ai privati. Nelle provincie di Firenze, Milano, Roma, Siena, per esempio, i redditi mobiliari degli Enti collettivi sorpassano di gran lunga quelli dei privati, mentre al contrario in quelle di Siracusa, Trapani, Caltanisetta e Catanzaro i secondi soverchiano i primi. — Nelle città capiluogbi di provincia coleste diffe­ renze si verificano in grado anche maggiore. In Fi­ renze, ad esempio, sopra 1000 lire di reddito im­ ponibile 849 spettano agli Enti collettivi e sole 151 ai privati, mentre in alcune altre città come a Sas­ sari, Catanzaro e Caltanisetta i redditi di cotesti Enti ragguagliano appena il decimo dell’imponibile totale del Comune capoluogo.

Dall’esame di queste due Tavole si rileva come la media del reddito imponibile e della imposta per ogni abitante del regno di sopra indicata venga grandemente a modificarsi qualora si tolgano dai ruoli i redditi di cotesti Enti collettivi; facendo ciò non si ha che un reddito medio di L. 16,11 per abitanti con un’imposta di L. 2,12. — E così

il reddito medio dei cittadini privati per ogni arti­ colo di ruolo si riduce a L. 569 mentre si eleva a L. 4718 quello medio degli Enti collettivi, supposto che ad ogni articolo di ruolo corrisponda un’ Ente distinto. — E qui è pure da notarsi che l’aumento dei redditi imponibili verificatosi nel 1876 di fronte al 1875, ascendente a 33 milioni, è da attribuirsi in gran parte a cotesti Enti co' letti vi che vi hanno con­ tributo per 18 milioni ; e così il detto aumento che nel complesso dei redditi mobiliari descritti nei ruoli del 187 i apparisce del 6,65 per 100 di fronte al 1875, si eleva al 7,24 per i redditi degli Enti collettivi e scende al 3, 60 per quelli dei privati.

Onesti dati statistici scemano d’assai la gradita im­ pressione che si risente a prima vista confrontando i ruoli del 1876 con quelli del 1875, e viene fatto di riflettere che per una buona parte cotesto aumento dei redditi mobiliari imponibili piuttosto che da svi­ luppo della ricchezza nazionale può dipendere da aumento di passività contratte da Enti collett vi, gli interessi annui delle quali si tassano a carico degli stessi Enti debitori. Pel Finanziere coleste riflessione avrà poca importanza giacche in un modo o nell’altro si riscuote una somma maggiore, ma per l’Economi­ sta è cosa ben poco differente, ed è di suo grande interesse il m iracolare se certi aumenti di redditi mponibi1

1

mobiliari non sieno piuttosto aumento di miseria che di prosperità.

Le tavole statistiche che vanno dalla X alla XVI riportano per i soli Capiluogbi .li provincia quelle medesime notizie che le prime sette tavole ci hanno esposto per le Provincie intiere, e sarebbe opera lunga e tediosa per noi e pel nostro lettore l’entrare in minuti particolari sui dati in esse raccolti. Ci limi­ tiamo a far osservare che dei 698 milioni di redditi imponibili del 1876; 416 milioni ossia il 60 0|O ap­ partengono ai 69 Comuni che sono capoluoghi di provincia. È naturale che la Direzione generale delle Imposte dirette richiami con premura l’attenzione delle Intendenze di Finanza e delle Agenzie pei red­ diti mobiliari delle grandi città e dei grossi Comuni, giacché in essi si produce più grande massa di red­ diti ed è in qu Ili che lo zelo delle autorità finan­ ziarie può ottenere più felici resultati. — Si noti poi che per alcune provincie la indicata eccedenza dei redditi mobiliari dei cnpiluoghi su quelli del restante della provincia sono assai più notevoli, e, senza coniare Livorno, mancante quasi di territorio provinciale, basterà citare Firenze che possiede il 91 0

1

0 del reddito complessivo della sua provincia e Roma che ne produce l’89 0|0

(6)

258 L’ E C O N O M I S T A 4 marzo 1877

rilevasi come i redditi mobiliari imponibili che am­ montavano per tutto il regno nel 1874 a 632 milioni, sieno saliti a 661 milioni nel 1875 e a 698 nel 1876. Dal 1874 al 1876 quasi tutte le Provincie con i respettivi capiluogbi hanno contribuito a cotesto au­ mento; solo cinque provincie, cioè: Firenze, Torino, Genova, Sassari e Palermo soffersero invece una diminuzione di reddito ; le provincie che hanno avuto nel triennio un maggiore aumento sono senza con­ trasto quella di Roma e di Milano.

Le tavole XVIII e XIX si riferiscono alle imposte di ricchezsa mobile date effettivamente in Riscossione negli anni 1876 e 1873, sia che cotéste appartenes- I sero alle indicate gestioni, od a gestioni antecedenti. Osserveremo come il carico complessivo dei Ruoli suppletivi dati in riscossione nel 1876, ma relativi ad imposte di gestioni precedenti, è minore di quello dei ruoli suppletivi relativi a gestioni già decorse ! dati in esazione nel 1875. Siccome i ruoli ruppletivi rappresentano in conclusione un arretrato nei lavori di accertamento dei redditi mobiliari così è che la loro diminuzione nel 1876 di fronte al 1875 indica un miglioramento nell’assetto di questa imposta.

Le tavole XX e XXI che sono le ultime del pro­ spetto, riportano per provincie e per capiluogbi di provincia i redditi di cat. lì e C del 1876, distin­ guendoli secondo le varie classi di industria e di professioni che li hanno prodotti. — Par la compi­ lazione di cotesta interessante statistica si sono classate le industrie in 53 categorie differenti, ed in 17 ca­ tegorie le professioni ed i mestieri personali. Cotesti due prospetti sarebbero da por loro una magnifica statistica industriale e professionale del regno e delle singole sue provincie se il loro valore non fosse d’ assai scemato, come abbiamo avvertito in principio, dal riflettere che la maggiore o minore entità delle cifre può essere la espressione non tanto della effet­ tiva ricchezza mobiliare locale quanto di una maggiore o minore oculatezza degli agenti e delle commissioni tassataci nello accertamento dei redditi imponibili. — Però è innegabile che fino ad un certo punto coteste cifre ci possono dare un' idea abbastanza esatta dello stato delle industrie nelle differenti provincie del regno in modo se non assoluto almeno comparativo, e ci dispiace che le proporzioni di questa nostra breve rassegna non ci consentano almeno per oggi di entrare nell’ esame di colesti importanti prospetti.

Nel dar fine a questa rivista dobbiamo una parola di elogio alla on. Direzione Generale delle Imposte dirette per la chiarezza e precisione con cui è stata compilata la statistica, da noi succintamente esposta ai nostri lettori, e che abbiamo riscontrata assai più completa di quelle relative agli anni precedenti.

Società di Economia politica di Parigi

Riunione del 5 febbraio 1877

sotto la Presidenza del Signor Michele Chevalier

L e Cam ere sindacali di operai e di padroni

Il signor Limousin, pubblicista, che ha per il primo la parola, ricorda anzitutto: che il signor Edoardo Lockroy, deputato delle Bouehes-du-Rhòne ha depositato un progetto di legge diretto ad abro­ gare la legge del 17 giugno 1791. Non si tratta punto di quella che abolì le corporazioni di me­ stieri privilegiati, la cui soppressione fu deliberala nel maggio nello stesso anno. La legge di giugno in questione ebbe per fine d’ impedire ai membri delle cessate corporazioni di sostituirle con altre as­ sociazioni.

La proposta del signor Lockroy solleva quindi

una grande questione economica; la questione di »

sapere se le Associazioni libere di persone esercenti la stessa professione possano offendere in qualche modo la libertà del lavoro. Turgot riteneva possi­ bile questo pericolo quando redigeva il suo famoso editto del 1776; infatti, nell’esoidio di cotesto editto, egli dichiarava che « l’origine del male stava nella facoltà concessa agli artigiani dello stesso mestiere di adunarsi e di formare una corporazione. » Nella parte dispositiva dell’editto, egli cercò di fare spa­ rire la causa del male vietando, coll’articolo 14, ai capi-mastri, ai lav.oranti, agli operai e agli appren­ disti di formare Associazioni, o di riunirsi in as­ semblea.

Nel 1791 l’ idea di Turgot fu ripresa tal quale dal deputato Chapelier. Egli propose all’Assemblea Costituente un decreto-legge che fu approvato e i cui articoli 2, 3, 4 e 5 sopprimono la libertà di associazione per una classe di cittadini, in nome della libertà, recando offesa ad uno dei diritti pri­ mordiali dell’uomo in nome della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Fu fatta eccezione però all’abolizione delle corporazioni in nome della pubblica utilità, a favore dei fornai, dei macellai e dei venditori di carbone. Non v’ ha forse in ciò una contradizione colle disposizioni della legge?

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\ marzo 1877 L’ E C O N O M I S T A 259 questo genere, sia Camere sindacali, sia Circoli, di

armatori, per esempio, sia Associazioni di mutuo soccorso come quella dei capitani di lungo corso.

Qualunque sia il loro nome, tali Società si pre­ figgono tutte lo stesso Scopo; proteggere gl’interessi professionali comuni dei loro componenti.

Per molti la questione sindacale è questione pu­ ramente operaia. E questo è un errore. Tutti i gruppi sociali Ila ri nò ricorso a cotesta forma di as­ sociazione; sor, vi anzi tutto i sindacati d industriali e di commercianti, che, a Parigi, sono raggruppa i in due confederazioni ; quella dell 'Unione Nazionale e quella del Comitato Centrale. Esistono pure delle Società di arti liberali, di letterati, di autori dram­ matici, ecc., ed esiste infine la Società degli agri­ coltori di Francia che pubblica nei suoi elenchi Imon numero dei nomi ascritti alla nobiltà, che è presie­ duta da un ex-ministro e che annovera fra’ suoi componenti dei senatori e dei deputati.

È fatto dunque oramai accettato che la legge del 17 giugno 1791 non è app'icata, benché rimanga in vigore. Essa fu in certo modo messa formal­ mente in oblio quando nel 1808, in seguito ad una visita ch’egli ricevette da un gruppo di Operai il signor de Forcade la Roquelte propose al capo dello Stato di permettere i sindacati professionali. Questo rapporto fu approvato dall’ imperatore, ma egli non aveva il diritto, come non lo aveva il ministro di sospendere l’esecuzione d’u n i legge e quella,del 17 giugno 1791 è tuttora in vigore. Parecchi prefetti, in base ad essa, vietarono o sciolsero delle Società di operai dello stesso mestiere e i tribunali l’appli­ carono per condannare i membri dei sindacati.

Quanto all’istituzione dei sindacati noi siamo pre­ sentemente in posizione falsissima. La legge proi­ bisce questi sindacati e ciò nonostante oggidì essi sono una vera potenza. Questa condizione di cose merita biasimo, perchè non è cosa degna di una nazione civile di non fare osservare le leggi e porrò i cittadini sotto l’assoluta autorità e la tolleranza della polizia. Tale autorità può essere indulgente e perfino paterna — come nel caso della prefettura di polizia verso le Camere sindacali di Parigi — ma è sempre quello stato di cose corruttore che chiamasi arbitrio.

Il progetto del signor Lockroy ha per ¡scopo di porre un fine a questa posizione spiacevole. Ma qui si affaccia una questione : Si deve abrogare la legge del 17 giugno 1791 e sostituirle un’altra che per­ metta espressamente ciò che vieta la precedente?

Questo procedimento, che è quello del signor Lokroy, permette di riconoscere l’esistenza dei sin­ dacati senza portar la mano sugli articoli 291 e se­ guenti del Codice Penale e su tutte le altre leggi contrarie ai diritti di riunione e d’associazione.

Un àltro mezzo consiste nella creazione di un

nuovo diritto comune per la determinazione della libertà generale d’associaziozione. Il signor Canta- grel, deputato di Parigi, che è partigiano di questo secondo mezzo, ha proposto a questo scopo un pro­ getto di legge. È tale il sistema in favore del quale si è pronunciato il recente Congresso operaio di Parigi, quello che incontra maggior favore nelle i Camere sindacali appartenenti all’ Union Nationale.

Dei due progetti dei signori Lockroy e Cantagrel il signor Limousin sceglie il primo. Anzitutto egli non crede che la libertà di associazione pura e sem-* plice possa essere concessa dalle Camere attuali, il signor Limousin crede poi che le Associazioni pro­ fessionali sfuggano per la loro stessa natura al di­ ritto comune.

Il signor Limousin chiamerebbe troppo liberale il progetto del signor Lockroy se, in realtà, non gli dovesse rimproverare di compromettere la libertà di c irli cittadini concèdendo ad altri una libertà troppo larga. In altre parole, egli ritiene che Tur-i gol, il deputato Chapelier e ultimamente il signor Dui-arre, relatore della Commissione d’ inchiesta sulle classi operaie, non erano proprio dalla parte del torto quando temevano che la libertà degli enti collettivi professionali potesse nuocere alla libertà individuale del lavoro. Orbene, lo scopo che deve prefiggersi costantemente il legislatore, lo scopo pel quale le Società umane sono stabilite, è appunto qudio di assicurare a tutti i cittadini una somma eguale di libertà e d’impedire che gli uni oppri­ mano gli altri, senza distinzione di sorta.

Il progetto del signor Lockroy non sembra sufficiente a proteggere la libertà individuale, per ciò cli’esso non limila l’azione degli enti collettivi. Infatti, è possibilissimo, specialmente agli operai di ledere la libertà individuale senza commettere nes­ suna violenza, usando puramente e semplicemente del diritto di non lavorare presso quelli industriali che impiegano operai non appartenenti alla Società. Immaginate che cotesta Società esiga per essere ammessi nel suo seno delle condizioni riguardanti la famiglia, la mercede, il sesso, la durata del tiro­ cinio e vedrete sorgere di nuovo, dal semplice uso della libertà degli enti collettivi, gli abusi delle an­ tiche corporazioni. Se n’ hanno esempi in Inghilterra se n’ebbero anche a Parigi, sotto l’egida della tol­ leranza della polizia.

Noi siamo dunque collocati nella doppia posi­ zione: di dover riconoscere il diritto di accordarsi insieme in vista della comune utilità — diritto in­ negabile — e di dovere, nello stesso tempo, pro­ teggere la libertà dei cittadini che non vorranno intendersi cogli altri.

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isti-IV E C O N O M IS T A 4 mareo 1SV7 260

tuzioni. Il progetto del signor Lockroy contiene infatti un.arlicolo 4 che implica concessione in una certa misura della personalità civile, dichiarando validi gli accordi presi fra un un sindacato di pa­ droni e un sindacato di operai dello stesso mestiere. Questo è il mezzo di stabilire la concordia nell’in­ dustria e di prevenire gli scioperi. Parmi sapere, dice il signor Limousin, che questo articolo sia stato ispirato da una recente sentenza del tribunale civile di Saint-Etienne che dichiarò nulla e di nessuno effetto una convenzione di tal natura.

I sindacati hanno bisogno adunque di qualche cosa più dell’associazione pura e semplice; per con­ seguenza io sono convinto che in cambio di questo

di p iù che dovrebbe darsi da una parte, si dovrebbe

dar meno dall’altra e che si giungerebbe in tal modo ad un giusto equilibrio fra la libertà degli enti col­ lettivi e quella degli individui.

II signor Michele Chevalier non crede che quella libertà che il signor Limousin domanda per i sin­ dacati sia la vera libertà che tollera quella degli altri, ed anzi ne desidera la vicinanza, il contatto e l’ impulso. È confortato nella sua opinione dall’esem­ pio delle Trades Unione dell’Inghilterra le qu.ali esercitarono grandi oppressioni contro gli operai che non volevano farne parte o che, dopo essere stati fra i componenti, ne uscivano determinati a non più rientrarvi. Contro questi operai fu esercitata ogni sorta di vessazione e vi furono persino dei casi di assassinio con circostanze aggravanti.oo

Oggidì che il legislatore accordò alle Trades Unions una immensa libertà di azione e che il Governo le tratta coi maggiori riguardi accade ancora ch’esse ce­ dano alle primitive tendenze.

L’oratore cita un fatto avvenuto poco tempo fa a Louira, il quale serve mirabilmente alla sua lesi.

Si ha ragione di temere che la legislazione dei sindacati, come 1’ ha presentata l’onorevole signor Lockroy nel suo progetto di legge, abbia pure un carattere spiacevole.

I Comitati direttori dei sindacati potrebbero, se­ condo lui , stabilire delle convenzioni alle quali gli operai, membri del sindacato, dovrebbero ottem­ perare per la durata di cinque anni. Or bene, in tal modo, gli operai stessi vedrebbero lesa la loro libertà per un lungo spazio di tempo e sarebbero forse indotti ad esercitare forti pressioni contro una nu’ altra parte della popolazione operaia e contro sè stessi.

Supponiamo (die il Cooptato diret'ore di uno o più sindacati faccia accettare con poca fatica ai pa­ droni un regolamento restrittivo riguardante il nu­ mero degli apprendisti, od un regolamento che escluda le donne, eco., tutti questi regolamenti che attentano alla libertà d’ona parte della popolazione ed alla utilità pubblica, dovranno esser sai zionati

preventivamente dalla legge, perchè i Comitati di­ rettori di un certo numero di sindacti avranno fatto un uso legittimo della loro libertà, fissandoli e im­ ponendoli a certi padroni pusillanimi?

Il signor Giuseppe Garnier comincia col com­ battere l’affermazione del sig. Limousin che Turgot sia stato l’ispiratore della restrizione riscontrata ap­ punto nella legge del giugno 1791.

Fa osservare poscia che la Costituente non man­ tenne il regime delle corporazioni per i fornai e pei macellai che in vista di proteggerli e per ragioni di tranquillità pubblica, obbligata, com’era di tener conto dei costumi del popolo.

Dopo ciò il sig. Garnier spiega l’origine del mo­ vimento sindacale cominciato per I’ iniziativa d’ un uomo molto accorto che seppe crearsi una bella rendita formando un gran numero di sindacati nel- l’ industria parigina. L’ idea consistè nel riunire un certo numero, di persone della stessa professione, fondando un ufficio e costituendo una Camera sin­ dacale alla quale l’ ingegnoso direttore forni locale, impiegati, consultazioni e un giornale mediante il pa- mento di una tassa. Gli uffici delle Camere formano « il sindacato generale » da cui derivò un altro sin­ dacato generale col nome di « comitato centrale. » Gli industriali parigini, si occuparono non solo delle loro questioni speciali, ma anche delle questioni generali economiche e si fecero arbitri in varie oc­ casioni, divenuti con ciò ausiliari del Tribunale di Commercio, benché eoll’andar del tempo, esso abbia domandata la proibizione di tale facoltà alle Camere che non hanno il carattere individuale indicato dal Codice di Commercio.

L’ importanza presa da queste Camere ha fatto pensare ad altre Camere sindacali di operai che si facessero interpreti illuminati degli operai, ausiliare dei probi viri e buone intermediarie nei rapporti coi padroni. Ma gli operai non tardarono a uscire dalla realtà ; ecco ch’essi sognano nel sindacato, se n’ ebbe una prova al congresso operaio, un’ ideale di corporazione poco definito; questa parola sosti­ tuisce l'altra di cooperazione ch’era pure succeduta a quella di associazione tanto in voga dopo il 1848; cosi che il progetto di legge del sig. Lockroy ha soddisfatto mediocremente l’opinione degli operai. Il sig. Giuseppe Garnier non vedrebbe che dei van­ taggi nelle Camere sindacali degli operai, se questi ultimi potessero attenersi alla realtà, ma egli crede che queste Camere siano di formazione più difficile delle altre e ciò a causa del gran numero di operai e delle loro poche risorse.

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4 marzo 1877 L' E C O N O M I S T A 261

spirito cooperativo non è a temersi sotto un regimo di libertà generale e completa

Ma con questa libertà d’ associazione o di sinda­ cato, e per garantirla, è necessaria una legge contro le « molestie, » come se ne fece una in Influì- terra, che protegga gli individui, uomini e donne, che vogliono unirsi in altro sindacato o non unirsi: bisogna che la magistratura faccia meglio il suo dovere che non lo facesse sotto l’impero; bisogna infine che i costumi delle classi industriali progrediscano e che si insegni loro l’economia politica.

Il sig. Bonnal, pubblicista, si dichiara contrario al progetto di legge in questione in nome della li­ bertà del lavoro. Punto di partenza di tale libertà fu la legge del marzo 17!H ; poscia vennero altre leggi che regolarono i rapporti fra i capi, gli ap­ prendisti e i lavoranti, e che è d’uopo rammentare solo come principio.

Fra le modificazioni introdotte, non n’ esiste di più grave, forse anco di più ridicola di quella che, nel 1861, riformò gli articoli 414, 415 e 416 del Codice penale, conosciuta sotto il nome di legge delle coalizioni. S’ avrebbe dovuto dire: libertà as­ soluta di coalizione. Questa seconda disposizione da­ rebbe maggior risalto alle tendenze e gli animi troppo generosi ne comprenderebbero meglio la por­ tata. Per quanto sia ridicola una legge di questo genere suggerita da intendimenti politici è coll’ im­ pronta delle idee socialiste, si sarebbe potuto miti­ garne gli effetti nell’applicazione, ma per ragione, di cui ora non dobbiamo tener conto, i Tribunali dell’Impero non credettero di doverlo fare.

Il diritto di mettersi d’accordo contro i padroni per regolare su nuova base il tasso dei salari di cui fu fatto largo uso dalla classe degli operai non autorizzava le associazioni di più di 20 persone in grado di poter dirigere il movimento. Ecco ciò che tende a distruggere il progetto in discussione ed è meno la legge del giugno 1791 che si ha in vista che questo secondo principio della legge del 25 maggio 1861 ed i fatti lo provano. Siamo ben certi che gli operai non abbiano oltrepassato i loro diritti sopra questi due punti di dottrina? L’ oratore lo crede e cita gran numero di fatti atti a provare l’abuso che fu fatto dagli operai d’ùna legge ecces­ siva a cagione delle conseguenze disastrose che do - vette portar seco.

Il sig. Bonnal espone con piena conoscenza di causa, i pessimi effetti di cotesta legge sull’ animo degli operai e cita esempi deplorevoli di pressioni, di violenze e di mala fede. La riorganizzazione delle corporazioni con un nuovo appellativo, egli dice, è il fine nascosto ma vero di coloro che parlano in pro della rivoluzione e intendono rimettere in vigore i privilegi e i monopoli perchè contano di farli ser­ vire a loro vantaggio. Le Camere sindacali, secondo

il progetto presentato, sarebbero un vero pericolo; si autorizzerebbe la creazione d’ una specie di se­ condo Parlamento nello Stato, un Parlamento di operai coi suoi pregiudizi e colla sua ignoranza. Non vi dove essere un Parlamento per gli interessi degli operai, un altro per la politica pura.

Il sig. Bonnal conchiude domandando che sia r i ­ spettato l’ operato della rivoluzione francese contro gli innovatori pericolosi in fatto di politica, come in fatto di economia sociale.

Il sig. Leopoldo Hervieux, dichiarasi, per quanto riguarda i sindacati di padroni e di operai, partigiano della libertà assoluta, perchè gli uni come gli altri sono innocui o incapaci di nuocere alla libertà del lavoro.

Per completare gli schiarimenti dati dal signor Ga.-nier egli espone alcuni particolari raccolti spe­ cialmente per mezzo di frequenti relazioni colle nu­ meroso Camere sindacali del boulevard Sebastopoli. Queste Camere devono per lo più la loro esistenza ad un agente che le crea e percepisce poi dai loro componenti un’annua quota. Quando egli scopre che una industria qualsiasi non è rappresentata dalla Camera sindacale, si occupa di crearne una e per ciò fare, incarica degli impiegati addetti alla sua agenzia di raccogliere le adesioni presso i negozianti esercenti l’industria che la Camera da costituire è destinata a rappresentare. Più spesso accade che le adesioni sono date da negozianti indubbiamente ono­ rati, ma poco importanti e poco atti ad imporsi agli altri. —• Con elementi di tal natura si costituiscono le Camere e si capisce senz’ altro che, individual­ mente, non hanno punto la pretesa di dominare il gruppo di cui si dichiarano la personificazione. Per cui appunto il sig. Hervieux non le vide mai fissare delle tariffe destinate ad essere imposte ai padroni e da questi poi agli operai.

Collettivamente però esse formano in mano al loro agente una forza potentissima a motivo, princi­ palmente del sindacato generale, costituito da tutti i loro presidenti, vice-presidenti e segretari, il quale si occupa di tutte le questioni economiche di mag­ giore importanza (importazione, esportazione, espo­ sizioni, dazi, ecc.) eccettuate quelle dei salari che interessano uno od altro genere speciale di com­ mercio ed industria.

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262 L’ E C O N O M IS T A 4 marzo 1877

ridici e non dogli enti collettivi die non costitui­ scono una persona legale.

Ristretta in questi confini, l’azione delle Camere sindacali di padroni non ha niente di' pericoloso ed è facile comprendere che, anche sotto l’Impero esse abbiano potuto godere d’ima libertà completa. Questa libertà era il resultato della forza degli eventi; non bisogna dimenticare che se i costumi fanno le leggi, essi le disfanno anche. L’odio passeggierò del pas­ salo ha potuto generare la legge del 1° giugno 1701, ma l’utilità delle Camere sindacali dovette per ne­ cessità farla cadere in disuso; non bisogna con una nuova legge, restringere la libertà.

Il sig. Ilervieux intenderebbe questa restrizione se si potesse dire che i sindacati di operai sono peri­ colosi ; ma non sólo non ne conosce, ma crede che non ne esistano, a meno che non si voglia dare questo nome allo coalizioni che, essendo soltanto accidenti temporanei, non possono essere assimilati alle Camere sindacali che esigono la permanenza.

Vi furono e vi sono tuttora, dopo la legge 24 luglio 1867, delle Società cooperative di operai; ma gli operai non erano abbastanza maturi da profittare della legge e le Società caddero tutte prestissimo.

Perchè temere dunque la libertà? Se v’ ha un pericolo reale da temere, non vi pare sia quello che potrebbe risultare dalla restrizione alla libertà la quale, con i necessari regolamenti, sarebbe causa di gravi discordie ?

il Presidenti; fa osservare al signor Hervieux

che le notizie da lui fornite al congresso, benché interessantissime, sono estranee all’ argomento della discussione, perchè si riferiscono ad associazioni composte di elementi allatto diversi da quello che si considera attualmente.

I l sig. Limousin domanda da ultimo la parola

per passare in rassegna parecchie osservazioni che furono presentate. Gli preme far sapere che divide sulla libertà del lavoro le idee del signor Michele Chevalier.

L’emigrazione italiana in Australia

(C ontinuazione vedi N. 14G)

Nuova Galles meridionale. — Più favorevoli an­

cora che nel Victoria, sono le condizioni che pre­ senta agli emigranti la colonia di ¡New South Wales, ; e la miglior prova di ciò ne è la spontanea affluenza, difatto mentre l’ eccesso della immigrazione sulla emigrazione fu per quest’ ultima colonia nell’ anno 4874 di 10,477 persone, solo 4080 di queste erano venute dell’Europa a pubbliche spese, e le altre 9397 vi immigrarono spontaneamente attrattevi dalla spe­ ranza di trovarvi un maggior benessere. Specialmente I

migliori sono le condizioni che vi può incontrare la classe operaia, perchè la libertà di commercio e la assenza di tariffe protezioniste infondono maggiore vitalità all’industria; e mentre a Melburne unindu- striale sicuro sotto la protezione dei dazi può e forse deve cedere a gelosie esclusiviste verso un operaio straniero, a Sydney invece la lotta è troppo viva, perchè un buon operaio possa mancare di trovar subito un buon impiego quantunque sia inferiore lo sviluppo industriale.

Inoltre nel New South Wales sono attualmente in costruzione opere pubbliche di maggior rilievo; si ha grande urgenza di terminare alcune linee di ferrovie o specialmente quella che si deve spingere al fiume Murray e congiungere Sydney con Mel- hurne, linea che è già finita sul territorio del Vit­ toria; e per tutti questi lavori si lamenta appunto grandemente la mancanza di mano di opera.

Ai primi di settembre scorso John Lackey mi­ nistro delle ferrovie nel New South Wales, in un discorso fatto a Liverpool (Australia), disse che l’in­ caglio maggiore pel procedere dei lavori ferroviari era la mancanza di sufficiente mano d’opera, che gli appaltatori dei tronchi in costruzione abbisognavano in quei giorni di 1000 operai e non ne trovarono che 300 o 400 pagandoli da sette scellini e mozzo a dieci scellini per giorno; disse inoltre che per poter spingere i lavori in corso colla desiderata celerità sarebbero abbisognati per uno o due anni altri die­ cimila operai.

Condizioni egualmente buone vi troverebbero al­ cune famiglie di contadini o qualche buon agronomo, perchè in questa colonia si ha maggioro interesse per le cose agricole in generale, ed anche qui si ha un vivo desiderio di aumentare e migliorare la coltivazione della vite e di intraprendere l’alleva­ mento dei bachi da seta. Ma chi farebbe bene di preferire il New South Wales, sono quelli che si recassero in Australia forniti di qualche capitale, col­ l’intenzione di impiegarlo nell’ allevamento del be­ stiame, perchè questa industria fiorisce in quella co­ lonia meglio che altrove.

Australia meridionale. — Anche qui si lamenta

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4 marzo 1877 L’ E C O N O M I S T A

263 tentativo, ohe per constatare rlei progressi realmente

ottenuti; infatti fra le molte memorie ed articoli che lessi sulla coltivazione dell’ulivo, del lino e della seta in South Austrialia, ne’ssuno conteneva cifre che ac­ cennassero il quantitativo della produzione, mentre poi magnificavano i risultati ottenuti in termini ge­ nerali.

So però di certo che in South Australia si desi­ dererebbe assai di avere famiglie di agricoltori ita­ liani e che il rappresentante di quella colonia alla esposizione di Filadelfia (M. Davenporl) ebbe l’in­ carico di fermarsi in Italia, prima di ritornare in Australia, appunto per provvedere al miglior modo di accaparrarsi una buona immigrazione italiana. Non dubito quindi di asserire che anche nel South Au­ stralia gli emigranti nostri troverebbero eccellenti condizioni; se poi migliori che nel New South Wales questo non saprei, e quasi sarei indotto a dubitarne dal fatto che fra i 2286 nel South Australia immi­ grati nel 1874,2132 vi andarono a pubbliche spese e quindi piccola fu la immigrazione spontanea, e dall altro fatto forse ancora più concludente per in­ dicare che in generale vi si gode una minore agia­ tezza, che cioè.pari essendo col Vittoria le condi­ zioni di clima e di razza, pure la mortalità nei bambini al di sotto dei 3 anni vi è relativamente molto mag­ giore.

Queenslandia. — La Queenslandia è una colonia

die cresce con straordinaria rapidità (in dicembre 1839, quando si distaccò dal New South Wales, la popolazione ora appena di 23,000 abitanti circa, mentre al 31 dicembre 1874 vi erano 163,317 abi­ tanti) e quindi anche la mano d’opera vi deve quindi esssere molto richiesta e molto ben pagata. Nono­ stante mi pare che dovrebbe essere meno conve­ niente pei nostri agricoltori, perchè le coltivazioni principali sono quelle del cotone e dello zucchero, che più differiscono dai nostri generi di coltura e meno si prestano all’impiego di piccoli capitali; forse più che per gli altri si confarebbe per gli emigranti dell Italia meridionale, che della coltivazione del co­ tone hanno già qualche pratica e che meglio si adat­ terebbero al clima, il quale, sebbene non sia ecces­ sivamente caldo, avuto riguardo alla posizione di questa colonia fra l’l l ° cd il 29° di latitudine sud, pure è assai più caldo che nelle altre parti abitate del continente.

L’ unica attrattiva maggiore che può avere il Queensland si è che vi abbondano ancora le sabbie aurifere e vi è ancora la possibilità di incappare in una pronta e considerevole fortuna. Ma per tutto quanto ho sentito dire della vita coloniale nei campi dell oro, massine nel Vittoria, che trovavasi non molti anni or sono in queste stesse condizioni, non sarebbe mai conveniente far balenare agli occhi dei nostri emigranti questa affascinante prospettiva del- '

l’oro; per pochi individui che riunirono grosse for­ tune nella ricerca dell’oro, si contano invec ea migliaia quelli che perirono di privazioni e di stenti, o che furono obbligati a ritornar dopo altri faticosi lavori per campare la vita, affranti da una insanabile di-silluzione che a rama roggia l’esistenza e snerva o<mi energia.

Tasmania. — Non credo che sarebbe molto rac­

comandabile r emigrazione in Tasmania. È questa una piccola colonia che, sebbene posta in buonissime condizioni di clima, con un suolo fertile e sufficienti ricchezze minerali, pure non ha potuto mai acqui­ stare quella vitalità esuberante, che contraddistingue tutte le altre colonie e che è tanta parte neH’offrire facili e buone condizioni agli immigranti. Nel 1874 la diminuzione della popolazione per eccesso delle emigrazione sulle immigrazioni fu di 1449'individui, cioè più dell’uno per cento delle popolazione totale.

Nuova Zelanda. — Invece la Nuova Zelanda è

fra tutte le colonie australi quella che spiega anal­ mente una vitalità maggiore, o fa i più rapidi pro­ gressi. Là pure la mano d’opera è cercatissima, le paghe degli operai sono ancora più elevate che al­ trove, ed il Governo si adopera molto per promuo­ vere, favorire e sussidiare l’immigrazione, talché nel 187 4 vi immigrarono più di 32 mila europei a spese pubbliche e queste oltrepassarono i dieci milioni e mezzo di lire italiane. Gli operai vi trovano facil­ mente buonissime occupazioni, ben inteso però, che siccome I industria vi è ancora più bambina elio nelle altre colonie in ragione della sua breve esi­ stenza, cosi non potranno trovar per ora facile occu­ pazione in Nuova Zelanda operai abili solo per la­ vori fini, ma muratori, falegnami, fabbri e soprattutto uomini adatti per lavori di terra non potrebbero scegliere un miglior paese per emigrarvi.

Differenti sono le condizioni delle varie provincie di questa colonia per rapporto alle loro risorse, ma quelle in cui, a mio credere, i nostri emigranti operai troverebbero relativamente condizioni più favorevoli sono le due di Canterbury ed Otago, e soprattutto quest’ultirna, il cui capoluogo, Dunedin, è la città più importante e prosperosa di tutta la colonia e dove quindi, è più facile trovare impiego pei nuovi venuti (Auckland coi sobborghi contava alla fine del 1874, 21,390 abitanti, mai vi è minor commercio e minore animazione che non in Dunedin, che contava a tale epoca solo 18,499 abitanti, ma è invece ca­ poluogo di una provincia assai più ricca di quella di Auckland).

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264 L’ E C O N O M IS T A 4 marzo 1877

L’agricoltura è molto curata ed ebbe un discreto sviluppo nelle due próvincie di Otago e di Canter­ bury, e relativamente alla sua minore estensione ancor maggior in quest’ultima. Quivi trovasi una pianura estesa attorno a Christchurcb favorevolissima alla coltivazione di qualsiasi cereale, dove è possi­ bile, ed anzi credo non deve esser difficile l’irriga­ zione. I soli prodotti agricoli importanti della Nuova Zelanda sono granaglie e patate: in nessuna parte vidi tentata coltivazione della vite e non ne credo il clima adatto, a meno forse della provincia di Auckland nella parte più settentrionale.

Pesca. — Finalmente una classe di emigranti no­

stri, che potrebbe far benissimo in tutte indistinta­ mente le colonie d’Australia e della Nuova Zelanda, è quella dei pescatori. Dovunque, e specialmente dove sonò i maggiori centri di popolazione, il pesce è carissimo perché si lamenta una grande scarsità di pescatori, ed in varie città rinvenni dei pescatori italiani stabiliti colà da qualche tempo, che facevano buoni guadagni ed erano assai soddisfatti.

Cosi puro trovai che é per la maggior parte fatta da navi estere, cioè da navi europee che non siano inglesi, la pesca della balena in tutti i mari sud-est del continente australe (nella Nuova Zelanda il mo­ vimento delle navi baleniere nel 1874 fu ili 12 navi e 5303 tonnellate con bandiera inglese e di 52 navi e 17,050 tonnellate con bandiera estera). E mi fu assicurato che sono pure molte le navi estere im­ piegate nella pesca delle perle che si fa invece nei mari al nord ed all’ovest del continente, e che, a quanto pare, deve essere abbondantissima, tanto che non è una delle ultime risorse della colonia di We­ stern Australia, dove, nel 1873, l’esportazione della sola madreperla fu di circa 12 milioni e mezzo di lire italiane.

M arina Mercantile. — Un utile, che credo ancor

maggior e molto più immediato di quello che ne deriverebbe all’emigrazione, potrebbe averlo la no­ stra marina mercantile rivolgendosi verso quei mari. Le nostre navi vanno a cercare noleggi per tutte le parti del mondo, ma, tranne pochissime eccezioni, nessuna da parecchi anni ha tentato di dirigersi alle colonie di Australia , anche ora che le mutate con­ dizioni della navigazione nei mari del Levante ne Obbligano un numero maggiore ad andare a procu- 'rà'M noleggi in Inghilterra, cosicché vedemmo cre- "àcfei'é Wsl rapidamente in juesti ultimi anni l’af-

Ílúéiliía delle naW'Stalmne nei porti delle Indie. Forse la causa di questa specie di ripugnanza per l’Auktrirlltn può infere il lì Còrd ti 'di' cattivi affari fai- ^ ¿ivi dà qiiàlchc ¿'oitftì nave che vi a'ndÒ quindici 0 vènti ‘à'nrtij'tìr sótto, rùa in questi ultiffiì'WntÌ àìàÙi ’ craeí ''baégj hàhn’ó) còfnplétatóèbfé'^ ijàniMàtop’è':quintii 'sono 'indotto apcredére epe ia Manòahka''di nòzlòki

esatte sulle condizióni attuali 'dèlie coìdiìie!ld’!A!ukiràfia .¿J9nqnq «loooiq clic c)a9iq in

e la paura di non poter trovare colà carichi di ri­ torno o nuovi contratti di noleggio, sono le vere cause che hanno finora distolto i nostri capitani dal- l’accettare o dal cercare a Londra dei carichi per quelle colonie, non volendo arrischiarsi in un paese ignoto. Non fu certo la lunghezza del viaggio che ne fi distolse, perchè le navi a vela, che tutte vanno pel Capo di Buona Speranza, arrivano più presto a Melbourne od a Sydney che non a Bpmbay od a Calcutta per dove devono attraversare una seconda volta le calme equatoriali. Ma la paura dell’ignoto, non ha però trattenute lo navi della marina mer­ cantile delle altre nazioni europee il cui movimento è colà relativamente abbastanza rilevante.

Ed infatti prendendo il movimento di entrata ed uscita per i porti delle quattro principali colonie nell’anno 1874, abbiamo che le navi inglesi fu­ rono 2,120 con un tonnellaggio complessivo di 1,780,245 tonnellate ed un tonnellaggio medio di 840 tonnellate, mentre le navi degli altri paesi d’ Europa furono 408 con un tonnellaggio com­ plessivo di 175,305 tonnellate e medio di 430 ton­ nellate; queste ultime cioè rappresentano quasi il quinto del numero delle navi inglesi ed il decimo del loro tonnellaggio complessivo. E passando poi a questo movimento risulta per l’anno 1874 l’ordine seguente:

N avi Ton. compì. Ton. medio

Francia. . . 168 62,732 373 Germania , . 119 39,835 333 Olanda . . . 40 33,092 827 Norvegia . . 34 17,185 505 Svezia . . . 32 16,938 530 Danimarca. . 12 3,571 298 Italia . . . 2 1,288 644 Spagna . . . 1 644 644

Per informazioni positive però assunte sul luogo, devo rettificare i dati relativi alle navi italiane, per­ chè non fu calcolata che una sola nave, e questa del porto di Genova (capitano Gaggino) venuta da Londra con carico generale, arrivata il 13 giugno nel porto di Lyltelton in New Zealand e ripartita verso la metà di agosto in Zavorra per Callao. Mentre nello stesso anno nel New Zealand arrivò a Nelson il 15 giugno un’altra qave del porto di Genova (Barco Leonilda Semino) proveniente da Londra, e ripartì in Zavorra per Callao il 23 luglio. Ed una terza nave del porto di Spezia (rinnovato, capitano Raffo) di 712 tonnellate pure proveniente da Londra, arrivò il 13 maggio ad Adelaide ed anch’ essa ripartì in Zavorra il 20 giugno per Callao.

Sfortunatamente tutte e tre queste navi nostre dovettero partire senza trovar carichi di ritorno, ma ciò si deve attribuire all’ esser capitate tutte e tre 'libila1‘stagione in cui non vi sono esportazioni per

]’lEiilropH, ' essendo la stagione delle lane solo da

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