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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.34 (1907) n.1736, 11 agosto

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SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVÌE, INTERESSI PR IV A TI

Anno XXX IY

Yol. X X X YIII

Firenze, 11 Agosto 1907

» . 1736

S O M M A R I O : Il ribasso nelle borse — A. J. de Johannis, Sulla esportazione -Ielle moneto j i i visionarie d.ar­ gento — Il Banco di Napoli dal 1896 al 19*5. IV. Gestioni annesse a 1 Banco di Napoli — 2589S impiegati in aumento dal 1895 al 4905 — L ’ istituto italiano di Credito Fondiario (la causa per le provvigioni) — R i v i s t a

b ib lio g r a f ic a : M arco F>nno, La funzione dei riporti nelle operazioni di Borsa - William H arbitt D awson, The Gerrnan Workman - Luciano L aberthonnière, Saggi di filosofìa religiosa - J o e s Guyot, La démocratie m- d.vidualiste - M ax inilien M ayer, Statistiche der Streiks und Aussperrungen im In-und_ Ausland - Fniilio Lepetit. Partito economico - S an ften berg, Die deutschen Unfallversicberungesetze — R i v i s t a e c o n o m ic a

e f i n a n z i a r i a : — I l riassunto d elle operazion i d elle Lasse d i risparm io postali italiane - Le Società p e r azioni germ an ich e - Il debito com une d e ll1 A ustria- Uni/heria - Le fe r r o v ie au stro-uriyariche - Le condizioni com m erciali della C orea — R a s s e g n a d e l c o m m e rc io i n t e r n a z io n a le : Il commercio di Creta — Il caseificio italiano a ll’ estero — Le norme per i commessi viaggiatori a ll’ estero — Camere di commercio — Mercato monetario e Rivista delle Borse — Società commerciali ed industriali — Notizie commerciali.

IL RIBASSO NELLE BORSE

Quel movimento di ribasso, ohe dura g;à da parecchi mesi con poche intermittenze di deboli aumenti, continua a manifestarsi, minaccia di determinare delle situazioni insostenibili e può ¿¡onerare un effettivo panico, se mai il pubblico, che è fuori della speculazione interviene in larga misura a realizzare comunque il pròprio patri- j monio investito in titoli industriali.

Abbiamo avuto occasione di notare chetale [ movimento non può essere imputato ad una mo­ dificazione nella consistenza generale delle indù- strie, nè alla possibilità che esse non possono j rimunerare come al solito il capitale loro affidato, i

Il movimento è dovuto unicamente alla spe­ culazione, la quale, un poco perchè sopraccarica di valori, un poco perchè si trova mancante della contropartita, persiste nella via da più mesi battuta e approfitta di alcuni disguidi, in com­ plesso di non grande importanza, per seguire ed alimentare la corrente al ribasso.

Noi non siamo Certo tra coloro che credono j rimedio o sfogo contro tale situazione l’ inveire contro la speculazione. Lo speculatore non trova | chi comperi un titolo, che è quotato 100, al prezzo di 90 che egli offre, e tenta di eccitare il compratore al prezzo di 80 e successivamente di 70, 60 e magari di 50. Nessuno può e deve rimproverarlo di ciò, perchè nessuno può trovar da ridire se un Tizio vende il suo avere a prezzo cosi basso finché invogli il compratore.

Si potrà dire che è stupido vendere un ti­ tolo per 50 quando si sa che vale 100, ma si può j dire anche che è stupido altrettanto non com­ prare il titolo per 70 ovvero per 80 quando si sa che vale 100. Tutte le frasi e le invettive che si adoperano contro i ribassisti possono essere egualmente e giustamente rivolte contro i rial­ zisti, che non comprano a prezzi più alti.

Queste cose abbiamo già altra volta spiegato e notiamo, con qualche soddisfazione che si co­ mincia qua e là a trovarle logiche.

Ma si sente anche nell’ambiente finanziàrio mormorare contro gli Istituti di credito, i quali, si dice, fomentano sottomano ed alimentano an­ che la speculazione al ribasso, con qualche sactifi- zio presente, nella sicurezza di poter ricomprare i titoli che gettano ora sul mercato, ad un prezzo ancora più basso e rifarsi quindi largamente delle perdite subite.

Certo è che la speculazione non avrebbe ra­ gione di esistere se il mercato non presentasse continue e frequenti oscillazioni nei prezzi dei titoli ; ed è di queste oscillazioni, più o meno ampie, che la speculazione si alimenta. Quando i titoli mantengono costantemente lo stesso prezzo, la speculazione non ha luogo;,le Borse per tanti anni hanno speculato sulla rendita italiana ed ora necessariamente la hanno abbandonata, per­ chè essa è già in mani sicure e non si muove. Dei titoli industriali invece, di cui negli ultimi anni venne fatta così larga emissione, una gran parte, per molte centinaia di milioni, è sempre in mano della speculazione, la quale con un ca­ pitale proprio, relativamente piccolo, tiene in con­ tinuo movimento questo enorme stock di titoli, che lasciano a riporto alle Banche, ai banchieri ed alle Casse di Risparmio. Perciò la speculazione è soggetta a tutti i guai che derivano dalla even­ tuale ristrettezza dei riporti, ed è incontestabile che le grandi Banche possano mettere la spfecu- lazioue in difficile situazione solo che diminui­ scano la entità dei riporti.

Ma a vero dire, nella attuale condizione del mercato, non si è avvertita una restrizione tale del danaro (riporti), da poter ritenere che a tale restrizione si possa attribuire il persistente ribasso dei titoli di credito.

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contropartita. Cioè molta parte della Alta Banca non interviene affatto sol mercato nè in un senso nè nell’altro; sono lasciati liberi i piccoli specu­ latori di guidare essi stessi le Borse, e come nel 1905 i piccoli speculatori erano invasi dall’en­ tusiasmo del rialzo e pareva che i titoli indu­ striali no:i fossero mai pagati sufficientemente, così ora domina la mania dei ribassi e sembra che i titoli sieno sempre troppo cari.

Questa assenza dell’Alta Banca non possiamo attribuirla ad una congiura organizzata, nè ad una intesa per far diminuire il valore dei titoli. A buon conto Banche e Banchieri, oltre che im­ piegare il loro denaro in riporti, hanno anche un considerevole stock di titoli di proprietà, e non devono vedere con tranquillità avvicinarsi il 31 dicembre, nella qual epoca dovranno pure nei loro bilanci provvedere alla differenza tra i prezzi del 31 dicembre 1906 e quelli del 31 dicembre 1907.

Congiura ed intesa adunque no; — ma comune tacito intuito della situazione e delle sue conse­ guenze, sì. Vi sono delle giornate nelle quali per il colore del cielo tutti portano l’ombrello, senza nessuna intesa. Così la situazione generale, e so­ pratutto la manifesta tendenza di alcuni uomini di finanza, che hanno influente voce sul mercato, ha lasciato intravedere il cielo bigio, e tutti si sono provvisti dell’ ombrello, cioè hanno, senza saperlo, adottata una comune linea di condotta: lasciare il mercato nelle mani della piccola spe­ culazione, che ha spiccata tendenza di ribasso.

Gli incidenti della Ramifera e di altri simili complicati disguidi, non sono che i pretesti pei quali la piccola speculazione segue con maggiore audacia la propria via. Ma questa audacia non è possibile se non per la completa o quasi completa assenza della contropartita.

E la contropartita quando vorrà intervenire? Quando è che crederà il prezzo dei titoli giunto a tale ribasso da lasciar larghissimo margine a chi prudentemente gli acquisti ai prezzi d’oggi?

Rispondere a tale quesito è lo stesso che voler fare i profeti. Ma non siamo alieni dal cre­ dere che alcuni uomini di finanza comincino già ad essere inquieti pel timore che la piccola spe­ culazione, lasciata a sè stessa, abbia talmente turbate le acque da lasciar intravvedere troppo difficile il mutar ordine se mai, come pure è pos­ sibile, si la entrare il panico nel pubblico, e la crisi, che finora è stata limitata alle Borse, esca dal loro campo ed investa il mercato.

Qualche discorso in questo senso lo abbiamo udito, qualche proposito di serio ed efficace in­ tervento lo abbiamo sentito manifestare ; augu­ riamo che non si giunga troppo tardi e che da questo movimento disordinato, non abbiano a sof­ frirne le industrie, alle quali, tra le altre cose, occorre una certa tranquillità del mercato per poter sviluppare i propri programmi. 1 2

SULLA ESPORTAZIONE

delle monete divisionarie d’argento

L’ on. Luzzatti è spirito troppo superiore perchè possa dispiacergli che, senza nessun altro sentimento che quello di insegnamento mio e di coloro che pensavano e pensano come me, tenti di esaminare la questione della esportazione della moneta divisionaria di argento avvenuta nel 1894 e che l’ on. Luzzatti, allora Ministro del Tesoro, cercò di ostacolare, con tutti i mezzi. Nell’ultimo articolo parlando dei biglietti di Stato (1) ho giudicato quei mezzi come inu tili, cercando ed usando il più blando aggettivo; l’ on. Luzzatti replicandomi nel Sole (2) chiama quella esporta­ zione « mene abbominevoli ».

Cerchiamo di chiarire bene la questione che può essere considerata divisa in tre parti, e cioè :

1. quando cessa il diritto che ha ogni cittadino di comperare la merce a buon mercato in un luogo, per venderla più cara in un altro ;

2. se la esportazione degli spezzati d’argento per usufruire del cambio danneggi il paese ed inasprisca il cambio.

3. sotto quale titolo possa lo Stato inter­ venire per impedire la esportazione della mo­ neta.

Oggi le cose sono talmente mutate, che pos­ siamo trattare tali questioni obiettivamente e senza idea di polemiche.

Sul primo punto ci sembra che non sia pos­ sibile nessuna discussione in tesi generale; tutto il commercio è basato su questa aspirazione di comperare le cose dove sono a buon mercato per rivenderle dove sono più care ; nè tale aspira­ zione manca mai nei negozi sui titoli di credito, sui cambi, sui biglietti di banca, sul numerario. Senza questa tendenza, che è continuamente in funzione, specie nel mercato dei valori di ogni genere, non si stabilirebbe mai la parità tra una piazza e l’ altra, tra un mercato e l’ altro; è un continuo affluire di titoli e di intermediari dello scambio dove il loro alto prezzo ne dimostra la scarsità rispetto alla domanda, è un continuo emigrare di valori là dove il basso prezzo ne dimostra la abbondanza, rispetto alla richiesta. Ed è in questo modo che si tenta continuamente di stabilire un equilibrio, cioè una parità, che non si raggiunge mai, perchè è sempre turbata; ma questi sforzi servono ad impedire che tra piazza e piazza tra mercato e mercato si stabi­ liscano e si mantengano troppo affé' le differenze.

Quando il cambio ci è favorevole è conve­ niente vendere carta italiana che si paga con 101, ad esempio, di oro, per avere oro che in paese corre come 100 e quindi si fa il guadagno di L. 1.00; ma questo stesso fatto di comperare, accresce la quantità di carta italiana all’estero e determina la tendenza verso la parità.

Ma è inutile insistere su questa tesi gene­ rale che non è certamente contestata, e nessuno può nemmeno contestare che essa debba esten­

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dersi a tutte le specie di valori ed anche dalle mo­ nete, quando ciò non sia in frode colla legge. Per lo stesso diritto che il banchiere può oggi man­ dare a Berlino a vendere della rendita italiana, se fòsse a prezzo più alto che in Italia, può do­ mani, se ne ha la convenienza, mandare a Ber­ lino, a Parigi od altrove monete d’oro od argento italiane, se a Berlino ed a Parigi hanno un va­ lore maggiore.

Se per suo interesse particolare il Governo o la Società vuole che tali esportazioni non avven­ gano, faccia una legge che impedisca la esporta­ zione della moneta o di alcune monete (come fu tatto colla nazionalizzazione degli spezzati) sta­ bilisca delle pene ai trasgressori e li punisca. Se no si ha 1’ arbitrio, che oggi può esercitarsi sulle monete e domani su qualunque altra merce. Ab­ biamo già visto in passato che — quando non vi era l’affidavit —- si inveiva contro coloro che mandavano a Parigi a riscuotere gli interessi del debito pubblico consolidato; la qual cosa non era affatto proibita da nessuna legge e non urtava nessuna morale. Se mai l ’ immoralità era da parte dello Stato, che senza restrizioni aveva promesso di pagare in oro all’estero i cuponi del suo de­ bito, e poi restrinse la sua promessa, prima colle persecuzioni interne, poi con l ’ affidavit. Si in­ tende pure ; sa lu s p a tria e su p rem a lex esto ; e non vi è niente da dire contro la legge, quando si crede con essa di tutelare i supremi interessi dello Stato; ma io credo che la spesa di qualche mi­ lione per differenza di cambio non possa costi­ tuire, la difesa di un supremo interesse dello Stato, ma soltanto la tentazione di sottrarsi ad un obbligo contrattuale, quando diventa troppo oneroso.

Ma impedendo l’esportazione degli spezzati d’ argento, nella situazione in cui eravamo nel 1894, si tutelava veramente un interesse del paese ?

Alla fine del primo semestre 1894 il cam­ bio a vista su Parigi era di circa LO per cento; era stato appena ripristinato il corso forzato colla sospensione sul baratto dei biglietti di Stato, e la situazione della finanza dello Stato era di­ pinta con nere tinte, mentre quella del paese era sempre depressa.

L a altezza del cambio denotava le grandi difficoltà di procurarsi l’ intermediario interna­ zionale oro o divisa estera per i saldi com­ merciali (compresi i saldi dei valori nazionali che allora affluivano abbondanti in Italia) e la rendita italiana 5 0[0 lordo si quotava nella stessa epoca a Parigi intorno a 79.

Naturalmente in questo stato di cose tutto l’oro se ne era già emigrato e con esso gli scudi ; la penuria di intermediario internazionale ed il suo alto prezzo, 110 a 112 per cento, faceva sì che si mandassero all’estero anche gli spezzati d’ argento. Il negoziante o produttore che aveva da pagare 1000 lire a Parigi, che non trovava chèques su Parigi che a 110 per cento, e che aveva in cassa 10U0 lire di spezzati d’ argento, perchè non doveva spendere una lira per man­ dare questi spezzati, piuttosto che spenderne 10 od anche 11 per comperarsi la divisa estera?

L a famosa legge di Gresham « la moneta cattiva scaccia la buona » è fondata precisamente

su questo fatto ; quanto più lo Stato rendeva cattiva la sua moneta di carta sospendendone il baratto, quanto più rendeva cattivo il biglietto delle Banche autorizzandole a cambiarlo in bi­ glietti di Stato resi inconvertibili, e tanto più funzionava la legge inesorabile di Gresham, di cui nessun Ministro e nessun decreto può arre­ stare il corso.

Ma, si dice: transeat per il negoziante e per il produttore che fanno i loro affari; l’abomi­ nevole è il cambiavalute che fa la speculazione. Ora è chiaro che il cambiavalute non fa il ne­ goziante nè di seta,' nè di stoviglie, ma di m o­

nete e come il produttore ed .il negoziante di sete

e di stoviglie prendono la loro merce dove è più a buon mercato per rivenderla dove è più cara, così il cambiavalute prende la sua merce, la m o­

neta. dove è più a buon mercato per venderla

dove può ricavare un più alto prezzo.

Ma, si aggiunge, in tal modo si depauperava il paese del suo intermediario necessario agii scambi interni, il cui prezzo necessariamente au­ mentava. In tal caso però si potrebbe egualmente lamentarsi che si vendessero più di 400 milioni di seta, mentre se rimaneva in Italia ne sarebbe sceso inevitabilmente il prezzo. E poi il nego­ ziante fa il negoziante, il cambiavalute fa il cam­ biavalute e non può nè l’ uno nè l’ altio subordi­ nare il limite dei suoi affari agli alti problemi della economia del paese, che non è obbligato nè a conoscere nè a tutelare.

Se non che, prescindendo da ciò, a me par chiaro che il cambiavalute, raggranellando, ad esempio, 1000 lire di spezzati d’ argento e spen­ dendoli all’ estero •— e su questo punto richiamo tutta la benevola attenzione dell’ on. Luzzatti perchè mi corregga — non fa nè più nè meno che compiere lui la operazione, in vece del pro­ duttore o del negoziante. Infatti le 1000 lire di spezzati non potevano tradursi che in un titolo a credito su una piazza francese e messo a di­ sposizione del commercio in Italia. Quelle 1000 lire erano tanto meno debito per saldi commer­ ciali; in grande o piccola parte determinavano un minore inasprimento del cambio; senza quelle 1000 lire di spezzati mandate all’ estero rima­ neva un debito per saldi di 1000 lire maggiore, che n on ca p isco com e avrebbe p otu to essere p a ­

ga to in a ltro modo.

Se quindi bene si osserva il fenomeno, esso consiste in ciò soltanto: —^ che le 1000 lire di spezzati mandati all’estero dal negoziante o pro­ duttore lasciavano il guadagno del 10 per cento (l’ aggio) al negoziante od al produttore stesso,

in più, del suo guadagno normale; quando in­

vece le 1000 lire sono spedite dai cambiavalute; il guadagno si scinde: il negoziante o produttore ha il suo guadagno normale sulla seta o sulle stoviglie vendute, il guadagno per l’ aggio lo fa il cambiavalute.

Su tutto ciò niente di irregolare, niente di abbominevole, niente di meritevole di persecu­ zione.

Se non che eccoci all’ ultimo punto della questione. — Il paese, si dice, ha bisogno degli spezzati d’argento e quindi lo Stato ha dovere di impedirne la emigrazione a ll’ estero.

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di tutto previdente ; e se lo fosse stato avrebbe ! procurato la nazionalizzazione degli spezzati prima che fossero emigrati all’ estero e dovesse pa- j gare invece con aggio altissimo, il riscatto. Lo Stato non avrebbe in tal caso dovuto seguire una politica economica e finanziaria per cui i mercati esteri espulsero il debito pubblico ita­ liano come un titolo non sicuro ; lo Stato avrebbe dovuto prendere preventivamente tutte le conve­ nienti misure perché non ci fossimo trovati nelle tristi condizioni del 1890-94.

Quello sarebbe stato l’ ufficio degli uomini di Governo avveduti e m$no curanti delle mi- j serie parlamentari. Ma i provvedimenti, come ! sempre, vennero troppo tardi, per le Banche, ; per Vaffidavit, per le difficoltà monetarie. E stretto dalle conseguenze dei suoi stessi errori, lo Stato allora si spinse ad espedienti e ad arbitri, che hanno certo un fine encomievole, ma che sono sempre arbitri condannabili, non tanto forse per il fatto in sé, quanto per i sacrosanti principi del vivere civile che vennero vulnerati e che pos­ sono costituire tendenze o precedenti contrarii ad ogni sicurezza sui limiti dei poteri.

A me duole assai di trovarmi in questa questione in disaccordo coll’ on. Luzzatti, di cui | tutti ammiriamo il sapere e le buone intenzioni, ¡ ed a cui senza riserve va data lode per aver ottenuta la nazionalizzazione degli spezzati d’ar- | gento, ma mi pareva e mi pare che, tenendo obiet­ tiva la discussione ed evitando nell’ analisi dei fatti, ogni manifestazione di sp iritu s asper, non j sia inutile chiarire questo punto della nostra ! storia monetaria che ho sempre criticato.

A. J . Dk Johannis.

Il Banco di Napoli dal 1896 al 1906

IV.

Gestioni annesse al Banco (li Napoli.

Completiamo queste rapide notizie sul : Banco di Napoli esaminando ora brevemente 10 svolgimento delle gestioni diverse annesse al Banco stesso, come la Cassa di risparmio, 11 Monte di Pietà, il Credito Fondiario, il Credito Agrario.

La Cassa di Risparmio venne fondata nel 1860 ed ebbe il suo ordinamento col de­ creto reale del 14 settembre 1862, che la eri­ geva in ente autonomo; venne due anni dopo col decreto 20 novembre 1864 fusa col Banco e più tardi, col r. decreto 23 marzo 1893, ricostituita in ente autonomo annesso al Banco e sottopo- | sta alle leggi comuni sulle Casse di risparmio ; j finche con la legge 8 agosto 1896 fu sottratta j alla legge comune ed ordinata coi seguenti cri- j terì fondamentali : patrimonio distinto da quello

J

del Banco, nel senso che su tale patrimonio non abbiano alcun diritto gli eventuali creditori del Banco stesso; al contrario il Banco ga­ rantisce con tutto il suo avere le obbligazioni j della Cassa, la quale però è amministrata dallo stesso Direttore Generale del Banco. Il Banco può avere dalla Cassa un conto corrente, che j

non potrà mai superare il quinto delle attività della Cassa e ad un interesse non mai infe­ riore alla metà del saggio fatto al pubblico; ogni altra attività della Cassa deve essere im­ piegata in titoli di Stato o garantiti dallo Stato.

Si è già veduto nelle considerazioni ge­ nerali sul Banco, che alla Amministrazione sembrava non conforme ad una logica armo- mia che il risparmio che la Cassa raccoglieva nelle diverse provincie del Mezzogiorno e della Sardegna, dovesse essere esclusivamente impiegato in titoli di Stato o garantiti dallo Stato. E in fatti più tardi, colle leggi del 1901 e quella del 1906, la Cassa fu autorizzata ad impiegare 2 decimi dei depositi in operazioni di credito agrario, a dare 4.3 milioni per i mutui a favore dei danneggiati dal terremoto nella Calabria, ed a prender parte con cinque milioni al Consorzio che fornì i mutui ipote­ cari a favore dei danneggiati dal Vesuvio.

La Cassa sino al 1896 non ha avuto un grande aumento di depositi ; nel 1882 aveva appena 19,9 milioni, raggiungeva i 20 milioni nel 1886 e sino al 1896 non oltrepassava i 24 milioni. Da allora comincia il suo movi­ mento ascendente, quale risulta dal seguente prospetto (in milioni di lire) :

Numero Rimanenza

dei libretti dei depositi

1896 57,392 34.6 1897 59,354 40.0 1898 61,628 45.8 1899 64,434 50.8 1900 65,833 51.6 1901 67,775 56.0 1902 71,757 64.2 1903 75,906 69.5 1904 79,890 83.2 1905 87,449 102.5 1906 89,579 108.8 1907 30 giugno 91,875 113.8

È adunque un crescendo veramente note­ vole dovuto, non solamente alle migliorate con­ dizioni del paese, ma molto all’ ordinamento portato alla Cassa ed alle numerosa filiali aperte al pubblico in Napoli, in tutte le pro­ vincie ed anche in alcuni circondari del Mez­ zogiorno e nella Sardegna.

Ben a ragione la relazione del 1906 del Banco, parlando di questa Cassa di Rispar­ mio e rilevando che i piccoli depositi vi hanno la proporzione del 12 per cento, mentre nelle 183 Casse di risparmio ordinarie non figurano che per il 2,88 per cento, nota che così la Cassa di risparmio del Banco ha bene rispo­ sto al suo scopo di favorire i piccoli e ripe­ tuti depositi. E infatti degli 89,579 libretti ac­ cesi alla fine del 1906, ben 30,061 avevano a credito somme non superiori a 50 lire e 18,701 da 51 a 100 ; nel complesso il 78,45 per cento dei libretti aveva eredito inferiore a L. 2000.

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eruzione del Vesuvio furono per legge ados- sati — annuente il Banco — alla Cassa stessa.

L ’ultimo bilancio della Cassa, quello del 1900, dava utili lordi per L. 4,048,758.80, da cui levando le spese, compresi in esse gii interessi sui depositi, di L. 3,115,750, rimaneva un utile netto di L. 933,008; questo utile fu erogato come segue :

ai danneggiati dal Vesuvio L .. 200,000 a beneficenza e pubblica u-

tilità » 73,800

1* rata ai danneggiati dal

terremoto di Calabria » 150,000 al fondo di riserva » 509,708 L. 933,008 11 fondo di riserva ebbe quindi nel pe­ riodo 1896-1906 il seguente movimento (in mi­ lioni): 1896 0.6 1902 3.3 1897 0.9 1903 3.8 1898 1.4 > 1904 4.3 1899 2.1 1905 5.1 1900 2.5 1906 5.6 1901 2.7

Si può quindi concludere che la Cassa di risparmio del Banco di Napoli ha già felice­ mente superato il suo periodo iniziale ed ora può procedere sicura, svolgendosi rapidamente nelle proporzioni maggiori, seguendo lo svi­ luppo della economia della regione.

Monte di Pietà. — Abbiamo già accen­

nato nel primo articolo quale fosse nel 1906 la situazione del Monte di Pietà e come la Direzione Generale avesse in animo di miglio­ rare quella gestione. Non è il caso di scen­ dere in particolari sulle modificazioni intro­ dotte in quel servizio, ma basterà riportare qui quanto sommariamente accennano alcune delle relazioni. Quella del 1897 avverte che venne portato un miglioramento notevole ed efficace al servizio delle pegnorazioni e, sul­ l'avviso di una apposita Commissione, venne largamente riformato il regolamento (lei 1871, ridotto il personale, aperti uffici nuovi in Na­ poli, nelle provinole di Avellino, Caserta, Ca­ tanzaro, Lecce, Campobasso, Potenza, Foggia. Il saggio di interesse fu stabilito nel b per cento sino a 300 lire con un diritto fisso di I,. 0,50 per ogni pegno, e al 7 per cento ol­ tre le 300 lire.

Solo col 1898 ha potuto essere costruito un bilancio di tale gestione ed abbiamo av­ vertito che l’utile netto di quell’ anno fu di L. 817,453. E la Direzione Generale continuo nel riordinamento dell’Azienda terminando nel 1898 ad aprire i Monti in tutte le filiali del Banco.

Diamo pertanto il movimento delle rima­ nenze delle operazioni di pegno durante u dettò periodo (in milioni) e g li utili conseguiti:

R im a n e n z e U t ili 1896 1S97 1898 1899 1900 1901 1902 1903 1904 1905 1906 16.3 1,209,768 17.2 1,220.799 17.3 1 300,892 17.2 1.228,405 19.1 1,348,105 20.5 1,467.256 19.8 1,513,964 14.9 1,093,706 12.7 946.610 12.2 924,090 12.0 931,360

Queste cifre domandano qualche spiega­ zione.

Le riforme portate nei Monti e la diffu­ sione di essi a tutte le filiali del Banco, ave­ vano dato uno sviluppo all’ azienda, sviluppo che si palesa col crescente ammontare degli affari e colla cifra degli utili sempre in au­ mento. Senonchè, proprio nel momento in cui il Banco vedeva largamente compensato il la ­ voro e le spese dei nuovi impianti, nel 1903 un gravissimo incendio distrusse la guarda­ roba del principale ufficio avente sede in Na­ poli. Diminuì subito la quantità delle ope­ razioni, la cui rimanenza scese da 20 a 14 mi­ lioni, e diminuirono i profitti dell’ Istituto. Il danno risentito dall’ incendio raggiunse i quat­ tro milioni ed il Monte ha dovuto provvedere a questa straordinaria uscita mediante gli utili.

11 locale incendiatosi è in corso di rico­ struzione ampliato e tecnicamente migliorato. Naturalmente sino a che la costruzione non sia terminata non può essere ripreso il lavoro di un tempo. Il Consiglio generale a combat- j itero il danno che le agenzie private, recano

I

alla popolazione povera, ha deliberato, oltre- j che la ricostruzione del grande locale, l’ im- ; pianto a Napoli di 12 agenzie dipendenti dal

Monte principale.

Credito Fondiario. — Nel primo capitolo

abbiamo brevemente esposta la situazione del Credito Fondiario del Banco di Napoli e detto delle disposizioni della legge 17 giugno 1896, che miravano a sistemare quella Azienda e farla automaticamente procedere al proprio risana­ mento.

Il Credito Fondiario del Banco di Napoli, posto già' in liquidazione dalla legge siigli Istituti di emissione del 1893, come gli altri Crediti Fondiari della Banca Nazionale e del Banco di Sicilia, doveva tener separata la sua gestione da quella del Banco e jirovve- dere coi propri mezzi alla propria liquida­ zione nei modi stabiliti dalla legge 3 marzo 1898, la quale confermava il decréto legge del 6 dicembre 1896. Perciò la legge stessa prov- j vide a ridurre, dal 5 per cento lordo al 3.50 per cento netto, il saggio d’ interesse delle cartelle, le quali, fermi stanti i patti conve- | nuti eoi mutuatari, diventarono estinguibili in | cinquanta anni. Fu in pari tempo chiuso e liquidato il conto del Credito Fondiario col Banco di Napoli e fissatane la somma in 15.3 milioni, che dovevano essere rimborsati, in parte (cioè per 5 milioni circa) colla cessione di mutui di Porto Maurizio (pei danneggiati dal terremoto) il resto col versamento delle imposte e tasse gravanti le cartelle a cui lo Stato rinunciava; con tali entrate e colle quote d’ ammortamento eccedenti le quote normali dei mutui, doveva l’Azienda costituire dei fondi, di garanzia per i portatori di cartelle, investendo le somme in titoli dello Stato o garantiti dallo Stato. Piu tardi questi vari fondi furono fusi a costituire il f o n d o uni co.

Ora non dobbiamo qui se non vedere come su tali basi si sia svolta la azienda a partire dal 1896.

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ammon-tare dei mutui, accesi alla fine di ogni anno, l ’ammontare delle cartelle in circolazione pure alla fine di ogni anno, e 1’ ammontare degli

•ati (in milioni di lire):

mutui cartelle arretrati

1896 138.8 141.0 26.3 1S97 134.7 138.8 27.2 1898 1.11.4 136.9 19.4 1899 90.8 134.8 15.7 1900 64.3 134.0 6.9 1901 59.4 132.0 7.0 1902 55.3 130.2 7.J 1903 52.7 129.2 7.2 1904 50.3 128.4 7.6 1905 47.9 128.0 8.1 1906 45.7 127.3 6.9

Da questo prospetto risultano tre fatti importanti: il rapido estinguersi dei mutui, in parte notevole dovuto alla cancellazione di quei mutui che avevano già dato luogo alla espropriazione, ma che erano mantenuti contabilmente accesi; e va notato anche che, sebbene la legge 7 luglio 1905 autorizzasse il Credito Fondiario del Banco a rinnovare i mutui arretrati prorogandone le scadenze sino a 50 anni, pochi mutuatari approfittarono di tale concessione: — il rapido diminuire dell’ ammontare delle semestralità insoddi­ sfatte dopo i primi anni della riforma, mentre negli ultimi anni rimase sempre una somma intorno ai fi ed ai 7 milioni, la quale appare tanto più alta quanto maggiore è stata la di­ scesa nell’ ammontare dei mutui, ma che si spiega col fatto che la maggior parte del­ l’ ammontare di quelle semestralità arretrate, è dovuta a pochi grossi mutui, verso i quali ogni facilitazione sarebbe inutile; l ’ ultima re­ lazione, quella del 1906, avverte che dei 559 mutui in mora, 54 hanno un residuo debito capitale di 5 milioni circa, ed hanno un ar­ retrato di semestralità per 4.6 milioni. Ad ogni modo nel 1906 sopra 25 milioni di mu­ tui accesi, si trovano quasi 7 milioni di se­ m estralità insoddisfatte, cioè poco meno del 15 per cento; — finalmente la estinzione di cartelle un poco più rapida del piano di am­ mortamento fissato dalla legge; infatti al 31 dicembre 1906 erano state estinte n. 2246 car­ telle più del piano di ammortamento e quindi per L. 1,123,000.

Naturalmente se la consistenza dei mutui andava così diminuendo e l’ ammontare delle cartelle diminuiva tanto più lentamente, è ne­ cessario trovare altri elementi che valgono, secondo la legge, a garantire i portatori di cartelle; ed infatti ecco come si svolgono dal 1897, anno in cui il Credito Fondiario co­ minciò a funzionare sotto l’ impero della rifor­ ma, i due fondi: quello ricavato dalla antici­ pata restituzione dei mutui, e quello costi­ tuente il fondo di riserva in garanzia dei portatori di cartelle (in milioni):

Fondo anticipasi. Fondo riserva Totale

1897 0.6 1.5 2.1 1898 1.4 2.5 3.9 1899 3.8 4.2 8.0 1900 8.8 1.8 10.6 1901 11.6 1.9 13.5 1902 13.7 1.9 15.6 1903 16.3 1.9 18.2 1904 19.7 2.2 21.9 1905 22.6 2.9 25.6 1906 24.4 3.6 27.9

Il rapido miglioramento della situazione del Credito fondiario è evidente, tanto più se si tien conto che fino dal 1900 la Direzione Generale ha voluto discriminare la alta cifra delle semestralità insodisfatte ed iscrivere ad­ dirittura a perdita quelle che Uon lasciavano nessuna speranza di ricupero, nemmeno par­ ziale, e diminuire la consistenza di quelle che evidentemente non potevano essere ricuperate che in parte.

Per formarsi un criterio sufficiente delle condizioni di questa azienda nel 1897 e del suo miglioramento successivo, è utile notare come andò modificandosi la proprietà immobi­ liare aggiudicata a ll’ Istituto e derivante dalle insolvenze. Distinguiamo nel seguente prospetto il valore della proprietà urbana da quella ru­ stica alla fine di ogni anno (in milioni):

Propr. Urbana Propr. Rurale Totale

1897 14.1 4.5 18.7 1898 18.1 9.0 27.2 1899 24.3 6.6 30.9 1900 25.0 8.0 33.1 1901 25.8 8.1 34.0 1902 25.7 8.2 34.0 1903 25.6 7.5 33.2 1904 24.4 6.9 31.4 1905 24.2 6.1 30.3 1906 24.2 5.4 29.6

Questo vasto patrimonio immobiliare ha necessariamente domandato cure indefèsse e diligenti, sia per metterlo in buono stato, sia per organizzare una amministrazione oculata che ne assicurasse il reddito, sia per cercare di diminuirne la entità mediante vendite.

A tale scopo fino dal 1897 la Direzione Generale divise la vasta proprietà urbana in Roma di proprietà del Credito fondiario in 4 zone, ad ognuna delle quali venne preposto un amministratore scelto a mezzo di licitazione privata; uno speciale capitolato regola i rap­ porti fra il Credito fondiario e gli ammini­ stratori in guisa da evitare contestazioni e pericoli ; nel 1898 lo stesso sistema venne ap­ plicato ai beni in Napoli. Pei beni rustici, sparsi in molte provincie l’ Istituto prescelse,

quando fu possibile, il sistema dei fitti. Non vogliamo stancare i lettori con ul­ teriori cifre, ma diremo semplicemente che nel 1906 dalla proprietà urbana il Credito fon­ diario ricavava un reddito netto di L. 2,222,000 e dalla proprietà rustica ricavava un reddito netto L. 222,368. Non sarebbe possibile fare rapporti del ^ reddito colle consistenze di bi­ lancio, perchè gli immobili vi sono iscritti ai prezzi di aggiudicazioni avvenute negli anni della crisi edilizia; basti notare che su 16 milioni di beni aggiudicati a Roma l’ Istituto vantava un credito di 56 milioni, e su 8 di aggiudicazioni a Napoli il credito era di 24 milioni.

Ciò lascia intendere come sia giusto il giudizio della Direzione Generale, che nella relazione del 1906 avverte essere il valore ef­ fettivo di quella proprietà superiore alla cifra inscritta in bilancio.

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coraggiosamente le emanò e le fece appro­ vare, hanno quindi avuto pieno effetto, aiu­ tate dalle migliorate condizioni economiche del paese, e dalla ferma volontà della Dire­ zione Generale del Banco di sistemare in modo definitivo l ’ Azienda fondiaria, in modo che essa proceda quasi automaticamente verso il proprio definitivo assestamento.

Le principali voci del suo bilancio 1906 si riepilogavano come segue (in milioni) :

Attivo

Cassa e titoli 28.5

Prestiti v. e.e. ipotcc. 15.9

Semestralità arretrate 8.6

Fondi di proprietà 29.7

Crediti per fondi venduti 2.6 Espropriazioni e graduatorie 58.5 Altre partite 18.8 187.6 Passivo Cartelle in circolazione 127.8 C/c. col B. di Napoli 40.3 Interessi vincolati 2.8

Interessi scaduti giacenti 6.4

Altre partite 10.8

187.6

Credito Agrario. — Il modo con cui è

proceduto a svolgersi il Credito Agrario del Banco di Napoli è la prova che esistono nelle popolazioni delle anomalie economiche, di cui difficilmente si può dare la spiegazione. Per­ chè ad esempio — per rimanere nei termini della proprietà immobiliare — una grande parte del debito ipotecario ordinario continua ad esistere per molte centinaia di milioni ad un interesse che oltrepassa il (i 0(0, mentre con tale saggio il proprietario potrebbe ottenere dai Fondiari il pagamento degli interessi e del capitale? —- S i dice che il mutuo ipo­ tecario ordinario presta molto più della metà, mentre i Fondiari non danno che la metà del valore; ma ciò vale soltanto per una parte dei mutui, un’altra parte, e notevole, potrebbe essere trasformata senza difficolti«. — E per­ chè, giacché la legge ha autorizzato i Crediti Fondiari dei tre Istituti di emissione a tra­ sformare i loro mutui in altri a più lunga scadenza, diminuendo così l’ onere dei mutua­ tari, pochissimi proprietari approfittano di tale agevolezza e molti si rendono morosi piuttosto che rinnuovare i mutui ? — Perchè infine la agricoltura del Mezzogiorno, che ac­ cusa tanto bisogno di capitali, risponde così scarsamente alla premura del Banco di Na­ poli, che ha con tanta insistenza ottenuto dal legislatore di esercitare il Credito agrario ?

Sono fatti che non trovano altra spiega­ zione se non nella ignoranza e nella accidia delle popolazioni, che non sanno usare dei nuovi mezzi che vengono messi a loro dispo­ sizione.

Come abbiamo avvertito in principio di queste brevi note, la Direzione Generale del Banco di Napoli, osservando lo svolgersi ra­ pido della Cassa di Risparmio del Banco stesso nel raccogliere i risparmi delle popo­ lazioni meridionali, ha fatto comprendere al Governo che non credeva giusta la disposi­

zione che imponeva alla Cassa stessa di impie­ gare tutte le sue disponibilità in titoli dello Stato e garantiti dallo Stato ; ed ha ottenuto una legge autorizzante ad impiegare fino a 2[10 dei risparmi in operazioni di Credito agrario, restituendo così alla economia delle provincie meridionali una parte del risparmio che nelle stesse provincie si raccoglie.

Ebbene, la Cassa di risparmio ha ormai più di 100 milioni di risparmio e quindi avrebbe più di 20 milioni con cui scontare al saggio del 31(2 le cambiali di Credito Agrario, secondo le leggi che hanno pur ac­ cordato al Credito Agrario considerevoli age­ volezze fiscali. Tuttavia il Credito Agrario si svolge lentamente, così che non sembra vera la bramosia di capitali da parte della agricoltura e specialménte delle piccole aziende altrimenti le speciali fatiche della Direzione Generale per diffondere questa forma di ere dito nei suoi diversi aspetti, non sarebbero state corrisposte da così scarso successo.

11 Credito agrario cominciò a funzionare col giugno 1902 ed esordì in quel mese colla modesta cifra di L. 11,000, che erano 526,000 alla fine del 1903 ed 854,000 alla fine del 1904, raggiunsero 1,177,000 alla fine del 1905, e in­ fine L. 1,630,000 alla fine del 1906 e 2,228,000 al 30 giugno 1907.

Vi è aumento, è vero, ma è inutile illu dersi; quelle cifre mostrano la resistenza del vecchio al nuovo. La somma di L. 1,630,000 impiegata al 31 decembre 1906 si divideva: Cambiali di r i s c o n t o n. 444G per L. 1,502,000 » di prestiti diretti n. 17 » » 8,000 » di sconto diretto n. 35 » » 120,000 Sventuratamente a sconfortare 1’ opera specialmente zelante del comm. Miraglia per questo Credito agrario, che egli predilige, sono accaduti nel 1906 gravi disguidi per 96,000 lire, per il fallimento e le irregolarità di una Banca e di una Cassa rurale della Capitanata. E’ da augurarsi che la perseveranza vinca le difficoltà.

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25898 impiegati in aumento dal 1395 al 19DG

La grande piovra moderna estende indefini­ tamente i suoi tentacoli ed invade tutto, rendendo sempre più difficile la vita dei cittadini in mezzo agli scogli che essa stessa semina, affine di ac­ crescere le proprie funzioni ed avere ragione per moltiplicarsi.

La burocrazia, colla sua lenta e perseverante pressione, abbatte tutti gli ostacoli e comincia già ad esercitare un potere occulto e palese che fa sentire i suoi influssi inesorabili. E se un uomo di buona volontà tenta di frenarne l’azione e di contenerla in limiti discreti, quell’uomo sarà senza dubbio la sua vittima.

Un prospetto preziosissimo che va unito alla relazione della legge per IL ssesta mento del bi­ lancio ci descrive con la eloquenza delle cifre questo fatale aumento della forza del nuovo ti­ ranno.

In dodici anni il numero degli impiegati è aumentato di 25,898 e l’ ammontare degli sti­ pendi è salito di L. 58,479,146.50 ; per cui già siamo arrivati ad un esercito di impiegati di 126,608 individui. In dodici anni 1’ aumento è stato del 25 per cento ; la spesa che era di 187,7 milioni è salita a 246,2 milioni.

Non facciamo tanto meraviglia per l’aumento della spesa, perchè notoriamente gli impiegati in Italia erano mal pagati e, crediamo, non lo siano bene nemmenT) ora’; ma sono i 25 mila impiegati di più che sorprendono, tanto più che tutti i Mi­ nisteri hanno sentito bisogno di questo aumento. Il Ministero delle Poste e Telegrafi che nel 1895 aveva 13,486 impiegati ne ha aumentato il numero più del 50 0[Q ; in dodici anni sono arri­ vati ad essere 21,960 un aumento di 8474; la spesa che era di 20,8 milioni è salità a 35,7 mi­ lioni, con aumento di 14,8 milioni.

Il Ministero dell’ Interno ebbe un aumento di 7210 impiegati da 16,362 a 23,572, un aumento che supera LIO 0/q; la spesa che era di 25.2 milioni si è spinta a 36.9 milioni. L ’ aumento maggiore è dato dal personale del Ministero, da quello di sanità e di pubblica sicurezza; que­ st’ultimo da 6933 funzionari è salito a 13,068 raddoppiando la spesa da 9.7 a 18.1 milioni.

Anche il Ministero della Guerra ha avuto l’ aumento cospicuo nel numero degli impiegati, sebbene in verità non si comprenda perchè ; da 17,276 persone si è arrivati a 20,844, cioè un aumento di 3,568 individui, di cui 693 ufficiali di scrittura; la spesa che era di 43.8 milioni è salita a 56 milioni, un aumento di 12.1 milioni.

Il Ministero delle Finanze ha pure avuto il suo sensibile aumento di personale da 25,910 a 28,914, un aumento di 3,004 individui, in parte è dovuto all’ incremento del consumo dei tabac­ chi, così che il personale delle manifatture è au­ mentato da 191 a 428 cioè di 237 persone; dì 2,200 aumentò il numero delle guardie di finanza. La spesa complessiva per il personale che era di 34.4 milioni è arrivata a 424, con aumento di 8.9 milioni.

Il Ministero di Grazia e Giustizia ebbe un aumento di 1591 impiegati di cui 1,382 nella

Magistratura giudicante e da 146 a 311, cioè un aumento più del 10) per 100, il personale del Mi­ nistero. Perchè'?

Gli altri sono aumenti minori e diamo qui il prospetto complessivo: N u m ero S p e sa d e g li im p ie g a t i i n m ilio n i M in is te r i ¡895 i9 J6 A u m e n to 1895 1906 A u m e n to Tesoro 2,9137 3,223 286 7.6 8.6 0.9 Finanza 25,910 28,214 3004 34.4 43.4 8.9 Grazia Giustizia 9,042 10.633 1591 25.0 29.0 4.3 Affari esteri 861 479 118 1.8 1.6 0.3 Istruzione (3,183 6,544 361 11.1 12-7 1.6 Interno 16,3(32 -27,572 7210 25.2 36.9 11.7 Lavori Pubblici 3,295 3,622 327 5.3 6.8 1 5 Poste telegrafi 13,486 -1,960 8,474 20.8 35.7 14.8 Guerra 17,276 20,844 3,56i 43.8 56.0 12.1 Marina 3.830 4,6 12 772 9.7 11.4 1.7 Agricoltura 1,376 1,563 137 29 3.5 0.9

Crediamo utile m ettere s o li’occhio al lettore anche un prospetto che riguarda il solo perso­ nale dei singof Ministeri, cioè quello che si chiama personale dirigente centrale.’

Numero

leg i impiegati in miSpi ■sa¡ioni Aumento Ministeri 189) 19-6 .Aumento 189) 19)8 Tesoro 60.0 9 )1 + 292 1.7 2.8 0.6 Finanza _ 751 Ÿ y 2.4 V Grazia e Giusfc. 116 311 + 1(55 0.4 0.8 0.4 Esteri 121 120 — i u 8 0.8 — Istruzione 187 ■037 + 5) 0.7 0.9 0.2 Interno 285 303 + 18 0.7 0.9 0.2 Lavori pubblici 173 452 + 274 n.b 1.8 0.7 Poste e telegrafi _ — — v — • ' Guerra 499 563 + 64 1.8 1.7 0.4 Marina 214 236 + 22 0.6 0.7 0.1 Agricoltura 194 392 - 193 10.5 1.1 0.6

Per le Finanze e le Poste e Telegrafi i mu­ tamenti avvenuti non permettono i confronti ; l’aumento nel Ministero dei lavori pubblici è in parte spiegato col nuovo assetto ferroviario.

Tutto il rimanente è da sè stesso eloquente; la piovra che si estende con e senza ragione.

L’ Istituto italiano di Credito Fondiario

(la c a u sa per le provvigioni)

Continuiamo la pubblicazione d ella parte principale della sentenza della Corte d’A p- pello di Noma nella causa tra l’ Istituto di Credito Fondiario e alcuni m utuatari :

Sènonchè gli attori, da ultimo, por sormontare le difficoltà che la formula doli’art. 11 contrappone alla loro tesi, si studiano di dimostrare per altra via la illegalità delle pattuite provvigioni. Essi prendono le mosse dal primitivo progetto m inisteriale il quale a ll’art. 5 diceva: «S e il mutuatario preferisce il pa­ gamento in cartelle la provvigione è determinata dal- l ’ Istituto ».

Tale forinola non incontrò l ’ approvazione della Commissione, la quale osservò : « Il progetto Ministe­ riale disponeva che il pagamento in contante dovesse

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va-loro effettivo delle cartelle, perchè vorremmo noi im- j pedirglielo ? »

« La libera volontà e V interesse rispettivo del mutuante e del mutuatario devono essere le sole norme i che regolino i rapporti di un contratto perfettamente libero fra i due: quindi non solo libertà di valutazione nei pagamenti in contante, ina anche libertà di stipu- \

lare quella provvigione in cui si accordino i due con­ traenti. Perciò quando il mutuatario non accetti car­ telle, ma voglia altro pagamento, il nostro progetto lascia che la provvigione non sia già determinata dall’ Istituto mutuante, ma concordata. Quando questo accordo sulla provvigione e sulla valutazione delle cartelle non possa farsi fra i due, resta sempre la- facoltà al mutuatario di domandare il pagamento in cartelle ».

Questo brano di relazione, che viene dalP Istituto invocato a riprova della libertà di contrattazione sulla provvigione, e servì anche di guida ai primi giudici per risolvere in tale senso la dibattuta questione e respingere la tesi del meccanismo automatico escogi­ tato in contrario, offre argomento alla difesa dgli at­ tori per una teorica che essi sviluppano in questa sede da pag. 109 alla 123 della loro prima comparsa ag­ giunta, e che riassumono in queste proposizioni.

L’art. 11 della legge 17 luglio 1890 permette di concordare la provvigione come conseguenza delPac­ cordo sul valore della cartella.

Pei mutui fatti col capitale ricavato dalla emis­ sione, raccordo sul valore del pagamento in relazione al valore della cartella non ebbe luogo, sicché ra c ­ cordo sulla provvigione non poteva legalmente effet­ tuarsi.

In altri termini essi sostengono che r accorilo ni la provvigione deve essere preceduto dall’accordo sul valore del pagamento. Se questo non è intervenuto, la provvigione concordata è illegale. Ora è evidente rarb itrarietà di questa tesi, la quale subordina la va­ lidità del patto sulla provvigione ad una condizione che la legge non richiede. La p ro vvigio n e sarà con cordata

dice l ’art. 11, e ciò significa che raccordo deve cadere sulla provvigione. Come adunque far rientrare nel­ l’articolo raggiun ta di un nuovo coefficiente, il previo accordo cioè sul valore del pagamento, e pretendere che questo accordo sia richiesto ad substantiam tanto che in mancanza di esso, la provvigione si renda il­ legale? Imperocché qualunque sforzo d’ ingegno e di dialettica non riuscirà mai a convertire V accordo sulla provvigione in un accordo sulla quantità delle cose da mutuare; che a questo si riduce la formula

con cord a re il va lore del pagam ento.

Dato anche quindi che le parole del riportato brano di relazione avessero quel significato che la di­ fesa degli appellanti loro attribuisce, esse non suffra­ gherebbero la tesi sostenuta, non potendo la parola del Relatore, per quanto autorevole, costituire ele­ mento d’ interpretazione autentica e prevalere Sulla parola chiara della legge.

Ma il vero si è che il relatore, nel passo citato, se allude al concetto di un accordo tra le parti sul valore del pagamento, non dice punto che tale accordo debba assolutamente intervenire come un preliminare indispensabile dell’ accordo sulla provvigione. Egli ne parla soltanto demonstrationis causa, per illustrare il concetto poco prima esternato, di non essere cioè necessario nè opportuno prescrivere che il mutuo in contanti si facesse alla pari, come proponeva il Mi­ nistro, ma che era meglio rimettere alle parti la scelta del modo d’ intendersi, sia sul valore del pagamento, sia sulla provvigione: con cliè non si escludeva già che i mutui potessero farsi anche alla pari, e l ’ac­ cordo lim itarsi alla provvigione. In altri termini, o che le parti s’ intendano sul valore del pagamento e commisurino al risultato di qeusto accordo la prov­ vigione, o che stipulando il pagamento al valor nomi­ nale contrattino direttamente sulla provvigione in en­ trambe le ipotesi rimarrà pienamente appagato il voto del Relatore nel senso della icondizionata facoltà la­ sciata alle parti di regola re i rap po. ti di un con tratto p erfetta m en te libero tra di loro.

‘ Ed è questo il concetto informatore dello art. 11. 11 capoverso poi di tale articolo, col quale si subor­ dina il diritto dell’ Istituto di sostituire il valore le­ gale alle cartelle alla condizione tra l’altro, che va­ lu ti le ca r telle a l prezza medio d ella borsa loca le n el mese solare p reced en te al con iratto con dizionale, conferma il concetto suespresso, poiché se la legge ebbe cura di

coartare in così precisi lim iti l’ Istituto nel caso ivi ipotizzato, e nulla dispose quanto alla valutazione del pagamento pel caso ordinario dei mutui in contanti, e ragionevole indurne che, in quest’ ultimo caso non intese apporre alcun vincolo alla libera volontà «Ielle parti nella contrattazione del compenso.

Ma dopo tutto non è chi non veda come l ’accordo sulla provvigione equivalga in sostanza a ll’accordo sul valore del pagamento, anzi l’ uno contenga impli­ citamente l’altro, poiché quel di piò che il mutuata­ rio si obbliga di pagare anno per anno a titolo di provvigione non rappresenta che una forma di valu­ tazione del pagamento.

E’ dunque più che altro una questione di proce­ dura quello che la difesa degli appellanti solleva, e 10 confessa ella stessa nella sua comparsa aggiunta, ri­ levando che l ’ Istituto ha frainteso il significato .della parola con cord a re adoperata nell’ art. 11 quando ha presentato al mutuatario la rich iesta della provvigione senza prima discutere con lui il valore del pagamento, base di quella. Non è con cord a re, osserva sottilmente la difesa degli appellanti, il presentare, come ha fatto l’ Istituto, una richiesta bella e preparata al mutuata­ rio perchè vi apponga la sua firma per l’accettazione : in questo caso la provvigione si con sen te non si con­ corda.

Ma che la richiesta debba essere preparata dallo Istituto lo si rileva dallo art. 5 del Regolamento 1" feb­ braio 1891 quando parla di provvigione che 1’ Istituto

in tende rich ied ere ai m u tu atari, e lo si evince anche me­ glio dallo stesso art. 2 delle norme per la concessione* dei mutui, che parla di misura da fissa rsi p eriod ica ­ m ente dal Consiglio di Amministrazione dell’ Istituto, 11 che significa che la fissazione della misura della provvigione è un attributo del Consiglio stesso che si esplica" prima e a ll’ infuori della sfera contrattuale dei singoli mutui, come elemento preparatorio del di­ battito destinato a produrre l ’accordo sulla provvi­ gione.

La difesa dei m utuatari dice, che con siffatto me­ todo si attua piuttosto il sistema del progetto mini­ steriale, (determinazione della provvigione ria parte dell’ Istituto) che quello della legge vigente (accordo sulla provvigione) frustando la innovazione da questa apportata sul progetto stesso. Ma ciò non è esatto, poiché fu visto che quella innovazione non ebbe al­ tro scopo ed obbietto che quello di sopprimere la ob­ bligatorietà dei pagamenti alla pari, dal progetto sta­ bilita, lasciando libere le parti di pervenire a ll’accordo sulla provvigione per quella via che loro meglio pia­ cesse, il quale scopo, giova ripeterlo, è pienamente raggiunto, sia che l ’accordo si formi sulla valutazione del pagamento, come vorrebbero oggi gli appellanti, sia che si attui dirottamenti sulla provvigione, come l’ Istituto propose e i mutuatari accettarono di fare. Cosicché il processo seguito d all’ Istituto corrisponde pienamente ai fini della legge ed alle disposizioni del regolamento.

Nè può ristarsi la Corte dal rilevare come tanto dall’ una quanto d all’altra delli parte contendenti siasi attribuito soverchio peso alla differenza fra la forinola del progetto Ministeriale a quella sostituita d a lla . Commissione, e che passò poi in legge. Le due forinole sono redatte diversamente, ma nella sostanza si equivalgono. I termini dell’accordo sono sempre'gli stessi quelli cioè comuni ad ogni contratto : proposta ed accettazione. La forinola della legge è più esatta di quella del progetto poiché coglie il punto decisivo e sostanziale del rapporto, cioè V accordo mentre della determinazione del quantum, come proposta iniziale dell’accordo, si occupa il connato art. 2 delle norme, demanando al Consiglio di Amministrazione il com­ pito di fissarla periodicamente.

Dunque nel sistema della legge vigente, quando il pagamento si fa con specie diversa dalle cartelle è lasciata piena libertà alle parti di convenire sul qvan- tum della provvigione. Nè si dica che questa libertà metta il mutuatario in balia dell’ Istituto e lo lasci esposto a subire, sotto forma del compenso, l’onere di interessi usurari contro l ’espresso intendimento del legislatore.

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ò lasciato indifeso contro eventuali sopraffazioni, per­ chè alle smodate esigenze dell’ Istituto può sempre sot­ trarsi, scegliendo il mutuo in cartelle. E allora, o clic 1; Istituto paghi in cartelle, o che le sostituisca col pagamento in valuta legale (nel qual caso deve valu­ tare lo cartelle al prezzo medio della, borsa locale nel mese solare antecedente al contratto condizionato), il mutuatario non subirà mai una provvigione superiore ai 45 centesimi per ogni cento lire.

Nè al sol diritto di scelta si lim ita il presidio della legge, la quale ha dato al mutuatario la garanzia della vigilanza del Governo nelle operazioni dell’ Istituto.

Alle disposizioni della legge e del regolamento del 1885, che sottopongono 1’ Istituto alla sorveglianza e al controllo del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, si è aggiunto l ’art. 8 del R. Decreto 8 mag­ gio 1891, il quale in esplicazione dell’art. 14 della legge del 1890, prescrive che presso la sede centrale del- l ’ Istituto sia addetto un commissario governativo con l’ incarico fra altro, di assistere alle adunanze del Con­ siglio di Amministrazione (e quindi anche a quelle con cui si fissa la provvigione da richiedersi ai mu­ tuatari), di fare le sue osservazioniin merito alle de­ liberazioni prese e di riferirne al Ministero il quale può anche annullarle.

A queste garanzie altre se ne aggiungono d’ordine economico e morale, la legge della concorrenza e quella del tornaconto, che il legislatore dovette necessaria­ mente tener presenti come freni indiretti, ma coope­ ranti a contenere le richieste dell’ Istituto nei lim iti della moderazione. Se quindi la legge ha in chiari ter­ mini rimesso alla libera contrattazione delle parti il fissare la misura della provvigione, tutte le volte che il pagamento del mutuo si fa con specie diversa da cartelle esigibili in v aluta legale, se il processo se­ guito d all’ Istituto e accettato dai mutuatari per de- venire nei singoli casi allo accordo nulla presenta di arbitrario o d’ illegale, ciò basta, come giustamente osservò il Tribunale per ritenere legittim a la provvi­ gione applicata.

Senonchè alla distinzione tra mutui in cartelle esigibili in valuta legale da un lato, e in valuta le­ gale, cartelle esigibili in oro o in oro dall’altra, di­ stinzione che, come si disse, è 1’ unica che si legge nel- l ’art. 11, la solerte difesa dei mutuatari un’altra ne aggiunge desumendola dalla origine del contante con cui si fa il mutuo.

Essa dice che i mutui da eseguirsi con il capitale sociale sono regolati non dagli art. 10 e 11, ma dall’art. 6 della legge del 1890, imperocché gli art. 10 e 11 rego­ lano i casi in cui può esercitarsi il diritto di scelta tra le varie specie di mutuo, ma questa scelta non può esercitarsi in ordine al capitale sociale o azionario, il quale, a tenore dell’art. 0 deve essere in definitiva impiegato esclusivamente in mutui in contante da ese­ guirsi con le norme e sotto le garanzie stabilite dalla legge sul credito fondiario 22 febbraio 1885.

( Continua)

R

i v i s t a

B

i b l i o q r a h c a

M arco F anno. - La funzione 'lei riporti n elle ope­

razioni di borsa. — Genova. L. A. Oampodo-

nico, 1907 pag. 51.

Questo lavoro del sig. Fanno dà molto più ohe il titolo non prometta; non è soltanto la fun­ zione dei riporti, ma si può dire è uno sguardo sintetico su tutto il movimento del mercato dei valori, in rapporto ai capitali disponibili. L ’Au­ tore ha compreso benissimo ed ha spiegato con mirabile chiarezza che il capitale rappresentato dai titoli che sono ancora in speculazione, deb­ bano essere nella massima parte forniti dalle Banche direttamente se sono Banche commerciali, indirettamente con sconti alle prime, se sono Banche di emissione. Perciò tutto quanto può de­ terminare una restrizione di questi capitali di­

sponibili, scema i riporti o li rende più cari o costituisce la ragione di liquidazioni involontarie e quindi di crisi. L ’ Autore così ha avuto modo di esaminare il riporto, non solo rispetto alla spe­ culazione, ma anche rispetto al movimento dei capitali, alla circolazione, ed alle condizioni mo­ netarie.

L ’Autore anche in questo come in altri la­ vori, mostra una rara competenza nella intricata e difficile materia degli affari di Banche ed i suoi giudizi quindi sono sempre esatti. In un solo punto ci parve fosse troppo assoluta la sua affermazione, là dove dice che il rialzo dei va lori determina aumento di riporti ed ii ribasso determina diminuzione. Non sempre avvengono tali reciproche influenze, alcune volte il ribasso dei titoli getta sul mercato una maggiore quan­ tità di essi dei quali la speculazione domanda il riporto; ed altre volte il rialzo dei titoli fa in­ tervenire il capitale ad acquisti defluitivi, deter­ minando una minore quantità di riporti.

W illiam H arb itt D a w s o n . The German Workman. — London, P. J. King et Son, 1906

pag. 804.

L'Autore di questo lavoro, molto meritevole di attenzione, esamina le dispozioni legislative e municipali della Germania perciò che riguarda il lavoro, la disoccupazione ed i soccorsi degli operai. Scopo dell’Autore è non solo di rilevare tutto quello che è stato fatto a favore degli ope­ rai, ma più ancora far emergere tutto ciò che manca perchè sia a loro assicurato un tenore di vita sufficiente.

L ’Autore non è senza ammirazione per le varie disposizioni ed i diversi provvedimenti che assicurano all’operaio una relativa tranquillità economica e con molti dati statistici accerta la esattezza delle sue conclusioni.

Descrive innanzi tutto 1’ ufficio del lavoro di Monaco, l’assicurazione contro la disoccupazione, il lavoro nelle colonie, gli uffici municipali del lavoro, le case di convalescenza di Berlino, le organizazioni sanitarie per le scuole, gli uffici di pegno, gli uffici di informazione, le Corti di ar­ bitrato ecc. eco.

Il libro è molto bene ordinato e le osserva­ zioni dell’Autore dimostrano tutta la sua alta competenza.

L u c ian o L a b e r th o n n iè r e . - Saggi d i filosofia

religiosa. - Palermo, Remo Sandron 1907, pa­

gine 376 (L. 3.50).

Il solerte editore Remo Sandron ci dà tra­ dotta quest’ opera del Laberthonnière, che è stata messa all’ indice dopo la seconda edizione e che è quindi oggi luori di commercio nel testo francese.

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la verità nelle loro formule. No, m a a patto ch e

non cred a n o d i rin serra re irrim ed ia b ilm en te la verità, tutta quanta n e lle . loro form u le. »

Sono dunque tentativi di uomini pensanti di retti a scuotere il giogo che tiene vincolata la loro ragióne ; ma sono tentativi contro la stessa es senza del cattolicismo ; è lo spirito kantiano che penetra nei cervelli che il cattolicismo vorrebbe sottomessi.

Però la metafisica, nuova o vecchia, è sempre la stessa, coi suoi arzigogoli, colle sue nebulo­ sità ; e quel giorno in cui i metafisici parleranno il linguaggio comprensibile, la metafisica non esisterà più.

Veda il lettore questo periodo che tratta della affermazione di Dio. « Le caratteristiche dell’ essere sono 1’ unità e la permanenza. Per conoscere ed affermare l’essere in sè è necessa­ rio concentrarsi nella dispersione naturale (s ic) e primitiva dello spazio del tempo : farsi uno e

perm a n en te, spogliarsi del molteplice e porsi al

di sopra di ciò che trascorre. L ’ atto poi con il quale noi ci concentriamo, costituendoci interna­ mente nell’ unità e nella permanenza non è af­ fatto diverso da quello con il quale ci affermiamo

(sic). E’ anche vero però che solo legandoci a

Dio noi ci costituiamo nell’ unità e nella perma­ nenza, cioè nell’essere. »

« L ’ essere non manca certo in chi veda sè stesso nello spazio e nel tempo unicamente, dirò così, dal di fuori e che, da tal punto, non appare a sè stesso se non un fenomeno. »

Ohe cosa voglia dire tutto ciò?

Y v e s G uyot. La dém ocratìe individualiste. -Paris, Y. Giard et E. Briére, 1907 pag. 269 (3 fr.). Un altro lavoro dell’ infaticabile amico no­ stro ed è un’altro lavoro prezioso. Convinto in­ dividualista, vede tutti i pericoli che la crescente idolatria dello Stato, al quale si domandano con­ tinuamente nuovi servizi, va creando alla So­ cietà, e getta il grido d’allarme, e cerca di sve­ gliare la apatia di quanti sono come lui convinti della falsa strada che si va battendo.

Pagine vive, piene d> acute osservazioni, scritte con logica serrata che suffragano solida­ mente la splendida tesi che l’Autore sostiene ed al servizio della quale pose la sua vasta dot­ trina. il suo lucido ingegno e tutta la vivacità del suo stile.

L ’Autore traccia brevemente la storia del­ l’ individualismo indicandone la evoluzione, e quindi spiega con precise e chiare proposizioni la dot­ trina dell’ individualismo, specie in relazione alla vita moderna.

Entra poi ad esaminare il concetto della so­ vranità popolare e dimostra come essa non sia che una finzione se non è accompagnata dalla li­ bertà economica e se la strapotenza dello Stato im­ pedisce al popolo ogni propria iniziativa.

I) quarto libro è consacrato alla esposizione e critica, dei concetti socialisti, e dopo aver esami- mati i fattori del socialismo e dell’ individualismo, il sesto librò tratta della politica individualista, invocando la costituzione di una vasta Associa­ zione di individualisti che determini un preciso programma e lo imponga colla tenacia propria

dei convinti e colla attività che conduce alla vit­ toria.

Il libro si legge tutto d’ un fiato con grande interesse e nel dileguare del socialismo a cui P inerzia degli altri oppone così scarsi ostacoli, è una buona azione.

M ax im ilien M aye r. - Statistiche der Streiks uttd

A ussperrungen im In-und A usi and. — Leipzig,

Drucker et Humblot 1907, pag. 253 (M. 5.60). L ’Autore, rimanendo rigorosamente nel suo argomento — ed è già lodevole per questo —- non si occupa nè della teoria degli scioperi, nè della storia delle cause che li determinano, nè dei possibili rimedi, ma si limita soltanto a stu­ diare i diversi metodi statistici adottati dai di­ versi Stati, ed a considerare le risultanze delle statistiche stesse.

Dopo una brevissima introduzione colla quale rileva la importanza acquistata da questo nuovo fenomeno sociale, in una prima parte del suo lavoro espone e discute la esteuisone ed il me­ todo della statistica degli scioperi in Germania, Austria, Francia, Belgio, Italia, Inghilterra e negli Stati Uniti d’America.

E nella seconda parte, che occupa nove de­ cimi del volume esamina le statistiche stesse per ciascuno dei suindicati Stati e per i diversi pe­ riodi di tempo, dividendo, dove è possibile, gli scioperi industriali e- quelli agricoli e quelli determinati da serrate degli stabilimenti.

Per l’ Italia considera gli scioperi industriali dal 1870 al 1903, quelli agricoli, dal 1881 al 1903, e le serrate (A ussperrungen) dal 1878 al 1903.

Per ciascun paese l’Autore riporta le tavole statistiche s ii per il numero degli scioperi e delle serrate, sia per le cause che determinarono il fatto, per il genere di industria a cui apparte­ nevano gli stabilimenti relativi, sia per il numero degli scioperanti, sia infine per l’esito-che ebbero tali conflitti.

L ’Autore aggiunge le percentuali dei diversi gruppi, e 'qua e là fa qualche osservazione sem­ pre misurata.

Chiudono il volume due diagrammi che chia­ riscono il movimento di questi fenomeni sociali per i singoli Stati.

Il lavoro è diligente e condotto con rigoroso metodo scientifico; è forse una delle più complete I statistiche sulla materia.

E m ilio L e p e tit. - Partito economico. — Milano, Capriolo e Massimino. 1907 pag. 47.

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