L’ECONOMISTA
GAZZETTA SETTIMANALE
SCIENZA ECONOMICA. FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI P R IV A T I
Anno XXYI • Yol. XXX
Domenica 26 Febbraio 1899
L’ on. SONNINO E LA FINANZA
L’ altro giorno l’ on. Sonnino, nella discussione dei provvedimenti politici ha pronuncialo un discorso che fu ascoltato dalla Camera con molta attesone e che fu salutato da vivi applausi. Sui provvedimenti restrittivi della libertà proposti dal Governo, noi ab biamo già manifestata la nostra opinione : poco im porta disciplinare con leggi l’ esercizio del potere esecutivo, se Parlamento e paese accordano la sa natoria per ogni arbitrio. Dal punto di vista libe rale hanno errato quei cittadini che hanno usata la violenza, ma ha altrettanto errato il Governo che ha usato dell’ arbitrio. I cittadini furono severamente puniti, il Governo fu assolto ; tutti e due avevano infranto la legge.E, se non erriamo questo ci sembra in fondo il concetto dominante nel discorso dell’ on. Sonnino ; solamente siamo affatto opposti nelle conclusioni, perchè il deputato di San Casciano vuole armare il Governo di nuove leggi affinchè non abusi, — noi temiamo che I’ abuso sarà tanto più esteso ed in tenso, quanto maggiori saranno i poteri di cui il Governo sarà armato.
Ma non è dei soli provvedimenti politici che I’ on. Sonnino ha parlato ; volle concludere anzi il suo di scorso con una specie di intimazione, che rivolse al Presidente del Consiglio per quanto riguarda il pro gramma finanziario del Governo.
Riportiamo qui il testo di tale parte del discorso ; - dopo esposta la sua opinione sui provvedimenti politici, I’ on. Sonnino continua :
« Con ciò avrei finito il mio discorso, poiché delle singole disposizioni avremo agio di discutere in oc casione della seconda lettura. Ma prima di rinun ziare alla parola mi credo in dovere di rivolgere una franca dichiarazione all’on. Pelloux, riguardo ad alcuni lati del suo programma generale di governo.
« Una politica liberale e ordinata all’ interno va male d’ accordo con un indirizzo finanziario che pra ticamente conduce al dissesto del bilancio dello Stato e delle aziende locali, per debolezza di freno alla spesa e per mania di intempestive e perciò ruinöse proclamazioni di massime assolute.
« Vorrei che anche in questo campo il Governo si rendesse via via ragione delle necessità pratiche del momento, con lo stesso metodo positivo che ap plica alla legislazione di poli dea interna, rendendoci così possibile a noi di appoggiarlo durevolmente.
« Non mi curo di questioni di persone o di por tafogli ; non di accordi di gruppi, o di coalizioni di capi o di reclutamenti di gregari, non di altalene o
equilibri degli uni o degli altri maggiorenti parla mentari. Nelle condizioni attuali sono pronto a so stenere chiunque ci dia a un tempo affidamento: di una ordinata politica interna che s’ ispiri alla legge e questa rispetti e faccia rispettare gelosamente, a difesa delle nostre libere istituzioni : e di una pru dente politica finanziaria che ci aiuti a consolidare la posizione già presa, e non ci ripiombi nei gorghi perigliosi del disavanzo.
« 'S e della prima condizione che riguarda la po litica interna mi dà sufficiente affidamento l’on. Pel loux, sulla seconda debbo fare le più ampie riserve. « Non voglio oggi precorrere gli avvenimenti, ma chiedo al Governo f a i r p la y , giuoco schietto, alla luce del sole. Ci dica apertamente dove vuole an dare, non solo oggi, ma anche domani, se desidera che gli prestiamo un appoggio franco, disinteressato e leale ; al che siamo dispostissimi, quando si chia risca che la via che egli intende battere sia quella che la nostra coscienza ci addita come richiesta dai supremi interessi della patria ».
E molti applausi, molte congratulazioni furono rivolti all’ oratore ; e non saremmo noi pure parchi di elogi per questo efficace richiamo alla buona e sana finanza, se non ci sembrasse che il discorso dell’on. Sonnino poteva essere molto più concludente e più proficuo di buoni risultati se, invece di limi tarsi alla semplice demolizione dell’ indirizzo finan ziario del Governo, avesse, sia pure a grandi linee,
tracciato uu programma.
Ci si dirà che la discussione dei provvedimenti politici non era sede di esposizione di un programma finanziario, e non neghiamo che I’ osservazione sia giusta ; ma allora non vi era nemmeno nessuna connessione nel fatto che l’ on. Sonnino minacciava il Gabinetto di non approvare i provvedimenti po litici se non dava garanzie di mutare 1’ indirizzo finanziario. - Una volta entrato in questa via, po teva e doveva I’ on. Sonnino, che oggi rappresenta probabilmente il prossimo avvenire, esporre qualche linea generale dei suoi intendimenti.
130 L ’ E C O N O M I S T A 2 6 febbraio 1899 E tanto più pareva a noi che l’on. Sonnino do
vesse sentire la necessità di affermarsi su qualche idea generale, suscettibile di essere a suo tempo svolta in un programma finanziario, in quanto la sua prima entrata al potere non fu certo esempio di coerenza, nè di fermezza nei convincimenti. É se le circostanze eccezionali e la inesperienza possono presso molti essergli state di scusa nell* improvviso
révirem ent dei suoi principi, presso altri non sarebbe
stata discara una specie di garanzia morale che affidasse contro il timore che 1’ on. Sonnino in fatto di finanza si acconcia a qualunque programma.
La Commissione dei quindici ha troppo radical mente mutati i progetti del Governo per credere che la discussione possa essere sostenuta alla Camera senza modificazioni nel Ministero ; il fatto che il Ministro del Tesoro abbia in Senato combattuto l’ emendamento dell’ on. Ruspoli, mentre la stessa proposta presentata dallo stesso Ministro del Tesoro faceva parte di un progetto in esame presso la Com missione dei quindici, e della quale l’ on. Vacchelli si era certo dimenticato ; tutto questo lascia com prendere che il gabinetto è debole dal lato della finanza. A noi quindi sembrava opportuno che un uomo come 1’ on. Sonnino, che potrebbe entrare in una nuova combinazione, o potrebbe ispirarla od appoggiarla, avesse manifestato meno negativamente il suo pensiero, nel programma finanziario, special- mente nel dubbio che i provvedimenti finanziari del Ministero non possano fornire occasione di discus sione alla Camera.
Noi speriamo invano, a vero dire, che la bandiera delle riforme prudenti, ma sistematiche e profonde, possa essere spiegata, ma persistiamo a credere tut tavia che ci si aggirerà sempre in un circolo vizioso senza uscita ; le entrate non aumenteranno se non si riformerà il sistema tributario; i bisogni del bi lancio crescono continuamente ed i servizi soffrono dalle scarse dotazioni. Ma se alla riforma tributaria veramente alcuno dei più influenti parlamentari ri volgesse il pensiero, siamo sicuri che raccoglierebbe intorno a se una durevole maggioranza.
L’ISTITUTO ITALIA ! DI CREDITO FONDIARIO
Abbiamo promesso, nel numero del 29 gennaio ultimo scorso, di dare qualche notizia sul bilancio dell’Istituto Italiano di Credito fondiario ; I’ Assem blea che lo approvò ebbe luogo ieri e ci affrettiamo ad esporre qualche nota sull’esercizio 1898.
Per un Istituto fondiario la misura della rego larità del suo andamento è senza dubbio lo specchio delle semestralità che si maturano e di quelle che si riscuotono. Ora il Credito fondiario italiano ebbe una somma di semestralità da riscuotere al 1° gen naio ed al 1° luglio che si aggira negli ultimi anni da due a due e mezzo milioni. Su questa notevole cifra naturalmente si verificano arretrati di una certa importanza al momento stesso della scadenza, ma la somma di essi va poi mano mano assotiglian- dosi, sia per i pagamenti che i mutuatari compiono, con qualche ritardo, sia per i risultati degli atti giu diziari che contro i morosi vengono iniziati.
Ciò premesso non può che essere sodisfacente il sapere che le semestralità scadute avanti il primo
gennaio 1897 o non pagate a tutto 31 dicembre 1897 si limitarono alla piccola cifra di L. 670.14, che erano per L. 2,887.82 quelle scadute al primo gennaio 1897 e L. 23,418.57 quelle maturatesi il primo luglio dello stesso anno.
Nel totale adunque, alla fine dell’ anno 1897 1’ Istituto non aveva di semestralità arretrate che L. 26,976.53, cifra esigua certamente su un movi mento di mutui che, come si è già visto nella to talità dei sei anni e mezzo ha superati i sessanta milioni.
Nel 1898 le semestralità maturatesi furono al 1° g e n n a i o ... L. 2,252,933.21 al 1° l u g l i o ... » 2,343,605.03 Totale L. 4,596,538.24 Le riscossioni furono di . . . » 4,583,507.72 quindi per il 1898 da riscuotere L. 13,030.52 a cui aggiungendo le . . . . » 26,976.53 degli esercizi precedenti, si ha un’ar-
---retrato totale d i ... L. 40,007.05 Ed a dimostrare come questa cifra che rappre senta cosi piccola percentuale delle semestralità ma turatesi ora, vada già considerata come riscuoti- bile in gran parte, si noterà che ormai non esistono
a r r e tr a t i per le scadenze precedenti al 1 8 9 7 ; che
quelle sull’ esercizio 1897 si riducono a L. 3,704.02 quelle del 1° semestre 1898 ammont. a » 7,135.11 quelle del 2° » 1898 ammont. a » 29,167.92 Si può dire, quindi, che l’ Istituto è riuscito a ri scuotere in tre semestri tutte le sue semestralità pre cedenti, ed a rendere minime le cifre da riscuotere nei due semestri precedenti. Risultato questo vera mente notevole e che mostra la solida e vigilante organizzazione dell’Azienda. Non vi è da far voti su tale proposito, se non che il sistema abbia ad essere mantenuto e sempre coronato da così felici risultati.
Fra gli esiti dei mutui, alcuni - e va notato che sono pochissimi - richiesero gli atti concessi dalla legge per ottenere la aggiudicazione. Dal complesso di queste procedure si vede la sollecitudine dell’Isti tuto a garantire il proprio credito; il che, erronea mente, è giudicato come una severità eccessiva. La esperienza ha dimostrato che la indulgenza del cre ditore, il quale conceda remore nel pagamento delle semestralità, torna a danno così del mutuante come del mutuatario; del mutuante, che corre pericolo, dato l’ enorme costo delle nostre procedure giudi ziarie, di non essere più coperto dal prezzo di ven dita, se lascia accumulare sul credito molte seme stralità; - del mutuatario, che sarà tanto meno sal vabile dalla rovina, quanto più lascierà accrescere l’ onere che grava sul suo fondo.
Perciò è degno di nota vedere che dei mutui, per i quali l’ Istituto ha dovuto procedere, è già av venuta la espropriazione per quasi tutti, la vendita per molti, e per altri l’ Istituto divenuto proprietario ha già in tutto o in parte alienati i fondi.
Si può notare che in alcuni casi il prezzo di ag giudicazione non coprì intieramente il credito, ma, per quanto sia desiderabile che ciò non si verifichi mai, è da tener conto che quando il mutuo sia in
p ien o o quasi, cioè non siano state pagate semestra
26 febbraio 1899 L ’ E C O N O M I S T A 131 e la maggior parte dei mutui che diedero luogo a
procedimento soddisfecero il credito dell’ Istituto; in molti casi, in cui l’ Istituto rimase proprietario dei fondi, la successiva vendita diede un utile che ha potuto compensare le perdite di altri casi. Ad ogni modo l’ istituto ha fin qui adottato il sistema di met tere subito a perdita nel bilancio le differenze tra il credito ed il ricupero; sistema, certo, lodevole e pratico finché si tratti di piccole partite.
Il riassunto del bilancio dell’ Istituto Italiano di Credito fondiario può ridursi alla più semplice espres sione, così:
da una parte i mutui ipotecari che ammontano a 76.7 milioni e che coi titoli di proprietà, col con tante e colle attività diverse formano il totale di 82.4 milioni ;
dall’altra i debiti per cartelle di 56.1 milioni che colle altre passività danno un totale di poco meno di 40 milioni.
La differenza tra i due totali ammontando a 42.4 milioni è rappresentata per 40 milioni dal ca pitale e per 2 .4 milioni da riserve diverse.
E va notato il rapido incremento delle riserve diverse, tanto più importanti, in quanto è stato ac compagnato dal completo ammortamento delle spese
di impianto.
Il conto profitti e perdite porta le rendite a L. 3,690,174, mentre erano state 3,487,163.97 nel 1897 e le spese L. 1,770,629.67, mentre erano state L. 1,569,978.79 nell’ esercizio precedente. Così gli utili netti sono pel 1898 di L. 1,919,545.30 contro L. 1,917,185.18 dell’anno precedente. La ripartizione dei predetti utili netti fu fatta nel seguente modo;
1. ° Alla riserva statutaria il 5 per cento di L. 1,897,334.40 (cioè delle L. 1,919,545.30 diminuite del residuo utile del precedente
esercizio)...L. 94,866.72 2. ° Agli azionisti, in ragione di
L. 22.50 per azione, che saranno
pagabili a datare dal 1° marzo p. v. » 1,800,000.00 3. ° A conto nuovo . . . . » 24,678.58
L. 1,919,545.30
(.Ministero della G uerra)
La spesa ordinaria e straordinaria insieme del Ministero della guerra presenta le seguenti cifre : previsione 189 7 -9 8 . . . . L. 303,050,989.33 consuntivo » . . . . » 303,9 52,465.63
Maggiore spesa accertata . . L. 901,476.30 previsione 189 8 -9 9 . . . . L. 275,874,000.00 quindi una minor spesa di. . » 29,176,989.33 sulle previsioni 1897-98, e di » 30,078,465.63 sul consuntivo dello stesso anno.
Un breve sguardo alle diverse cifre ci porla a conoscere in quali voci il Ministro si proponga di fare così cospicua economia oltre i 13 milioni per le spese d’Africa che non figurano più nel bilancio della guerra.
Le spese generali del Ministero sono previste di circa 10 mila lire inferiori alle previsioni 1897-98, sebbene la economia di quell’ esercizio sia arrivata ad 88 mila lire; per contro il débito vitalizio che per 1’ anno precedente era stato previsto in 34 mi lioni ed invece richiese mezzo milione di più, è per l’esercizio in corso aumentato di altre 300 mila lire.
La economia notevole si riscontra nella voce:
spese p e r l'e s e r c ito ; il preventivo 1 8 9 7 -9 8 aveva
la cifra di L. 246,701,400.04 ma la spesa fu in quell’ esercizio di L. 247,126,539.51 con un aumento quindi di L. 425,139.47 ; le previsioni per l’ eser cizio in corso ammontano a L. 219,751,160 e quindi una economia di 27 milioni nel preventivo e di 26 V, nel consuntivo precedente.
Per quanto sia da tener conto che nel bilancio in corso mancano le spese per l’Africa in 13 milioni, la differenza è sempre notevole, onde è utile entrare in qualche particolare per vedere i maggiori muta menti di cifre per servizi che potrebbero sembrare ormai costanti ; notiamo, per non accumulare troppi numeri, solo le maggiori differenze.
1 co rp i d i fan teria richiesero una spesa di 68 milioni e mezzo nell’ esercizio precedente, mezzo mi lione meno del previsto ; - per I’ esercizio attuale si propone 64.7 milioni ; come si vede la differenza oltrepassa i 4 milioni ; - il capitolo arm i e servizi
d i artig lieria e genio, ebbe nel 1897-98 una spesa
di 24.6 milioni eguale a quella prevista ; il bilancio in corso limita la spesa a 25.1 milioni; una diffe renza di un milione e mezzo ; - quasi un milione di meno di quanto fu speso si stanzia per i c a r a
binieri reali, sebbene abbiano costato 303 mila lire
più del previsto ; - invece si aumentò da 2.7 a 4.7 milioni il capitolo del corpo e servizio san itario ; - le indennità di viaggio che preventivate in 4.6 mi lioni costarono 4.9 milioni sono ora preventivate per soli 3.3 milioni; - il capitolo vestiario e corredo
alle truppe che costò tutti i 21.8 milioni preventi
vati nel 1897-98, trova nel bilancio in corso uno stanziamento di soli 17.2 milioni; uno più di quat tro milioni e mezzo di minor spesa ; - invece la spesa per forag g i a i cavalli dell’ esercito salta da 14.7 a 16.6 milioni; - per il m ateriale e stabili
m enti d i a rtig lieria la spesa di 7.2 milioni è ri
dotta a 6.6 milioni.
La spesa straordinaria che nel bilancio precedente ammontava a 19.8 milioni tanto nel preventivo che nel consuntivo è ridotta a 16.8 milioni essendosi ridotta da 10.7 a 2.5 milioni la spesa per la fa b
bricazione d i fu c ili e moschetti ed aumentata da
6 a 12 milioni la spesa p e r fo r tifica z io n i ed opere
a d ifesa dello Stato.
Noi certo non ci lagnamo se si conseguono delle economie e meglio se cospicue nelle spese e specie in quelle militari, ma non crediamo inutile far se- j guire il breve sguardo al bilancio della guerra colle seguenti parole della Commissione parlamentare che
S
esaminò il bilancio stesso :« I continui passaggi di somme da un capitolo
132 L ’ E C O N O M I S T A 20 febbraio 1899 « d’una data arma, un distretto di reclutamento, la
« produzione di una fabbrica ecc, potrà essere forse « una conseguenza delle vigenti leggi sulla conta- « bilità dello Stalo, ma non risponde alle esigenze « pratiche del controllo parlamentare e noi facciamo « voti che questo sistema sia, per quanto è possibile, « migliorato ».
LA RIFORMA DEI TRIROTI LOCALI"
IX.Il potere fiscale dei Comuni e i suoi limiti.
La determinazione della estensione che ha da avere il potere locale di tassazione è di somma im portanza per la riforma tributaria dei comuni e delle provincie. Il prof. Conigliani ne ha fatto giusta mente oggetto di un largo esame, nel quale ha stu diato la funzione della legislazione nei riguardi del potere fiscale dei Comuni', le forme dell’ intervento legislativo nell’esercizio della tassazione locale e in fine i rapporti fra la tassazione ('elio Stato e quella dei Comuni. Sono tre argomenti che involgono questioni politico-giuridiche e questioni finanziarie di gran rilievo, ma nelle quali non possiamo seguire passo a passo il chiaro Autore, perchè dovremmo en trare in un campo di indagini che ci porterebbe troppo lontano e dovremmo mettere in discussione una serie di tesi che toccano a un tempo altre materie oltre quella più circoscritta della riforma dei tributi lo cali. Nondimeno, giova conoscere le conclusioni alle quali perviene il Conigliani, sia perchè esse si col legano con le sue altre proposte, che dovremo esa minare in segnilo, in ordine alla riforma delle leggi sui tributi locali, sia perchè ci danno modo di ac cennare almeno ad alcuni aspetti meno di frequente considerati del nostro tema.Il potere di tassazione è un essenziale corollario della sovranità politica e quindi compete per natura loro propria a tutti gli enti politici, alle associazioni coattive di diritto pubblico. Questo è il principio fondamentale; ma può essere cotale potere illimitato, autonomo, indipendente? Evidentemente, vi sono li miti imposti da supreme esigenze di pubblico inte resse, però il principio d’ordine generale è quello che il potere fiscale dei Comuni è di per sè a p r io r i indipendente e illimitato. Se cosi non fosse l’ente Comune mancherebbe del carattere sostanziale per potersi considerare un ente pubblico. Or bene, l’au tonomia tributaria locale dev’ essere mantenuta in modo che non sieno offese I’ uniformità e l’egua glianza della tassazione e non sia rotto l’ accordo fra i vari poteri locali. La tassazione non deve inol trarsi nel pratico funzionare dei sistemi tributari e lasciare invece che come mezzi ai fini assegnati alle attività locali gli istituti tributari siano liberamente sfruttati, quanto le esigenze dei servizi possono ri chiedere. Se, scrive il Conigliani (pag. 308), può farsi questione di un intervento della legge contro l’autonomia amministrativa perciò eh’ essa porti ad un eccesso di spese e quindi di gravami sui citta dini, non può invece porsi in alcun dubbio che il
rimedio a tali abusi deve ricercarsi altrove che non nella limitazione delle entrate finanziarie e nella so stituzione del potere centrale e governativo a deter minarne l’entità. Colle norme relative ai tributi lo cali deve la legislazione mirare soltanto che gli enti locali abbiano uno strumento intrinsecamente buono, di cui possono liberamente far uso in quella misura che è richiesta dalle funzioni, per voler proprio o delle leggi da quelli assunte ; che se invece, impo tente a frenar lo sviluppo dell’ attività loro e quindi delle spese locali, la legislazione si volge a regolare essa stessa l’uso di quegli strumenti fiscali e a li mitarne il grado di sfruttamento, essa si sostituisce alle amministrazioni locali, ne viola irreparabilmente l’autonomia tributaria, e perdo ne impedisce in modo meccanico e irrazionale la libertà interna di ammi nistrazione. Sicché egli crede di poter stabilire che « la legislazione regolante il sistema tributario lo cale, avendo carattere di jus eccezionale ( come quella che crea una serie di restrizioni al diritto fiscale che i corpi locali posseggono perchè enti politici) deve mantenersi nei limiti della sua fun zione p r o p r ia , dettar cioè soltanto norme che abbian contenuto giuridico e non anche compiere come fa invece per lo Stato funzioni im proprie, cioè fare atto di governo e assumere deliberazioni di interna amministrazione, relative all’uso maggiore o minore dei vari Istituti fiscali. » E ’ questo il limite, a suo credere, oltre il quale la legislazione giunge a vio lare l’autonomia dei corpi locali. E certo, quando si ammetta il principio del s e l f Government locale non è possibile andar o:tre quel limite. Ma in qual modo potrà esplicarsi cotesto intervento? Quale ira la tre forme d’ intervento ; le dotazioni, i lim iti quantita
tivi e le norm e qualitative sarà da preferire?
L’ istituto della dotazione rappresenta, secondo il Conigliani, la forma tipica con cui la legge viola l’autonomia finanziaria dei Comuni; in essa la legge mentre compie per lo Stato la sua naturale funzione impropria di distribuire le entrate di bilancio alle varie categorie delle spese e di determinare il grado di sfruttamento degli istituti fiscali dello Stato, compie anche un altra funzione impropria per ri guardo ai Comuni, in quanto assegna loro parte di quelle entrate dello Stato. Col rivolgere così un atto amministrativo o fiscale del potere centrale a van taggio dei Comuni, la legge si sostituisce alla libera volontà degli enti locali, specie se lo fa senza una ragione di ordine generale, ma solo per sovvenire ai bisogni finanziari degli enti locali. Ora a questi bijOgni sono appunto esclusivamente rivolti gli au tonomi poteri di amministrazione e di tassazione locale, e perciò è qui evidente come, senza la scu sante di un contenuto giuridico, la legge esorbiti dai suoi limiti naturali e porti offesa all’ autonomia di quei poteri.
Non vanno però confuse le dotazioni con le sov venzioni, perchè altro è soccorrere gli enti locali come vieti fatto con le sovvenzioni, non per bisogni generali finanziari, ma per l’ adempimento di una funzione speciale loro assegnata, e altra cosa è invece l’aiuto finanziario dello Stato non connesso alla na tura di alcune attività speciali degli enti locali. Co testo aiuto non è giustificabile che per quegli enti, che siano sprovvisti di originario, illimitato potere di tassazione e non quindi pei veri enti politici, pei Comuni.
26 febbraio 1899 L ’ E C O N O M I S T A 133 dendo una notevole estensione non avrebbero ragione
d’essere, se'fossero razionalmente distribuite le funzioni tra gli enti centrali e quelli loeali ; ma finché non si sia raggiunto questo ideale, le sovvenzioni possono trovare posto nell ordinamenlo finanziario, come ri conoscimento che in certe speciali attività degli enti locali esiste un interesse generale la cui soddisfa zione in teoria dovrebbe, ma in pratica non è rag giunta dell’ attività dello Stato e danno sanzione a questo riconoscimento col far sopportare allo Stato una parte del costo di quelle attività. Ciò si verifica di solito pei servizi della viabilità, del!a istruzione pubblica della pubblica sicurezza eoe. Invece le leggi concedenti le dotazioni sembrano compiere opera generosa di salvezza per gli enti locali, mentre in realtà e con la complicità di quelli ne contraddi cono il supremo interesse di un libero s e lf i/overnment. Le dotazioni possono consistere i i somme inscritte nel bilancio centrale, oppure in proventi di imposte erariali e di entrambe le specie si hanno esempi all’estero, e il Coniglieli crede che F esperienza degli adri Stati, specie dell’ Inghilterra, del Belgio, della Olanda e della Prussia, metta in luce come l’ isti tuto delle dotazioni non solo sia contrario alla fun zione giuridica della legislazione regolante le finanze locali ed esorbiti i giusti limiti dell’ intervento legisla tivo, ma anche per la sua stessa natura cagioni danni gravissimi allo spirito di indipendenza dell’ammini strazione locale; cosicché assai meglio giova portare arditamente la mano a riforme sostanziali del sistema tributario, che non seguir la via pericolosa di tali sussidi.
I limiti quantitativi delle imposte sono pure con trari al rispetto dell’ autonomia locale, ma gli effetti di un simile intervento sono differenti secondo i modi con cui la legge interviene, e questi modi possono essere quattro: sanzionando senz’ altro la riscossione di una data quantità d' imposta, senza facoltà agli enti locali di non farne uso ; concedendo la facoltà di usare o no di una data imposta con un dato saggio determinalo; stabilendo per una data imposta un massimo di saggio che in nessun caso possa essere superato; infine, stabilendo per una data imposta un massimo che possa essere superato soltanto dietro consenso d> I potere legislativo od esecutivo centrale o tutorio. Nella pratica questi limiti quantitativi sono stati adottati, più che per impedire gli eccessi della tassazione locale, per vietare agli enti locali di sfruttare troppo il campo della tassazione che esse hanno necessariamente comune con lo Stato : per difendere il diritto fiscale di questo, nota con ragione il Co- nigliani, si limita l’ analogo diritto degli enti locali e di fronte alle necessità crescenti di risorse finan ziarie, cosi per lo Stato come per gli enti locali, si risolve il conflitto a favore dello Stato, sacrificando l’autonomia tributaria dei Comuni.
Ma il risultalo di queste limitazioni è il più spesso derisorio le spese crescono egualmente e gli enti locali che si trovano nella impossibilità di fronteg giare quell’aumento di spese con certe imposte, sono portati ad abusare di altre forme di tassazione, che per la natura loro intrinseca e per il difetto della loro ingiustizia dovevano conservare invece una fun zione secondaria e quindi raggiungere uno sviluppo assai minore. Se i limili quantitativi si applicano a tutte le imposte è troncato ogni possibile sviluppo delle attività locali ; se sono parziali creano uno spostamento vizioso in tutta la tassazione locale e
deturpano con gravi ingiustizie la distribuzione del carico locale. In un solo caso, crede il nostro Autore, che i limili quantitativi siano ammissibili ed è quello delle imposte indirette sui consumi generali o ne cessari. « Queste, a qualunque punto sia portato lo sfruttamento delle imposte principali, non possono per I’ odiosità loro, per la debolezza economica delle classi che esse prevalentemente colpiscono, esser por tate oltre un certo limile. Dato che si voglia rico noscere loro una giusta funzione complementare, in quanto assoggettano a carichi tributari, redditi mi nimi esentati dalle imposte dirette è certo che que sta stessa loro funzione si perverte in un diletto gravissimo del sistema tributario, se esse siano spinte oltre un certo limite; la giustizia di quella funzione sparisce allora, e quindi la legislazione che inter viene a por limiti quantitativi può dirsi abbia in questo caso un fondamento non solo giusto, ma es senzialmente giuridico, in quanto da un principio di equità sociale trae occasione per intervenire a restringere il diritto fiscale degli enti locali ».
La eccezione è indubbiampnte giustificata e il fa ito che le legislazioni tributarie moderne I’ hanno unanimemente acci) ta sta a dimostrarne la ragione volezza. Tuttavia, la eccezione accennata può anche non esser la sola, pel fatto che se lo Stato accorda agli enti locali la facoltà di valersi dell’ ordinamento di una imposta erariale per ottenere una entrata da rivolgere a scopi locali, può bene esigere che non ne sia fatto abuso, procurando cosi un danno fiscale anche allo Stato. A questo riguardo 1’ opinione del Conigliani ci pare troppo assoluta.
Quanto alle norme qualitative, poiché si tratta ut vedere quale libertà di scelta hanno da avere gh enti locali in fatto di tributi, occorre trattarne più a lungo.
L ’INCHIESTA FER R O V IA R IA
Pubblichiamo qui sotto le conclusioni delia Com missione d'inchiesta sul servizio ferroviario e riman diamo ad altro numero i commenti, parendoci che i
desiderata della Commissione sieno di una gravità
ed importanza tale da meritare la maggiore ponde razione.
Certo è che non si può a meno di supporre, per quanto sia grande la considerazione che meritano il relatore e tutti i membri della Giunta, che abbia aleggiato in seno di essa un preconcetto ; quello di dare” una spinta notevole a quell’ esercizio di Stato, | a cui, per motivi diversi, molti vagheggiano. Se ciò
134 L ’ E C O N O M I S T A 26 febbraio 1899 la applicazione delle conclusioni della Commissione
tendono all’esercizio di Stato, nel qual caso, non sa ranno più le Società, ma lo Stato che dovrà adempiere gli obblighi che si vogliono addossare alle Società, nel momento in cui si avvicina la scadenza del contratto.
Comunque, non è questo il momento di discor rere delle conclusioni della Commissione d’ inchie sta ; avremo tempo di esaminarle e di esporre su esse con tutta franchezza il nostro parere.
Ecco intanto le notizie pubblicate dai giornali : Sono stati distribuiti quattro volumi dell’inchiesta ferroviaria. Il primo contiene la relazione, gli altri tre contengono gli allegati.
Le conclusioni della Commissione furono conden sate nelle proposte, che più sotto riproduciamo.
Il governo comunicherà gli Atti dell’Inchiesta alle Società, perchè possano presentare le loro osserva zioni e poi prenderà i provvedimenti che riterrà op portuni per la esatta applicazione dei capitolati e pel miglior andamento dei servizi.
Intanto alla maggior sorveglianza del servizio, l’on. Lacava ha già provveduto colla istituzione del l’ ispettorato generale per l’esercizio.
Le conclusioni della Commissione son queste: 1. “ — Le Società Mediterranea, Adriatica e S i- cula presentino al ministero dei LL. PP. in princi pio di ogni anno, il quadro nominativo del perso nale stipendiato e salariato, come è prescritto dal - l’art. 38 del Reg. 31 ott. 1873 pel sindacato e la sorveglianza governativa dell’ esercizio delle strade ferrate.
2. * — Gli impiegati straordinari licenziati, che ab biano prestato lodevole servizio nelle costruzioni e negli studi per le strade affidate alle Società eser centi le reti Mediterranea, Adriatica e Sicula, e non possano essere assunti nel personale dell’ esercizio, siano dal governo tenuti presenti per essere ceduti a quelle delle dette Società, con cui stipulasse nuove convenzioni per studi e costruzioni di strade ferrate.
3. “ — Ciascuno delle tre Società presenti al Go verno, entro il primo quadrimestre del 1899, il ruolo organico e il ruolo di anzianità del personale ; e il Governo constati se il ruolo organico sia conforme alle prescrizioni del capitolato, dopo di che il ruolo stesso sia recato a cognizione del personale, per cura delle Società o, in mancanza, dei Governo.
4. “ — Il Governo esamini se le retribuzioni ac cessorie siano state stabilite nel modo richieste dal - Pari. 103 (9 0 per la Sicula) dei capitalati d'esercizio prescrivendo che quelle costituenti parte integrante dello stipendio siano regolate secondo il trattamento più favorevole delle passato amministrazioni, salvo, ove, d’uopo, la concessione di assegni a d p erson am .
5. a — Quanto all’ imposta di ricchezza mobile, sia ripristinata la ritenuta di favore sugli stipendi e paghe del personale proveniente dalle strade ferrate Romane e dell’Alta Italia.
6. “ — Il Governo esamini i regolamenti del per sonale per constatare, se in essi siano rispettati i patti del capitolato d’ esercizio per ciò che riguarda gli avanzamenti, le sorpensioni e le dispense dal servizio. Nella parte concernente le pene disciplinari. il Governo curi che, per quante è possibile, i re- j golamenti delle tre Società contengano disposizioni uniformi.
7. a — Il Governo obblighi le Società a premiere senza indugio i provvedimenti necessari, giusta l’ar- |
ticolo 33 (31 per la Sicula) dei capitolati d’eserci zio, per porre le Gasse pensioni e di mutuo soc corso in grado di corrispondere agli scopi pei quali sono istituite.
8. a — Il Governo istituisca Commissioni perma nenti di funzionari, con incarico di accertare se il personale di ciascuna della tre Società e più spe cialmente quello per la custodia e conservazione della via e pel servizio delle stazioni, segnali, sviatoi, macchine e treni, sia numericamente sudi 'dente per la sicurezza e regolarità dell’ esercizio delle strade ferrate, prendendo senza indugio gli opportuni prov vedimenti e ricorrendo, se ne sia il caso, alle inti mazioni prescritte dall’ art. 39 del Regolamento ap provato con R. D. 31 ottobre 1873.
9 . “ — L’ idoneità del personale sia accertata dalle Società, secondo norme e garanzie da prescriversi dal governo con disposizioni di regolamento in so stituzione di quelle ora vigenti.
1 0 . a — Il governo curi di modificare l’ art. 16 del regolamento di polizia ferroviaria, determinando precisamente le ore di riposo continuato, che deb bono essere non meno di sette, e aggiungendovi tutte le prescrizioni necessarie perchè la disposizione non possa in nessun caso essere elusa; al quale scopo potrà giovarsi delle leggi e regolamenti di altri Stati.
11. a — Il governo sorvegli l’ applicazione del - I’ ordinamento della cointeressenza nelle stazioni per accertare, nei rispetti del pubblico servizio, che non sono violate le disposizioni riguardanti la sufficienza numerica, l’ idoneità e il riposo continuato del per sonale.
12. a — Il governo provveda a riformare senza indugio l’organismo amministrativo della sorveglianza e del sindacato sull’ esercizio delle strade ferrate, in modo che divenga efficace a conseguire i fini di sua istituzione.
Lo sciopero nei servizi pubblici
Le proposte per modificazioni alla legge di pub blica sicurezza contengono una disposizione che ri guarda lo sciopero nei servizi pubblici. È questione assai complessa e delicata, dovendosi, da un lato, aver cura di rispettare la libertà del lavoro e dall’ altro assicurare, per quanto è possibile, il regolare fun zionamento di certi servizi pubblici. L ’ argomento merita tutta l’attenzione degli economisti, sopratutto ora che anche in Italia si crede con una disposi zione legislativa di carattere punitivo, di risolvere esplicitamente la questione. E poiché è bene cono scere le idee di chi si è occupato con serietà di studi e con intenti liberali della materia in discorso, riferiamo anzitutto un articolo del prof. Jannaccone apparso sulla S tam p a di Torino, riservandoci di tor nare sull’argomento nel prossimo numero.26 febbraio 1899 L ’ E C O N O M I S T A 135
« mezzo di privati assuntori) che in numero di tre « o più, e previo concerto, abbandonino il proprio « ufficio ed incarico, od omettano di adempierne ido- « veri in modo da impedire o turbare il regolare « andamento del pubblico servizio, saranno puniti, « qualora il fatto non costituisca reato più grave, con « l’arresto fino ad un anno, oltre le pene portate dal- « l’articolo 181 del Codice penale quando si tratti « di ufficiali pubblici. I promotori o capi saranno « puniti coll’arresto da uno a due anni. »
Che lo sciopero nei pubblici servizi, pel grande turbamento che può apportare nella vita della nazione intera o di una regione o di una città; pei pericoli alla proprietà e alla vita dei cittadini che talvolta può far sorgere, pel suo carattere di lesione non di soli interessi privati ma d’un interesse generale, debba esser trattato diversamente dallo sciopero nelle intra prese private, è cosa affatto ragionevole.
Si pensi che cosa significherebbe un improvviso sciopero generale di ferrovieri, il quale paralizzerebbe il movimento economico di tutta la nazione; uno scio pero degli alle poste ed ai telegrafi, che troncherebbe ogni comunicazione; uno degli operai delle officine del gas o della luce elettrica, che lascierebbe nelle tenebre case e città. Il carattere necessariamente mo nopolistico che in generale hanno quelle industrie che ora si vanno raccogliendo sotto la denominazione comune di « servizi pubblici », fa sì che gli effetti dannosi pei consumatori, che uno sciopero adduce, non possano esser tali casi corretti dalla concorrenza, tanto più che si tratta non di vere e proprie indu strie in senso stretto, le quali danno origine a pro dotti accumulabili, ma di servizi che sono consumati nell’atto stesso, o almeno nella misura in cui sono prodotti. Di guisa che, sospeso per qualsiasi ragione l’esercizio di uno di essi, il consumatore non ha più modo di provvedere al suo bisogno, nè rivolgendosi ad altri produttori nè, come in altri casi, consumando, per quanto dura, la provvista di prodotti che può ancora trovarsi sul mercato. Per tali ragioni, ed anche pei pericoli alla proprietà ed alla incolumità pubblica che potrebbero derivare dall’abbandono generale ed improvviso di treni, di gazometri, di merci e di va lori affidati alle ferrovie ed alle poste, gli scrittori che con maggiore competenza si sono occupati dei rapporti fra operai ed intraprenditori hanno rico nosciuto che in tali casi lo sciopero è passibile di sanzione penale e non di semplice sanzione civile, e legislazioni fra le più avanzate h nno dettato prov vedimenti in proposito.
Ma l’articolo di legge proposto ora all’approva zione del Parlamento Italiano manca di tutti i r e quisiti che una disposizione legislativa sull’argomento dovrebbe avere : legge d’occasione, diretta, nono stante l’apparente larghezza della dicitura, contro una sola classe di persone, i ferrovieri, essa contrad dice ai principii di diritto già accolti nel nostro co dice, viola la libertà di lavoro e non ripara che in esigua misura ai mali cui vorrebbe ovviare.
Mentre il Codice penale ha disposizioni che si ri feriscono agli scioperi (articoli 165 67), quest’articolo che pure agli scioperi si riferisce, è introdotto, con quanto spirito di coordinamento si vede, nella legge di pubblica sicurezza. E questa lontananza è un bene pel sentimento giuridico di coloro che debbono stu diare od applicare la legge, perchè la nuova dispo sizione fa a pugni coi principii ai quali quelle già esistenti sono ispirate. Lo sciopero non è di per sè
un delitto; il vecchio concetto per cui la coalizione degli operai e la desistenza dal lavoro per ottenere safari più alti o patti migliori erano considerate azioni criminose, residuo dell’ordinamento servile, o quasi servile del lavoro, fu abbandonato primissimamente dal Codice penale toscano del 1853 e quindi via via dai codici di tutte le nazioni civili, i quali ora non puniscono l’abbandono del lavoro previo con certo, ma soltanto le violenze materiali o morali che si per commettano costringere altri a cessare o sospen dere il lavoro. Così pure il nostro codice del 1890 a modificazione di quanto disponeva quello del 1859.
L’ operaio non ha il dovere di lavorare sempre e comunque, ma ha la facoltà, come ogni altro cit tadino, di impegnare la propria attività a certe de terminate condizioni, e, come ogni altro cittadino ha il diritto di provvedere, da solo o in unione di co loro che hanno gli stessi interessi, a che queste con dizioni siano le migliori possibili. Quand’ egli, per continuare a lavorare, chiede 6 invece di 5, e nega il suo lavoro se non 1’ ottiene, non si comporta al trimenti d’ uno che mercanteggia la propria merce e si rifiuta dì venderla se il prezzo che gli si offre è inferiore a quello ch’ egli domanda e a cui crede
di potere lasciarla.
Sennonché, nell’ impegnare quest’ attività, nello stabilire queste condizioni, interviene fra gli operai e l’ imprenditore, sia questo un privato singolo, una Società oppure lo Stato, un contratto, il quale, come ogni altro contratto, deve essere eseguito dalle parti in tutte le sue disposizioni e per tutto il tempo sti pulato. Di guisa che lo sciopero diventa una vio lazione giuridica, e quindi induce in chi lo com mette una responsabilità civile o penale soltanto quando il contratto è ancora pendente e l’altra parte vi ha dato e vi dà esecuzione nei modi pattuiti. Ma quando lo sciopero viene intimato pel tempo in cui i singoli contratti avranno termine, secondo i patti stipulati o gli usi particolari vigenti o i principii di diritto applicabili in difetto di quelli e di questi, al lora esso altro non è se non una generale ma legale risoluzione dei contratti, alla quale non è possibile opporsi senza offendere l’uguaglianza e la libertà dei cittadini, senza ledere quello stesso principio di li bertà di coalizione che il legislatore ha accolto nel formulare gli articoli 165, 167 del Codice penale.
136 L ’ E C O N O M I S T A 26 febbraio 1899 obbligato ed a condizioni che più non gli garbano.
E nel primo caso la responsabilità è puramente civile in rapporto alle due parti contraenti, ma può, per ragioni di pubblico interesse, essere accompagnata da una responsabilità penale quando dalla violazione intempestiva d’un rapporto privato, sul cui mante nimento si calcola pel regolare svolgimento dell’at tività pubblica o per la conservazione della pubblica salute, incolumità, ecc.; può risultare un danno alla generalità dei cittadini. L’unica differenza di tratta mento fra uno sciopero in un’ industria privata ed uno sciopero in uu servizio pubblico non può essere che quella di assegnare all’uno la sola sanzione ci vile ed all’altro la sanzione civile, più una sanzione penale nel caso di violazione del contratto, ma non di punire, nel secondo caso, lo sciopero, quando non esiste violazione di contratto, quando, cioè, l’indivi duo, da solo o di concerto con altri, fa a tutela del proprio interesse un’azione che gli è consentita dalla ragione giuridica e dallo stesso diritto positivo vi gente.
Il nostro legislatore, se avesse voluto provvedere con giuste ed adeguate disposizioni al pericolo che scioperi improvvisi ed intempestivi nei servizi pub blici turbino il regolare andamento di questi e con esso Jo svolgimento normale della vita nazionale o cittadina, avrebbe dovuto prendere esempio da un articolo della legge inglese sulle coalizioni e la pro tezione della proprietà, il quale stabisce, correggendo la larghezza delle leggi in materia di sciopero, che « chiunque intenzionalmente e maliziosamente rompe « un contratto di servizio o di locazione d’opera,
« conoscendo od avendo ragionevole motivo di ere
« dere che le probabili conseguenze del suo ope ri rare in tal modo, da solo o di concerto con altri « sarebbero state il mettere in pericolo vite umane « o cagionare gravi lesioni personali od esporre « proprietà sia reale che personale alla distruzione « od a grave danneggiamento, è punito con una
« multa non eccedente venti sterline o coll’ arresto « non eccedente tre mesi con o senza lavoro duro. »
Allargando questa formola ed adattandola alle con dizioni nostre, il legislatore italiano avrebbe potuto comminare pene a tutti coloro che, violando i con tratti di locazione d’opera a cui son tenuti, turbino il regolare andamento di qualche pubblico servizio; ed in tal modo egli avrebbe davvero provveduto ad impedire le improvvise sospensioni del lavoro là dove la lesione all’interesse pubblico non è in altro modo riparabile, senza però contraddire ai principii già sanciti da un libro fondamentale del nostro di ritto e senza violare la libertà di una numerosa classe di cittadini.
Poiché bisogna porre ben mente a tutte le con seguenze dell’articolo del progetto di legge. Legge d’occasione, ripetiamo, fu ispirata dal ricordo del timore d’uno sciopero generale di ferrovieri minac cialo durante i moti di maggio. Ma forse che i fer rovieri si dovranno sempre muovere per ragioni d’indole politica? E se un giorno qualche categoria di essi reputasse opportuno di chiedere un aumento di salari o qualche mutamento nelle eond zioni di lavoro, dovrebb’esser loro negato quello che a tutti gii altri è concesso, il concertarsi e il sospendere il lavoro, compiuti gli obblighi pendenti? Può una categoria di cittadini esser costretta al lavoro per forza, per sempre ed a qualunque condizione?
L’articolo, dunquo, qual è proposto dal Ministero,
viola il diritto di coalizione e la libertà di lavoro, e indirettamente il principio della limitazione di tempo nelle obbligazioni che hanno per oggetto l'o pera ddl’uomo; e li viola, quel che è peggio, per una sola classe di cittadini, mentre i servizi pub blici avrebbero ragione di esser giustamente tutelati comunque e da chiunque siano esercitati. E questa contraddizione coi principii fondamentali del nostro diritto è riconfermata dal richiamo stesso all’articolo 181 del codice penale. Dice il progetto che alle pene comminate possono aggiungersi juelle portate dall’art. 181, quando si tratti di ufficiali pubblici.
Ma si legga l’articolo 181 : « 1 pubblici ufficiali, che, in numero di tre o più e previo concerto, ab bandonano indebitarne "te il proprio ufficio, sono puniti », ecc. Si riconosce dunque nel Codice pe nale che il proprio ufficio si può abbandonare anche debitamente, e cioè nel tempo e net modi dovuti e per tal caso, com’è ragionevole, non si comminano pene. Nel progetto ministeriale, invece, che si rife risce ad impiegati, agenti ed operai, \'indebitamente è lasciato nella penna. E perchè riconoscere il di ritto per una categoria di cittadi i e violarlo per un’altra? Nè si può dire che l’indebitam ente è stato ommesso come inutile, essendo ovvio che una azione debita non può esser mai passibile di pena.
Tutti coloro che sanno con che ristrettezza lette rale generalmente s’interpretino presso di noi le leggi, specialmente in materia penale, in cui non è con sentita l’estensione analogica, si accorgeranno a prima vista che I’ indebitamente omesso in una e scritto in un’ altra di due disposizioni di legge connesse, servirà al giudice per stabilire che la figura di reato descritta dal capo VI bU della legge di pubblica si curezza è diversa da quella descritta dall’art. 181 Codice penale. Dimodoché, mentre nell’art. 181 Co dice penale le cirostaze del previo concerto e del numero di tre o più non trasformano in delitto l’ab bandono dell’ufficio, se questo già di per sè non è indebito, nella disposizione proposta sugli scioperi nei servizi pubblici quelle due circostanze bastano a dar figura di delitto anche ad un’azione legittima quale la sospensione del lavoro senza violazione dei contratti in corso, con manifesta contraddizione ai principii accolti nel diritto nostro ed in quello di tutte le nazioni civili. »
Rivista Bibliografica
N. Colajanni. — L'Italia nel 1898 (Tumulti e reazione).
— Milano, Società Editrice lombarda, 1899, pag. 289 (lire 3).
I. Scarabelli. — Vi è pace senza giustizia f — Ferrara,
Tip. Sociale, 1899, pag. 320 (lire 2.50).
26 febbraio 1899 L ’ E C O N O M I S T A 137 È cerio pure che occorre richiamare' con insistenza
1’ attenzione degli italiani su quei fatti, mostrar loro i doveri che lia essi scaturiscono, in ¡specie per le classi più istruite e più o meno dirigenti, battere con insistenza il chiodo della urgente necessità di guardare in faccia ai doveri dello Slato in materia di riforma economica, tributaria, amministrativa, di condotta morale e politica e indurli a far un esame di coscienza, al quale sono troppo spesso riluttanti.
Il Colajanni ha opinioni politiche e sociali che non dividiamo, ma ciò non ci deve, nè ci può impedire di riconoscere che il suo libro contiene alcuni ca pitoli ai quali, pur troppo, quando non si voglia ne gare la luce della verità, bisogna pur sottoscrivere. Egli crede che * siamo in ritardo » e indubbia mente, come più volle si è dimostrato in queste pagine, in molte cose e sotto parecchi aspetti l’ Italia è rimasta indietro nella sua evoluzione rispetto ad alcuni paesi, come l’ Inghilterra, la Francia ecc. La coscienza nazionale non è ancora così sviluppata da imporre alla maggioranza degli italiani il sentimento dei loro doveri verso la patria comune e così la vita politica e sociale, le istituzioni e gli ordina menti amministrativi e tributari peccano in molte parti e i mali ai quali bisognerebbe provvedere non sono curati o non con metodi idonei.
Lasciando da parte i capitoli che trattano della sommossa a Milano, dell’ opera della reazione, della giustizia militare, e della condanna delle idee, argo menti svolti dall’Autore con molta cura, ma sui quali è ancora difficile di formarsi un giudizio in tutto esatto e completo, di molto interesse ci pare ciò che scrive il Colajanni sulle cause economiche dei tumulti, sulle cause politiche e morali, su Milano la capitale morale e sulla condiziono politica del nostro paese in fatto di libertà rispetto agli altri Stali. Di Milano l'Autore scrive con cognizione di causa, ma dalle proprie simpatie politiche è indotto forse a esagerare la importanza di certe manifestazioni. Questo diciamo perchè conosciamo l’ambiente lombardo e non cre diamo che certe opposizioni politiche siano vera mente radicate. Ciò eoe vi domina è la corrente del malcontento per la tolleranza che si è avuta a fa vore di uomini politici screditati e per le molte colpe governative degli ultimi tre lustri. Comunque sia di ciò, il libro del Colajanni dovrebbe essere letto dagli italiani, troppo facili a dimenticare la storia re cente e se qualche pagina o qualche opinione di quest’ opera non li avrà consenzienti, e potrà anche urtarli, essi avranno però il vantaggio di conoscere le idee di un valente scrittore intorno a fatti che vanno esaminati sotto ogni aspetto.
— Il prof. Soarabelli ha scritto un libro che ci ri corda piuttosto quello da lui pubblicato qualche anno fa solle Cause d i g u erra in E u ro p a e rim ed i, an ziché -i suoi due volumi più recen;t sul Socialism o. Egli esamina dapprima la giustizia nei rapporti fra le classi sociali e poscia la giustizia nei rapporti in ternazionali. In questa seconda parte le caratteristiche, le conseguenze e le condizioni presenti della guerra sono esposte in forma facile e chiara e così pure sono studiate le cause che favoriscono t quelle che pos- son impedire le guerre. Nella prima parte l’Autore esordisce con un capitolo che a qualche giornale socialista non piacque, perchè vi è dimostrato che è giusta la proprietà privala dei frutti del lavoro, ed egli seguita trattando della eguaglianza della legge, delle ingiustizie che derivano dall’ assetto economico so
ciale odierno, delle persecuzioni e dei loro effetti e della necessità delle riforme per evitare la guerra civile.
Molti argomenti, forse troppi, sono accennati e svolti in questo volumetto, ma l’Autore sa rendere attraente e interessante la sua trattazione, senza perdere mai di vista il soggetto che vuol trattare e si fa leggere volentieri.
Emile Waxweller. — Ha p a rticip a tio n a u x bénéjices
Contribution à Vétude des m odes de rem uneration d a tra v ail. — l ’aria, A Rousseau, 1898, pag. 320. Al concorso bandito dal Museo Sociale di Parigi quest’ opera ha ottenuto il primo premio ed è in dubbiamente una delle migliori che sian state pub blicale sull’argomento. L'Autore esamina la parteci pazione agli utili dal punio di vista dei fatti, da quello della scienza economica e da quello del di ritto. La partecipazione agli utili, scrive il Waxwei- ler, rappresentata dai padroni come una liberalità, dagli operai come una restituzione e dagli idealisti come una associazione, non è altro che un modo di rimunerazione del lavoro. Come tale essa non co stituisce nel dominio economico una istituzione di eccez'one ; essa accentua semplicemente con mag giore evidenza la tendenza evolutiva dei modi di rimunerazione del lavoro, che spinge, conformemente alla natura delle cose, il capitale a riconoscere nel lavoro la personalità del lavoratore e a fargli divi dere le sorti dell’ impresa comune. Come tale ancora essa appare sotto una forma che senza trovarsi su scettibile di applicazione generale, nè arbitraria, deve essere considerata, dal punto di vista teorico, come economicamente, moralmente e socialmente superiore ai sistemi di rimunerazione lino ad oggi conosciuti. Economicamente, perchè da una parte potendo com pletare ciascuno di questi modi di retribuzione essa aggiunge ai loro propri vantaggi quello di riunire tutti gli elementi della produttività del lavoro e d’altra parte fra i vari metodi che mirano a inte ressare il salariato ai risultati commerciali delle imprese contribuisce più d' ogni altra al migliora mento della sua prestazione di lavoro; moralmente perchè essa libera la responsabilità dell’ operaio e afferma la sua dignità d’ uomo; finalmente perchè essa esercita la funzione conciliatrice di avvicinare i compartecipanti delle ricchezze prodotte.
Questa citazione dimostra che l’Autore è favore vole alla partecipazione al profitto; tuttavia egli non trascura le obbiezioni, non tace le difficoltà pratiche, così che il suo hbro è veramente completo. In ap pendice sono raccolti molli documenti e dati con cernenti I’ argomento svolto nel librò, che non può non interessare gli studiosi delle questioni operaie.
Rivista Economica
/ / com m ercio d e lla G erm a n ia e d e ll'In g h ilt e r r a — T a r i f f a p e r zone in P r u s s ia .
138 L ’ E C O N O M I S T A 26 febbraio 1899 precedente. Così i lettori potranno vedere il pro
gressivo incremento nelle industrie e nel commercio di quel paese.
Importazioni
Anno Quantità Valore
1 8 9 5 . ... tonn. 32,536,000 marchi 4,120,700,000 1 8 9 6 . .. . 36,409,000 » 4,307,200,000 1 8 9 7 ... » 40,161,000 » 4,680,700,000 1 8 9 8 ... » 42,718,000 » 5,118,500,000 Esportazioni 1 8 9 5 .... tonn. 23,830,000 marchi 3,317,900,000 1 8 9 6 ... 25,718,000 » 3,525,100,000 1 8 9 7 . ... » 28,019,000 » 3,635,000,000 1 8 9 8 .. . » 30,086,000 » 3,746,600,000 L ’ 80 per cento dell’importazione consiste in so stanze alimentari e materie prime, che servono per scopi industriali, sicché una grande parte viene espor tata come manufatti. Ciò è dimostrato dalle seguenti cifre:
A nno 1897 — Valore in marchi
Importazione Esportazione
mat. prime manufatti mat. prime manufatti
2,100,000,000 966,000,000 815,000,000 2,304,000,000
L ’ attività industriale della Germania è di pari passo la potenzialità del consumo si sono sviluppate in guisa che l’ importazione delle materie prime nel 1897 è aumentata di 300 milioni di marchi snlla media degli ultimi dieci anni, mentre l’ esportazione dei manufatti è aumentata di 200 milioni, ad onta che i prezzi, causa la viva concorrenza sul mercato mondiale, tendano sempre più a ribassare.
Come si vede, il movimento economico della Ger mania non potrebbe essere più lusinghiero.
Invece per l’ Inghilterra si nota, se non la deca denza, un certo ristagno del commercio coll’ estero. Si vuole attribuire questo fatto alla concorrenza che fa l’ industria tedesca all’ inglese sui mercati meridionali ed è certo che la crescente espansione commerciale della Germania esercita una influenza ma noi crediamo che nel ristagno del commercio inglese abbia buona parte specialmente lo sviluppo dell’ industria nell'America del nord - specie dopo la politica protettiva Kinley, Dingley e C. - che costituiva uno dei migliori mercati per l’ Inghilterra.
Vediamo, ad ogni modo, le cifre, che sono le più istruttive: Eccedenza Importa«. 1888. Milioni di sterlino 324 1 8 8 9 . » 361 189 0 . » 356 1891. » 373 189 2 . » 360 1893. » 346 189 4 . » 350 1895. » 357 1 8 9 6 . » 386 1897. » 391 1898. » 410
Come si
è
detto, è dalEsportaz. dell’ importazione
— sull’ esportaz. 2 3 5 8 9 2 4 9 1 1 2 2 6 3 9 3 2 4 7 1 2 6 2 2 7 1 3 3 2 1 8 1 2 8 2 1 6 1 3 4 2 2 6 13 1 2 4 0 1 4 6 2 3 4 1 5 7 2 3 3 1 7 7 che le eccedenze delle importazioni hanno preso una importanza sem pre crescente, in dieci anni sono aumentate del 100 per ceuto.
L ’E con om ist di Londra scrive che non bisogna
esagerare il significato della bilancia commerciale
di un paese come l’ Inghilterra, poiché le condizioni del suo commercio rendono inevitabile una ecce denza delle importazioni. Ma questa eccedenza non può aumentare indefinitivamente, senza che nasca il sospetto che il paese vive sul suo capitale.
Secondo i calcoli de\\' E conom ist, l’ammontare del capitale inglese collocato all’ estero nel 1882 ascen deva a 1,500,000,000 di sterline; calcolando che l’ aumento medio annuale sia stato di 50 milioni, si può valutare oggi a circa 2 miliardi di sterline.
L’ interesse di questo capitale al 4 1/2 per cento rappresenta 90 milioni di sterline, che pagandosi sotto forma di importazioni, rappresenta una somma equivalente nella eccedenza delle importazioni sulle esportazioni.
Vi è un altro capitolo : quello delle esportazion i
invisibili cioè dei noli e benefici della navigazione.
Esso è valutato a 90 milioni. Un altro capitolo rappresenta il valore dello navi inglesi, vecchie o di nuova costruzione, vendute all’ estero e che si calcola in media a 7 milioni di sterline per anno.
Le esportazioni invisibili si decomporrebbero, quindi, così:
Interesse dei titoli collocati all’ estero L . st. 90,000,000 Noli e beneficio della navigazione. . . » 90,500,000 Vendita di n a v i ... » 7,000,000
Totale L. st. 187,000,000
Se questi calcoli fossero esatti non vi sarebbe ragione di preoccuparsi dell’ eccedenza delle impor tazioni.
Si è impegnata in proposito una polemica a base di cifre statistiche, che ci guarderemo bene dal ri produrre nei loro dettagli, limitandoci alle conclu sioni del F in an cial News, il quale, dopo di evere tacciato di ottimismo le valutazioni dell’E conom ist, conclude che dal 1895 al 1898 le esportazioni sono rimaste stazionarie; che in confronto al periodo 188 0 -8 5 hanno subito un ribasso, e rispetto al pe riodo 1870-75 un altro ribasso molto più sensibile
E se si mettono in rapporto col movimento della popolazione, si vede che per mantenersi in propor zione coll’ aumento degli abitanti, le esportazioni inglesi dal 1895 al 1898 avrebbero dovuto essere superiori del 12 per cento a quelle del 1880-85, mentre sono, in realtà, inferiori di un mezzo per cento.
Del resto il B o a r d o f trad e ha ufficialmente ri conosciuto che il commercio estero è in diminuzione da qualche anno.
Ora, sebbene questo fatto corrisponda all’ aumento correlativo delle esportazioni tedesche, sarebbe una esagerazione attribuirne unicamente a queste la causa. Ben più della concorrenza tedesca ha contribuito alla depressione del commercio estero dell’ Inghilterra, la nuova politica doganale in senso proibitivo inau gurata dagli Stati Uniti d’America colle tariffe Mac Kinley e Dingley, le quali colpirono più direttamente le esportazioni inglesi nel grande mercato dell’Ame rica del nord, che, anche dopo la secessione delle antiche colonie, era rimasto sempre lo sbocco prin cipale per le merci della madrepatria; nè vanno dimenticate le nuove condizioni dei mercati dello estremo Oriente, dopo le vittorie del Giappone, che impressero tanto slancio al commercio dell’Impero di mezzo.