LE ROMAN DE L’ARTISTE
2.4 ʽLe roman du peintre 90 ʼ
Abbiamo già visto come la letteratura e la pittura, sin dall’antichità, abbiano tessuto degli intrecci inestricabili ed abbiano altresì vissuto, nei secoli, molteplici divorzi e riconciliazioni. Lessing, nel suo Laocoon, ritenendo la letteratura una disciplina superiore alle altre91, capace di trasformare l’arte
pittorica in poesia, tenta di assegnare, ad ognuna delle due pratiche, le rispettive competenze, attribuendo a ciascuna il proprio campo di appartenenza ed il proprio mezzo espressivo. Lessing distingue le arti spaziali, pittura e scultura, dalla poesia, basata essenzialmente sulla successione temporale, alla quale riserva la capacità di evocare situazioni altamente drammatiche ed espressive, ritenendola, dunque, più adatta agli slanci della fantasia e ai voli dell’immaginazione. Le arti plastiche sono assoggettate al principio di simultaneità e mettono in scena delle effigi coesistenti con lo spazio, per mezzo delle forme e dei colori, mentre la poesia, asservita al principio di diacronia, riproduce delle azioni che si succedono nel tempo, grazie a suoni e segni del tutto arbitrari. Per Lessing, dunque, è il critico a rendere l’effetto dell’opera all’interno del suo discorso, sulla base del sentimento personale, scaturito a seguito della visione dell’opera: il criterio ultimo del giudizio estetico è il sentimento personale prodotto da un’opera d’arte. Il
90Il termine roman è considerato, in questo contesto, un’espressione d’insieme che ingloba
romanzi e novelle, così come utilizzato da M. F. MELMOUX-MONTAUBIN in Le Roman d'art
dans la seconde moitié du XIXe siècle, op. cit, in riferimento a Le Chef-d'œuvre inconnu di Balzac
e da M. CROUZET nella prefazione a Manette Salomon, nella quale sostiene che «[…] le roman de l’art ou de l’artiste est une sorte de matrice romanesque […]». Manette Salomon, Folio Classique, Paris, Gallimard, 1996, p.11, préface de M. CROUZET, édition établie et annotée par S. CHAMPEAU, avec le concours d’A. GOETZ, nonchè da A. MAVRAKIS, « Le Roman du peintre », Poétique, 116, 1998, pp.425-445.
91« [...] la poésie dispose d’un registre plus étendu et de beautés dont la peinture n’est pas
capable », G. E. LESSING, Du Laocoon ou des frontières entre la peinture et la poésie, cit., pp.83-84.
merito di Lessing è stato, in questo contesto, l’aver sostenuto l’importanza dell’immaginazione dello spettatore o del lettore in seno alla creazione dell’opera, che gli permette di andare oltre ciò che viene rappresentato, in egual misura all’estro dell’artista o del poeta: la letteratura, nella quale dominano i segni arbitrari, in mino misura mimetici, lascia al lettore una possibilità infinita di ricomposizione personale dell’immagine. Proprio questo meccanismo differenziato della facoltà immaginativa nelle due arti, spiega il rapporto gerarchico che le regge in maniera sotterranea. Lessing reputa superiore la letteratura per la forza d’evocazione delle passioni forti, che sono taciute in pittura: solo il poeta può aspirare alla vera invenzione, le arti figurative dimorano sempre e comunque vicine all’artigianato.
In realtà, il rapporto con la pittura appare indispensabile agli scrittori, che pur ammettendo la loro incompetenza circa il trattamento del visibile, rifiutano di lasciarlo ad esclusivo appannaggio dei pittori, tanto che l’ekphrasis diventa in qualche modo la loro principale preoccupazione, come rivelano i numerosi riferimenti pittorici all’interno delle opere letterarie. Nonostante il Laocoon abbia avuto una enorme eco in tutta Europa, gli scrittori non si rassegnano a tale amputazione, peraltro imposta. Pur ammettendo che il processo pittorico non è di loro esclusiva competenza, essi si rifiutano di affidarlo interamente ai pittori, come dimostra la letteratura del secolo successivo, gremita di riferimenti artistici.
La dottrina dell’Ut pictura poesis, che consente alla pittura di acquisire sempre più importanza, non è più d’attualità e il divario tra le due forme artistiche si allarga notevolmente. La visione pura ed innocente del principio oraziano scompare nel XIX secolo, momento in cui lo scarto esistente tra le due discipline
viene percepito e pensato, senza che ciò porti, peraltro, a disconoscere un vincolo inscindibile ed ancestrale. Si instaura così un nuovo rapporto: la pittura si ripiega su se stessa e sulla sua specificità, sbarazzandosi di tutto ciò che non è pittorico, dunque di ciò che la predispone al linguaggio verbale; la letteratura prende in prestito le forme espressive pittoriche, più adatte alla conoscenza del mondo, per la loro materialità ontologica, aspetto che affascina notevolmente gli scrittori al punto da spogliare la pittura da ogni sorta di contenuto letterario, mettendo alla prova il linguaggio con un’impresa che si dimostrerà essere fuori dalla sua portata: le parole infatti non hanno la capacità di attrarre il lettore come le immagini. Lo scarto tra le due discipline è dunque innegabile, ma non si può, altresì, rinnegare un legame millenario, indissolubile, che sarà rielaborato per costruire un nuovo rapporto, impersonato dalla figura dell’artista, che occuperà la scena letteraria del XIX secolo.
L’evoluzione della pittura mette in pericolo le due arti, inquietudine che viene fuori nei ʽromans du peintreʼ92. La letteratura del XIX secolo è intrisa di
riferimenti artistici, di descrizioni, per la presa di coscienza di una mancanza importante: la capacità di rivolgersi direttamente all’animo umano a causa dell’assenza di immagini materiali.
Nella letteratura europea del XIX secolo, da Hoffmann a Wilde, si assiste così ad una straordinaria fioritura di storie di pittori e ritratti, attraverso le quali vengono fuori gli interrogativi dello scrittore sulle lacune della letteratura, spogliando in tal modo la pittura da ogni contenuto letterario. Non si tratta di un pittore tra tanti, facente parte di una comunità di artisti, ma di un individuo
92 Termine utilizzato da A. MAVRAKIS, La figure du monde. Pour une histoire commune de la
differente, avvolto da un’aura di mistero, capace di produrre qualcosa in più di un semplice dipinto, giunto com’è alla padronanza totale della mimesis, nella quale si concentra l’essenza dell’Arte. Egli è un demiurgo che presenta in chiave diversa la figura dell’artista, il cui ruolo è all’epoca divenuto problematico.
Il Frenhofer di Balzac è il precursore, il padre di tutti i personaggi dei ʽromans du peintreʼ che si sono spinti ai limiti estremi della creazione, ritenendo alla loro portata l’incarnazione della vita nell’arte. Egli ha ritenuto poter sfidare Dio nell’atto creativo, infondendo quasi un’anima alla sua creatura, come Pigmalione. In questo percorso estremamente pericoloso nessuno può assisterlo, salvo lo scrittore, ma solo a testimonianza della sua avventura.
Ha origine da qui una lunga crisi, nei rapporti già complicati tra pittura e letteratura, che diventerà manifesta già verso la prima metà del secolo, quando le strade tra le due discipline si separano, per dimostrare ciascuna la propria indipendenza dall’altra. Tale evoluzione è, per gli scrittori, fonte di preoccupazione, come reso manifesto dalla messa in scena dell’échec dell’artista, confrontato all’impossibile; lo scrittore, altro non sarà che un superstite, un impotente testimone di una ricerca che va oltre il mero talento.
La comparsa dei primi ʽromans du peintreʼ spiega l’aspirazione dei romanzieri di seguire la via intrapresa dalla pittura, che mette la scrittura nella posizione di dover cogliere l’inafferrabile, facendola irrimediabilmente scontrare con i propri limiti e le proprie manchevolezze. La pittura non occupa un posto secondario, ovvero non è semplicemente un mezzo di cui si serve il narratore per tradurre la sua visione del mondo e formulare un’estetica, come accade in
Flaubert, Huysmans o Proust, essa diviene al contrario oggetto di riflessione critica per lo scrittore.