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LE ROMAN DE L’ARTISTE

2.12 Il processo creativo

Il XIX secolo, come più volte ribadito, concerne un cambiamento della concezione artistica che, distaccatosi dal principio mimetico, mette in risalto la visione personale. Lo scrittore si ritrova dunque a mettere in campo non tanto le competenze tecniche ma ciò che rende un semplice riproduttore un artista, degno di tale nome: la libertà e l’abilità di mostrare l’assoluto.

L’Œuvre di Zola, malgrado la folla di personaggi che gremisce il romanzo, è la genesi di un’opera d’arte e il dramma di un artista, un genio incompleto: essa mette in scena i differenti aspetti del processo creativo rivelando un aspetto particolare del talento. La creazione è costantemente accostata all’atto sessuale, la pulsione pittorica equivale alla tensione provocata dal desiderio sessuale, dunque, creare corrisponde a procreare:

[…] le désir l’exaltait, c’était un outrage que cette abstinence. Et sa jalousie ne se trompait pas, accusait la peinture encore, car cette virilité qu’il lui réfusait, il la réservait et la donnait à la rivale préférée154.

Claude è un estimatore della donna, ma non si avvicina mai ad essa per la sua costante diffidenza nei confronti del sesso femminile. Il suo desiderio erotico viene a più riprese represso e convertito in desiderio di dipingere:

Souvent [...] quand il avait le lendemain un gros travail, et qu’elle se serrait contre lui en se couchant, il lui disait que non, que ça le

fatiguerait trop ; [...] au sortir de ses bras il en avait pour trois jours à se remettre, le cerveau ébranlé, incapable de rien faire de bon155.

Tutte le volte che egli tenta di mettersi a lavoro, la presenza di Christine glielo impedisce; bisogna ch’egli ritorni a Parigi per diventare nuovamente un “Pittore”: un artista deve rimanere casto per definirsi tale:

[…] le génie devait être chaste, il fallait ne coucher qu’avec son œuvre156.

Sandoz sostiene l’idea che il matrimonio, che permette di tenere a freno i desideri, sia la condizione stessa di una buona produzione artistica. Opponendosi alla concezione della donna che uccide la creatività artistica, Sandoz propende per l’integrazione del genere femminile nella vita quotidiana, ne è l’esempio Henriette.

La visione organica e sessuale della creazione artistica termina nella concezione di un quadro che riproduce il suo Enfant mort, una sorta di mise en abyme che concretizza la morte artistica del pittore prima della sua dipartita reale. La visione della pittura di Zola riflette i cambiamenti inerenti l’estetica del suo tempo. Una visione piuttosto negativa, considerando il fatto che l’opera non mette in scena nient’altro che degli insuccessi, legati sia ad una mancanza di estro creativo, come nel caso di Chaîne, dotato di un talento anacronistico157, il quale

intraprende la strada quasi per errore; all’asservimento totale ai valori della borghesia, come nel caso di Dubuche; alla mancanza di carattere, come per

155Ibidem. 156Ibidem.

157Claude dice di lui: «Peut-être n’a-t-il que le tort d’être né quatre siècles trop tard», ibidem,

Gagnière, che produce sempre lo stesso paesaggio e che ha un talento straordinario per la musica; oppure, a causa di ciarlataneria, come per Fagerolles, pittore mancato che si dedica alla critica d’arte inetta ed ignorante.

Claude, invece, rappresenta il pittore del XIX secolo e, per antonomasia, la pittura di questo periodo travagliato. Malgrado egli non sia un impressionista, è all’avanguardia, perché riesce ad andare oltre alla pittura istituzionalizzata: egli è originale, nell’accezione positiva e negativa del termine, dunque anche eccentrico, contestata e incompreso. La singolarità si esprime altresì nel comportamento di Claude: la sua violenza e la sua follia, spesso evocate, demarcano la sua marginalità. Zola mette in scena la sua epoca, una fase della storia dell’arte contrassegnata da artisti che eccedono e vanno oltre le tradizionali abitudini visive per cui i contemporanei non si rendono conto di trovarsi di fronte a dei veri artisti. Si tratta di genio o insuccesso? Zola stesso non sa come classificare l’opera di Claude, non avendo ancora la singolarità trovato uno status estetico vero e proprio, egli preferisce far fallire il suo personaggio ricusandogli qualunque posterità:

Et il ne laisse rien. – Absolument rien, pas une toile, déclara Bongrand158.

La maggior parte dei romanzi sulla pittura del XIX secolo mette in scena il fallimento di uno o più pittori, ma, fallire socialmente, istituzionalmente, non significa essere privi di talento artistico: il narratore, davanti alla violenza del jury

contro il dipinto di Claude, sottolinea l’odio per l’eccesso di originalità, annunciando in tal modo il mito dell’artista maledetto.

In questo periodo di fusione delle arti, la fine del XIX secolo, la pittura, sia che essa si esprima per mezzo dei tormenti della creazione o le delizie della contemplazione, come nel caso dell’esteta o del semplice intenditore d’arte, permette allo scrittore di formulare degli interrogativi sulla propria pratica, tentando di andare oltre e di rinnovarla. Anche le parole appaiono essere minacciate dalla vicinanza pericolosa con il pittore.

A partire dalla seconda metà del secolo, la fede sembra estinguersi e, con essa, anche il gesto sacrilego, in un secolo senza Dei. Il genio non ha più motivo d’essere, nei romanzi posteriori a Balzac e, insieme a questo, anche la follia, alla quale succede l’impotenza creatrice, che si impadronisce, paradossalmente, delle stesse esperienze. La metamorfosi dell’artista, da Dio a creatore improduttivo, da genio folle ed incompreso a nevrotico, può essere colta nel percorso che conduce da Le Chef-d’œuvre inconnu a Manette Salomon, L’Œuvre, fino ad arrivare a Dans le ciel di Octave Mirbeau, che rappresenta un punto di svolta per il genere.

Il racconto di Balzac, contrariamente alla sua brevità, è saturo di riferimenti mitologici, in particolare a Pigmalione e Prometeo, riuniti nella figura emblematica di Proteo, simbolo delle metamorfosi e della trasfigurazione. Il Frenhofer balzacchiano desidera appropriarsi del segreto divino, spingendosi oltre la contingenza umana: egli ambisce alla creazione di un’opera vivente che lo condannerà, tuttavia, a vedere il suo lavoro incompleto. La sua follia non nuoce al suo talento, anzi, lo rende un individuo superiore agli altri. La sua morte conferma

la natura speciale del suo estro e lo designa come archetipo del creatore, poeta, nel senso etimologico del termine.

L’opera dei Goncourt e quella di Zola sono posteriori, di poco, al racconto balzacchiano, ma, la lettura dei due romanzi, ci dimostra come la trasformazione, da artista di talento a pittore sterile, sia già in atto. Non c’è più traccia di quella follia geniale che fa del pittore un demiurgo: Coriolis e Claude Lantier non muoiono per non essere riusciti ad uguagliare Dio, ma a causa di una malattia agli occhi, che sconvolge le loro opere e dell’indocilità della loro mano. L’artista distrugge la sua opera, che resta incompiuta, e ad esso si sostituisce il raté: insieme a Dio muore anche l’artista.

L’opera di Octave Mirbeau, Dans le ciel, oggetto di studio del capitolo successivo, appare in tal senso emblematica: in essa risuona un avvertimento giunto troppo tardi per entrambe le arti. I primi romanzi di Mirbeau manifestano un’evidente volontà di uscire dall’impasse del Naturalismo, del quale l’autore boccia i presupposti ideologici, senza tuttavia abbracciare il Simbolismo che, a suo dire, ha voltato le spalle alla vita. Come molti dei suoi contemporanei, egli ha intrapreso la carriera giornalistica parallelamente all’attività letteraria e alla critica d’arte, nella stampa dell’epoca, nella quale prende le difese di artisti del calibro di Monet, Rodin, Van Gogh o Gauguin. Il suo amore per la pittura è noto, pertanto egli è molto sensibile alle ricerche estetiche del tempo. La problematica de l’échec, alla quale l’artista sembra essere condannato, lo colpisce profondamente e, in una lettera a Zola del 1886, egli confessa di aver ritrovato ne L’Œuvre le sue lotte morali, i suoi sforzi personali, da cui il bisogno di ritornare sul tema con un’opera tutta sua.

Dans le ciel abbraccia pittura e letteratura, critica e romanzo. Malgrado si collochi sulla scia del roman du peintre, esso trascende la tradizione e si spinge oltre. Lo scrittore mette in relazione il suo destino a quello del pittore del quale narra la tragedia. Ma la morte di quest’ultimo non salverà il personaggio del narratore in extremis, come era accaduto in precedenza, negli altri romanzi, condizione necessaria all’esistenza e alla sopravvivenza del libro: lo scrittore- personaggio di Mirbeau sembra, pertanto, allontanarsi dal suo omologo nella tradizione letteraria. Il romanzo rinuncia alla sua brama e si lascia demolire, minare al suo interno dalla pittura, rinunciando a trascendere l’esperienza del pittore. Mirbeau depone la penna nel momento stesso in cui l’artista raté, Lucien, si mozza la mano, come contagiato dal fallimento del suo personaggio. L’échec di Lucien pervade il personaggio di Georges, lo scrittore, per l’appunto, come individuo e come protagonista del romanzo. L’opera appare, dunque, come il punto di non- ritorno di un modello inaugurato da Balzac, ripreso e declinato, successivamente, dai Goncourt e da Zola.

Lucien deve molto a Claude Lantier, ma, se per Zola la salvezza risiede nella scrittura, in Mirbeau il fallimento contamina la pratica di Georges e finanche la struttura stessa del romanzo che si interrompe dopo la scoperta del cadavere mutilato a seguito della quale Georges perde i sensi. La rinuncia di Mirbeau, in qualità di romanziere, è dovuta anche all’impegno politico, che lo allontana dall’arte, per coinvolgerlo sul campo sociale e alla stanchezza, dovuta alla consegna settimanale alle stampe.

Per scongiurare il fallimento, Zola introduce il personaggio di Sandoz, a titolo, lo ricordiamo, di testimone dell’avventura del pittore, in grado di portare a

termine ciò che Claude non è stato capace di fare. Così facendo tuttavia, l’autore prende le distanze dall’artista e dalle sue lotte ideologiche, a profitto della propria attività, considerando l’attività letteraria superiore a ogni altra forma di espressione.

Benché nella novella balzacchiana, situata nel XVII secolo, manchi sia il personaggio dello scrittore che del critico, o meglio vengono presentati en creux, tra le righe, grazie alla presenza del riferimento letterario, la problematica dell’inachèvement è, tuttavia, presente: le molteplici riedizioni e riscritture della Comédie humaine, che si propone di essere un’opera totalizzante, testimoniano l’impossibilità di adattarsi e di cogliere la natura cangiante dell’universo e di comprendere le diverse sfaccettature dell’animo umano.

A differenza di Poussin e Sandoz, il testimone, immaginato da Mirbeau, non sopravvive: ciò che gli è stato trasmesso lo rende a sua volta impotente a tal punto da non essere più in grado di riprendere la penna, come se dopo l’avventura devastante del pittore non rimanesse altro che tacere. Lucien tenta di rappresentare l’intangibile e, non riuscendoci, prova ad inventare dei procedimenti che lasciano immaginare nuove scoperte. Così facendo, Mirbeau invita a vedere nella letteratura la causa di tale inganno, i letterati hanno incoraggiato i pittori ad abbandonare i presupposti della loro arte provocandone il declino:

Au lieu de travailler méthodiquement, d’apprendre à dessiner un beau mouvement de nature, de chercher le simple et le grand, j’ai fini par penser que le heurté, le déformé, c’était tout l’art159.

Lo scrittore, abituato a cercare le risposte nella pittura, ha voluto ricordare agli artisti del tempo i rischi inerenti l’arte. Se è vero che pittore è colui il quale

sogna di andare al di là del possibile, egli è anche più esposto ad allontanarsi dall’arte stessa: lo scrittore, sul bordo dell’abisso, mostra le seduzioni di un’arte destinata a fallire, fronte ad una totale indifferenza, se non disaffezione, da parte degli scrittori, nei riguardi della pittura del loro tempo. Nonostante l’autore di Dans le ciel sferri una critica feroce contro Zola160, per la sua candidatura

all’Académie française,161 egli ritrova nel personaggio de L’Œuvre i suoi tormenti

e le sue lotte morali. Malgrado Lucien non somigli fisicamente a Claude, i due presentano lo stereotipo dell’artista bohème del XIX secolo. Ciò che colpisce è il loro carattere, lo stesso approccio alla pittura, nonché lo stesso tragico destino. Lucien sembra essere il fratello minore di Claude, alla disperata ricerca di assoluto. La storia di Lucien è narrata da Georges, l’amico scrittore, il quale rivela avere un’innata sensibilità artistica, dono che lo identifica con lo stesso pittore: tale procedimento riprende in parte la posizione di Pierre Sandoz, il quale, malgrado abbia conosciuto momenti di avvilimento, rappresenta, nel romanzo zoliano, la ratio, in netto contrasto con le manie depressive dei Macquart. Claude, in preda alla follia dell’artista, nel disperato tentativo di concepire il suo chef- d’œuvre, ma di fatto impotente nel realizzarlo, si uccide come il Frenhofer di Balzac.

L’eredità di Lucien è meno sinistra rispetto a quella di Claude: su di esso non pesano tare avite, ma ciononostante vive gli stessi tormenti di Lantier. Entrambi concepiscono opere dalle tinte violente, essendo due impressionisti, entrambi fuggono da Parigi per rifugiarsi nella natura, ma ben presto ritornano

160 In un articolo apparso su Le Figaro il 9 agosto del 1888, intitolato « La Fin d’un homme ». 161 Mirbeau si oppone a qualunque forma di ricompensa ufficiale, basti pensare al suo attacco

contro tutti coloro che accettavano la ˝Légion d’honneur˝ in «Le Chemin de la croix», Le Figaro, 16 gennaio 1888.

nella capitale che finirà con l’annientarli: Claude passa tre anni a Bennecourt, Lucien a Ecluses de Porte-Joie. La natura, prima seducente e affascinante non li attira più, ma Parigi, con il suo charme trompeur, è dotata di una forza distruttiva, rappresentata da Zola come un enorme mostro che divora i più deboli. Malgrado la consapevolezza del pericolo cui vanno incontro, i due cercano l’ispirazione nella città, così mutevole e così tentatrice, fino a giungere alla completa perdita dell’equilibrio mentale. Incapaci di fissare la visione sfuggente sulle loro tele i romanzieri tentano di descrivere l’atmosfera alla maniera di un pittore impressionista. L’accanimento artistico produce altresì in entrambi il rifiuto della figura femminile: l’astensione sessuale favorisce la creatività artistica, ma essi divengono del tutto sterili, incapaci di infondere vita alle loro opere. Entrambi tentano di sfuggire all’umiliazione distruggendo fisicamente l’oggetto amato per sbarazzarsi della sua presenza ossessiva; tutti e due si orientano verso la pittura simbolista, ossessionati dal vuoto totale, che annuncia il disastroso epilogo e rappresenta metaforicamente il mal fin siècle che li colpisce.