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La nozione di movimento e la percezione dell’immaginazione

LE ROMAN DE L’ARTISTE

2.8 La nozione di movimento e la percezione dell’immaginazione

La concezione dell’arte, come già detto, evolve tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XX secolo. Ciò è legato al concetto di immaginazione, prima interpretata come pericolosa ed ingannevole, nemica della ragione, in seguito, durante l’Illuminismo, definita facoltà propria del genio:

L’étendue de l’esprit, la force de l’imagination et l’activité de l’âme, voilà le génie134.

Questo dibattito sull’artista geniale si prolunga nel secolo successivo: la figura dell’artista che rompe ed infrange le regole domina il panorama letterario del XIX secolo. Egli possiede le due facoltà principali, il carattere e un forte spirito d’osservazione. Numerose sono le opere letterarie del XIX secolo che narrano la storia di un pittore folle, al contrario la pazzia di uno scrittore non ha mai ispirato alcuna opera celebre. I romanzieri dell’epoca si sono serviti di questa figura per evocare le affinità tra arte e pazzia.

In effetti, il personaggio del pittore, avendo a che fare con il visibile, sembra essere più esposto, non soltanto alla perdita di contatto con la realtà, ma soprattutto alla tentazione di creare una realtà “altra”, simile a quella quotidiana, della quale pretende di copiare le forme o di esprimere l’essenza, che lo assorbe interamente, alterandone la percezione. Ciò esprime meno il dramma vissuto dagli artisti reali di quanto non sia in realtà una crisi vera e propria della nozione di

rappresentazione in arte. Questa crisi si amplia durante tutto il corso del XIX secolo, ma essa ha preso forme diverse secondo le epoche.

Nel processo di visione, le immagini della realtà non appaiono mai fisse, ma in continuo movimento, proprio a causa della trasformazione ottica insita nel processo stesso di creazione. Lo sguardo dell’artista è necessariamente sottoposto a variazioni ottiche ed anche il critico, d’altra parte, può avere una visione particolare in determinate circostanze d’osservazione. Si può supporre altresì che il critico fondi la sua attività su questa fluttuazione stessa, ovvero sullo scarto esistente tra lo sguardo dell’artista e la proiezione dell’immagine che arriva allo spettatore.

Bisogna chiedersi per quale motivo molti scrittori, nel XIX secolo, abbiano scelto la pittura come soggetto ed oggetto delle loro opere letterarie. Le due discipline, pittura e letteratura, si sono spesso sovrapposte nel corso dei secoli; in particolare, nel XIX secolo la nascita della critica d’arte esprimeva il desiderio dell’estetica moderna di riunire in una sola pratica le due differenti forme d’arte. La letteratura, tuttavia, in questo periodo mostra i propri limiti e la propria inadeguatezza, così, contrariamente al passato, essa mostra la propria inferiorità nei confronti della pittura. Quest’ultima, infatti, possiede un’immediatezza e una totalità di comunicazione inaccessibile alle altre arti, nonché una straordinaria continuità: la parola, a causa della sua estrema precisione e della quasi totale assenza di immaginazione, è assolutamente limitata e produce frammentarietà; la bellezza pittorica è una bellezza silenziosa, refrattaria a qualunque forma di espressione linguistica, davanti alla quale la parola non può far altro che abdicare. I mezzi espressivi a disposizione delle arti figurative - materia, spazio, luce e

colore - sono muti, mentre la scrittura deve necessariamente avvalersi della sonorità delle parole.

La seconda metà del XIX secolo si presenta come un momento di fusione privilegiato, in cui la relazione testo/immagine non si pone più in termini di traduzione o trasposizione. In altre parole, non ci troviamo più di fronte a due codici distinti, poiché, al di là delle manifeste differenze, le due arti sembrano instaurare un rapporto di complementarietà: la scrittura suggerisce l’au-delà della tela, la pittura rappresenta invece l’indicibile, ciò che la lingua non riesce ad afferrare135.

La nozione di artista è in qualche modo figlia della Rivoluzione francese, prima ancora di diventare la parola d’ordine degli anni ’30. Ci siamo chiesti come la nozione d’artista abbia potuto coinvolgere e concernere il campo delle lettere. Intorno al 1830 comincia a prendere forma una nuova immagine dello scrittore, detentore di valori di libertà e libero da qualunque tipo di regola, limitante la creatività e l’originalità artistica. Il romanzo sarà un terreno fertile per riflettere e analizzare gli interrogativi concernenti la questione sull’arte, nonché per permettere a pittori e scrittori di emanciparsi. È innegabile che i personaggi d’artista dei romanzi sull’arte affondino le loro radici nella mitologia, in particolare nei miti di Pigmalione e di Prometeo in conflitto con il potere e aventi una sorte tragica. Ne Le Chef-d’œuvre inconnu, Mabuse è presentato come un voleur de feu, un novello Prometeo che infonde la vita alle sue creature, Frenhofer

135 Per il valore relativo e paradigmatico della parola, la scrittura si avvicina alla pittura del XIX

secolo che sostiene l’importanza del disegno sul colore, in quanto tutto ciò che riguarda toni e gradazioni di colore si traduce in approssimazione verbale: un colore è più o meno blu, quasi chiaro, all’incirca scuro. Il disegno è assimilato all’intrigo, alla scrittura, alla narrazione e sta alla base dell’insegnamento accademico, mentre il colore rimanda alle sensazioni. Davanti al colore le parole svaniscono: come rendere in effetti le infinite variazioni, le sfumature, i giochi di luce ed ombra?

è il Pigmalione che attende invano che la sua opera si stacchi dalla tela per camminare: dopo aver dedicato anni alla sua Catherine Lescault, egli deve far i conti con il fallimento artistico che lo spinge a distruggere la sua creazione e ad uccidersi.

Nel XIX secolo la figura di Prometeo sarà quella di un mito svilito e corrotto. Infatti, laddove la rivolta di quest’ultimo rappresenta una ribellione filantropa, i suoi eredi del XIX secolo si ribellano contro Dio e contro l’ordine stabilito e, quando cessano di lottare, la morte reale o artistica li coglie. Allo stesso modo nell’opera di Zola, il mito di Pigmalione fallisce, nessuna opera prende vita. Il XIX secolo eredita dai miti la rivolta, la ribellione, la sorte tragica e l’amore folle per la creazione artistica e per le opere generate. I protagonisti delle opere dei romanzieri ottocenteschi, infatti, creano un mondo alternativo all’interno del quale si smarriscono e a causa del quale perdono il senno, riconoscendo più importanza alle loro creazioni che alla realtà.

Secondo Geisler-Szmulewicz l’artista può trovarsi in tre posizioni nei confronti di Dio:

[...] il s’oppose ouvertement à Dieu (Voltaire, Quinet, Defontenay), tantôt il se passe de lui (Gautier, Balzac), tantôt il noue une alliance avec ses ennemis […] (Hoffmann, Lefevre-Deumier)136.

Frenhofer, Coriolis, Claude e Lucien appartengono alla seconda categoria, ma oltre che ignorare la presenza di Dio essi entrano in competizione con lui e lo provocano. Ciò si manifesta nell’attività artistica stessa che li eleva al rango di

136 A. GEISLER-SZMULEWICZ, Le Mythe de Pygmalion au XIXe siècle, Paris, Honoré

creatori, accostandoli alla figura del diavolo. Essi sembrano posseduti, nell’atto di creare, e qui un nuovo riferimento intertestuale alle figure di Faust e Dom Juan che fanno dell’artista un personaggio funesto e fantastico al tempo stesso, che vive ai margini della collettività.

Nella seconda metà del secolo l’uomo e il suo rapporto con il mondo cambiano. Le opere di questo periodo riflettono l’estrema fiducia nella scienza e nel progresso. L’uomo costituisce il centro di tutto, di ogni esperienza scientifica o artistica. Ci troviamo davanti ad un demiurgo, un ribelle pericoloso che controlla le forze della natura, metafora delle nuove scoperte e invenzioni scientifiche del XIX secolo. Anche Zola si interessa allo slancio che coinvolge la sua epoca, ne L’Œuvre Sandoz afferma:

Bien sûr, c’est à la science que doivent s’adresser les romanciers et les poètes, elle est aujourd’hui l’unique source possible137.

L’arte non può sussistere senza tenere in considerazione le rivoluzioni tecnologiche del secolo. La scienza ha interessato anche il campo delle arti. Il progetto naturalista si integra perfettamente nell’universo scientifico presentandosi come un lavoro d’osservazione minuzioso e rigoroso. L’artista non ha più nulla a che vedere con il personaggio tratteggiato dai Romantici: il genio e il talento sovrannaturale sono scomparsi lasciando emergere la figura di un alienato mentale in preda alla follia della creazione. Il mistero dell’impresa estetica, il conflitto tra artista e materia, la sua difficoltà nel concretizzare un’idea e nel dare vita ad una forma, divengono nulla di fronte ai conflitti del personaggio

con la società. L’epoca realista non ha più fiducia nell’ispirazione e l’evocazione della stessa è sostituita dalla sensazione, l’impressione, il lavoro, la patologia. Uno dei tratti peculiari dell’artista è il suo sradicamento che prende spesso l’aspetto di un’assenza d’origine. L’opera d’arte è un reale negato, una verità trasfigurata. Nella sua volontà di assoluto, l’opera d’arte diviene talmente reale che paradossalmente non può più materializzarsi. Essendo il linguaggio insufficiente ed incapace di esprimersi, l’effigie deve necessariamente cancellarsi davanti all’indicibile. Il capolavoro può esistere solo in sogno, non possedendo consistenza materiale. Egli è, infatti, il simbolo del rigetto di un secolo di industrializzazione votato al progresso tecnico, simbolo dell’intolleranza nei confronti del ceto borghese che esalta il lavoro come valore supremo. Per Zola la problematica riguarda sia l’evoluzione contemporanea della pittura che le questioni sulla scrittura. I tormenti di Claude, inerenti l’ambizione personale, l’insoddisfazione continua che provoca il rigetto nei riguardi dell’opera ultimata e il desiderio di rivaleggiare con la natura per giungere a creare la vita, sono preoccupazioni che riguardano il pittore e lo scrittore come dichiara Zola stesso:

Avec Claude Lantier je veux peindre la lutte de l’artiste contre la nature, l’effort de la création dans l’œuvre d’art, effort de sang et de larmes pour donner sa chair, faire de la vie: toujours en bataille avec le vrai, et toujours vaincu, la lutte contre l’ange. En un mot, j’y raconterai ma vie intime de production, ce perpetuel accouchement si douloureux ; mais je grandirai le sujet par le drame, par Claude, qui ne se contente jamais, qui s’exaspère de ne pouvoir accoucher de son génie, et qui se tue à la fin devant son œuvre irréalisée138.

Il fallimento di Claude è attribuito al suo desiderio di totalità, che riflette evidentemente le inquietudini di Zola davanti alla magnificenza del suo progetto letterario. La realizzazione del dipinto La Pointe de la Cité, che non è concepito come un semplice paesaggio, ma come un’immagine che riassume la Parigi che lavora e quella che si diverte, nasconde un altro tormento, quello di un ritorno ad un simbolismo romantico che si scontra con il proposito naturalista e che sarà la causa scatenante della malattia di cui il pittore è vittima, oltre che la conseguenza di una tara ereditaria, elemento imposto dallo schema dei Rougon-Macquart. Sandoz, lo scrittore, non incorre in nessun rischio, ed è proprio quello che Zola stesso si propone. Vi è un altro aspetto dell’attualità pittorica che il romanziere utilizza per accentuare i tratti di alienazione di cui soffre il suo personaggio: il trattamento del colore, inaugurato dagli impressionisti e del quale ci occuperemo più avanti in maniera più approfondita, è stato interpretato come une ˝maladie de la vision˝, stesso problema di cui soffre Coriolis, personaggio dell’opera dei Goncourt: la follia sembra, allora, essere esclusivamente ottica.