LE ROMAN DE L’ARTISTE
2.5 Il Modello pittorico
2.5.1 Le Chef-d’œuvre inconnu
Le Chef d’œuvre inconnu non può essere considerato una novella sull’arte come le altre, rivolgendosi sia ai romanzieri sia ai pittori. La prima versione appare ne L’Artiste del 1831: la nuova rivista, che diventerà il simbolo dell’epoca, ottiene dal romanziere un testo in accordo ai suoi obiettivi, illustrare e propagandare una concezione nuova e romantica sull’arte e sull’artista. La novella, scritta in una fase nella quale Balzac comincia ad aver il pieno controllo delle proprie facoltà creative, e rimaneggiata nel 1837, momento in cui esse cominciano ad esaurirsi del tutto, è una delle poche, se non la prima in assoluto, a sollevare la questione estetica, il rapporto tra amore ed arte, ma soprattutto il mistero della psicologia dell’artista. Il “conte fantastique” si inscrive, dunque, nella tecnica di difesa e di promozione dell’artista con cui Balzac partecipa alla costruzione di una imagerie nuova, al punto tale che la sua novella sarà considerata un «[…] mythe fondateur»97. Il lettore del 1830 non può riconoscervi
l’espressione di un dibattito contemporaneo trasposto nel 1612: Porbus è l’immagine del pittore accademico al quale si contrappone il romantico Frenhofer. Il vecchio pittore della prima versione è ancora molto hoffmanniano, un genio visionario, dai tratti mefistofelici, incompreso, che vive al di fuori del mondo ordinario e dalle preoccupazioni quotidiane, che dedica la sua esistenza interamente all’arte. Egli proietta nella sua opera un ideale di purezza suprema che finisce per condurlo alla follia.
97 N. HEINICH, « Le Chef-d’œuvre inconnu ou l’artiste investi », in Autour du Chef-d’œuvre
Il conte mette, così, in scena due rappresentazioni differenti del pittore e dell’attività artistica: Porbus, il copista tradizionale, al servizio della corte, che esegue su commissione98, ed il vecchio Frenhofer, qualificato come “artista”, la
cui arte è caratterizzata dall’ideologia della creazione, che segue l’ispirazione, libera da qualunque tutela. Nella novella balzacchiana ciò che cambia è, in particolar modo, la trasmissione del sapere: Porbus appartiene ad un sistema nel quale la pittura si insegna, nel quale i modelli si riproducono; Frenhofer rivela come, entrare in arte, sia quasi un’iniziazione. Il dubbio insinua la narrazione, la certezza dell’achevèment non esiste:
J’ai cru avoir fini99.
o ancora:
Oh! Il est fini […] Cependant, je voudrais bien être certain […]100.
La novella, consacrata all’imperfezione e alla forza distruttiva del pensiero, mostra come la dismisura tra il pensiero e l’azione possa condurre l’uomo al di là dalla sfera naturale e come il confronto con l’ideale provochi degli sconvolgimenti nell’individuo. Quando il vieillard svela il segreto della sua arte agli altri compagni, si consuma la tragedia: il Rien si palesa e lo chef-d’œuvre, che non è più inconnu dal momento in cui si manifesta, o meglio, viene reso noto, non
98 Il riferimento a Porbus è in effetti un anacronismo, l’istituzione accademica non esisteva nel
1612, ma rappresenta il pittore alle dipendenze del potere.
99 H. de BALZAC, Le Chef-d’œuvre inconnu, cit., p.400. 100 Ibidem, p.409.
può più esistere. La rivelazione distrugge Frenhofer e la sua arte, che è altro rispetto ad una banale pratica sociale, si nutre del suo segreto, lontana dalla società e dal commercio. Nella divulgazione è implicita la rivelazione dell’échec: in realtà non resta altro che imporre un ulteriore segreto che dimora al di sotto del nulla che si è svelato agli occhi di tutti:
Nous nous trompons, voyez ! […] Il y a ne femme là-dessous […]101.
Balzac sembra dare una spiegazione semplice del fallimento del suo pittore : questi fa parte di quella cerchia di artisti nei quali la forza di volontà paralizza la creazione artistica. Le Chef-d’œuvre inconnu non si limita alle sole considerazioni sulla pittura: attraverso quest’ultima, Balzac argomenta sull’attività letteraria e, sotto le sembianze del pittore, si delinea lo scrittore che intende conquistare egli stesso lo status di artista. L’integrazione del romanziere alla categoria dell’Artista avviene, nel testo, grazie alla mediazione del termine poète, che nel suo senso più ampio annovera sotto lo stesso appellativo tutti i creatori:
Tu n’es pas un vil copiste, mais un poète102.
La novella, che si risolve con un fallimento, mostra pertanto l’impossibilità di essere artista. Il confronto tra le due arti, sembra essere solo apparentemente assente dall’opera balzacchiana. In realtà, la figura dello scrittore è presente sebbene in maniera sotterranea. Gillette è un personaggio letterario che si
101 Ibidem, p. 412. 102 Ibidem, p.394.
contrappone alla creatura pittorica rappresentata da Catherine Lescault; ma è su Poussin che ci vogliamo soffermare per fare alcune considerazioni. Giovane artista principiante, presentato come genio, egli è in qualche modo l’occhio dello scrittore en abyme. Il lettore entra nella casa e poi negli ateliers di Porbus e di Frenhofer, del quale ci da anche il ritratto fisico, grazie alla sua osservazione, tradotta in fedele descrizione verbale: sarà lui il testimone survivant di Frehnofer!
Il quadro La Belle Noiseuse, attorno al quale ruota tutta la novella, viene mostrato solo alla fine, in una suspence del tutto calcolata: quando Poussin e Porbus osservano il dipinto, invece di scorgervi le fattezze di una donna ideale, riscoprono un ammasso informe di tinte e di pennellate. Malgrado il caos di colori, sorge uno spazio, una rappresentazione, un piede, un frammento autonomo a partire dal quale ricostruire la donna rappresentata. Frenhofer è completamente assorbito nella contemplazione mentale per la costruzione del suo dipinto, dell’essenza di ciò che egli avrebbe voluto riprodurre, che guarda la tela, senza più vederla, in un certo senso, poiché per dieci anni non ha fatto altro che considerare il suo ideale. Lungi dall’infondere la vita alla sua donna, Balzac ripropone il mito di Pigmalione all’inverso. Frenhofer, nell’evocarlo, insiste sul tempo che lo scultore avrebbe impiegato per raggiungere la perfezione:
Nous ignorons le temps qu’employa le seigneur Pygmalion pour faire la seule statue qui ait marché!103
Balzac introduce l’ekphrasis moderna nella letteratura francese e tutti i grandi romanzieri della seconda metà del secolo lo imiteranno per dare nuovo
slancio alle loro opere inserendo la descrizione pittorica in un sistema di visione personale. l’ekphrasis in effetti gioca il ruolo di frammento, parte emblematica del grande Tutto che è il mondo, veicolando dunque attraverso il romanzo una nuova visione della realtà. Il romanziere ha sognato di portare a termine il suo progetto “totalizzante” che rappresenta tutta la società dell’epoca, ma paradossalmente, la sua Comédie humaine è un’opera incompiuta e cangiante, solo all’apparenza perfetta, con le sue innumerevoli varianti editoriali. Le Chef-d’œuvre inconnu è pertanto la metafora dell’attività di creazione che si autodistrugge a furia di perfezionarsi. Come in un gioco di specchi, la novella riflette il lavoro letterario del suo autore, che rimaneggia più volte le proprie pubblicazioni per giungere alla perfezione.
2.5.2 L’Œuvre
Le problematiche estetiche poste ne Le Chef-d’œuvre inconnu, la battaglia dell’artista con un’opera impossibile da realizzare e il conseguente fallimento, influenzano la generazione successiva di romanzieri. Una lettura de L’Œuvre di Émile Zola conduce inevitabilmente ad instaurare uno stretto rapporto con l’opera di Balzac: innanzitutto il titolo indica l’elemento fondamentale attorno al quale ruota l’interesse dell’artista. Nell’attività letteraria di Zola, la creazione occupa un posto singolare: gli artisti, infatti, insieme ai preti, alle prostitute e agli assassini, rappresentano un mondo a parte. L’Œuvre non è semplicemente un romanzo sulla pittura: dando vita al personaggio di Claude Lantier, Zola parla di se stesso e della
sua arte, traducendo, in tal modo, i meccanismi intimi della creazione. Claude, in rivolta contro gli insegnamenti tradizionali, tenta di realizzare una grande opera, creata secondo nuovi principi, vi lavora per anni senza riuscire, ciononostante, a portarla a compimento: al contrario, egli la rende via via più imperfetta, finché, obbligato a riconoscere di aver fallito, si impicca per la disperazione. La lotta con la natura è presente lungo tutto il romanzo, Lantier dichiara di voler rendere la vita nella sua interezza e modernità e animare le figure create:
Ah! La vie, la vie! La sentir et la rendre dans sa réalité, l’aimer pour elle, y voir la seule beauté vraie, éternelle et changeante, ne pas avoir l’idée bête de l’anoblir en la châtrant, comprendre que les prétendues laideurs ne sont que les saillies des caractères, et faire vivre, et faire des hommes, la seule façon d’être Dieu !104
L’artista, in qualunque disciplina, si scontra inevitabilmente con il fallimento e la catastrofe: l’ambizione non gli permette di accettare alcun compromesso o artificio, cosa che condurrà irreparabilmente alla follia il suo personaggio. Lo squilibrio mentale, benché mascherato dall’impotenza artistica, lo porterà a fallire tre volte: nella società, poiché il suo talento non verrà riconosciuto dall’opinione pubblica; in campo artistico, in quanto distruggerà tutte le sue opere e nella vita, trascurando i propri affetti, lasciando morire il proprio figlio e togliendosi la vita, come ultimo gesto liberatorio. Come Frenhofer, Claude Lantier tenta di far vivere le sue tele grazie al colore, e come il primo non smette di ritoccare i suoi dipinti, degradandoli ad ogni colpo di pennello.
Zola comincia la sua carriera come critico d’arte e interviene, dal 1863 al 1883, su varie riviste tra cui L’Evénement, la Revue du XIX siècle e nei Salons prendendo posizione a favore della ʽnouvelle peintureʼ, che desta le scandalizzate reazioni della critica accademica. In Mes haines, apparso ne Le Figaro del 1866, egli delinea le proprie idee estetiche, rimarcando l’autonomia dell’arte dalle istanze religiose, politiche ed economiche e sconvolgendo il concetto di un’estetica del significato legata al soggetto. Egli critica aspramente Proudhon per aver assegnato una «destination sociale»105 all’arte, convinto che quest’ultima
possa solo tradurre la percezione del reale, più che riprodurlo.
Zola sottolinea la necessità del tempérament: il carattere dell’artista è una disposizione intellettuale, morale e fisica, dunque un “modo” di restituire all’altro la propria percezione del mondo:
Une œuvre d’art est un coin de la création vu à travers un tempérament106.
Tale espressione racchiude l’elemento reale, uguale per tutti, ovvero la natura, e l’elemento individuale, che varia all’infinito, in altre parole l’uomo e il suo carattere, da qui il totale diniego del romanziere per qualunque forma di finalità sociale dell’arte. Lo scrittore rifiuta, inoltre, i soggetti storici, mitologici e allegorici: i suoi artisti sono contemporanei, vivono immersi nella realtà sociale del presente.
105 P. J. PROUDHON, Du principe de l’art et de sa destination sociale, [opera postuma] Paris,
Garnier frères libraires éd., 1865.
Le fonti principali de L'Œuvre sono senz’altro la novella balzacchiana e l’opera dei fratelli Goncourt, Manette Salomon (1867). Le Chef-d’œuvre inconnu, che non ha, tuttavia, la pretesa di trattare la pittura contemporanea, né di fare del suo protagonista il promotore della modernità pittorica, si inscrive in una prospettiva romantica. Il fallimento di Frenhofer risiede nella sua volontà di subordinare l’arte alla natura in un periodo nel quale la produzione artistica sta via via ottenendo la sua autonomia, dunque, in una fase in cui la si pensa come cosa a sé stante. Cinquanta anni più tardi, il grande romanzo di Zola ne riprende i temi: l’impotenza di un pittore geniale come conseguenza della ricerca affannosa dell’assoluto e la presenza della donna rivale dell’arte. Tuttavia, il fallimento di Claude non deriva da un’impresa inumana, bensì dalla nevrosi ereditata da Adélaïde Fouque, prima della famiglia Macquart: egli non è, dunque, responsabile dei propri errori, la sua malattia prende la forma di una ricerca dell’impossibile che gli fa perdere il senso della misura e del reale. Il bisogno di dipingere ossessivamente il nudo nelle sue tele, deriva da una sregolatezza sessuale, che si trasforma, si purifica, sublimandosi, in passione per la bellezza femminile.
Così come Frenhofer, Claude non è un incapace, egli è piuttosto un creatore dalle ambizioni troppo grandi. Vi è un enorme décalage tra la concezione e la realizzazione, che risulta essere sempre incompleta. Ciò che soddisferebbe qualunque altro pittore, a lui non basta mai, così, imbratta la sua tela per ricominciare daccapo il suo lavoro. Il problema del talento e dello sforzo prometeico dell’uomo, la lotta dell’artista contro l’impossibile sono ricondotti ad una nevrosi ereditaria, alla pittura di un raté e della sua impotenza malata e ad una
sessualità anormale. Sandoz rappresenta la sua eco pratica e rassegnata, creatore come Claude, ma consapevole dell’imperfezione dell’opera d’arte.