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A refutation of morals

Nel documento La filosofia morale di John Leslie Mackie (pagine 81-84)

Capitolo 2. La teoria dell'errore

2.3 A refutation of morals

Nel 1946 John Mackie ha ventinove anni, con la fine della guerra è terminata la sua fer- ma presso l'esercito di sua maestà, ed è stato accolto all'università di Sidney come lettore di filosofia morale e politica. È in quest'anno che esce il suo primo articolo di etica: si intitola A refutations of morals, ed esce su quello che, ancora per qualche mese, si chiamerà Australasian journal of philosophy and psychology, prima che 'and psychology' cada come riconoscimento dell'autonomia di questa disciplina. Vi sono delle sostanziali differenze tra questo breve schizzo della teoria dell'errore e la sua formulazione matura del 1977?

Nello stile di questo articolo da quattordici pagine si respirano a grandi boccate i ventino- ve anni dell'autore, assieme a una certa aria 'cameratesca' retaggio degli studi classici pres- so l'Oriel College di Oxford e forse anche degli anni del servizio militare. Il fatto che la prima stesura dell'articolo risalga addirittura al 1941 spiega ancora meglio lo stile tagliente di questo testo. Il tono generale è più volte scherzoso108, l'andamento coinciso e diretto del- la prosa contrasta con i periodi complessi e densi di subordinate che si ritrovano nelle ope- re del periodo di Oxford, ma il contenuto è già maturo: la teoria dell'errore non ha ancora un nome, ma nella sostanza essa è già formulata.

A refutation of morals si apre con la definizione di 'sentimenti morali', i quali sono ogget- to di approvazione o disapprovazione109, sebbene le teorie morali pretendano generalmente che di essi sia possibile dare un giudizio razionale in termini di giusto e sbagliato, inten- dendo come modello di giudizio razionale il giudizio fattuale riguardo a enti o qualità che esistono oggettivamente. Contro questa visione, definita “credenza nella morale”110, inter- viene la visione scettica, la quale è forte di due argomenti.

Il primo argomento afferma che questi supposti fatti della morale sarebbero queer. Esso è definito da Mackie “non molto forte di per sé”, ed è palese che, contrariamente a quanto avviene in Ethics, non vi riponga grandi aspettative: è esposto per primo, liquidato in po- che righe, e definito non stringente.

Considerato più convincente è invece il secondo argomento, quello della relatività. La di- versità è indizio di relatività, a meno che non adottiamo una prospettica eurocentrica la

108Ecco per esempio come Mackie spiega la differenza concettuale tra l'approvazione e il piacere e dispiace- re: “se qualcuno mi offre una pinta, la cosa mi piace; se qualcuno offre una pinta a un mio nemico, la cosa mi dispiace; ma dovrei comunque approvare un tipo di società che fornisca birra gratis a ogni giro di be- vute” (A refutation of morals, p. 77).

109Bertrand Russell in Is there an absolute good aveva affermato: “the things people judge good are the same as those towards which they have an emotion of approval”. La stessa identificazione tra bene e ciò che si approva è uno dei cardini del pensiero di Westermarck e si può leggere in Ethical relativity, iii e iv. 110A refutation of morals, p. 78

quale, oltre a essere troppo compiacente, non regge di fronte alla spiegazione alternativa, ovvero che la varietà dei giudizi intorno alla morale nasca dall'espressione diversa di alcuni generici principi comuni. Sul contenuto di questi principi, però, non esiste di fatto un accordo comune, e tutto lascia pensare che sebbene non logicamente definitivo, l'argomento a partire dalla relatività sia plausibile.

La natura della morale allora non è quella di forma eterna del mondo, ma piuttosto di un prodotto naturale della socialità umana: essa nasce da “ciò che possiamo chiamare richieste sociali”111 e si concretizza in una serie di abitudini, un'idea che trova sempre più conferme nello sviluppo delle scienze storiche e sociologiche. Questa precisazione sulla natura socia- le permette di sfuggire all'impostazione emotivista, la teoria che il significato degli enun- ciati morali vada ricercato nella coppia di opposti “buuh-hurrà”. Dal momento, infatti, che non pensiamo “che stiamo semplicemente eiaculando quando parliamo adoperando termini morali”112, non basta mostrare la falsità della pretesa oggettivista. Bisogna anche spiegarne origine e funzione.

Per spiegarne l'origine Mackie introduce l'argomento della fallacia patetica: se noi trovia- mo disgustoso un particolare tipo di fungo, è un errore considerare una qualità del fungo l'esser disgustoso, dato che il disgusto non è nient'altro che una nostra sensazione. Questo errore logico annidato nella nostra psicologia è una forma di autoinganno dotato di un'im- portante funzione sociale: ci permette infatti di travestire il nostro senso morale come un sistema di leggi universali dotato di schiacciante forza prescrittiva. È per questo che l'idea che i valori siano in realtà soggettivi appare indigesta: se siamo pronti ad ammettere che il disgusto risieda nella nostra percezione e non nel fungo, ammettere la stessa cosa riguardo alla malvagità di una persona che entra in casa nostra per rubare è più difficile. Questa teo- ria dell'oggettivazione ha come corollario non solo il rifiuto di ogni teoria morale di tipo platonico, ma anche il rifiuto di tutte le forme di naturalismo sostanziale, in quanto affer- mazioni come 'il bene è ciò che si desidera' sono un tradimento rispetto alla peculiare origi- ne emotiva dei termini morali.

Le ultime pagine di A refutation of morals sono dedicate al problema della libertà metafi- sica dell'agente come condizione del comportamento morale. Tutta una serie di contraddi- zioni è insita sia nell'idea che l'azione morale richieda l'indeterminismo, sia che essa sia compatibile con il determinismo, in quanto “la nozione di obbligo implica sia la libertà, e

111A refutation of morals, p. 79 112A refutation of morals, p. 80

attraverso la responsabilità, che è una parte determinante della prima, la negazione della libertà”113. La nozione di obbligo, centrale all'interno della visione oggettivistica della morale, è autocontradditoria quindi falsa, e abbiamo un elemento in più accettare la tesi soggettivista. Con quest'ultimo argomento Mackie passa a riassumere le sue conclusioni prima di chiudere l'articolo.

Al di là dello stile frizzante e della concisione vi sono poche differenze sostanziali tra questa prima esposizione in forma d'abbozzo della teoria dell'errore e la sua versione com- piuta raccolta nel primo capitolo di Ethics. L'argomento a partire dall'eccentricità vi trova un posto assai meno importante che in Ethics, mentre l'argomento a partire dalla relatività appare leggermente sopravvalutato, seppur già sviscerato nelle sue contraddizioni. La cen- tralità del modello proiezionista per la giustificazione dello scetticismo morale è evidente anche in questo breve abbozzo, tanto da occupare buona metà dell'articolo. L'idea che la giusta impostazione del problema metaetico abbia un carattere ontologico non è diretta- mente formulata, ma è implicita.

Conseguentemente si può dire che la pars destruens dell'etica mackiana è, in sostanza, già contenuta in A refutation of morals, e che in seguito sarà soltanto ampliata, spiegata in dettaglio, guarnita da una solida serie di argomenti protettivi e difesa da quella serie di at- tacchi laterali di cui ho parlato in [1]. Senza un valido progetto alternativo di natura positi- va, capace anche di sorreggere la parte critica tramite lo sviluppo di tematiche esplicative non solamente legate al modello proiezionista, tutta la teoria morale di Mackie sarebbe sta- ta probabilmente destinata a rimanere contenuta in un breve articoletto: l'uscita di Ethics cambierà tutto questo.

Tra la stesura di A refutation of morals ed Ethics passeranno trentuno anni, durante i qua- li Mackie insegnerà e lavorerà muovendosi tra l'Australia e la Nuova Zelanda per poi approdare definitivamente in Inghilterra, prima a York e poi a Oxford. Pubblicherà altri ar- ticoli occupandosi principalmente di logica e di teoria della causazione, scriverà il suo sag- gio su Locke oltre che i già citati Truth, probability, and paradox e The cement of the universe. Nel frattempo maturerà la sua teoria normativa, forte di un nuovo clima filosofi- co e di nuovi strumenti concettuali emersi durante quegli anni. Su questa evoluzione, in [4.2].

Nel documento La filosofia morale di John Leslie Mackie (pagine 81-84)