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Dalla morale come fiction alla morale come invention

Nel documento La filosofia morale di John Leslie Mackie (pagine 119-132)

Capitolo 3. La morale come invenzione e dispositivo

3.2 Dalla morale come fiction alla morale come invention

Torniamo al problema della necessità (immanente) della morale, legata alla sua utilità. Per capire quest'ultima bisogna comprendere la natura sociale della morale. Può sembrare un paradosso, ma l'idea che l'etica si origini e si possa giustificare all'interno di un contesto irrelato è un corollario implicito della tradizione oggettivista. L'assimilazione della vita pratica in una forma più o meno velata di teoria contemplativa porta con sé, inevitabilmen- te, l'idea che il tessuto sociale sia qualcosa di inessenziale: tutta una scocciatura di mezzi da ottenere in vista del fine superiore della contemplazione.

Mackie è invece d'accordo con una sfilza di pensatori (gli illuministi scozzesi, Westermarck, Darwin tanto per citare quelli che più hanno influenzato la sua ricerca) nel definire la società come il luogo di nascita della coscienza morale. D'altronde, la stessa tesi concettuale, centrale per sostenere la teoria dell'errore, è sorretta dalla spiegazione genealo- gica della rivendicazione di oggettività: e questa spiegazione fa esplicito riferimento all'ori- gine sociale della moralità. Per questo motivo la nostra morale in cantiere dovrà aggirare i possibili esiti solipsistici cui è ricondotto solitamente il soggettivismo.

3.2.1 La morale in senso lato e in senso stretto

Nel primo capitolo di Ethics il 'cammello' si è fatto 'leone'. Resta da vedere com'è che av- viene il suo trapasso in 'fanciullo', e soprattutto, com'è che dobbiamo concepire la natura di questo. Qual è, in fin dei conti, l'oggetto della nuova morale in cantiere? Essa potrebbe, per esempio, occuparsi di esaminare le credenze e i valori di una data società, presente o passa- ta, occidentale o esotica. Ma, scrive Mackie, un obiettivo del genere in realtà pertiene più all'antropologia o alla sociologia22.

Un secondo compito potrebbe riguardare la descrizione di quello che è il nostro senso morale: un lavoro questo sicuramente più adatto ai filosofi, che in tempi recenti è stato por- tato avanti, per esempio, in Una teoria della giustizia di John Rawls. È questo un compito sicuramente molto importante, ma non è l'unico che dovrebbe interessare i filosofi morali:

“Rimane la possibilità di esaminare la questione da un altro punto di vista. La morale non è da scoprire, ma da inventare: dobbiamo decidere quali prospettive morali adottare, quali standard fare nostri. È fuor di dubbio che le conclusioni

22 A questo punto della sua riflessione Mackie oltrepassa decisamente il lavoro di Westermarck, il quale pur vedendo nel 'relativismo etico' un importante progresso nella ricerca morale, considerava il suo compito concluso nello studio della coscienza morale come un fatto. Vedi a proposito Ethical relativity, p. 61 e

che raggiungeremo rispecchieranno e riveleranno il nostro senso di giustizia, la nostra coscienza morale, vale a dire la nostra coscienza morale così com'è alla fine della discussione, non necessariamente com'era all'inizio. Tuttavia l'oggetto dell'operazione non è questo: il suo scopo è piuttosto decidere che cosa fare, che cosa approvare e che cosa condannare, quali principi di condotta accettare e promuovere come guida o controllo per le nostre scelte e, forse, anche per quel- le degli altri”23.

Vi è insomma un altro obiettivo da raggiungere, oltre alla descrizione, storica o filosofi- ca, del senso morale. Ed è precisamente quello di contribuire all'invenzione dei valori a partire dai quali la società e gli individui si autodeterminano. Come ha sottolineato Williams è qui che si comprende il reale cambiamento richiesto dall'adozione della teoria dell'errore. Proprio perché la natura della morale è artificiale, essa può essere continuamen- te reinventata a partire da quelli che sono i caratteri generali del nostro senso morale: lo studio di questo, oltre a modificare lo stesso oggetto studiato mediante un processo di chia- rificazione, è la chiave per prendere poi le nostre decisioni in maniera più cosciente.

È da notare come Mackie a questo punto proceda in una virata terminologica, passando da una definizione della morale come fiction, a una come invention. Questo mutamento lin- guistico è indicativo della svolta costruttiva che subisce, tramite l'introduzione della temati- ca convenzionalista, il pensiero complessivo di Mackie. È una dichiarazione d'intenti circa la possibilità di strutturare socialmente e coscientemente la morale anche all'interno di una posizione sentimentalistica.

Questo processo di invenzione è destinato a sdoppiarsi, in virtù delle premesse metaeti- che del nostro discorso. All'interno di una prospettiva soggettivistica, la determinazione del bene personale diventerà infatti una questione interna ai soggetti stessi, il frutto di una per- sonale ricerca della propria arte di vita. Allo stesso tempo, l'impossibilità di raggiungere un accordo universale sulle questioni morali renderà necessario un qualche tipo di struttura protettiva capace di sopperire a questa mancanza di armonia prescrittiva. Dobbiamo quindi concepire la morale in due sensi complementari, ma distinti, due campi che circoscrivono cantieri diversi. Un primo campo è occupata dalla moralità in senso lato (=in the broad sense), che inerisce al soggetto tramite la sua generica teoria della condotta; un secondo dalla moralità in senso stretto (=in the narrow sense), ovvero dall'insieme di obbligazioni e costrizioni cui l'individuo è immerso in virtù del duplice scopo di difesa degli interessi dei singoli aderenti e di coordinazione di questi interessi verso una qualche forma di coopera-

zione.

Questa distinzione24, permette di rendere conto positivamente dei due approcci storici di- versi alla teoria morale. La morale in senso lato corrisponde infatti alla ricerca del modo migliore di vivere per il singolo, a una ripresa ovvero del modello socratico e greco di in- chiesta filosofica sull'etica. La morale concepita nel suo senso stretto si riferisce invece alla tradizione anglosassone di Hobbes e Hume, ovvero come a un sistema di restrizione della condotta del singolo volto a minimizzare il conflitto sociale e a massimizzare i frutti della cooperazione25. Una teoria morale in senso stretto si organizza così in due parti, una prima che punta a una descrizione il più possibile convincente della condizione umana, una se- conda che a partire da questa descrizione tenta di rinvenire i migliori sistemi per difendere gli interessi individuali convogliandoli allo stesso tempo in una organizzazione sociale ca- pace di di massimizzare i risultati possibili. È principalmente da questa angolatura che Mackie affronterà, come si vedrà in [5], il problema della morale normativa. Ed è sempre all'interno di questa nozione che è possibile comprendere la sua idea di morale come 'di- spositivo'. Un dispositivo che pur nascendo dagli istinti e dalle emozioni soggettive possie- de una sua natura sociale e intersoggettiva, come vedremo nei prossimi paragrafi.

3.2.2 Il sentimentalismo nel Treatise: una teoria dell'oggettivazione

Il sentimentalismo è solitamente letto infatti come una teoria incapace di rendere conto della razionalità della nostra vita pratica e sociale. Ma non è così. Il sentimentalismo può essere infatti interpretato a partire da due diverse concezioni del sentimento: come qualità esclusivamente interna e privata del soggetto (per questo incomunicabile), oppure come emozione di natura condivisa che va a comporre un linguaggio, a volte magari opaco, ma in ogni caso comune a quella che è la specie morale umana. Interpretato in quest'ultima maniera il risultato che otteniamo è una prospettiva di tipo convenzionalista, la quale non conduce a derive irrazionalistiche o solipsistiche. Come nota de Mori:

“Pure all'interno di una teoria soggettivista, è possibile che gli individui agi- scano in base a ragioni. Nel convenzionalismo (...) invece di scoprire un insieme di ragioni impersonali e oggettive, constatiamo l'esistenza di una fitta

24 Essa è embrionalmente presente in Mackie fin dal 1951 (Critical notice to The place of reason in ethics

by Stephen Toulmin, p. 119).

25 Semplificando, forse un po' troppo, la distinzione tra morale in senso stretto e in senso lato, si potrebbe dire che la prima si occupa della questione del giusto, mentre la seconda del bene. In una società reale ci si deve aspettare che i due aspetti siano irrimediabilmente compenetrati, ed è pertanto meglio evitare que- sta rigida schematizzazione. A proposito, vedi [5.5].

relazione di ragioni personali”26.

A questo proposito è interessante la lettura, brevemente accennata in [2.1.3] che Mackie dà della teoria di Hume come di una teoria dell'oggettivazione. Un problema del sentimen- talismo consiste infatti nel rapporto tra la ragione, apertamente dichiarata inerte, e il conte- nuto dei giudizi morali. La soluzione proposta dall'australiano è quella di leggere la teoria humeana come una forma originaria e antecedente della propria teoria, evitando così che Hume venga assorbito all'interno dei precursori di teorie come l'emotivismo.

A questo proposito, in Hume's moral theory Mackie riporta un passo di Thomas Reid in cui la teoria di Hume è messa alla berlina:

“Applichiamo questa forma di ragionamento all'ufficio di un giudice. Di fronte a un caso, egli deve essere messo nelle condizioni di conoscere tutti i dati ogget- tivi, e le loro relazioni. Fatto questo, il suo intelletto non ha più spazi per opera- re. Non rimane altro da fare che sentire il giusto o lo sbagliato; l'umanità lo chiama assurdamente persona che giudica (=judge): dovrebbe piuttosto chia- marlo persona che sente (=feeler)”27.

L'opinione di Mackie è che questa satira colpisca una forma di sentimentalismo estremo che non ha nulla a che spartire con lo scozzese. Infatti, come già si era visto in [2.1.3], al- l'interno delle possibili varianti del sentimentalismo Mackie traccia una netta distinzione fra la posizione emotivista e quella che chiama teoria dell'oggettivazione. Il carico esplica- tivo di quest'ultima appare a Mackie superiore per due punti rispetto alla tesi emotivista: per la sua presa di coscienza del problema ontologico connesso allo statuto dei valori (quanto si è detto in [1.3]), e per la sua capacità, tramite l'elaborazione del modello proie- zionista, di affiancare alla definizione in chiave soggettivista dei valori una spiegazione psicologica della loro oggettivazione. La teoria dell'oggettivazione è in questi due sensi maggiormente completa e solida rispetto alla semplice spiegazione per eiaculazione dell'emotivismo.

Una terza differenza tra le due varianti del sentimentalismo può essere adesso tracciata analizzando il diverso modo con cui esse intendono il rapporto tra ragione e passioni. Ayer infatti, abbracciando quello che lui stesso definiva un soggettivismo radicale28, ha rinuncia-

26 Introduzione a Etica. Inventare il giusto e l'ingiusto, p. 15

27 T. Reid, Essays on the active powers of man, in D.D. Raphaels (a cura di), British moralists 1650-1800, Oxford University Press, London, 1969, vol. II, p. 305 (936). Per le citazioni tratte da Reid, Wollaston, Hutecheson e Hobbes adopererò questa edizione delle loro opere, poiché è quella adoperata come riferi- mento da Mackie.

to a dare ogni significato agli enunciati di valore, rinunciando in questo modo a eventuali approfondimenti sulla natura sociale della morale. L'analisi della polemica tra Thomas Reid e David Hume permette a Mackie di chiarire la sua posizione sulla natura del senti- mentalismo rigettando questa forma di soggettivismo estremo.

Discutendo il passo nel Trattato sulla natura umana in cui Hume paragona il vizio e la virtù alle qualità secondarie29 Mackie ammette infatti esservi una difficoltà nel ragiona- mento dello scozzese, precisamente “[la] difficoltà (che Reid in seguito sfrutterà) riguardo a che cosa possa essere una sensazione di colpa: ogni cosa che possiamo riconoscere come colpa coinvolge il giudizio oltre che il sentimento”30. Oltretutto, quando una persona defi- nisce un'azione delittuosa non vuole semplicemente affermare che quell'azione le sta pro- vocando una reazione di disapprovazione basata esclusivamente sui propri istinti e sulla propria costituzione. Una lettura del contenuto degli enunciati morali effettuata solamente in chiave di approvazione o disapprovazione istintive (la coppia buuh/hurrà di cui Mackie parlava in A refutations of morals) presta il fianco alle critiche di Reid.

È questo che porta Mackie a spingere ancora più in dettaglio la lettura del capitolo d'a- pertura del terzo libro del Treatise. L'analisi conclude che ognuno dei nove argomenti (die- ci, considerata la variante 'debole' dell'argomento principale) esposti da Hume difenda una o più delle seguenti tesi sul rapporto tra ragione ed enunciati morali:

i) I giudizi morali non sono dimostrabili a priori.

ii) Il giusto e l'ingiusto non sono materia di falsità, errori o fallacie intel- lettuali.

iii) I giudizi morali non esprimono verità empiriche di tipo naturale. iv) I giudizi morali non esprimono verità empiriche di alcun tipo. v) I giudizi morali non esprimono credenze vere.

vi) I giudizi morali non esprimono credenze di alcun tipo.

La prima tesi contrasta le versioni forti, matematizzanti, dell'oggettivismo, come quella di Clarke. La seconda è cucita esplicitamente addosso alle teorie morali che, come quella di Wollaston, prevedono che “nessun atto (sia esso verbale o concreto) di alcun essere im- putabile di condotta buona o malvagia può essere giusto se interferisce con una proposizio- ne vera o nega un oggetto così com'è,”31. La terza colpisce l'oggettivismo in tutte le sue versioni non basate sull'intuizionismo, lasciando in questo modo la porta aperta per le teo-

29 Trattato sulla natura umana, p. 496 30 Hume's moral theory, p. 58

rie di Moore. La quarta chiude questa porta risolvendo il derby tra Cambridge e Oxford. La quinta corrisponde alla teoria dell'oggettivazione: i giudizi morali nascono come sentimenti che si cristallizzano in credenze, le quali sono però false. La sesta coincide “il rigetto di ogni analisi cognitivista dei giudizi morali”32.

Mackie passa poi a esaminare la solidità dei dieci argomenti e scarta quelli che ritiene de- boli o ingiustificati. La sua conclusione è che Hume riesca a difendere con coerenza soltan- to le prime tre tesi. La teoria dell'errore interviene a colmare la lacuna, portando a supporto (come si è visto in [2.1.3]) il modello proiezionista e la concezione convenzionale della morale, giungendo così a una difesa complessiva delle tesi i-v.

A livello metaetico la differenza tra l'emotivismo e la teoria dell'errore consiste nella già citata tesi concettuale, ovvero nell'attribuzione di un valore di verità agli enunciati di se- condo livello (il valore 'falso') da parte della seconda, laddove la prima nega esplicitamente la possibilità di ogni significatività. Da queste premesse differenti, le due teorie prendono strade diverse. Mentre la predicazione dell'emotivismo pressapoco si esaurisce qui, la teo- ria dell'errore prosegue la sua ricerca su un doppio piano, morfologico e genealogico. Que- sta visuale più ampia permette di riconoscere una funzione e una genesi sociale alla mora- le, evitando il solipsismo della posizione emotivista e permettendo di intraprendere uno studio approfondito del reticolo interpersonale che lega i soggetti. I sentimenti personali che danno origine ai valori si trovano infatti immersi in uno schema generale di relazioni reciproche assieme ai sentimenti di tutti gli altri individui che compongono la società: “questa proiezione o oggettivazione non è meramente un artificio proprio della psicologia dell'individuo. Come ho detto, troviamo un sistema attraverso cui i sentimenti di ciascuno modificano e rinforzano quelli degli altri33”. È in questo senso relato che il termine senti- mento rompe il bozzolo del soggetto e della sensazione, per acquisire anche i caratteri del giudizio.

3.2.3 Sentimento e ragione: l'istituzione

Ciò avviene poiché questa forma di sentimentalismo, radice della morale convenzionale, è “determinante nel processo di sviluppo e di consolidamento dei sentimenti morali ed è re- sponsabile dell'oggettivazione e istituzionalizzazione di essi nella forma di comandi impe-

32 Hume's moral theory, p. 61 33 Hume's moral theory, p. 72

rativi”34. In pratica è grazie a questa comune grammatica emozionale che è possibile co- struire una moralità in senso stretto intesa come un tessuto connettivo che colleghi agenti morali guidati dalla loro pura soggettività. Il problema è adesso comprendere come si ven- gano a creare le obbligazioni, all'interno di questo tessuto sociale, il quale è sì posticcio, ma comunque dotato di una propria logica e funzionalità.

Eccoci giunti in pratica al classico problema della deduzione di un dover essere da un es- sere. E per questo motivo la discussione non può prescindere nuovamente dal Treatise: il riferimento è ovviamente alle citatissime pagine35 in cui Hume 'vieta' il passaggio impro- prio da un 'è' (=is) a un 'dovresti' (=ought). Mackie analizza questo brano nel terzo capitolo di Ethics, “Obligations and reasons”36.

L'australiano non è un grande fan della 'legge di Hume'. Un po' perché secondo lui questo è lo slogan adoperato da chi ha alle spalle una lettura approssimativa e superficiale dello scozzese, sebbene voglia far intendere il contrario. Un po' perché trova invece sorprendente che un'osservazione ironica come questa sia assurta col tempo al magniloquente titolo di 'legge'. Il passaggio in questione, secondo Mackie, non fa altro che sintetizzare nella forma di consiglio precauzionale quanto espresso nel capitolo che apre il III libro del Trattato sulla natura umana, “Le distinzioni morali non derivano dalla ragione”, il quale trova so- stegno definitivo dalla teoria sull'artificialità della giustizia37. E sempre a proposito, leggia- mo che “la legge di Hume (...) non è né la summa, né la parte saliente, della sua teoria mo- rale. È compatibile con un punto di vista oggettivista o intuizionista che Hume certamente avrebbe rigettato, e non contiene alcun aggancio con la sua brillante analisi delle virtù arti- ficiali”38. Non sono rilievi di poco conto: in pratica quello che sta dicendo Mackie è che, leggendo il passo all'interno della sua cornice, il suo uso generale, come legge, diventa per certi versi improprio. Lo si può impiegare come 'tagliola' soltanto se si adotta una prospet- tiva sentimentalista, o, come fa Moore nei Principia Ethica, una teoria morale intuizionista (si tratta in questo di un semplice riepilogo degli argomenti impiegati per sorreggere la ter- za tesi descritta in [3.2.2]).

In ogni caso, assieme all'open question argument di Moore, la 'legge di Hume' è il siste- ma più conosciuto per tracciare una solida barriera tra fatti e valori. Non è un caso quindi

34 Inventare il giusto e l'ingiusto, p. 91 35 Trattato sulla natura umana, pp. 496-497 36 Ethics, pp. 64-82

37 “Le osservazioni riguardo all'è e al dovresti non forniscono alcun argomento ulteriore per queste tesi. Sono soltanto un loro riassunto a effetto” (Hume's moral theory, p. 63).

se numerosi sono stati i tentativi di confutarlo, nella speranza di mostrare la possibilità di dedurre un 'dovresti' da un 'è'. Mackie prende in esame quello di John Searle, basato sulla seguente argomentazione39:

i) Jones ha pronunciato le parole 'Smith, qui io prometto di pagarti cinque dollari'. ii) Jones ha promesso di pagare a Smith cinque dollari.

iii) Jones ha posto se stesso (si è impegnato) in obbligo di pagare cinque dollari a Smith'.

iv) Jones è in obbligo di pagare a Smith cinque dollari. v) Jones dovrebbe pagare a Smith cinque dollari.

L'argomento non dimostra affatto la possibilità di derivare un 'dovresti' da un 'è', ma il suo interesse è, secondo Mackie, un altro. È che esso mette in luce il meccanismo sociale e linguistico dell'istituzione, in questo caso della promessa, il quale è, nella nostra vita prati- ca, la fonte delle varie obbligazioni di cui è costellata la moralità in senso stretto. L'istitu- zione è il concetto tramite cui è possibile saldare al sentimento etico dell'individuo una eti- cità dei costumi e delle tradizioni.

L'istituzione può essere immaginata da due punti di vista diversi: uno interno, e uno esterno. Quello che pretende difendere Searle è chiaramente esterno, e ciò non lo porta in alcun luogo: non esiste un punto archimedeo che giustifichi necessariamente l'obbligo di Jones di scucire cinque dollari a Smith. È la decisione individuale del soggetti (o più pro- babilmente il fatto che si trovano già dentro di essa), di aderire all'istituzione e porsi sotto il suo ombrello, a spiegare la deduzione: l'istituzione è posteriore, artificiale, non è forma del mondo. Il gesto della promessa, in questo caso, assume un senso preciso soltanto all'interno di una convenzione linguistica, senza per questo diventare oggettivamente valido.

È un po' come per le regole di un gioco, mettiamo gli scacchi. Una volta deciso di gioca- re assumo le regole del gioco provvisoriamente come regole esterne a me, sebbene non lo siano, e fin tanto che voglio giocare ha un senso per me rispettare queste regole. Ma non

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