• Non ci sono risultati.

Storia naturale e morale: riduzione senza dissoluzione

Nel documento La filosofia morale di John Leslie Mackie (pagine 164-176)

Capitolo 4. Le origini evolutive del dispositivo morale

4.1 Storia naturale e morale: riduzione senza dissoluzione

Nel 1934 Emmanuelle Lévinas pubblica sulla rivista “Esprit” un articolo intitolato Quelques réflexions sur la philosphie de l'hitlérisme2. In questo saggio militante scritto “praticamente all'indomani dell'arrivo di Hitler al potere”3, Lévinas si interroga sulle radici culturali del nazismo, quei “sentimenti elementari” che di fatto “nascondono una filosofia”. Una filosofia che pretende addirittura di muovere contro tutta una tradizione, la tradizione occidentale. Ma in che cosa consisterebbe questa tradizione che la filosofia del nazismo attacca?

La sfida del pensiero occidentale, scrive Lévinas, si gioca contro il tempo:

“Il tempo, condizione dell'esistenza umana, è soprattuto condizione dell'irrepa- rabile. Il fatto compiuto, trascinato da un presente che fu, sfugge per sempre al- l'influenza dell'uomo, ma pesa sul suo destino. Dietro la melanconia dell'eterno scorrere delle cose, dell'illusorio presente di Eraclito, vi è la tragedia dell'inamo- vibilità di un passato indelebile che condanna ogni iniziativa a non essere altro che continuazione”4.

Il segmento circolare del tempo che condanna ogni iniziativa a non essere altro che un ri- petersi privo di senso deve spezzarsi e distendersi lungo una freccia temporale, deve farsi progresso e storia di libertà. È in questa battaglia contro il tempo che nasce l'idea di libertà assoluta, la quale a sua volta contiene entro sé le ben più concrete libertà civili e politiche cui il nazismo costituisce la nemesi. Secondo Lévinas la storia occidentale è un ripresentar- si continuo di questa lotta e sconfitta del tempo circolare, attraverso cui l'uomo guadagna il proprio sentimento di libertà assoluta: dalla scoperta da parte dell'ebraismo della categoria del perdono, all'ideale cristiano della salvezza e della grazia, fino al razionalismo e all'idea di una ragione autonoma e libera propria dei Lumi. Perfino gli accessi più materialisti di al- cuni degli illuministi danno per scontato un ideale progressista, mentre il marxismo, sebbe- ne incentrato su una concezione deterministica dell'uomo, lascia comunque aperto uno spa- zio a possibilità di redenzione: “prendere coscienza della propria situazione sociale signifi- ca per Marx affrancarsi dal fatalismo che essa comporta”5.

L'ideale nazista rovescia tutto questo. In esso il passato schiaccia e determina il presente, in esso è il corpo biologico a essere preminente e non vi è più qualche facoltà garante della

2 E. Lévinas, Quelques réflexions sur la philosophie de l'hitlérisme, Payot & Rivages/ Èditions Fata Morgana, Paris, 1997

3 Quelques réflexions sur la philosophie de l'hitlérisme, Post scriptum 4 Quelques réflexions sur la philosophie de l'hitlérisme, I

libertà, come l'anima cristiana o la ragione illuminista. È così che il nazismo cancella ogni forma di ideale libertario dalla sua matrice ideologica e si pone come antagonista di tutta la tradizione occidentale. Da questo punto di vista, il primato del corpo biologico, l'idea di una continuità semplice tra uomo e mondo, il rigido monismo ontologico sono tutte carat- teristiche di un pensiero volto a vanificare l'ideale di libertà.

La contrapposizione tra un tempo ciclico e un tempo lineare che si ritrova in questa anali- si è un classico della filosofia della storia. È un luogo comune intendere il primo come pro- prio di una condizione soggetta alla necessità, statica e immutabile, mentre il secondo come proprio di una condizione libera, storica e progressiva. Il tempo ciclico è il tempo della natura, il tempo lineare dell'uomo. Ma qual è la concezione dei rapporti tra uomo e mondo che viene fuori da questo dualismo delle temporalità? Dovremmo forse dedurre, ri- prendendo la categoria criticata da Spinoza, che l'uomo è un vero e proprio imperium in imperio e non una particula naturae? Quali sono le ripercussioni di concepire la morale dal punto di vista della storia naturale? Queste ripercussioni sono necessariamente nefaste, nel senso indicato dalla critica del biologismo operata da Lévinas? Fornire una spiegazione in termini naturali della morale significa cadere entro qualche forma di determinismo, di pri- mato del passato sul presente, oppure di nichilismo?

Il problema sembra essere l'idea che naturalizzare sia sinonimo, in pratica, di neutraliz- zare. E l'apporto di Darwin è fondamentale, poiché ci permette di desostanzializzare e de- teleologizzare il nostro approccio naturalista evitando così ogni indebita confusione tra na- turalità e giustificazione, senza per questo dissolvere la morale entro i confini di qualche determinismo biologico.

4.1.1 Meccanismi immanenti

Negare la finalità conduce a postulare una filosofia della storia secondo processi imma- nenti: è questa la lezione di una tradizione filosofica che accomuna pensatori diversi come Spinoza e Hume. Laddove la filosofia della storia tradizionale postula un progetto dall'alto, a sua volta figlio di una volontà o intelletto trascendenti o comunque sovrastorici, una filo- sofia della storia che si voglia immanente deve essere capace di postulare meccanismi in- terni al fine di raggiungere un'equipollenza esplicativa, più elegante perché più leggera, con la controparte finalista e trascendente. Naturalizzare la storia è un processo parallelo e contiguo alla naturalizzazione dell'uomo: un'antropologia naturalista che scalzi ogni pre-

giudizio antropocentrico e ogni salto ontologico trova la sua coerenza soltanto accanto una visione storica priva di finalismi e intelletti sovrastorici6.

Il compimento di questa visione immanente della storia e della natura è operato da Darwin. Tramite il trasformismo darwiniano e la teoria della selezione naturale è possibile considerare definitivamente completata la critica alla teleologia e all'antropocentrismo7. L'ordine della natura, quell'ordine che sembra avere le sue origini in una qualche analogia con l'intelletto o la volontà umane, è in realtà comprensibile attraverso dinamiche non te- leologiche, interne alla storia stessa della natura. La potenza esplicativa del meccanismo evolutivo scoperto da Darwin permette infatti di spiegare tutti quei fenomeni di cui sem- brava impossibile rendere conto senza l'intervento di una progettualità dall'alto. Anche l'uomo è ricollocato nella sua giusta posizione, quella di un prodotto tra tanti della natura, non il suo fine ultimo. E le sue facoltà speciali, lungi dall'essere dissolte nella spiegazione, sono ricondotte a fenomeni naturali, posti in continuità con il resto del mondo: anche la morale.

Senza che essa venga 'neutralizzata'. Un'implicazione classica del naturalismo, infatti, era il suo operare “un certo discioglimento, per così dire, dei paradigmi morali nel mondo della natura”8. Il sospetto di Nietzsche per esempio, che alla base delle virtù morali vi fossero in realtà delle virtù animali9 lo portava a condurre un'indagine genetica totalmente dissacran- te. Entro i confini di questo sapere distruttivo il naturalismo si configurava soltanto come figura negativa e negatrice, incapace di specifica positività di spiegazione. Non è questo il caso di Darwin: la sua antropologia riesce a preservare il fenomeno morale reimpostandolo su diverse basi. L'idea di un'origine della morale legata a meccanismi immanenti non si

6 E un altro versante della filosofia mackiana, quello teologico, non può fare a meno anche in questo caso di Darwin. L'argomento che Mackie considera cogente nella sua argomentazione contro l'esistenza di dio è il problema dell'esistenza del male: problema che è speculativamente risolvibile attraverso qualche for- ma di teodicea. Ma pensare la storia in termini darwiniani, come fa Mackie, significa anche contestare ogni legittimità a qualsiasi tipo di teodicea. Non è un caso se Alvin Plantinga, uno dei critici dell'austra- liano, sia anche un sostenitore dell'intelligent design. Plantinga è in fin dei conti costretto a esserlo, poi- ché a partire dall'intelligent design è possibile costruire una teodicea difendibile e confutare l'argomento di Mackie sull'esistenza del male. La battaglia decisiva si gioca quindi su Darwin, poiché la premessa fon- damentale di The miracle of theism e in fondo proprio la teoria darwiniana.

7 Sia Hume che Diderot avevano seminato nelle loro opere spunti riguardo a un possibile ordinamento su basi evolutive e trasformiste dell'universo. Hume, per esempio, nella Parte ottava dei Dialoghi sulla reli-

gione naturale aveva proposto per bocca di Filone un'ardita ipotesi sull'origine della vita (pp. 158-160), e

un'operazione simile aveva tentato Diderot ne Il sogno di d'Alembert (Sellerio, Palermo, 1994, p. 15). Ciò che rende questi spunti soltanto degli spunti è la mancata formulazione di solide ipotesi sui meccanismi possibili per questo tipo di trasformazioni, nonché l'evidente mancanza di dati empirici volti a corroborare la tesi principali: tutto ciò che si troverà invece ne L'origine della specie di Charles Darwin.

8 Darwinismo morale, p. 46 9 Aurora, p. 26

porta infatti appresso l'idea di una sua dissoluzione.

L'opinione di Darwin era che “tutta la moralità si sia sviluppata per evoluzione”10, e que- sta assunzione si trova ampiamente discussa nel quarto capitolo de Il lignaggio dell'uomo. Se nel capitolo precedente Darwin discute le capacità cognitive, linguistiche, estetiche del- l'uomo e il fenomeno della credenza religiosa analizzando questi fenomeni alla luce della sua teoria, l'intero capitolo quarto si occupa dell'origine del senso morale. Questa è evoluti- va, e non costituisce un alibi per eventuali salti ontologici: i suoi albori sono rintracciabili in quei sentimenti sociali favoriti dalla selezione naturale. Il suo sviluppo, lungo una diret- tiva circolare di crescente universalità e una orizzontale di intensità sempre più alta della simpathy, è graduale e procede parallelo allo sviluppo delle qualità intellettuali e della struttura sociale. In questo modo, è vero, le virtù morali sono in realtà virtù animali, ma non per questo cessano di essere virtù originali: sono in pratica, un adattamento particolare tipico di una data specie, sviluppatosi grazie a un meccanismo immanente ma non per que- sto riconducibili a qualcos'altro che le annulli.

La teoria dell'evoluzione per selezione naturale costituisce così un punto di svolta per la tradizione filosofica individuata da Mackie che riconduceva la genesi della morale a motivi funzionali, poiché essa fornisce le meccaniche reali che spiegano come è stato possibile, dalla situazione problematica di conflitto descritta da Protagora, Hobbes e Hume, lo svilup- po di un dispositivo in grado di regolare e smussare questa situazione. Poiché, per adopera- re le parole di Mackie, “la teoria dell'evoluzione per selezione naturale è il surrogato stan- dard della modernità per la provvidenza divina”, possiamo arrivare a una convincente spie- gazione funzionalistica della morale “attraverso una reinterpretazione quasi meccanica del mito di Protagora”11 basata su principi immanente. È in questo modo che diventa possibile elaborare una filosofia della storia scevra di elementi mitici o trascendentali come in Protagora o in Vico, allo stesso tempo priva delle eccessive semplificazioni e distorsioni che Mackie rimprovera a Hobbes e Hume.

4.1.2 Sentimentalismo, dissoluzione, teoria dell'oggettivazione

Come si è visto in precedenza, anche il sentimentalismo di Hume è stato letto più e più

10 E. Darwin, lettera riportata in C. Darwin, Autobiografia 1809-1882 con l'aggiunta dei passi omessi nelle

precedenti edizioni, Einaudi, Torino, 2006, p. 75

11 Ethics, p. 113. Che la teoria darwiniana costituisca il motore della storia, sia ovvero, per adoperare una metafora, il surrogato moderno dell'idea di provvidenza, è un'idea che si trova già in Problems from

volte come una forma di dissoluzione della morale. L'emotivismo, altra teoria dissolutrice, è stato per questo a sua volta considerato come il necessario prolungamento della teoria morale humeana. Mackie, incline a vedere la sua ricerca morale come un'ideale prosegui- mento di quella dello scozzese, non accetta affatto questa visione dissolutrice ed emotivista della morale humeana. Una rilettura dello scozzese alla luce di Darwin sembrerebbe dare ragione all'opinione dell'australiano.

Secondo Alessandra Attanasio il 'matrimonio' tra Hume e Darwin permette anzitutto di “archiviare definitivamente il supposto scetticismo di Hume”12, facendo chiarezza sul co- gnitivismo gradualista dello scozzese e quindi sul suo empirismo, come si è visto in [3.4.2]. Allo stesso modo, l'intera teoria dell'evoluzione per selezione naturale porta a com- pimento, tramite l'individuazione dei meccanismi alla base del trasformismo naturale, la grande opera di critica del finalismo cominciata coi Dialoghi sulla religione naturale. Infi- ne, la natura del sentimentalismo propugnato da Hume può essere ulteriormente compresa attraverso un concetto darwiniano, quello di adattamento.

Secondo l'interpretazione che Mackie dà del sentimentalismo di Hume e della sua genea- logia della giustizia, la morale humeana è infatti pienamente compatibile con le idee darwiniane sulla funzione specifica, ma naturale, della morale: che “la società”, ovvero, “non potrebbe andare avanti senza il senso morale, proprio come un alveare di api senza i loro istinti”13. In questo modo è possibile comprendere il lato positivo, lontano da ogni pro- posito dissolutivo, insito nella teoria di Hume. Definendo una 'teoria dell'oggettivazione' il sentimentalismo dello scozzese, Mackie si riallaccia proprio a questa lettura funzionalistica della morale humeana, escludendo così ogni sua parentela con l'emotivismo. Teoria che non riesce a cogliere la natura di adattamento della morale, e quindi a spiegarne la funzio- ne. Il punto è ben colto da Michael Ruse:

“Il darwinismo rende assolutamente evidente ciò che non è stato sottolineato a sufficienza dagli emotivisti, e che, a causa di questa omissione, ha inficiato l'emotivismo davanti agli occhi di tanti. Il darwinismo mostra che, nonostante la morale sia forse semplicemente una questione di sentimenti ed emozioni, noi uomini proiettiamo questi in una condizione apparentemente oggettiva e pre- scrittivamente vincolante. Noi 'oggettiviamo' la moralità. In virtù di ciò, e solo per questo, la morale funziona come un efficiente dispositivo capace promuove- re la socialità”14.

12 A. Attanasio, Hume, Darwin, un dialogo nel tempo, “Micromega” 5 (2002), p. 239

13 C. Darwin, Vecchie e inutili note sul senso morale e alcuni temi di metafisica, “Micromega”, 5 (2002), p. 252

È grazie a questa lettura funzionalistica che, a differenza che nell'emotivismo, è possibile passare a una morale come errore a una come invenzione, e a procedere quindi in una ridu- zione che non sia una dissoluzione.

Non solo: pensare una metaetica scettica all'interno di un contesto evolutivo-darwiniano permette di aggiungere tutta una serie di argomenti a suo sostegno. Come ha notato sempre Ruse in un articolo scritto a quattro mani con Edward O. Wilson15, e più recentemente Richard Joyce16, il fatto che l'etica sia un prodotto naturale frutto dell'evoluzione della spe- cie umana fornisce una solida prova a posteriori della validità di una teoria come quella di Mackie. Se la morale è un prodotto contingente della storia naturale, perché pensare alle premesse del discorso etico come qualcosa di assoluto e indipendente? Dove trovare la giu- stificazione per qualità non naturali come quelle postulate dall'intuizionismo, o per una fa- coltà come la ragion pratica kantiana?17 L'approccio neo-humeano di Mackie alla morale, oltre a essere difendibile di per se stesso, appare, per questo motivo, l'unico in grado di so- stenere la propria coerenza di fronte al naturalismo darwiniano.

1879 discutendo le conseguenze morali delle teorie di Darwin e di Spencer: la morale non sarebbe altro che una collezione di idee fisse e allucinazioni utili installate dentro di noi dall'evoluzione; una sorta di “ispirazione artistica, ma che crede che i suoi oggetti siano reali” (La morale anglaise contemporaine, p. 324).

15 M. Ruse & E. O. Wilson, Moral philosophy as applied science, “Philosophy”, 61, (1986) 16 Darwinian ethics and error

17 Robert Nozick nelle sue Philosophical explanation ha suggerito che questa dimostrazione a posteriori non sia definitiva, poiché le nostre premesse morali interne ed evolutive potrebbero correre in parallelo con premesse esterne e indipendenti da noi, coincidendo con esse. Si tratta certamente di una possibilità plau- sibile, ma vulnerabile di fronte al rasoio di Ockham, come notato giustamente da Ruse e Wilson (Moral

philosophy as applied science, pp. 86-87). Di fronte a questa obiezione John Mizzoni ha affermato che

l'argomento di Ruse e Wilson va rigettato poiché è equiparabile a un paralogismo di questo genere: “1. L'esistenza di un alto tasso di disoccupazione non è necessario per la nostra credenza in un alto tasso di disoccupazione, quindi 2. Un alto tasso di disoccupazione è ridondante ai fini della nostra ricerca” (J. Mizzoni, Evolutionary Ethics: A Crack in the Foundation of Ethics?, p. 3,

http://www.bu.edu/wcp/Papers/TEth/TEthMizz.html). Mizzoni nella sua ricostruzione dell'argomento si dimentica di aggiungere una serie di premesse fondamentali: che abbiamo buoni motivi per spiegare la nostra credenza nell'oggettività etica anche se i valori oggettivi non esistessero, e che mentre il tasso di disoccupazione è un parametro empiricamente verificabile in maniera diretta, non è così per i valori.

4.1.3 Naturalizzare significa giustificare?

So far, so good. Ma la naturalizzazione della natura e dell'uomo sono compatibili con i requisiti di libertà posti alla base, nella tradizione occidentale, delle discipline pratiche? Come si chiede Orlando Franceschelli, un'antropologia darwiniana “ci condanna inesora- bilmente a una qualche forma di determinismo genetico, se non addirittura di riduzionismo nichilistico, di incapacità di cogliere la specifica complessità e dignità dell'uomo?”18

Torniamo così al problema enunciato da Lévinas: che ogni naturalismo neghi necessaria- mente i presupposti libertari della tradizione occidentale. Fondamento di questa obiezione è l'idea che la dimensione biologica sia la dimensione della necessità e dell'atemporalità, il dominio schiacciante del passato della specie sul presente dell'individuo. Ma, come prima osservazione, c'è da dire che non necessariamente questo dominio del passato è stato visto come un appiattimento su posizioni reazionarie o nichiliste. Già Spinoza, il primo a critica- re duramente l'idea dell'uomo come imperium in imperio, si poneva come obiettivo il rag- giungimento di una filosofia della libertà e della liberazione. E cinquantaquattro anni prima dell'avvento del nazismo al potere, un autore francese come Guyau, commentando le teorie di Spencer non trovava niente di scandaloso nel connubio tra 'dominio del passato' (la puissance du passé, come la chiama) e il progressismo proprio dell'utilitarismo19. Si era al- lora in pieno positivismo, e una spiegazione in termini naturali della morale, seppur già let- ta attraverso quelle categorie elaborate da Lévinas, appariva come un ideale di progresso, non certo di reazione, seppur si basasse su un naturalismo molto spenceriano e assai poco darwiniano, e conseguentemente improponibile oggi.

Una visione del biologico come dominio sì della necessità, ma contemporaneamente come trampolino di lancio per la possibilità, ha informato inoltre tutta una serie di ideolo- gie che si richiamano a una visione libertaria della condizione umana. Queste tipologie di naturismo, riemerse nella cultura pop dapprima durante gli anni sessanta, formano il noc- ciolo di due ideologie così diverse come il new age e l'anarchismo neo-primitivista. Su basi sicuramente più darwiniane e meno ingenuamente ottimiste, svincolate cioè sia dallo spen-

18 O. Franceschelli, Dio e Darwin. Natura e uomo tra creazione e evoluzione, Donzelli, Roma, 2005, p. 65 19 “In questo modo noi troviamo già fatte nel nostro cervello, come una serie di leggi stabilite in precedenza

dalle generazioni passate, queste associazioni che dovranno dominare le nostre azioni e diventare padrone della nostra vita. Come noi non le abbiamo create, noi non possiamo distruggerle; come noi non le abbia- mo messe in noi stessi, noi non le possiamo sradicare: esse hanno delle radici tanto più inestirpabili quan- to esse affondano in profondità nel nostro passato. (...) La necessità morale non è altro che la manifesta- zione dentro di me di una potenza che mi è anteriore e superiore, la potenza del passato; sono coloro che mi hanno preceduto, i miei padri e i miei avi, che in qualche maniera mi obbligano attraverso i tempi” (La

cerismo del positivismo sia dal naturismo new age, innatismo ed ereditarietà, caratteri che spaventano tanto gli eredi dell'illuminismo, sono stati rovesciati come prerequisiti per la li- bertà da numerosi pensatori. Per esempio, l'istinto del linguaggio è stato visto da Steven Pinker e Helena Cronin20 come un argine protettivo che l'evoluzione ha creato, fortunata- mente per noi, contro i condizionamenti culturali che potrebbero portare a incubi totalitari à la 1984.

Certo, sapere che un determinismo sociale assoluto come quello alla base del bispensiero è di fatto impossibile fa tirare un bel sospiro di sollievo, nondimeno l'obiezione che dietro

Nel documento La filosofia morale di John Leslie Mackie (pagine 164-176)