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È possibile la morale?

Nel documento La filosofia morale di John Leslie Mackie (pagine 110-119)

Capitolo 3. La morale come invenzione e dispositivo

3.1 È possibile la morale?

Il primo interrogativo è semplice, almeno nella sua formulazione. È possibile costruire una teoria morale a partire dalla teoria dell'errore? L'affermazione che non esistono valori oggettivi e che, conseguentemente, tutti i giudizi morali sono falsi, si concilia con le possi- bilità di un'etica?

Posta in questo modo la situazione non sembra affatto rosea. Come si è visto però in [1], a dispetto della tradizione, lo scetticismo morale, inteso come tesi metaetica, va distinto dal nichilismo pratico. Questa conclusione però merita di essere approfondita. Bisogna ancora capire come sia possibile una morale dopo la teoria dell'errore: qual è il rapporto tra scetti- cismo morale ed etica normativa, e qual è l'apporto del primo alla seconda?

Il punto di arrivo negativo della metaetica di Mackie non costringe al silenzio l'etica nor- mativa, ma obbliga questa a una reimpostazione di qualche tipo. Tale reimpostazione im- plica anzitutto comprendere quale sia la funzione della morale: essa non esiste di per sé, ma è nata immanentemente al fine di assolvere degli scopi precisi. Una volta compresi questi sarà possibile costruire su basi solide, perché funzionali, l'intero impianto normativo. Sono queste, in poche parole, le tesi centrali di questo capitolo. Compito di questa serie di paragrafi è mostrare come esse siano attuabili.

I critici neo-pragmatisti di Mackie, così come quelli di matrice analitica, faticano il pas- saggio tra la metaetica scettica e l'etica normativa, contestandola a monte. Ciò è accaduto sia da parte di pensatori affini all'australiano1, vuoi per comune tradizione filosofica o per semplice amicizia, sia per pensatori lontani dalle prospettive empiriste dell'autore2. In tutti questi casi l'obiezione è standardizzata: se non esistono giudizi morali oggettivi, se tutti i nostri enunciati etici sono falsi, allora dovremmo limitarci al silenzio dal momento che ogni etica normativa sarebbe per questo impossibile.

Non credo le cose stiano in questa maniera, e l'ho già detto. Adesso cercherò di dimo- strarlo.

3.1.1 Mackie, l'inconseguente

Sono stati in molti a chiedersi come faccia Mackie a scrivere come se niente fosse pagine

1 R.M. Hare, Ontology in ethics, in Morality and objectivity, op. cit.; S. Blackburn, Errors and the

phenomenology of value, in Morality and objectivity, op. cit.; B. Williams, Ethics and the fabric of the world, in Morality and objectivity, op. cit.; W.D. Casebeer, Natural Ethical Facts

2 H. Putnam, Etica senza ontologia, op. cit.; T. Nagel, The view from nowhere, op. cit.; M. De Caro,

Gazzaniga, Hauser e la fallacia dei cromosomi morali, in “Micromega” 2 (2007); J. Harrison, Mackie's moral 'scepticism' , “Philosophy”, 57 (1982)

e pagine di moralità pratica dopo un capitolo d'attacco come quello di Ethics. Simon Blackburn ha sostenuto che “c'è qualcosa di sospetto nel proporre una teoria dell'errore, continuando allo stesso tempo a moralizzare”3. Bernard Williams ha tirato le medesime conclusioni in questi termini: “la teoria [di Mackie] mostra la falsità di qualcosa in cui il senso comune è disposto a credere. Non per questo [Mackie] credeva che una volta esposto l'errore, sarebbe stato corretto mettere in discussione o indebolire le nostre quotidiane con- vinzioni morali”4. Allo stesso modo Richard Hare ha posto il dito su quella che sembra es- sere il peccato originale dell'etica mackiana: “[Mackie] prima ci dice che tutti i giudizi mo- rali sono falsi, poi ci spiega quali giudizi dovremmo accettare”5.

È da notare come, nelle conseguenze effettive, Blackburn, Williams e Hare sembrino (con qualche ovvia sfumatura) vicini al sentimentalismo mackiano. In Hume's moral theory Mackie stesso ammette indirettamente la prossimità delle sue idee con il 'quasi- realismo' di Blackburn6. Nondimeno, ognuno di essi vede nello scetticismo metaetico, qua- le sia la sua sostenibilità, una posizione sterile, e la metà di Ethics che Mackie dedica a questioni normative sarebbe pertanto frutto di un atteggiamento inconseguente da parte dell'australiano: di un vero e proprio non sequitur.

“Ammettere la non verità come condizione della vita” si proponeva Nietzsche, afferman- do che “la falsità di un giudizio non è ancora, per noi, un'obiezione contro di esso; è qui che il nostro linguaggio ha forse un suono quanto mai inusitato. La questione è fino a che punto questo giudizio promuova e conservi la vita (...); e noi siamo fondamentalmente pro- pensi ad affermare che i giudizi più falsi (...) sono per noi i più indispensabili”7. La morale è indispensabile. E nonostante essa sia infondata, la prima clausola basta a garantirne la possibilità. In questo passo di un Nietzsche precursore a modo suo della teoria dell'errore, come ha sostenuto Charles Pigden8 è condensata la risposta all'obiezione del non sequitur. Esaminiamo nei dettagli la questione.

La tesi centrale dell'obiezione è la seguente:

NS: Se tutti i giudizi morali sono falsi, allora non siamo giustificati a occuparci

di morale.

3 Errors and the phenomenology of value, in Morality and objectivity, p. 4 4 Ethics and the fabric of the world, in Morality and objectivity, p. 204 5 Ontology in ethics, in Morality and objectivity, p. 53

6 Hume's moral theory, p. 75

7 F. Nietzsche, Al di la del bene e del male, Adelphi, Milano, 1977, p. 9

8 C. Pigden, Nietzsche and the Doppelganger problem, “Ethical theory and moral practice”, 5 (November 2007)

NS è una tesi contro il primo livello dell'etica di Mackie, non contro il secondo, e non va pertanto confusa con l'obiezione 'testa nella sabbia' cui ho accennato in [1.1]. Ciò che NS afferma è che vi sarebbe un pendio scivoloso che dallo scetticismo morale porta necessa- riamente al nichilismo normativo, per cui, fermo restando la validità del primo, ogni prete- sa normativa è necessariamente infondata. Per quale motivo?

È ovvio che il motivo non può consistere in un imperativo morale, per il semplice motivo che se tutti i giudizi morali fossero falsi, anche il non essere giustificati a occuparci di mo- rale, se inteso come un monito morale, sarebbe falso. La conseguenza è quindi di natura semplicemente pratica, e fa appello alla premessa implicita per cui una tesi di secondo li- vello, la tesi scettica in questo caso, conduce necessariamente a una tesi di primo livello, il nichilismo morale.

Ma questa premessa implicita è del tutto infondata. Di tre proposizioni,

i) I giudizi morali sono tutti falsi.

ii) Non possiamo non occuparci di morale.

iii) Se tutti i giudizi morali sono falsi, allora non siamo giustificati a occu- parci di morale (NS).

Siamo obbligati a tenerne soltanto due: poiché se accettiamo NS, una a scelta tra 'i' e 'ii' deve essere falsa. Dal momento che 'ii' è una verità pratica cui non possiamo sottrarci (tesi che sosterrò nella serie di paragrafi [3.3]), e 'i' è giustificata alla luce di quanto detto nel precedente capitolo, ne consegue che è NS che non dobbiamo accettare: e ciò non significa altro che ammettere l'indipendenza dei due livelli della morale. Siamo in pratica tornati al punto di partenza di [1.1], la conclusione che considerare necessario il passaggio dallo scetticismo morale al nichilismo normativo significhi accettare una premessa del ragiona- mento oggettivista, la quale è contraddetta a posteriori dalla possibilità di essere scettici nei confronti del problema della fondazione della morale e avere al contempo delle precise po- sizioni normative. Quindi, si può essere morali pur essendo scettici.

3.1.2 Come concepire la morale?

A questo punto però il problema diventa un altro: in che modo dobbiamo impostare le nostre convinzioni?

vata dalla necessità, anche per lo scettico, di agire adottando un punto di vista morale. Me- todologicamente importante per quanto riguarda le discussioni di secondo livello, lo scetti- cismo non è capace di sgretolare del tutto l'edificio normativo. Anzi: la cosa non rientra af- fatto tra i suoi obiettivi. Allo stesso tempo però, negare l'oggettività dei valori porta a co- struire la morale su un'idea diversa da quella presupposta dal modello fondativo-deduttivo. La metaetica diventa in questo caso lo strumento positivo per modificare il nostro atteggia- mento pratico. Dopotutto, questo non significa che l'indipendenza dei due livelli della mo- rale è venuta meno? Che, in pratica, lo statuto dell'etica è in grado di modellarne formal- mente il contenuto?

A questo proposito se, da una parte, l'australiano afferma chiaramente che i due livelli sono indipendenti, dall'altro, valorizzando le conseguenze dell'adozione di una prospettiva sentimentalistica, sostiene l'idea che i due livelli non siano completamente isolati, almeno da un punto di vista formale. Bisogna affiancare quindi alla tesi espressa nel paragrafo pre- cedente, che si può essere morali pur essendo scettici, una nuova tesi: che essere scettici implica essere morali in una certa maniera. La questione può essere impostata in tre modi diversi.

Anzitutto, potremmo decidere che sia utile dimenticare la scoperta dell'errore ogni volta che usciamo dal nostro studio e ci immergiamo nella vita pratica, dal momento che quella oggettivista, sebbene sia una illusione, è un'illusione indispensabile. Lo scetticismo morale sarebbe così soltanto una posizione filosofica, quasi una teoria esoterica, del tutto inutile dal punto di vista pratico.

Secondariamente potremmo considerare utile l'illusione oggettivistica per garantire un corretto funzionamento del nostro sistema morale, ma senza per questo considerare inutile la lezione della teoria dell'errore: potremmo adoperare questa come un strumento capace di intervenire ogni qual volta la concezione oggettivista sfugga di mano causando quei “fasti- diosi effetti collaterali”, come l'intolleranza e il fanatismo, che sono connessi con essa.

Infine, potremmo considerare l'intera impresa morale non solo come falsa, ma pure inuti- le se non perniciosa, e optare per una sua abolizione dalla nostra società: la teoria dell'erro- re sarebbe da considerarsi come una teoria del tutto rivoluzionaria.

Quale di queste prospettive è quella adottata da Mackie? La questione è delicata, molto delicata, perché l'australiano non ha mai dato una risposta definitiva a questa domanda,

oscillando nei suoi testi tra la prima e la seconda opzione9. Da un punto di vista esclusiva- mente testuale, che prescinde da un'analisi complessiva di quanto emerge dalla teoria di Mackie, l'ultima parola dell'australiano sull'argomento è una dichiarazione di preferenza per la seconda tesi10. Ma il problema non può essere certamente ridotto alla dimensione cronologica.

L'opinione di Barbara de Mori, per esempio, è che in generale Mackie optasse per la pri- ma soluzione: una volta scoperto l'errore si deve “accettare serenamente la scoperta della falsità delle proprie convinzioni etiche, senza mutare in alcun modo il proprio modo di agi- re e di pensare nel campo morale”, e da un punto di vista pratico sarebbe “meglio che le cose rimangano come se i valori oggettivi esistessero”11. L'ambiguità di fondo non sarebbe tanto ascrivibile a una indecisione bensì a una continuità di fondo con la visione, per certi versi problematica e già in bilico tra le due opzioni, che Hume dava della morale e che Mackie riprende. In molti punti dell'opera di Mackie si ritrovano, per esempio, accanto ad accenti sulla necessità sociale del sistema morale, forti echi delle critiche humeane alle ca- tegorie fanatismo e l'entusiasmo12.

Ma un'interpretazione del genere non è sicuramente pacifica. Non solo per le evidenze che di volta in volta si possono citare a sostegno di entrambe le prime due interpretazioni, ma perché non è possibile escludere che Mackie tenesse in considerazione anche la terza opzione. Essa è sì esposta e scartata in Hume's moral theory13, ma soltanto dopo una lunga e tribolata presa in esame che secondo Ian Hinckfuss14 mostra come l'australiano, nell'ulti- ma fase del suo pensiero stesse prendendo realmente sul serio quest'opzione. E Garner15, sempre a proposito, ha concluso che Mackie, viste le premesse del suo ragionamento, sa- rebbe approdato a questa soluzione prima o poi.

Come lo stesso Garner però riconosce, speculazioni basate sui se sono in fin dei conti inutili, e non ci sono elementi certi per dimostrare questa tesi. Vero è però che l'elemento riformatore è sempre presente negli intenti di Mackie e sembra essere questa l'anima che

9 A questo proposito è di rilievo l'opinione di Bernard Williams: “la teoria di Mackie, come qualsiasi altra di questo tipo, lascia in eredità il problema di capire quali siano le conseguenze se fosse vera” (Ethics and

the fabric of the world, in Morality and objectivity, p. 213).

10 Hume's moral theory, p. 156 11 Inventare il giusto e l'ingiusto, p. 32

12 Essays, moral, political, and literary, 1, X, “Of superstition and enthusiasm” 13 Hume's moral theory, pp. 154-156

14 I. Hinckfuss, The moral society: its structure and effects, Australian National University, Canberra, 1987, http://www.uq.edu.au/~pdwgrey/web/morsoc/MoralSociety.pdf, p. 26

sospinge la teoria dell'errore. Se d'altronde essa non fosse presente, la critica di Tariq Modood, per il quale la teoria dell'errore è sostanzialmente inutile, acquisirebbe un senso16. Inoltre, nonostante Mackie non abbia mai proposto seriamente (a parte l'esile incertezza ri- cordata da Hinckfuss) una soluzione radicale come quella proposta da Garner o da Burgess di un'abolizione della morale, è altrettanto vero che non ha mai affermato esplicitamente che l'ideale funzionamento del dispositivo etico richieda, almeno illusoriamente, tutti i re- quisiti impliciti nel modello oggettivista. Come Williams stesso ha notato “Mackie non pensava che le cose sarebbero andate nello stesso modo accettando il suo particolare sog- gettivismo. Riconosceva che se il soggettivismo è vero, il processo di acquisizione dei va- lori è diverso da quello presupposto dall'oggettivismo”17.

3.1.3 La teoria dell'errore come riforma concettuale

La questione può essere a mio avviso risolta, sebbene non in maniera definitiva, rivolgen- do l'attenzione verso la spiegazione del fenomeno morale data da Mackie e su quella che in fin dei conti è la sua proposta di riforma normativa. La mia tesi è che Mackie non intendes- se né considerare la teoria dell'errore una posizione neutrale rispetto alla nostra sfera prati- ca, né il primo passo per abolire del tutto il dispositivo morale. Ciò che propone, nei fatti, è una riforma concettuale del nostro modo di concepire l'impresa etica, un'assunzione adulta dei rischi che essa comporta e soprattuto un nuovo modo di pensare a essa non più come a un fascio di leggi eterne e universalmente valide, bensì come a un insieme di regole di co- modo pensate allo scopo di proteggere gli individui e tutelarli: una morale 'dal volto uma- no' quindi, adatta a una società pluralista che si sia liberata dai fantasmi degli assolutismi, anche di quelli dei valori. Come scrive Rawls a proposito di Hume, nonostante l'asimme- tria di questo tipo di scetticismo, per cui non vi è coincidenza tra le sue conclusioni teoreti- che e quelle pratiche, che fa sì che lasciando i nostri studi abbandoniamo tutti i nostri dubbi scettici per abbracciare nuovamente le nostre credenze naturali, è altrettanto vero che “ quando lasciamo i nostri studi non tutte le nostre credenze ritornano”: non tornano, infatti, “i nostri fanatismi e superstizioni (...), e di conseguenza siamo moralmente migliori e più felici”18.

Ricapitolando. La conclusione della teoria dell'errore è che tutti i giudizi di valore sono

16 T. Modood, J.L. Mackie's moral skepticism, in “The journal of value inquiry”, 189 (1984) 17 Ethics and the fabric of the world, in Morality and objectivity, p. 212

falsi, nel senso che il loro valore di verità non deriva da qualche criterio linguistico partico- lare ma dall'appello ontologico a una cornice eterna di regole che nutra i nostri imperativi. Ma questa cornice non c'è: i giudizi morali per legittimarsi rivendicano si affidano a qual- cosa che non esiste e sono pertanto falsi, tutti. Nondimeno la morale è possibile, in virtù dei suoi obiettivi e scopi sociali: essa è utile e quindi necessaria.

Ma non una morale qualsiasi. Mettendo da parte la cornice eterna di regole, universale e oggettiva, possiamo concepire invece una cornice storica e convenzionale entro la quale concepire nuovamente i nostri giudizi morali. I giudizi convenzionali, falsi di per sé, acqui- siscono un nuovo valore pratico, storico e intersoggettivo proprio perché apertamente rico- nosciuti come falsi. Come afferma giustamente Modood, affermare il proprio dissenso ri- guardo alla pena di morte in virtù di un qualche diritto universale oggettivo è sicuramente diverso da motivare lo stesso ragionamento da un punto di vista che nega ogni forma di di- ritto universale esteriore ai soggetti stessi, e ciò significa che vi è una connessione formale tra metaetica e principi pratici19. Lo scetticismo appare come una cauta via e moderata, ca- pace, secondo la migliore tradizione di questo pensiero, di evitare gli eccessi e i fanatismi del dogmatismo, e favorire per questo un rapporto pragmatico, sobrio e garante della sicu- rezza, con noi stessi e gli altri20.

Tutto questo mi sembra coerente con il percorso che collega le varie parti della specula- zioni di Mackie: dalla teoria dell'errore al doppio binario di una morale concepita da una parte come invenzione individuale di un'arte di vita, e dall'altra come invenzione comune volta a tutelare l'individuo nel raggiungimento dei suoi scopi e a promuovere la coopera- zione; e come esito di questa interpretazione, una concezione pluralista dei valori, e l'idea di basare il meccanismo sociale sui diritti come mezzo più efficace per garantire questa concezione.

3.1.4 Mackie, l'immorale

Ma questo modo di concepire la morale non è piaciuto a molti. In un recente intervento

19 Anche Timo Airaksinen riconosce la volontà riformistica dietro la teoria dell'errore: “Mackie cerca di mo- strare che la vita sociale sarebbe migliore se i nostri principi normativi fossero ricostruiti sulle basi della teoria dell'errore. La sua teoria è progettata per avere un effetto liberatorio” (Values in Mackie's error

theory of ethics, p. 468).

20 Una simile conclusione è tratta anche da Westermarck: “se si potesse mostrare definitivamente che non vi sono degli standard assoluti in morale, allora forse le persone sarebbero da una parte più tolleranti e dal- l'altra più critiche nei confronti dei propri giudizi” (Ethical relativity, p. 59). Passo questo che ricalca con qualche modifica l'opinione che il finlandese aveva già espresso nel 1906 (The origin and development of

su Micromega21, Mario de Caro, interrogandosi sui presupposti di una filosofia morale lai- ca, ha tracciato una divisione in quella che è riconosciuta giustamente come una categoria complessa e confusa, il naturalismo. Da una parte vi sarebbero filosofi fautori di un 'natura- lismo scientifico', riduzionista o eliminativista, e dall'altra filosofi sostenitori di un 'natura- lismo liberalizzato', pluralistico e rispettoso delle autonomie interdisciplinari. Date queste definizioni, è del tutto superfluo rivelare da che parte de Caro mette i 'buoni'.

Mackie ovviamente non è tra questi. Citando quella che è chiamata 'legge di Hume', de Caro afferma infatti che i naturalisti scientifici sovvertono continuamente il comando hu- meano di non assimilare nell'ambito della scienza (l'essere) l'etica (il dover essere). Proba- bilmente, ciò che de Caro vuole dire è che Mackie, e molti altri autori come lui che vedono nella teoria dell'evoluzione per selezione naturale un utile contributo per la ricerca etica, si interroga, con criteri epistemologici basati sulla nostra conoscenza scientifica del mondo, riguardo alla natura dei valori morali. L'applicazione della legge di Hume a questa assun- zione diventa conseguentemente assai singolare, a meno di credere che l'essere di un dover essere per de Caro non sia a sua volta un essere, bensì un qualcos'altro di non meglio speci- ficato.

Il senso tra le righe quindi deve essere un altro. Ed è, precisamente, che l'indagine metae- tica non deve chiamare in causa un'epistemologia 'scientifizzata' perché essa porta al 'ridu- zionismo'. La posizione mackiana, per de Caro, si confuta da sé, in quanto arriva alla con- clusione che gli enunciati morali sono tutti falsi, da 'è giusto torturare i bambini per diletto' fino a 'è giusto dare la vita per la persona che si ama'. Insomma, sembrerebbe di essere di nuovo di fronte all'obiezione 'testa nella sabbia': “le conseguenze di X sono terribili, speria- mo che X non esista”. O meglio: le conseguenze di X sono terribili, X non esiste!

Nel documento La filosofia morale di John Leslie Mackie (pagine 110-119)