Capitolo 2. La teoria dell'errore
2.4 Alcune obiezion
La parte più commentata, discussa e criticata della filosofia morale di Mackie è sicura- mente quella che si è esaminata nella seconda sezione di questo capitolo. In questo modo però spesso si è dimenticato che all'abbandono di ogni pretesa fondativa si accompagnano nella filosofia di Mackie la rivalutazione della dimensione puramente esplicativa della mo- rale e l'adozione di una prospettiva convenzionalistica, e che questi due lati sorreggono la metaetica del primo capitolo di Ethics. Alla luce di una interpretazione complessiva del- l'autore, sezionare queste due parti appare decisamente improprio, poiché esse compongo- no un unico lungo ragionamento. Tenendo presente questo aspetto che sarà sviluppato nei prossimi capitoli, affronterò adesso alcune delle obiezioni che sono state poste alla teoria dell'errore. Queste obiezioni ruotano attorno a un carattere comune: se e come sia possibile sfuggire alle maglie dell'anti-realismo di Mackie.
Ridefinire la nozione stessa di realismo morale attraverso una nuova interpretazione della dimensione oggettiva e soggettiva è la strada percorsa da Thomas Nagel [2.4.1]. Svincolare la nozione di valore dai suoi caratteri strettamente prescrittivi è il modo in cui si articolano le critiche di alcuni autori come Timo Airaksinen e David Brink [2.4.2], mentre l'attacco all'analogia tra valori e qualità secondarie è ciò che permette a John McDowell di difendere la propria forma di realismo [2.4.3]. Rifarsi alla teoria della virtù aristotelica in chiave evo- lutiva è sembrato a William Casebeer un sistema per evitare l'argomento a partire dalla stranezza [2.4.4]. Infine, il pragmatismo di Putnam si pone come la critica più diversificata e profonda della teoria dell'errore [2.4.5] e [2.4.6].
2.4.1 Il realismo di Thomas Nagel
La peculiare capacità umana per Nagel consiste nel far convivere in un'unica persona due modi di pensare la realtà del tutto opposti. Ogni uomo possiede una visione personale della realtà, basata su quella che è la sua situazione contingente. Ma al contempo è anche in gra- do di gettare sul mondo uno sguardo distaccato capace di trascendere la sua situazione par- ticolare: uno sguardo che è in realtà uno sguardo da nessun luogo. I termini entro i quali conciliare questi due modi diversi di concepire la realtà costituiscono il problema centrale della sua filosofia così come è espressa in The view from nowhere114.
La tradizione filosofica, secondo Nagel, ha alternativamente trascurato uno dei due modi
di vedere la realtà in favore dell'altro, col risultato di misconoscere la duplice dimensione umana. In particolare, l'eccesso di oggettivismo che caratterizza la visione moderna del mondo non solo ha stretto all'angolo la soggettività emozionale, ma ha finito anche per im- poverire la stessa capacità umana di comprendere il mondo, tutto il mondo, in maniera di- staccata, oggettiva. Discutendo del fisicalismo, per esempio, Nagel scrive: “in questo modo è assunto un criterio epistemologico di realtà che pretende di essere esaustivo ma che in verità esclude a priori vasti territori senza alcun argomento”115. Lo stesso problema pervade etica.
Posto che l'oggettività è la questione fondamentale dell'etica, poiché essa è richiesta dagli scopi stessi che si pone questa disciplina, è ovvio che ogni forma di spiegazione psicologi- sta o linguistica sarà fallimentare: assumerà i contorni di quell'eccesso di oggettivismo cri- ticato da Nagel, il quale oltre a considerare riducibile la soggettività nei termini di un lin- guaggio oggettivante, finisce per precludere definizioni diverse di oggettività capaci di ab- bracciare una spiegazione esauriente della realtà. Definizioni in pratica che non si limitino soltanto agli oggetti fisici.
Come risultato, una posizione del genere finisce per espungere l'etica dal dominio di ciò che esiste veramente, relegandola a istanze soggettive che coincidono in definitiva con una forma di nichilismo morale. Un esempio di questo modo di procedere è rintracciabile, se- condo Nagel, nel progetto humeano di spiegare psicologicamente la morale: e l'unico si- stema per scavalcare questo progetto è di “cercare una forma di oggettività appropriata al soggetto”116.
Che tipo di oggettività quindi? Nagel elenca tre argomenti contro il realismo normativo, i quali corrispondono a forme più generali degli argomenti della teoria dell'errore. L'argo- mento a partire dall'eccentricità, in particolare, può essere illuminante secondo Nagel per comprendere la ristrettezza degli anti-realisti nel concepire i valori oggettivi e cominciare così a costruire una nozione di oggettività normativa strutturata diversamente. In particola- re, l'argomento a partire dall'eccentricità “si regge sull'ingiustificata assunzione che se i va- lori sono reali, essi devono essere oggetti reali di qualche sorta”117. Premessa che in realtà non è nient'altro che la pregiudiziale empirista di Mackie.
Ma entro i confini della pregiudiziale secondo Nagel non è possibile concepire la realtà
115The view from nowhere, p. 141 116The view from nowhere, p. 142 117The view from nowhere, p. 144
del valore. Dire che i valori sono realtà effettive non significa infatti affermare che essi sono oggetti o proprietà di qualche tipo quanto che essi sono 'reali valori', che sono, cioè, veri o falsi indipendentemente dalla nostra semplice soggettività. La loro oggettività consi- ste nient'altro che in questo.
'Dire che i valori sono reali significa soltanto assumere che essi sono reali valori'. Si tratta questo soltanto di un gioco di illusionismo? In precedenza Nagel ha definito il proprio rea- lismo normativo, distinguendolo dall'inconsistente realismo di tipo platonico criticato da Mackie, con queste parole:
“Il realismo normativo è la tesi per cui le proposizioni che ci forniscono ragio- ni per l'azione possono essere vere o false indipendentemente da come le cose ci appaiano, e che possiamo sperare di scoprire la verità trascendendo le apparenze e assoggettandole al nostro giudizio critico. Ciò che puntiamo a scoprire con questo metodo non è un nuovo aspetto del mondo esterno, chiamato virtù, ma semplicemente la verità riguardo a ciò che noi e gli altri dovremmo fare e volere”118.
L'oggettività morale è quindi un'oggettività di tipo particolare, non riconducibile all'og- gettività degli oggetti propria del punto di vista scientifico. Vi sono delle ragioni come le chiama Nagel, le quali non possono essere derivate dalle nostre motivazioni interne, sog- gettive e psicologiche, che rendono possibile prescrivere le nostre azioni in maniera ogget- tiva: queste ragioni non si accorderanno a una realtà esterna di qualche tipo, ma saranno frutto del trasferimento delle nostre motivazioni parziali fuori di noi, in un punto di vista imparziale, frutto di un accordo razionale.
È possibile accettare questa definizione di oggettività morale o essa è troppo confusa? Il punto di vista esterno non è una realtà esterna, nel linguaggio di Nagel. Esso è un'ente on- tologicamente indefinibile per definizione: è questo in pratica lo stratagemma impiegato per evitare l'argomento a partire dall'eccentricità. Ma l'argument from queerness fa riferi- mento alla tesi ontologica della teoria dell'errore, il bald statement, che come si può vedere dallo schema contenuto in [2.2.13] è preceduto da una tesi concettuale, la rivendicazione di oggettività. Questa afferma che da un punto di vista logico i valori non possono essere con- cepiti dal linguaggio morale che in modo oggettivo e prescrittivo, cioè come strumento di validazione esterno ai soggetti. Nagel, come chiunque altro, può facilmente confutare la tesi ontologica rifiutando per principio la tesi concettuale, ma non per questo può pretende- re di aver risolto il problema: deve ancora argomentare il suo rifiuto. E postulare come
strumento di validazione indipendente dai soggetti un qualcosa che non è né interno ai soggetti né esterno non mi sembra un buon sistema. Se anche fosse possibile qualcosa di questo genere, questo tipo di validazione sarebbe diverso da qualsiasi forma di validazione conosciuta, e necessiterebbe quindi di essere spiegato in dettaglio: altro problema che Nagel non prende in considerazione. Inoltre: quale tipo di rapporto legherebbe le ragioni oggettive al nostro giudizio particolare, dal momento che, sebbene la definizione di queste richieda che non sussista rapporto causale tra esse e le nostre motivazioni, pure un qualche tipo di motivazione è richiesto affinché siano possibili i giudizi?
Sono tutti problemi che un realismo normativo come quello di Nagel deve chiarificare prima di poter pensare di aver travalicato il realismo 'semplice' criticato dalla teoria dell'er- rore.
2.4.2 Intellettualismo morale e realismo esternalista
La seconda delle due premesse alla teoria dell'errore che ho individuato in [2.2.13] consi- ste nell'identificazione di valore normativo con un carattere prescrittivo: un valore morale deve motivare in qualche modo all'azione. Riguardo a questa definizione, scontata in Mackie, c'è stato chi come Timo Airaksinen119 ha parlato di un improprio e vetusto intellet- tualismo morale. Conoscere i valori, nella teoria di Mackie, significherebbe automatica- mente essere motivati a perseguirli: e un tale tipo di ente è per definizione eccentrico.
Allo stesso modo David Brink è giunto alla conclusione che il realismo criticato da Mackie sia semplicemente una improbabile forma di realismo internalista, “la tesi a priori che il riconoscimento dei fatti morali necessariamente motivi o necessariamente provveda delle ragioni per l'azione”120, il quale lascia intatta la possibilità di difendere una forma esternalista di realismo dove è negato che i valori bastino da soli a motivare o a fornire ra- gioni per l'azione.
Ma come concepire un'oggettività normativa che non sia in qualche modo prescrittiva? Come scrive Richard T. Garner, non si può scappare dalla morale, al contrario per esempio che dalle regole del galateo: “il vincolo propriamente morale, al contrario del vincolo che morale e galateo condividono, è non relativo, non derivabile e ineluttabile in qualche modo
119T. Airaksinen, Values in Mackie's error theory of ethics, “Inquiry”, 26 (1983)
120D. Brink, Moral realism and the sceptical arguments from disagreement and queerness, “Australasian journal of philosophy”, 62 (1984). È importante, nonostante l'etichetta simile, non confondere il realismo internalista di cui parla Brink con la prospettiva internalista di Hilary Putnam, dato che che le ipotesi me- tafisiche alla base sono completamente differenti.
speciale e autorevole”121. I giudizi morali sono posti in modo da essere indipendenti dai soggetti, dalla società e da ogni altra costruzione storica e contingente122. Non hanno a monte clausole condizionali, come hanno per esempio gli imperativi del galateo (devi ri- spettare queste regole, se vuoi conformarti a uno stile sociale elevato). Comunque intesi, i fatti morali non possono essere considerati 'neutrali' alla stregua dei fatti naturali123. I valori possiedono una specifica dimensione normativa, che Garner caratterizza come imperativa e ineluttabile, ed è a questa dimensione che fa riferimento la tesi concettuale della teoria del- l'errore, la rivendicazione di oggettività: come scrive Mackie in The miracle of Theism, “affermare che [i valori oggettivi] sono intrinsecamente delle guide per l'azione significa sostenere che le ragioni che essi forniscono per fare qualcosa o per non farlo sono indipen- denti dai desideri e dagli scopi dell'agente”124 Dato che anche in una prospettiva esternalista questo carattere normativo (il provvedere a un agente motivazioni per l'azione che siano al di fuori dei suoi scopi personali) è riconosciuto, anche in essa l'eccentricità dei valori rima- ne da spiegare, ontologicamente ed epistemologicamente, a meno di non giungere alla tesi contraddittoria e inconciliabili di valori che siano allo stesso tempo normativi e inerti.
Sempre a proposito, Jeffrey Goldsworthy125, facendo chiarezza sulla posizione di Mackie riguardo al realismo, ha mostrato come la rivendicazione di oggettività, e conseguentemen- te la stessa definizione di questa, sia sostenuta dagli argomenti sociologici e psicologici con cui Mackie descrive il funzionamento del dispositivo morale. È il linguaggio stesso della morale a fornire la definizione di oggettività dei valori. Perciò, come già si è detto a
121R.T. Garner, On the genuine queerness of moral properties and facts, “Australasian journal of philosophy”, 68 (1990), p. 138. Tornando a Kant (vedi [1.4.2]), Garner sostiene che proprio l'idea di ine- luttabilità che Bernard Williams ne L'etica e i limiti della filosofia vede nell'imperativo categorico kantia- no e associa col sistema morale corrisponderebbe a ciò che Mackie intende per oggettività prescrittiva. 122Come nota Mackie, “sembrerebbe che i principi morali oggettivi non rispettino le singole persone in al-
cun caso” (The three stages of universalization, in Persons and values, op. cit. p. 179).
123In precedenza, discutendo della tesi concettuale, ho riportato un passo di Ethics dove Mackie sostiene che i valori oggettivi, cui si appella il nostro linguaggio morale, coinvolgono una richiesta nei confronti dell'a- zione “assoluta, non legata alle contingenze del desiderio, della preferenza, dell'abito o della scelta dell'a- gente, o di chiunque altro” (Ethics, p. 33) e questo passo è stato spesso adoperato per dimostrare che il tipo di prescrittività che Mackie allaccia alla sua definizione di valore normativo sia soverchiante in mas-
simo grado. In realtà si potrebbero chiamare in causa numerosi altri passi di Ethics per mostrare che que-
sta interpretazione è sbagliata oltre che semplicistica. Al di là dell'enfasi retorica che Mackie adopera in questo passo, è evidente che un grado di prescrittività assoluto è richiesto dalle rivendicazioni del lin- guaggio morale ingenuo, mentre la questione si fa sfumata per giudizi espressi da un linguaggio morale più filosofico, o semplicemente più consapevole ed elaborato: il punto che non si può mettere in questione però, è che la pretesa di oggettività del linguaggio morale fa riferimento a valori che sono sempre, in
qualche grado, prescrittivi.
124The miracle of theism, p. 173
125J. Goldsworthy, Externalism, internalism and moral scepticism, “Australasian journal of philosophy”, 1 (1992)
proposito dei tentativi di Nagel di ridefinire la tesi concettuale della teoria dell'errore, questa ridefinizione deve essere accompagnata da una critica efficace della spiegazione che Mackie dà alla genesi della moralità: dal momento che la tesi concettuale non è una tesi a priori, ma è sorretta da tutta la spiegazione genealogica (l'argomento 5 di [2.2.13]) della morale.
2.4.3 La critica dell'analogia tra valori e qualità secondarie
Molti filosofi hanno pensato che l'analogia tra qualità secondarie e valori morali sia fuor- viante. Bernard Williams, per esempio, ha affermato che essa al massimo è in grado di ne- gare l'oggettivismo del realismo più classico, ma non l'oggettivismo in sé. Simon Black- burn ha elencato tutta una serie di differenze tra il modo in cui le qualità secondarie so- pravvengono sulle qualità primarie rispetto alle modalità di sopravvenienza tra valori mo- rali e oggetti naturali. Ma è John McDowell126 ad avere criticato più a fondo l'analogia.
Il motivo è palese: Mc Dowell ha adoperato questa a tutt'altro scopo, ovvero per difende- re una versione sfumata di realismo normativo per cui i valori non sono nel mondo al modo degli oggetti e non possono pertanto essere colti da chi non abbia interessi morali determi- nati, così come le sfumature di colore non esistono per quanti non hanno gli occhi per ve- derle. Ma come ciò non significa che i colori non esistano (esistono di fatto nella nostra esperienza) e non vadano quindi spiegati razionalmente (ovvero senza richiami esclusivi alla nostra soggettività), lo stesso accade per i valori morali, che sono contemporaneamente reali e ancorati esclusivamente al soggetto. Mentre Mackie adopera l'analogia tra valori morali e qualità secondarie per affossare il realismo, McDowell la impiega proprio per spiegarlo e difenderlo.
Secondo McDowell lo sbaglio di Mackie consiste nel considerare un errore la nostra per- cezione delle qualità secondarie127. Le qualità secondarie sono semplicemente gli effetti di disposizioni e sono vere o false “in virtù della disposizione dell'oggetto a presentare una certa sorta di apparenza sensibile”128. Esse quindi sono caratterizzazioni genuine degli og- getti e non possono essere tranciate impunemente dal rasoio di Ockham:
“I valori non sono crudamente là, almeno non in un 'là' indipendente dalla no- stra sensibilità, così come avviene per i colori: nonostante questo, sempre come per i colori, ciò non ci ferma dal pensare che essi sono là indipendentemente da
126J. McDowell, Values and secondary qualities,in Morality and objectivity, op. cit . 127Vedi [2.1.2].
ogni esperienza di essi”129.
Mackie considera impropriamente i valori morali come se dovessero essere degli oggetti del mondo, “crudamente e assolutamente là”, mentre questi sono soltanto disposizioni del- le cose e come tali vanno interpretati senza chiamare in causa presunti errori del senso co- mune. Una qualità primaria è infatti oggettiva in un senso particolare: “ciò che significa per qualcosa possederla può essere adeguatamente compreso nei termini di una disposizio- ne a dare origine a stati soggettivi”130. L'oggettività chiamata in causa dalla ragion pratica deve essere quindi diversa dall'oggettività delle qualità primarie: deve essere un'oggettività legata allo statuto, posseduto dai valori, di effetti di disposizioni degli oggetti. In questo modo, le qualità morali lette all'interno della teoria disposizionale di McDowell sfuggono a ogni accusa di queerness. Ma è a mio avviso possibile comunque rifiutare la teoria disposi- zionalista in favore della spiegazione mackiana per tutta una serie di ragioni.
Come è stato notato131, una definizione disposizionalista dei valori finisce per assumere caratteri circolari: la razionalità necessaria per riconoscere il carattere interpersonale di un valore così concepito è definibile soltanto in funzione di una norma morale che è del tutto arbitrario decidere. Nel caso dei colori la norma si può stabilire convenzionalmente in base a quello che il funzionamento standard del sistema percettivo umano: devianze, come quel- le costituite dai daltonici, saranno considerate fuori norma. Ma è palese che questo non può essere fatto nel caso della morale. Una norma di questo genere presupporrebbe un funzio- nalismo etico che equivarrebbe di fatto a stabilire a priori il carattere sostanziale della nor- ma stessa. Il problema è in pratica lo stesso che si è incontrato discutendo la teoria di Nagel: come concepire un punto di vista da nessun luogo che contemporaneamente possa far convivere la razionalità soggettiva con quella interpersonale senza appellarsi a oggetti esterni prescrittivi. Il tentativo in questo caso è di rendere conto dell'etica da dentro il feno- meno se stessa, impegnandosi però a difendere l'oggettività della disciplina.
La circolarità di questi approcci non è necessariamente un argomento definitivo contro di essi, anzi McDowell stesso la considera una buona cosa per una teoria etica che ha rinun- ciato a ogni appello a criteri esterni per sorreggere se stessa. Ma la teoria di Mackie guada-
129Values and secondary qualities, in Morality and objectivity, op. cit., p. 120 130Values and secondary qualities, in Morality and objectivity, op. cit., p. 113
131Vedi a proposito il già citato Predicati etici e qualità secondarie di Alessio Vaccari. Si tratta in questo caso di una circolarità simile a quella riscontrabile in Aristotele riguardo alla definizione dell'uomo vir- tuoso: per definire concretamente la percezione adeguata di una qualità morale è necessario a monte un giudice competente il quale possieda la capacità di una percezione morale adeguata.
gna un ulteriore supporto se si pensa che dietro l'analogia con le qualità secondarie vi è la spiegazione convenzionalistica e adattazionistica del fenomeno morale. Lo scetticismo è capace di reggersi da solo, ma ottiene un ulteriore sostegno dall'essere pienamente coerente con una spiegazione storica e biologica del fenomeno morale, che è in grado di spiegare perché avvenga un errore come quello ipotizzato da Mackie, e non solo come esso avvenga.
2.4.4 La teoria della virtù di Casebeer
Un altro recente tentativo diverso di superare l'argomento a partire dall'eccentricità è quello di William Casebeer. Il retroterra filosofico di Casebeer è vasto: vi si trova il prag- matismo americano di John Dewey, il convenzionalismo di Quine, l'Etica nicomachea di Aristotele, il cognitivismo e funzionalismo della moderna filosofia della mente e il pensie- ro biologico ed evolutivo, ma, in sostanza, la sua proposta morale consiste in una correzio- ne in senso darwiniano della teoria della virtù aristotelica.
Per Casebeer i valori morali sono oggettivi e riconducibili a fatti naturali, e sono piena- mente consistenti con un'ontologia materialista. Scopo ovvio della sua teoria è superare ogni critica classica cui sono soggette le morali di stampo naturalistico: la fallacia naturali- stica e l'open question argument di Moore prima di tutto. Contro questi argomenti