Capitolo 4. Le origini evolutive del dispositivo morale
4.2 Da A refutation of morals a Ethics
La teoria dell'errore non nasce nel 1977: nasce, come si è visto, nel 1946 (ma è nella testa di Mackie almeno fin dal 1941), con quel primo articolo, A refutation of morals, in cui l'au- straliano espone brevemente i suoi argomenti destinati a essere poi sviluppati e raccolti in Ethics.
Nei trentuno anni che passano da questo articolo all'opera maggiore di Mackie si possono ovviamente rinvenire nei suoi scritti numerosi spunti, temi ed elaborazioni concettuali che confluiranno in Ethics. Ma al di là di questa maturazione personale dell'autore, un sostan- ziale cambiamento del panorama culturale, tanto filosofico quanto scientifico, rende possi- bile una strutturazione finalmente complessa di quegli argomenti esposti nello scarno e giovanile articolo del 1946.
All'interno dei mutamenti culturali di quegli anni tre sono gli elementi significativi per lo sviluppo del convenzionalismo mackiano. Il primo è il declinare, nell'etica come in altri campi, della fiducia verso la svolta linguistica in filosofia, con l'abbandono del criterio di significato neo-positivista29. Il secondo è il rafforzarsi nello zeitgeist occidentale della tra- dizione continuista di matrice darwiniana, o comunque evolutiva e materialista, contro concezioni radicalmente dualiste o più genericamente di tipo continentale. Un simile cam- biamento, oltre a investire il delicato rapporto tra scienze umane e scienze naturali, finì per mettere nuovamente in discussione gli assunti di autonomia delle varie discipline filosofi- che. Il terzo elemento riguarda l'esplosione creativa che investì la ricerca biologica nelle sue tematiche più filosofiche o in ogni caso più interessanti per un filosofo, tanto da provo- care la nascita in questi ultimi decenni di una disciplina specialistica come la filosofia della biologia.
Riguardo alla morte per asfissia del neo-positivismo non occorre ritornarvi su. Il secondo cambiamento culturale è sicuramente più generale e coinvolge il rapporto stesso tra i vari campi del sapere storico e umano, andando a toccare l'oggetto stesso di queste discipline, ovvero l'uomo. A una concezione prettamente continentale della natura umana, perfettibili- sta, culturalista e incentrata sull'idea che questa sia sostanzialmente irriducibile a ogni mor- fologia definita, si andò pian piano sostituendo una visione di matrice più coerentemente naturalista e materialista, volta a descrivere l'uomo a partire dai presupposti di una conti- nuità con la natura. La condizione di possibilità di questi tentativi di ibridare le scienze
29 Già nel 1955 Mackie proclamava morto il principio di verificazione, constatando però l'esistenza di un cripto neo-positivismo (vedi Responsability and language, in Persons and values, p. 37).
umane con le scienze della vita è da rintracciare nel successo del programma di ricerca della prima sintesi neo-darwinista, successo che permise di estendere i confini del programma originario a campi limitrofi, che, se un tempo potevano apparire autonomi e isolati, alla luce dell'ideale continuista darwiniano non potevano essere più considerati tali. Il progressivo sgretolarsi del pregiudizio secondo cui dietro ogni biologismo vi siano forme di pensiero reazionario contribuì allo sviluppo di questa contaminazione. D'altronde, lo stesso paradigma delle scienze sociali riguardo all'uomo, cominciava ad apparire per quello che era, ovvero una visione rigida della natura umana, determinista e appiattita sulla cultura e l'ambiente:
“Se si scorre la vastissima letteratura delle scienze sociali del '900, in partico- lare sociologia e antropologia sociale e culturale, se ne trae l'impressione che esse abbiano fatto un punto di orgoglio nel negare che gli esseri umani posseg- gano una propria natura, ovvero che siano motivati da un qualsiasi carattere che stia al di fuori della società e della cultura in cui è storicamente collocato il sog- getto. (...) Sono rari i sociologi e gli antropologi i quali si siano resi conti (...) che l'idea per cui gli uomini sono privi d'una natura mana rappresenta a ben ve- dere una rigidissima, quanto mal verificata, teoria della natura umana”30.
Così scriveva nel 1980 Luciano Gallino, in un libro concepito per introdurre al pubblico italiano la contemporanea discussione neo-darwinista d'oltreoceano. Una discussione che nei paesi anglosassoni aveva già preparato un deciso cambiamento culturale, come nota Lorenzo Calabi:
“Gli anni settanta e ottanta del '900 sono stati gli anni nei quali lo spostamento della prima 'sintesi' neo-darwinista – dallo studio dell'evoluzione degli organi- smi a quello dei comportamenti – è uscito dagli originari, delimitati, ambiti di- sciplinari della biologia, della zoologia e dell'etologia, per occupare una scena più ampia, sulla quale si sono incontrate anche psicologia e antropologia, socio- logia e politologia”31.
Ecco che nell'antropologia, tanto per fare un esempio, l'egemonia esercitata dalla scuola di Franz Boas o dal culturalismo di matrice strutturalista venne messa in crisi dalla ripresa di temi che erano propri della vecchia scuola evoluzionista inglese (di cui Westermarck era uno dei membri più illustri, e i cui semi, costituiti da un'attenzione verso le determinazioni e i vincoli propri della condizione umana, si possono far risalire all'illuminismo scozzese)
30 L. Gallino, Introduzione a Sociobiologia e natura umana. Una discussione interdisciplinare, Einaudi, Torino, 1980, p. XXX
attraverso una nuova antropologia che non si rifaceva ad assunti legati alla teoria del blank state o a idee di malleabilità e addirittura perfettibilità indefinitiva della natura umana. Queste nuove antropologie, fossero esse fondate sull'ecologia come la storiografia scienti- fica di Jared Diamond o l'evoluzionismo culturale di Marvin Harris, oppure su base stretta- mente biologica come quella tentata da Edward O. Wilson, spostarono nuovamente l'oc- chio di bue sulla naturalità e sulla materialità dell'uomo, recuperando quella nozione di continuità che gli eccessi di relativismo e di culturalismo delle altre scuole avevano abban- donato quasi senza accorgersene. Poco importa se queste nuove antropologie erano e sono per metodo e visione d'insieme irriducibili tra loro32: esse costituirono nondimeno un nuo- vo tentativo di superare il relativismo assoluto dell'antropologia culturale, riprendendo l'in- tuizione darwiniana per cui i costumi, essendo espressione degli istinti sociali dell'uomo evolutisi in parallelo agli altri caratteri specifici, sono storicamente diversi perché legati alle diverse problematiche che il contesto ambientale pone di fronte alle culture33.
Superare il relativismo culturale si è detto, ma non si trattò certo di un completo supera- mento: ancora nel 1983, un lavoro come quello di Derek Freeman, volto a dimostrare gli errori degli studi di Margaret Mead in Samoa, poteva costare parecchio caro al suo auto- re34, a dimostrazione di quanto aspre erano (e siano tutt'oggi) le schermaglie tra le varie scuole. In ogni caso, il diversificarsi dei paradigmi di partenza sviluppatosi a partire dalla ripresa della scuola evoluzionista finì per rendere l'antropologia, e conseguentemente il di- battito filosofico sulla natura umana, assai più ricco.
Vista l'influenza di Westermarck, la concezione dell'uomo di Mackie, in quelli che sono i suoi aspetti naturali e sociali, era già profondamente segnata dalle teorie evolutive. Il raf- forzarsi esterno di questa visione gli permise sicuramente di nutrire le proprie convinzioni di importanti elementi nuovi. Sebbene non fosse certamente chiaro negli anni in cui Mackie lavorava a Ethics, si era già dentro un'epoca dominata dal pensiero di Charles Darwin, un'epoca capace di accogliere “l'idea che esistano dei 'caratteri universali della na- tura umana' costanti attraverso le culture e che esistano delle 'caratteristiche specifiche del- la nostra eredità biologica' che restano non eludibili per qualunque antropologia e per qua-
32 Per una disamina delle differenze, vedi M. Harris & E.O. Wilson, Tra ereditarietà e cultura, in L. Gallino (a cura di), Sociobiologia e natura umana, op. cit.
33 L'origine dell'uomo, pp. 155-159.
34 Diverso caso quello di un junkie come William Burroughs, che già nel 1961 si poteva permettere di irri- dere le teorie dell'antropologa, definendo ironicamente ne Il pasto nudo gli U.S.A. un immenso matriarca- to à la Mead.
lunque filosofia”35. Nel '77 questo cammino era sotto molti aspetti ancora agli inizi, ma non per questo doveva apparire meno interessante. Proprio in quegli anni e nella decade prece- dente la ricerca evolutiva andava arricchendo il proprio già grande carico di questioni teo- riche, filosofiche o comunque interessanti per il dibattito filosofico con tutta una nuova se- rie di problemi, problemi cui l'australiano si interessò con grande fiuto. Spunti in questa di- rezione sono visibili negli ultimi scritti di Mackie, dove si nota un chiaro interesse verso gli studi neo-darwinisti sul comportamento sociale. Tutto lascia pensare che poco prima della sua morte l'australiano stesse approfondendo il suo 'funzionalismo morale' entrando nei dettagli di quella che è la visione neo-darwinista della morale come adattamento sociale. Come scrive Michael Ruse a proposito dell'ultimo Mackie, e del suo interesse per la concezione adattamentista del comportamento sociale:
“Chi scorse tutto questo, e stava (poco prima della sua morte) mettendolo in connessione con la biologica evolutiva, fu John Mackie. Egli assunse un para- digma neo-humeano di filosofia morale, allacciandolo al sottostante meccani- smo genetico”36.
L'affermazione di Ruse va parzialmente corretta, perché Mackie accanto al “sottostante meccanismo genetico” poneva un analogo dispositivo culturale come si vedrà basato sulle speculazioni in merito di Richard Dawkins. In ogni modo, nello spirito, l'affermazione è giusta. Questo interesse per gli studi neo-darwinisti sul comportamento sociale proviene da un rinnovato interesse per quella che è la morfologia del dispositivo: un sapere dei limiti e delle possibilità, indispensabile come terreno preparatorio a una ricerca positiva e proposi- tiva riguardo ai contenuti della morale stessa, altro grande progetto di ricerca visibile negli ultimi scritti dell'australiano. Per ciò che concerneva la categoria di forma del dispositivo morale Mackie si stava rivolgendo sempre di più verso la biologia evolutiva e agli studi matematici sulla scelta pratica.
35 Darwinismo morale, p. 17 36 Taking Darwin seriously, p. 277