Capitolo 2. La teoria dell'errore
2.2 Gli argomenti della teoria dell'errore
Sui caratteri generali della teoria dell'errore si è già scritto nel paragrafo introduttivo a questo capitolo. Essa è una posizione metaetica che prepara una riforma concettuale di tut- ta la morale. Il contenuto di questa riforma sarà affrontato nel prossimo capitolo [3]. In questa parte del lavoro si esamineranno le sue ragioni e le sue conclusioni interne.
Schematicamente, la teoria dell'errore è sorretta da una batteria di tre argomentazioni:
i) L'argomento a partire dalla relatività. ii) L'argomento a partire dall'eccentricità.
iii) Il modello proiezionista, ovvero la spiegazione naturale dell'oggettiva- zione dei valori.
La loro esposizione avviene tutta nel primo capitolo di Ethics, e segue la ricapitolazione posta da Mackie a chiusura, la quale elenca però cinque argomenti51. Se, infatti, l'argomen- to a partire dalla relatività gode di un paragrafo tutto suo (I, viii), l'argomento a partire dal- l'eccentricità è formato in realtà da tre varianti, tutte racchiuse in unica voce (I, ix). Alla questione del proiezionismo, infine, è dedicato il decimo paragrafo, sebbene essa torni a galla in vari punti della discussione. Il tema dell'oggettivazione lega tutte le argomentazio- ni della teoria dell'errore con un filo rosso di continuità e consistenza, ed è per questo che suoi accenni si possono trovare sparpagliati in tutte le pagine del primo capitolo di Ethics. Essa porta direttamente alla reimpostazione della morale in chiave convenzionalistica, ed è la via di fuga in cui la metaetica sfuma nell'etica normativa.
2.2.1 L'argomento a partire dalla relatività
“Credo che, se qualcuno ordinasse a tutti gli uomini di radunare in un solo luogo tutte quelle usanze che ciascuno considera brutte, e poi di eliminare dal mucchio quelle che cia- scuno considera belle, non ne resterebbe nemmeno una, ma tutti le riprenderebbero tutte. Infatti non tutti hanno le stesse convinzioni.”52 È questa la conclusione cui arriva l'anonimo autore dei Discorsi duplici dopo aver snocciolato una lunga serie di costumi che, se in un luogo sono considerati legittimi, in un altro sono invece tabù. Accanto a una tradizione di matrice platonica, che prevede l'universalità e l'assolutezza del discorso morale, esiste in- fatti nella filosofia greca una tradizione parallela, che denuncia il relativismo dei costumi: la tradizione sofistica. È da questa che discende 'l'argomento a partire dalla relatività' e,
51 Ethics, p. 49
come corollario, l'idea che le leggi abbiano una discendenza convenzionale53. Ma vediamo come imposta la questione Mackie:
“L'argomento a partire dalla relatività ha come sua premessa la ben nota varia- bilità dei codici morali da una società all'altra e da un'epoca all'altra, nonché la diversità delle credenze morali all'interno dei differenti gruppi e classi di una società complessa”54.
Come possiamo quindi inferire l'esistenza di fatti morali assoluti dato questo disaccordo trasversale sui valori55? Tralasciando per ora la questione sulla validità del dato antropolo- gico da cui prende le mosse, l'argomento, da un punto di vista filosofico, mostra subito la corda attraverso due facili obiezioni.
Anzitutto, la presunta relatività dei costumi non potrebbe essere nient'altro che il frutto di una incapacità di abbracciare con lo sguardo il mondo dei valori una volta per tutte. Gli uo- mini potrebbero essere tutti aurighi imbranati che, nel corteo iperuranico descritto nel Fedro, sopraffatti dal cancan della processione “se ne vanno senza essere stati iniziati alla visione dell'essere e, una volta che si sono allontanati, si pascono di opinioni”56. Lo stesso Platone, nell'Eutifrone57 ammette questa possibilità, asserendo che mentre sulle questioni di grandezza non si litiga, sul giusto e l'ingiusto, il bello e il brutto, e il buono e il cattivo, per- sino gli dèi non sono in sintonia. Il mero disaccordo insomma è spiegabile anche dentro una visione sostanzialmente oggettivista. Potremmo sostenere, per esempio, che una scin- tilla, più o meno grande, di senso morale oggettivo esiste dentro ognuno di noi a prescinde- re dalla relatività degli usi e dei costumi, fenomeno questo derivabile invece dai nostri li- miti costituzionali.
Secondariamente, non è neanche necessario postulare che questo disaccordo sia una figu- ra strutturale e permanente della condizione umana. Potrebbe esserci un progresso morale, un graduale avvicinamento alla realtà normativa. Potremmo servirci a questo proposito del- l'esempio fornito dalla storia della scienza, che è piena di disaccordi che sono stati risolti.
Tutto vero, dice Mackie. Soltanto, riguardo a questa seconda obiezione, il disaccordo sui
53 A proposito: Antifonte (Diels-Kranz 87-B-44) e Licofrone (Diels-Kranz 83-3). Scettici morali sono anche i Trasimaco e Callicle platonici, e fuori dalla tradizione sofistica, Anassarco di Abdera.
54 Ethics, p. 36
55 Tornando sulla questione della tradizione filosofica cui fa riferimento Mackie, c'è da ricordare che Locke adoperava questo argomento sulla mancanza di un consenso universale riguardo ai costumi per mostrare l'assenza di principi pratici innati (Saggio sull'intelligenza umana, I, iii).
56 Fedro 248 b 57 Eutifrone 7 b-d
costumi non sembra assomigliare a quello scientifico. Il disaccordo morale riflette passio- ni, ideologie e gusti soggettivi, piuttosto che vere e proprie argomentazioni basate sui fatti, o su tentativi di interpretare obiettivamente questi fatti: in fin dei conti, “le persone appro- vano (...) la monogamia perché partecipano a uno stile di vita monogamo”58. E se è vero che, all'interno di determinati contesti storici, anche le questioni scientifiche possono esse- re intrise di elementi ideologici, col tempo la verità si fa comunque avanti in virtù delle sue evidenze, cosa che fino a oggi non è successa nel campo morale.
La risposta a questa obiezione sembra convincente, ma la prima rimane sostanzialmente valida. La relatività dei costumi e delle forme di eticità potrebbe non esprimere altro se non la diversa interpretazione di alcuni principi morali generali, i quali, potrebbero benissimo essere oggettivi.
Così come l'argomento, chiosa Mackie, anche questa obiezione è “ben nota”59. Ciò non toglie che in questo modo l'oggettivista è costretto a ripararsi in questi “principi altamente generali”, che costituiscono una piccolissima parte di ciò che solitamente coincide con la nozione comune di valore oggettivo. L'esposizione dell'argomento in Ethics termina qui, lasciando però alcune questioni in sospeso: il tipo di relativismo che ha in mente Mackie, e la validità del dato antropologico che lo sostiene.
2.2.2 Relativismo sensistico e relativismo cognitivista
L'idea che negare gli universali morali sia appannaggio di una posizione che fa dell'uomo una creatura interamente culturale, svincolata del tutto dalla sua naturalità, è una forma di pregiudizio molto diffusa, ma è falsa. L'inesistenza di universali morali non è affatto un buon argomento per sostenere che la moralità sia un prodotto interamente sociale60, e allo stesso tempo non è vero che non si possa sussumere un certo relativismo all'interno di una prospettiva lontana dalla visione dell'uomo propria del relativismo culturale più spinto.
Parlando per esempio del relativismo nella cultura francese, Tzvetan Todorov61 distingue
58 Ethics, p. 36
59 Uno dei riferimenti che possono essere citati a riguardo è, per esempio, la discussione sul relativismo dei costumi operata da Henry Sidgwick: “più aumentiamo la nostra conoscenza dell'uomo e del suo ambiente, e più impariamo sull'ampia varietà delle nature umane e delle circostanze che sono esistite nelle differenti epoche e nazioni, meno siamo disposti a credere che esista un codice ben definito di regole assolute, applicabile a tutti gli esseri umani senza eccezione. (...) [Tuttavia] esistono certi principi pratici assoluti, la verità di cui, quando essi sono asseriti esplicitamente, è manifesta: ma la loro natura è così astratta, e così universale la loro portata, che non possiamo, con una loro applicazione immediata, accertare che cosa dovremmo fare in ogni caso particolare ” (The methods of ethics, III, xiii, 3).
60 N. Tennant, Evolutionary vs. evolved ethics, “Philosophy”, 58, 397, p. 299
tra un relativismo di matrice empirista mutuato da Locke (quello di Helvetius e d'Holbach), e uno di matrice storico politico (Le Bon) che tende a prefigurare il moderno relativismo culturale. Il relativismo di Helvetius sarebbe un relativismo sensista, il quale a partire dalla particolarità di ogni individuo fa dell'oggettività un'illusoria e indebita estensione delle no- stre sensazioni. Il relativismo culturale e ambientalista è invece un relativismo cognitivista, il quale ha il suo fondamento nella peculiare costituzione della mente umana come secchio vuoto, capace di accogliere (e raccogliere) ogni tipo di influenza esterna, rendendo la sua coscienza interamente determinata in modo storico.
Secondo questa distinzione, il relativismo di Mackie cade sicuramente nel primo campo. La soggettività dei valori che predica parte dalla distinzione tra qualità primarie e seconda- rie, e alla riconduzione dei nostri presunti oggetti morali alla sfera soggettiva non indagabi- le con metodi scientifici. L'argomento a partire dalla relatività è la naturale conseguenza dell'adozione di una prospettiva empirista, e non va quindi confuso con una visione pura- mente ambientalista e culturalista della natura umana. L'obiettivo di Mackie (come era sta- to per Westermarck62) è negare l'oggettività, senza per questo affermare l'equipollenza e l'equiprobabilità dei costumi umani in virtù di una supposta onnipotenza della nostra natu- ra. La monogamia non è innaturale, in quanto non esiste una contrapposizione tra legge di natura e legge umana: in sé, niente è innaturale. Sceglierla è pertanto una semplice que- stione soggettiva, la quale dipende, in superficie, dal fatto che una persona viva o no in un sistema monogamico, e, in definitiva, dal gusto personale. Ma allo stesso tempo, non è vero che la monogamia abbia le stesse possibilità di essere implementata rispetto ad altri sistemi di relazione matrimoniale. Questo perché esistono spinte esterne e interne al sog- getto che rendono più o meno probabile adottare un sistema rispetto a un altro. Questa af- fermazione può essere resa chiara dal (solito!) paragone con Hume, per il quale, pur non essendoci altro che idee e impressioni di provenienza esterna nella mente, nondimeno è possibile tratteggiare un dipinto di quelli che sono i caratteri generali della natura umana. Discutendo l'esposizione dell'argomento a partire dalla relatività contenuto in Un dialogo e nel Saggio sulla regola del gusto Mackie osserva che la posizione di Hume si risolve nell'idea secondo cui:
“Esiste una singola teoria psicologica di fondo in grado di spiegare le differen-
sg.
62 Westermarck è molto chiaro ad affermare la radice sensistica del suo relativismo (The origin and
ze di gusto in estetica e in morale, ma non una singola teoria estetica o morale in grado di riconciliare queste differenze”63.
Discorsi duplici, ma psicologia unica. Se da un lato, infatti, il relativismo di matrice sen- sista è gradualista, dall'altro il relativismo cognitivista predica una rottura tra uomo e mon- do, cadendo così nel determinismo ambientale o in una mistica della libertà assoluta: in en- trambi i casi nella deflagrazione della psicologia umana in una serie apparentemente infini- ta di possibili determinazioni. L'empirismo di Mackie invece lascia una porta aperta a tipi minimali di conoscenza innata intesi come retaggi del passato evolutivo della specie umana.
Anche qui l'apporto della lezione di Westermarck appare evidente64: l'idea è che di fondo vi sia un'unica morale, entro la quale sia possibile costruire differenti ordini morali. Il rela- tivismo sensista affonda infatti le sue radici nell'idea gradualista propugnata da un Montaigne o da uno Hume di una “ragione negli animali”, differente solo in grado da quel- la umana. Il relativismo culturale, al contrario, è costretto ad affermare l'insanabile rottura tra uomo e bestia, e il radicale divario cognitivo tra le due tipologie di menti: una posizione incrostata di antropocentrismo che mistifica quella che è la nostra attuale conoscenza del posto dell'uomo nell'universo.
Inoltre è bene sottolineare che per Mackie questo relativismo degli usi e costumi è solo una prova in favore dello scetticismo morale e non un assunto di tipo pratico. Sebbene, come ammetta de Mori, una posizione del genere non sia “di per sé pacifica e priva di am- biguità”65, il relativismo di Mackie è da intendersi esclusivamente come un invito al so- spetto verso la realtà metaetica. E questo, di nuovo, perché la radice principale dell'argo- mento a partire dalla relatività è lo Hume di Un dialogo e del Saggio sulla regola del gu- sto: in queste due opere la relatività dei costumi e dei gusti non collassa in un generico ri- fiuto di ogni proposizione di I livello, ovvero in quella posizione che coincide con il rifiuto
63 Hume's moral theory, p. 67. Questo giudizio si riferisce alla metafora dei due fiumi con una singola origi- ne che espone il narratore di Un dialogo. Vedi D. Hume, Un dialogo, in Opere vol. II, Laterza, Bari, 2002, p. 352
64 Sulle differenze tra la scuola antropologica inglese e l'antropologia culturale di Lévi-Strauss vedi F. Sciacca, Postfazione a E. Westermarck, La vendetta di sangue (op. cit.). L'idea di un unico senso morale dal quale possono sbocciare diversi ordini morali è diretta derivazione dell'indagine genealogica sull'etica condotta da Darwin ne Il lignaggio sull'uomo. Jean Marie Guyau, discutendo nel 1879 di questa, com- mentava in questo modo: “così, in Darwin (...) il sentimento morale è necessario, scaturisce per forza di cose; al contrario, gli oggetti e la materia di questo sentimento sono, in virtù di questa stessa forza di cose, essenzialmente variabili. (...) Esiste un sentimento morale immutabile, ma non esiste affatto una morale immutabile” (J.M. Guyau, La morale anglaise contemporaine. Morale de l'utilite et de l'évolution, Germer Baillière et Co., Paris, 1879, p. 159).
globale dell'etica e dell'estetica. Ne il Saggio sulla regola del gusto, per esempio, l'argomento a partire dalla relatività fornisce sostegno alla tesi che il bello estetico sia un sentimento del soggetto e non una qualità oggettiva dell'opera d'arte. Nondimeno la razionalità non viene cacciata dall'estetica in quanto è possibile rinvenire degli standards of taste, ovvero delle regole “attraverso le quali i vari sentimenti degli uomini possono essere messi d'accordo”66, spiegando così perché John Milton sia universalmente considerato un poeta superiore rispetto a John Ogilby.
2.2.3 Il dato antropologico
Una seconda precisazione sull'argomento a partire dalla relatività riguarda il dato antro- pologico che lo sostiene. La forma logica dell'argomento è infatti, a voler essere generosi, un'abduzione: da un'osservazione A si passa a stabilire un'ipotesi I che spiega A in termini naturali; visto che I sembra essere la migliore spiegazione di A, I è considerata vera. Il pro- cedimento è abbastanza canonico, ma questa sua applicazione è quanto meno discutibile. Un'abduzione corretta dovrebbe almeno dare per scontato che l'osservazione A che s'inten- de spiegare sia anzitutto empiricamente verificabile, e, secondariamente, riconosciuta vera alla luce dei fatti. Altrimenti sarebbe possibile 'dimostrare' ipotesi del tutto assurde.
Il biologo J.B.S. Haldane chiamava “teorema della zia Jobisca67” una spiegazione che co- minciava con la formula 'è un fatto universalmente riconosciuto'. Potrebbe darsi che la 'ri- saputa' variabilità dei costumi cada nell'ampia classe dei teoremi della zia Jobisca? Dando un'occhiata, anche superficiale, al dibattito antropologico, non sembrerebbe che si sia giun- ti a una vera e propria conclusione positiva sulla verità di questo “fatto ben noto”. Come è facile leggere pareri favorevoli ai tentativi di ricondurre tutto l'ethos umano a poche deter- minate regolarità 'naturali'68 riscontrabili in ogni cultura, è altrettanto facile accorgersi che c'è chi, invece, conduce una battaglia per estendere all'inverosimile l'elenco proposto a suo tempo dai Discorsi duplici. A prescindere da quali siano le nostre opinioni a riguardo, l'esi- stenza stessa di un simile dibattito è una prova che, almeno per ora, non esistono tesi solide da sostenere. L'osservazione di partenza non è quindi incontestabile69, e l'argomento, preso
66 D. Hume, Essays, moral, political, and literary, Liberty Fund Inc., 1987, 1, XXIII, “On the standard of taste”, cap. vi, http://www.econlib.org/library/LFBooks/Hume/hmMPL.html
67 La zia Jobisca è un personaggio di The pobble who had no toes, di Edward Lear.
68 Campione indiscusso di questo riduzionismo è Desmond Morris, il quale, ne La scimmia nuda, Bompiani, Milano, 1989, afferma che i comportamenti palesemente fuori della norma (quella che stabilisce lui, s'in- tende) sono dei vicoli ciechi in cui ogni tanto la cultura umana si va a cacciare, e che, come tali, non an- drebbero nemmeno presi in considerazione nei nostri tentativi esplicativi!
in sé, non è affatto decisivo. Non per questo, però, esso è inutile e si vedrà adesso perché. 2.2.4 Pluralismo dei valori
All'interno dei libri di filosofia morale il biologo E.O. Wilson è solitamente citato soltan- to per la sua affermazione secondo cui i geni tengono la cultura al guinzaglio70. Determini- smo spicciolo che si riassume nell'idea che il comportamento umano (incluso il comporta- mento propriamente morale) sia riconducibile a poche costanti generali che si possono con- tare sulle dita di una mano. Il pensiero di Wilson (il quale condivide con Mackie un apprezzamento per Westermarck71) pur fornendo un esempio conseguente di riduzionismo e naturalismo forti, non è per questo immune da un certo relativismo in fatto di valori. L'idea infatti che sia possibile ricondurre il comportamento umano a un numero fortemente limitato di moventi 'occulti' non significa negare che gli uomini si muovano poi lungo di- rettive e strategie fortemente diverse nel ricercare i propri scopi:
“Dovrebbe anche essere chiaro che non si può applicare un unico insieme di standard morali a tutte le popolazioni umane, e tanto meno a tutte le classi di età-sesso all'interno di ciascuna popolazione. Imporre un codice uniforme signi- fica perciò creare dilemmi morali complessi e intrattabili”72.
Le regole del gioco sociale saranno anche poche e semplici, ma le combinazioni che si possono creare, e che di fatto si creano durante la partita, sono un numero molto elevato, tale da porre proprio la discordanza come conseguenza necessaria delle regole: Wilson par- la a proposito di “pluralismo morale innato”.
Stiamo sicuramente scoprendo l'acqua calda: potremmo dire con Hannah Arendt che quella della pluralità umana, come “condizione fondamentale sia del discorso sia dell'azio- ne” e con “il duplice carattere dell'eguaglianza e della distinzione”73 è una scoperta che ri-
con Wreen che Mackie non fornisca prove decisive in favore dell'osservazione da cui parte l'argomento, prove la cui ricerca pertiene più all'antropologia che alla filosofia. Il fatto stesso che l'osservazione inizia- le sia contestabile non significa però automaticamente che l'argomento sia falso: al limite che non sia de- cisivo.
70 E.O. Wilson, On human nature, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 1978, p. 167: “i geni ten- gono la cultura al guinzaglio. Il guinzaglio è piuttosto lungo, ma inevitabilmente i valori saranno vincolati alle loro ripercussioni sul pool genico umano”. Wilson è brevemente tornato sulla questione dei rapporti tra riduzionismo e relativismo in The biological basis of Ethics, in E.O. Wilson, Consilience: the unity of
knowledge, Knopf, New York, 1998.
71 Assieme a C.J. Lumsden Wilson ha studiato il tabù dell'incesto alla luce dell'effetto Westermarck, il quale fornisce una spiegazione di questo divieto. Le tesi di Westermarck sono discusse anche nel già citato
Consilience: the unity of knowledge.
72 E.O. Wilson, Sociobiologia. La nuova sintesi, Zanichelli, Bologna, 1979, p. 570 73 Vita Activa, p. 127
sale al pensiero greco. Che ci sia un fondamento comune, una 'condizione umana', è un principio necessario, se non altro come presupposto necessario per un'intesa possibile tra gli uomini. Che su questa base comune emerga poi una pluralità di visioni, è un fatto altret- tanto incontestabile.
In questa chiave possiamo forse ridurre la portata dell'obiezione portata in [2.2.3], che la relatività dei costumi umani sia una sorta di teorema della zia Jobisca. Perché nell'argo- mento non è tanto in gioco la contrapposizione tra una visione pluralista o riduzionista del- la natura umana: il relativismo sensista di Mackie non è un qualche tipo di ambientalismo come dimostrato in [2.2.2], e può conciliarsi benissimo con l'idea che esista una qualche forma della natura umana i cui principi generali siano riconducibili a una serie finita di proposizioni. L'argomento mostra semplicemente quanto sia illusoria l'idea che si possa passare da questa forma, interna o esterna all'uomo che sia, a una giustificazione morale